10. Un gioco pericoloso (parte 1)
Inspirai a fondo e non servì a nulla.
Un nome era bastato a scatenare un tumulto di brividi. Non che il solo "Thomas" fosse così terrificante (in quanto nome di persona e in quanto persona stessa) da pietrificare chiunque. Ma fra le due schiene, la mia e quella di chi mi aveva sorpreso alle spalle, proprio la mia doveva essere scossa dai tremiti?
Sì, perché l'effetto agghiacciante stava tutto nella teatralità con cui era stato pronunciato: sussurrato a bruciapelo, con la soddisfazione di avermi imbrigliato a sé. Inutile dire che mi sentivo un verme. Probabilmente l'aggressore ci teneva parecchio a trasmettermi tutto il disgusto che gli provocavo. Sarei stato trattato come quelle due sillabe, masticate a denti stretti e sputate a terra.
Ero nei guai. Al buio...
Nella confusione del Caesar Casinò l'ignoto arpionatore doveva avermi riconosciuto e, impaziente di porgermi il suo caro saluto, si era inventato uno squallido tocco da illusionista pur di sortire maggiore effetto. Ma chi? Chi mi stava alle costole dopo tutta l'acqua che era passata sotto ai ponti dal giorno della mia presunta "morte"?
Avevo dato per scontato che la mia identità non sarebbe stata scoperta facilmente e che la mia copertura fosse totale. A quanto pareva, mentre io ero all'oscuro di tutto, il mondo aveva preso a girarmi attorno minaccioso...
Il freddo si impossessò a quel punto dei miei vestiti. Con la strada spianata dai brividi incessanti, fece breccia sotto la pelle, giù giù, fino al midollo. Sudavo e quelli che colavano erano ghiaccioli. Tuttavia non potevo permettermi il lusso di perdere altro tempo prezioso ad asciugarmi e a riesumare il passato. Era di primaria importanza trovare alla svelta una via di fuga e lasciar perdere ogni cosa non avesse a che fare con la mia persona, anche Simon (che forse avrebbe capito le mie buone ragioni solo dopo avermi assestato una quantità sovrumana di destri e sinistri).
Constatai che non era per niente facile scappare in quel buio. Verso che direzione avrei dovuto muovermi?
Ad ogni modo non feci nulla. Qualcuno si era già preso la briga di spezzare la fase di stallo.
Una mano – non quella della presenza inquietante che conosceva il mio nome e che temevo mi stesse per piantare due bei canini sul collo – mi strattonò il braccio.
Feci i miei conti, da bravo barman.
A quanto pareva ero stato circondato da due avventori piuttosto su di giri. La situazione non faceva che peggiorare...
Imprecai sottovoce. Che aspettavano a riaccendere le luci?
Uno strattone più forte e deciso del primo mi fece barcollare in avanti; tanto bastò a sbilanciare il mio carceriere retrostante, che fu costretto a mollare la presa.
Fui libero per un secondo o così fui indotto a credere dal mio ingenuo ottimismo. Chi mi aveva afferrato rudemente la mano non sembrava deciso a lasciarmi tranquillo. Cominciò infatti a correre a rotta di collo e non potei che seguirne la folle scia, pregando che non ci sfracellassimo addosso a qualcosa dalla consistenza marmorea.
"Adesso stai attento. Scendiamo le scale. Tu continua a stare in silenzio, mi raccomando," bisbigliò una voce femminile. Il mio cuore si arrestò di colpo.
"Sonia?" domandai. Speravo tanto che fosse lei...
"No, buono adesso."
"Daisy?" tentai di nuovo.
"Le scale. Zitto, scemo. E no."
All'avvertimento mi ricordai che vicino alla rampa era stato posto un carrello con diversi calici e piatti e – cosa assai più importante – che la tovaglia che lo copriva toccava terra. Ringraziai mentalmente Daisy per avermi fatto dare un'occhiata all'intero piano appena prima dell'inizio del mio turno.
"Wait a sec..." la bloccai con noncuranza tutta inglese.
"Sei pazzo?"
"Mai stato più lucido, Milady."
Mi tolsi giacca e papillon e a tentoni li spinsi sotto al carrello con la punta del piede. Non seppi se il mio intento fosse andato a buon fine o meno. Chi mi strattonava aveva parecchia fretta e io avevo ancora il vassoio nell'altra mano. Temendo di fare rumore posandolo da qualche parte, mi ero destreggiato in invisibili contorsioni da guinness dei primati pur di spogliarmi in due millesimi di secondo senza lasciarlo toccare terra, scatenando così l'inferno.
Sebbene l'impresa eroica mi avesse fatto sentire per un attimo il più grande contorsionista vivente del pianeta, qualsiasi cenno di autoelogio si spense sul nascere. Ora i gradini assassini, alti venti centimetri, occupavano completamente i miei pensieri.
Nell'oscurità e nell'ansia suscitata dalla fretta di allontanarci dal mio sussurratore, la fantasia iniziò a galoppare senza una logica precisa (dovevo trovare almeno una via di fuga mentale a quella angosciante situazione). Se chi mi teneva la mano non era né Sonia né Daisy, con chi avevo a che fare? E se non fosse stata nemmeno una donna? Era effettivamente possibile? Chi poteva trarmi in salvo comportandosi come il principe azzurro disposto a tutto pur di salvare la sua principessa?
Esclusi l'esistenza di una forma aliena per non divagare troppo e per stare nei limiti di tempo previsti per la folle discesa della scalinata.
L'idea che potesse trattarsi di Simon mi fece accapponare immediatamente la pelle (per cui temetti seriamente che la pelle d'oca divenisse un tic con cui fare i conti ogni tre minuti). Pensare l'investigatore tutto avvolto da seta celeste, un omone come lui con una voce così dolce... I brividi, non dico altro (sempre più forti). No, non poteva essere nemmeno lui. La mano era troppo piccola e morbida, con mio grande sollievo... Simon non aveva superato il provino per la parte dell'eroina.
La stretta della donna (a quel punto ero sicuro – al novantasettevirgolaottopercento – si trattasse di una lei) si fece più forte d'un tratto. Doveva trattarsi di una ragazza che amava darsi da fare con la palestra, o con qualche sport come il tennis o la pallavolo, oppure tra i fornelli, perché mi faceva un gran male.
"Ehm... Miss X? Mi sta stritolando le falangi, le falangine e le falangette di ben quattro dita, lo sa?"
Evidentemente era troppo concentrata nella discesa della rampa di scale al buio, compito arduo ma necessario per evitare di essere riacciuffati dal misterioso Dark Man, altrimenti detto Man in Total Black.
La mia guida però era un fenomeno. Se non fosse stato per il dolore lancinante alle giunture della mano, non mi sarei mai accorto della sua presenza. Per dirla in breve, nonostante gli scalini sembrassero non finire mai, nonostante tutta l'adrenalina che avevo in corpo e gli sbuffi da cavallo che liberavo scrollando la testa, da parte sua non sentivo nemmeno un respiro.
Dei mormorii mi distolsero dall'indagine in corso che avevo aperto sul suo conto. Le voci si facevano sempre più vicine.
"Siamo quasi arrivati all'uscita. Qui c'è altra gente, ma non possiamo più muoverci" spiegò, traendomi a sé.
"Grazie dell'informazione..."
"Tra poco arriva," sospirò con rabbia.
"Cosa?"
"La luce!"
Avrei voluto farle una miriade di domande, del tipo: chi sei, che vuoi da me, come fai a sapere che tra poco arriva la luce, per caso c'entri qualcosa in tutto questo perché sicuramente hai a che fare con qualcosa di losco se mi trascini via da quello lì perché a nessuno verrebbe in mente di fare una cosa simile nel buio totale...
Ovviamente mi fermai alla più stupida: "E allora?"
"E allora baciami e spingimi al muro con più trasporto che puoi; non ti voltare fino a che non te lo dico."
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