2. thriller

L'uomo che avanzava aveva gli occhi fissi nei miei. Mi stava trafiggendo lentamente: era chiaro che voleva qualcosa da me, e io purtroppo sapevo che cosa. Il punto è che non potevo darlo a vedere, dovevo fingere di ignorare il motivo per cui aveva varcato la soglia, come lui faceva finta di non avere nulla in quella tasca così gonfia.

Sentivo le gocce di sudore correre giù per la schiena. L'omone che mi stava di fronte – e che il piano bar teneva a mezzo metro da me– era molto robusto, un colosso dalla barba mal rasata e dalle occhiaie livide. Non dorme da un bel po' a quanto pare. Se si irrita mi ammazza...

Tergiversare era l'unica cosa da fare.

"Buonasera, vuole ordinare?" chiesi senza guardarlo, intento ad asciugare una caraffa. Mi meravigliavo del silenzio che Sonia riusciva a mantenere: da parte sua non si sentiva nemmeno un fruscio, non un respiro.

"Sì, la ragazza."
Uno stanco imperativo. L'avevo percepito ugualmente quel "dammi" sottinteso: non gli andava di stare al gioco. Tuttavia continuai la mia parte.
"Prego?" domandai con l'espressione più sbalordita di cui i miei muscoli facciali fossero capaci. Temetti di sembrare troppo teso.

L'uomo posò una mano sul bancone e, non soddisfatto, vi appoggiò tutto il braccio. La distanza si ridusse pericolosamente.
"Avanti ragazzo, non fare l'idiota. Ho visto chiaramente che un'ora fa è entrata qui e che vi siete parlati... Dov'è adesso?" la voce da sarcastica si fece sempre più minacciosa. Non sapevo più come guadagnare tempo. Così recitai la prima risposta che mi passò per la mente.

"Può anche darsi che la ragazza a cui si riferisce sia uscita. Non mi ricordo tutte le facce dei miei client-". Non mi lasciò finire. Con un balzo scavalcò il piano bar (il braccio che aveva appoggiato gli era servito da leva) e mi piombò di fronte; mi scansai per non essere travolto dalla sua mole. Era davvero agile nonostante la corporatura massiccia.

"Hai dei buoni riflessi," mi sussurrò all'orecchio e mi puntò contro quegli occhi grandi quanto fessure, spietati.

Un brivido mi colse quando la sua mano calò sulla mia spalla, tenendomi immobile. Non seguì nulla di violento. Invece l'omone si era acquattato e iniziava a perlustrare il mio posto di lavoro. Non appena arrivò alla tendina a quadri trattenni il respiro. La scostò con veemenza.

Non c'era nessuno dietro. Sonia era svanita.
Mi sfuggì dalle labbra mezza espressione di sorpresa.

L'uomo si voltò verso di me e mi sputò in faccia parole che trattenevano a stento la sua ira: "Era qui fino a un attimo fa, ne sono certo. Dov'è andata?!". Mi prese per il colletto senza nemmeno lasciarmi protestare. Chiuse la porta d'entrata a chiave e mi scaraventò dentro al bagno. Il tutto senza lasciare mai la presa della mia camicia.

Mi sentivo alquanto scombussolato, in grave pericolo. Passai al tu, indice che avevo superato la soglia di sopportazione.
"Ma cosa... Io non capisco, non so nulla! Che cosa sta succedendo, chi sei e che vuoi?"
La soglia di sopportazione non aveva lasciato entrare nella domanda alcuna volgarità. Mi presi la testa tra le mani: possibile che in quella situazione usassi ancora le buone maniere?
L'uomo con l'impermeabile, spazientito dalla mia crisi nervosa mi ordinò: "Spogliati".

Credetti di non aver capito bene.
"Eh?" abbandonai le braccia sui fianchi.
"Mi hai sentito bene. Spogliati." Mai come allora temetti per la mia incolumità.

Che potevo fare? Chiamare la polizia in quel momento era già troppo tardi, avrei dovuto farlo molto prima... Perché non l'avevo fatto? Lasciamo perdere il perché, io gli sbirri meno li vedo e meglio sto.

Le sue mani furono più veloci della mia decisione definitiva. Mi strapparono di dosso camicia (era la mia preferita) e grembiule, mi sfilarono i pantaloni. Lo guardavo inebetito mentre rovistava con attenzione tra pieghe e tasche. Parve alla fine aver trovato quello che cercava: qualcosa di minuscolo che prese tra le dita muscolose e con il quale si gingillò per qualche secondo. 

Si rivolse infine a me, soddisfatto e sorridente "Adesso possiamo parlare senza tanti misteri."

"Come?"
Mi fece segno di attendere con una mano; le sue dita corsero dietro alla sua testa, alla base della nuca e iniziarono a staccare la maschera che copriva il vero volto.
Mentre aspettavo che finisse l'operazione, corsi a prendermi i pantaloni e cercai invano di aprire la porta del bagno che il mio aggressore si era curato di chiudere a chiave (sottraendola alla serratura) precedentemente. Stavo per risolvermi a sfondarla quando la sua mano mi bloccò e mi costrinse a girarmi a guardarlo.

"Simon?!"

Un attimo di sconcerto. O due. Lo riconobbi. Era l'irritante investigatore con cui avevo avuto a che fare tre anni prima. Non mi piacque affatto rivederlo.

"Calma, Mike," i suoi occhi si rabbonirono e la sua presa allentò: "Non c'è bisogno di comportarsi a questo modo".

"E come pretendi che ci si debba comportare in una situazione del genere? Ti sembrano cose che una persona sana di mente farebbe?" esclamai, urlandogli in faccia per la paura e l'umiliazione.
"Ammetto di essermi fatto un po' prendere la mano..."
"Un po'? Solo un po'?"
"Un po' tanto," mi concesse, "ma avevi un'aria così... Mi è venuta voglia di farti uno scherzo, mi capisci?"
"No," ribattei secco.

Simon mi guardava continuando a sorridermi.
"Non l'ho fatto solo per divertirmi, non avertene a male, Mike. Quella lì ti aveva piazzato una cimice che ho appena prelevato. Mi serviva mantenere un'atmosfera di tensione per farle capire che non ci conosciamo".

"Ah".
Mi lasciò il tempo per capire veramente quanto era accaduto, anche troppo, perché sbottai: "Ma lei chi è? Perché la segui e che c'entro io?"

"Calma ragazzo, una domanda alla volta. Intanto vestiti e usciamo da qui. Per quanto mi piaccia l'intimità di questo bagno, preferisco parlare davanti a una tazza di caffè, meglio se corretto."

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