11. Un gioco pericoloso (parte 2)
Era una delle richieste più strane che mi fossero mai state fatte (escludendo l'incarico affidatomi dall'investigatore), certamente tra le più eccitanti. E chi ero io per dire di no?
Tuttavia, per sicurezza e per il gran galantuomo che sono sempre stato, volli accertarmi che la parte interessata fosse nel pieno delle sue facoltà mentali: "Nessun rimpianto dopo, eh. Non voglio piagnistei né scenate."
Uno sbuffo spazientito, poi: "Il vassoio... da' qua. Muoviti!"
Sorrisi. Mi ricordava troppo una certa personcina tutta pepe...
"Non faccio certo aspettare le signore."
Nel buio le cercai le labbra. Appena in tempo.
La luce arrivò – come previsto – e dei passi frettolosi si fiondarono giù per le scale, sorpassandoci. Erano molti di più di quanti me ne sarei aspettati: almeno cinque uomini. Io intanto stavo piacevolmente incollato a quella che presumevo essere per certo Sonia.
La spinsi allora, per un senso viscerale di attrazione e sopravvivenza, ancora di più addosso al muro; le sue dita si conficcarono tra i miei capelli.
A pochi millimetri dal mio orecchio mi ordinò di tenere gli occhi chiusi per evitare di attirare l'attenzione degli inseguitori con uno sguardo incauto. Fu l'impresa più difficile della serata. Ero diviso dalla voglia di vederla in volto e dal bisogno di capire chi fosse sulle mie tracce; fui accontentato in buona parte.
Una voce roca e impaziente d'un tratto gridò, facendo rimbombare tutta la hall: "Chi di voi ha visto un damerino in giacca bianca, camicia nera e farfallina scendere le scale? Capelli imbrillantinati... Allora? Niente di niente? Probabilmente ha ancora in mano un vassoio..."
Il vassoio! Era finita...
Lei non poteva averlo nascosto del tutto. Oppure? Con un po' di sconcerto avvertii qualcosa di duro e sporgente appena sopra le sue ginocchia. Socchiusi un occhio e immediatamente il suo tacco a spillo si conficcò sul mio alluce. Fui costretto per forza a stringere gli occhi così tanto da non sentirli più, pur di non lasciarmi sfuggire le lacrime di indicibile agonia. Era necessario fino a tal punto che solo io tenessi gli occhi sigillati?
Ritornai col pensiero al vassoio traditore... Probabilmente lei doveva indossare un vestito lungo e largo per aver confuso i cinque segugi alla ricerca di un piatto metallico in fuga.
I problemi però non erano finiti: non potevo più pressarla contro la parete, o sarebbe stata la morte. Il vassoio sarebbe inesorabilmente scivolato – con un baccano infernale – di scalino in scalino e lui solo sa come Sonia (solo lei, ne ero certo, era capace di una simile prodezza) riuscì a evitare la disfatta.
Fu lei a interrompere il bacio per sussurrarmi di nuovo all'orecchio: "Sono usciti; noi rimaniamo ancora qui per capire la situazione. Poi farai esattamente tutto ciò che ti dirò."
Annuii e mi staccai. Era Sonia senz'altro, anche se la faccia non era la sua ma quella di Daisy nell'abito della donna zuccherosa dai capelli biondi e ricci che mi aveva chiesto l'acqua frizzante.
"Sonia!"
Si massaggiò le tempie aggrottando la fronte.
"Sonia, tutto bene?"
"Vuoi chiudere il becco? Ora sono Cheryl..."
"Non le assomigli granché..." commentai, senza aver presente la sua copertura e dubitando problemi di personalità multipla.
"Anche i muli sono più obbedienti," mi zittì. "Ora sali tenendomi per mano e cerca un posto appartato, ok?"
Mascherò l'acida richiesta con un viso angelico. Il suo sorriso ammaliò diversi ospiti che ci osservavano incuriositi ormai da tempo: era riuscita a sviarli per bene con un solo sguardo languido nei miei confronti. Per quanto ancora mi avrebbero retto le gambe?
I suoi giochini avevano un effetto controproducente: più mi voleva collaborativo e meno io me la sentivo di andare a fondo. Dopotutto, tra i due, quello che si sarebbe fatto più male ero io.
"Su," mi ordinò, afferrando il vassoio nascosto dalla stoffa e, sempre tenendoselo sotto al vestito, preparandosi a salire la rampa.
Sospirai, alzando gli occhi al lampadario di cristallo, che scendeva graziosamente dal soffitto. Un colosso di tre metri di lunghezza per quasi due di larghezza. Il peso dei soldi... Mi fosse caduto sul capo all'istante!
Invece, con dolcezza intrecciai le mie dita alle sue e la condussi su per le scale che avevamo sceso precedentemente. Quanto doveva divertirsi alle mie spalle il destino...
Svoltai a destra, dietro al muro; tentai di avventurarmi nel corridoio, ma Sonia si fermò sotto a un bocchettone d'aria, accanto alla sala della roulette.
"Troppo piccolo se la tua intenzione è di uscire da lì," la canzonai. Avevo visto una quantità industriale di film d'azione e il particolare della via di salvezza attraverso il sistema di aerazione mi era sempre sembrato ridicolo.
Per tutta risposta mi si fece incontro, alzando un po' di più l'orlo del vestito a ogni passo, fino a che non mi fu sotto al naso con quel suo sguardo malizioso. Come se fossi stato prigioniero di un incantesimo in grado di ottenebrare il buon senso che mi rimaneva, mi accostai al suo viso per un altro bacio.
La strega che si era presa gioco di me non era stata molto brava visto che con una mossa Sonia afferrò il vassoio e lo frappose tra noi. Il solito traditore... e intanto il vestito aveva già toccato terra. Contrariato, abbassai con una mano la barriera eretta all'ultimo secondo.
"A quanti giochi stiamo giocando?" alzai un sopracciglio, irritato dal suo atteggiamento evasivo.
Ma lei non volle rispondere immediatamente. Aveva un cipiglio che subito non riuscii a comprendere e, per un fraintendimento, temetti che fosse in collera con me.
Sonia mi dette le spalle senza lasciarmi il tempo di approfondire (fu un bene, altrimenti saremmo stati scoperti in un battibaleno) e, cauta, varcò la porta della sala della roulette col vassoio tenuto a scudo davanti a sé, osservando attentamente entrambi i lati.
"Roulette russa, guardie e ladri..." La sua voce mi arrivò che era già distante. Non c'era dubbio, era la risposta alla mia domanda.
Si diresse decisa al terrazzo esterno. Ma in quella parte del casinò non ricordavo ci fossero altre vie di fuga...
"Forza!"
C'erano invece.
Mentre scendevamo acquattati le scale esterne che portavano alla piscina all'aperto, Sonia cominciò a dire: "Il tizio a cui hai offerto da bere lo screwdriver... Lo ricordi?"
Perché nominarlo in quel momento? Feci cenno di sì.
"Era nel mirino della donna, Cheryl, quella dell'acqua. Lei era alle sue calcagna e faceva parte del gruppo che ci st alle calcagna."
Per poco non inciampai. Come poteva sapere tutto? E poi tutto trovava un suo perché e l'intera vicenda assumeva una brutta piega.
Mi ripresi: "Faceva?"
"L'ho sistemata prima che facesse fuori quell'uomo."
"Dunque il vestito... Aspetta, è il suo?"
"Sst. Sì. Probabilmente quegli uomini, ammesso che non abbiano ancora trovato il corpo, sono alla disperata ricerca di Cheryl..."
Inspirai profondamente, anche se non servì a nulla: "Ma tu ti rendi conto che potevamo essere scoperti immediatamente su quelle scale?"
"Oh, andiamo! Anche se mi fingo Cheryl non assomiglio a quella viscida serpe: al momento ho la faccia di Daisy e poi anche altre donne indossano vestiti simili a questo qui al Caesar. Prima che scoprano che è successo veramente saremo dall'altra parte del mondo... Lasciami solo il tempo di finire il mio travestimento e vedrai."
La contorsione della mente femminile mi lasciò basito. Non volli addentrarmi oltre, cercai di non farlo e lottai con ogni neurone che mi avesse giurato assoluta efficienza per quel particolare compito... Ma fallii miseramente.
C'era infatti una domanda che mi prudeva e il mio orgoglio ruggiva ferito. Come potevo essere crudele con me stesso?
"Senti, quel bacio... Serviva solo per nascondere la mia faccia e il tuo vestito? "
"Watson, devo proprio promuoverti! Te la senti di passare alle medie?"
Se io ero stato crudele con me stesso, lei fu spietata. Diventai viola. Non serviva a nulla chiederle...
No, dovevo agire e pensare più razionalmente, dannazione!
Sonia aveva un fascino tutto suo che mi trascinava e mi costringeva a stare al suo passo. Ero stanco di quella situazione e della mia insicurezza. Lei mi metteva di fronte a un me irrazionale che non ero in grado di controllare e difendere dai suoi continui attacchi. Dovevo trovare un suo punto debole, nonostante il pessimo tempismo. Perché? Ne avevo un tremendo bisogno.
"Non serve che mi degradi ulteriormente, grazie. Piuttosto, come ti è venuta un'idea simile? Indossare questo vestito... Ti rendi conto che è come attirare le mosche sul miele?"
"Diversivo. Tanto basta un battito di ciglia per cambiare le carte in tavola. E questo vestito, assieme a una parrucca, causerà quel battito di ciglia."
Eravamo all'ultima rampa. Da quella posizione riuscimmo a scorgere due loschi individui avvicinarsi al bordo piscina. Per nostra fortuna erano di spalle, ma bastava che uno dei due si voltasse a parlare all'altro o che un qualsiasi rumore provenisse dalla nostra direzione per scatenare lo scontro letale.
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