38 - PICCOLE VERITA'
Märten continuava a sgranocchiare le patatine che avevamo appena comprato al minimarket. Si era offerto di portare la borsa della spesa e io glielo avevo lasciato fare.
Nel frattempo, era rimasto in un attento silenzio mentre gli raccontavo ogni cosa. A partire dal mio ex proprietario di casa, che mi aveva dato lo sfratto; a finire con l'annuncio nella bacheca docenti e il motivo per cui mi ero ritrovata a essere Robert.
Sulla mia copertura ormai potevo farci una bella croce sopra, con lui era saltata; ma la questione della Wood non la menzionai. Temevo potesse dire qualcosa a Lattner e almeno per quella faccenda volevo agire con prudenza. Quella donna mi sembrava il tipo capace di tutto pur di arrivare a ottenere ciò che voleva. Non avevo alcuna intenzione di mettere Lattner nei casini più di quanto già non avessi fatto.
«E quindi questo è tutto.»
«E T. non lo sa» concluse lui. Sembrava divertito.
Lo chiamava T.
Mi sembrava tanto una roba stile "Man in Black". Per certi versi mi faceva sorridere.
«Già. Non sa nulla.»
«Oh, bé... è proprio un gran bel fesso.» Märten sghignazzò, infilandosi due patatine in bocca.
«Bé, sono stata molto attenta.» Forse mi sarei dovuta complimentare con me stessa per una volta tanto. Avevo fatto i salti mortali per mantenere quella copertura. E non era stato sempre facile, molto spesso c'erano stati momenti in cui avrei gettato tutto al diavolo solo per il gusto di sentirmi libera di essere semplicemente me stessa. A volte anche solo per il semplice fatto di potermi godere la compagnia di Lattner come una vera ragazza e non come Robert.
«Oh, immagino. E dire che il tuo corpo grida la parola femmina da ogni angolo lo si guardi.» Inclinò la testa quasi cercasse di vedermi sotto un'altra prospettiva. I suoi occhi grigi inchiodati addosso mi fecero arrossire. L'idea che fosse lui il motociclista iniziò a tornarmi a ronzare in testa. Se avessi trovato abbastanza coraggio gliel'avrei chiesto. Prima o poi.
Seh, apetta e spera allora.
«Che – che cosa vorresti dire?»
Märten rise. «Oh, niente... solo che quel gran figlio di puttana è decisamente più figlio di puttana di quello che immaginavo. Ma in fondo... da un tipo così fesso, non potevo aspettarmi altrimenti.» Scoppiò a ridere fragorosamente, tenendosi la mano sulla pancia come se avesse i crampi. Si asciugò perfino le lacrime. La cosa doveva divertirlo davvero da morire.
Non potei far altro che guardarlo perplessa.
Era il più strano personaggio che mi fosse mai capitato a tiro. Probabilmente nella mia giovane e stupida vita non avevo mai incontrato nessuno di tanto singolare ed eccentrico.
Nemmeno negli Scorpion eravamo tanto strani.
Sì, bé... c'erano i soliti teppisti che amavano crearsi un personaggio ma Märten non sembrava fosse calato in qualche strano panno che si era costruito a doc. Sembrava così e basta.
«Senti, ma... toglimi una curiosità. Tu come diavolo hai fatto a capire che sono una ragazza?»
Si fermò in mezzo alla strada e mi fissò con l'espressione di uno che mi avrebbe tanto voluto dare della stupida. Era la stessa espressione che faceva Takeru quando mi strillava baka. «Oltre al fatto che il tuo corpo grida "sono una ragazza, vi prego, guardatemi"?»
Avvampai. «G – già.»
Bé, non lo grida così tanto se Lattner non mi ha ancora scoperto.
«Diciamo che sono un tipo poco furbo, poco... come dire, fesso... ho la bocca troppo grande e mi rovino sempre tutto il divertimento. A saperlo prima, non avrei detto nulla.»
«Che divertimento?»
Non capivo. Sembrava alludere a qualcosa che il mio ristretto cervellino non riusciva ad afferrare.
Tirò fuori dalla tasca un pacchetto di Marlboro e me ne offrì una ma rifiutai scuotendo il capo.
Fuma le Marlboro... proprio come il motociclista.
Che bizzarra coincidenza, eh?
Cercai di trattenere una risata che mi uscì con uno sbuffo rumoroso.
Questi piccoli dettagli simili gettavano la mia mente nella confusione più totale. Anche il piercing alla lingua era abbastanza singolare per un ragazzo. Lui era il primo a cui lo vedevo.
«Comunque all'inizio non ero sicuro fossi tu... insomma, ti ricordavo con i capelli lunghi e vederti con questo taglio del cazzo mi ha un po' destabilizzato.» S'infilò la sigaretta tra le labbra e facendo spuntare un accendino dal nulla l'accese, aspirandone una grossa boccata.
«Ehi!» gridai, gonfiando le guance offesa e toccandomi una ciocca di capelli. «Non sono così male.»
«Infatti fanno proprio schifo... sembri un ragazzino delle medie che si masturba davanti agli anime.»
«Ma sentilo! 'Sto stronzo!» Cercai di colpirlo ma schivò il mio pugno, lasciando cadere la borsa della spesa e acciuffandomi per la vita.
Restammo immobili al centro della strada, avvinghiati in una stretta che mi stava scaldando fin quasi bruciarmi. Era alto in maniera esagerata, mi sovrastava di parecchio tanto che il mio viso gli arrivava solo all'altezza del petto. I suoi occhi fissi nei miei sembravano alla ricerca di qualcosa, una verità nascosta dietro tutti quei pensieri che mi adombravano o magari erano solo curiosi.
Si passò la lingua sulle labbra con fare seducente.
Non si poteva certo dire che fosse un tipo in grado di passare inosservato. Attirava parecchi sguardi su di sé, tanto che al minimarket ogni ragazza incrociata si girava a guardarlo scossa e allo stesso tempo incuriosita.
«Al Joily» disse d'un tratto, con un sorriso sghembo.
«A – al Joily?» E ora cosa c'entrava il mio lavoro?
«Ti ho vista lì per la prima volta. Ero con i miei colleghi di lavoro.»
Restai di stucco. Forse delusa? Questo cambiava molte cose. Perfino i miei sospetti sulla sua doppia identità. Vedermi dentro il Joily gli dava in mano un elemento che lo scagionava dalle mie supposizioni.
Se un attimo prima avevo dato per certo che ormai i miei sospetti potessero definitivamente cadere su di lui, ora tutto era di nuovo gettato nel caos.
Ora il motociclista poteva di nuovo essere chiunque, senza certezza alcuna.
A questo punto poteva perfino essere qualcuno che non frequentavo tutti i giorni. Qualcuno che mi guardava da lontano e magari aveva reperito le informazioni in chissà quale modo.
«Ma come... io – io non ti ho... quando?»
Girò la testa di lato e sputò una nuvola di fumo che si disperse nell'aria vicino a noi. Lo sentii allargare la mano premuta sulla mia schiena e mi tirò un po' contro di sé. Era intimo questo contatto, questo sguardo saldo, questo respiro corto e caldo che riscaldava entrambi. «Non ci hai servito tu. Ci ha servito la tua collega.» Oh, Olive. «E poi... ti sembrerà strano... ma in giacca e cravatta anche io sembro totalmente un'altra persona.»
«Sei un boss mafioso?» domandai e solo un attimo dopo mi resi conto che la mia domanda poteva avere un altro significato sottointeso.
Sei per caso il capo degli Skulls? Sei il Re dei Teschi?
Allentò la presa e rise. «No, ma quale boss. A me si lascia sempre la parte del secondo, della spalla, il classico lacchè di turno. E poi... nella mia vita spericolata da ragioniere non ci sono boss. Siamo un team di soci paritari.»
Un ragioniere. Ce lo vedrei il motociclista fare il ragioniere?
Sentii il viso avvampare.
Sì, perché no. Di giorno una persona comune che faceva un lavoro comune, di notte un misterioso cavaliere che salvava donzelle in pericolo. Era quasi romantico.
Mi ricordava un po' tutti i supereroi con le loro doppie vite e la forte predisposizione a far del bene.
Anche se probabilmente il motociclista era arrivato a questo punto solo dopo aver fatto molte scelte sbagliate. Un po' come me che cercavo di redimermi creando una nuova Robin degna della fiducia di tutti.
«Ragioniere, eh? Hai più la faccia di uno che non sta a nessuna regola» borbottai.
«Dici, eh?» sussurrò, chinandosi in avanti e rendendo quella vicinanza qualcosa di estremamente imbarazzante.
«Hai la faccia da ragazzaccio, sì.»
Sulle labbra gli si formò un sorrisetto divertito. Aveva una bella bocca, un bel sorriso. Stranamente non mi ricordava quello del motociclista ma era comunque particolarmente seducente. Mi sentivo confusa. «Hai ragione. Solo al lavoro faccio il bravo bambino...» Alluse e una sua mano mi raggiunse il viso, carezzandomi una guancia con gentilezza. «Sai, al Joily non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso. Quando ti ho rivisto in casa di T. mi sembrava di sognare.»
«Forse è perché ho l'aria da ragazzaccia anche io» suggerii, distogliendo un po' lo sguardo. Mi guardava come se mi volesse mangiare, ero intimorita e allo stesso tempo sentivo quel noto ed eccitante brivido di pericolo farsi strada in me.
«Forse. O forse è perché sei bella.» Gettò la sigaretta lontano e si abbassò abbastanza da farmi capire che non voleva solo guardarmi, abbastanza da farmi capire che mi avrebbe baciato.
Il tempo sembrò fermarsi di colpo. Restai immobile a fissare il suo viso sempre più vicino, il suo respiro sempre più forte e quegli occhi di ghiaccio sempre più affondati in me.
Il suono di un clacson però ci fece sobbalzare, spezzando l'attimo, facendo sfumare quell'intimità appena creata. Eravamo ancora in mezzo alla strada e con ogni probabilità stavamo perfino dando spettacolo.
«Peccato.» Mi lasciò andare con un sospiro, come se gli costasse fatica. E compresi che sì, voleva proprio baciarmi.
Feci qualche passo indietro, mettendo distanza tra noi e lui raccolse la borsa della spesa da terra.
Ci spostammo di lato lasciando passare l'auto e la carica elettrica e sessuale che fino a un attimo prima c'era stata tra noi sembrò scemare, lasciandomi confusa e con un mare di pensieri a occuparmi quello stretto spazio che aveva il mio cervello.
Camminammo in silenzio per diversi minuti, ognuno perso nei propri pensieri. Ogni volta che mi giravo a guardarlo vedevo che lui guardava me. Non distoglieva lo sguardo, non nascondeva il fatto che mi osservasse. Restava solido nel mio, accennando brevi sorrisi maliziosi e dandomi l'idea che ci stesse provando.
Fui io la prima a spezzare quel silenzio. Odiavo essere guardata e lui sembrava non voler desistere dal farlo, così mi appigliai al primo argomento che mi venne in mente, giusto per distrarlo da me. «Allora... dimmi, come vi siete conosciuti tu e Thomas?»
Sembrò illuminarsi. «Oh, non lo puoi nemmeno immaginare... se ci ripenso, fu un incontro davvero elettrizzante. Thomas era un gran bel tipo ai tempi in cui lo conobbi. Il suo nome era molto conosciuto e io stesso avevo già ampiamente sentito parlare di lui ma non ci eravamo mai incontrati.» Parlare del passato lo rendeva nostalgico, in faccia aveva stampata un'espressione trasognante come di qualcuno che rievoca momenti felici.
Mi faceva strano pensare a Lattner giovane, non riuscivo a immaginarlo. Soprattutto non riuscivo a crederlo popolare, seppure fosse un bellissimo uomo. Nella mia mente spuntava sempre l'immagine di un mingherlino secchione, schivo ed emarginato.
Märten guardò in alto, verso il cielo e ghignò. «La mia idea iniziale era quella di superarlo. Essere il più bravo, il più forte... insomma, il migliore. Solo che con il tempo compresi che essere migliore di T. è davvero difficile. E finì per diventare più una fonte d'ispirazione, un modello da cui prendere esempio. Così cercai almeno di essere notato, essere considerato un suo pari. Iniziai quindi a diversificarmi dalla massa abbastanza perchè mettesse gli occhi su di me.»
Era ossessionato da Lattner?
Da come ne parlava sembrava una forma di stima e ammirazione sfociata poi in una bizzarra ricerca di attenzioni.
Per certi versi era inquietante. Mi ricordava tanto i ragazzini che si univano agli Scorpion solo per me, perché volevano emulare me, ricalcare le mie gesta e i miei trionfi.
«Bé, se oggi siete amici immagino che tu ci sia riuscito.»
«Già, bè... devo dire che non fu facile. T. è uno che ti da attenzioni solo se gli interessi. Altrimenti è abbastanza stronzo da ignorarti completamente, come se nemmeno esistessi.»
Non conoscevo questa parte di Lattner. A scuola era sempre disponibile con tutti, sorridente e schivo ma pur sempre disponibile. Non mi aveva mai dato l'idea di uno stronzo fatto e finito, anche se in molte occasioni avevamo bisticciato senza motivo.
«Bé, sta di fatto che un giorno feci uno dei miei soliti casini, un casino bello grosso e da cui non sarei uscito molto facilmente senza l'aiuto di Thomas. Pensa che la prima volta che ci parlammo fu proprio durante una ri-» Si ammutolì sgranando gli occhi e poi si schiarì la voce. Sembrava imbarazzato. «...riunione scolastica. Già.»
«Una riunione scolastica?» sbottai, sgomenta.
Non mi era sfuggito quell'attimo di esitazione, quel balbettio e quell'inciampo sull'ultima parola. Ero certa che la storia non fosse finita così.
C'era un segreto tra quei due? Lattner aveva un segreto?
Roteò gli occhi al cielo, pizzicandosi il bordo della maglia. «Già» biascicò con disagio.
«E quanti anni avevate?» domandai, cambiando il discorso. Era evidente che non mi avrebbe detto altro in merito.
«Avevamo circa quindici anni. Dei veri coglioni. Due ragazzini che credono di aver il mondo ai loro piedi.»
Questa situazione per certi versi era familiare anche a me. Io stessa avevo passato un periodo in cui ero convinta di aver il mondo ai miei piedi, di poter ottenere tutto con le buone o con le cattive, di poter pretendere ogni cosa mi passasse per la testa o soddisfare ogni capriccio.
Era il mio periodo peggiore. Quello in cui i miei genitori avevano iniziato a spedirmi da una scuola all'altra. Quello che mi faceva vergognare al solo ricordo.
«Bé, siamo arrivati» disse, sollevando lo sguardo verso la palazzina in cui avrei abitato per poco altro ancora.
Sentii il cuore stringersi fino a sparirmi in petto. Un dolore sordo, continuo, che faticavo a mettere a tacere.
Faceva male.
L'idea di andarmene da lì faceva male.
«Non racconterai ciò che ti ho detto a Thomas, vero?» Non ero ancora sicura di potermi fidare di lui. Soprattutto considerando l'ascendente che aveva Lattner nei suoi confronti.
Märten rise. «Oh, non credo ce ne sia bisogno.» Mi guardò e sorrise. «Sarà il nostro segreto» aggiunse, per rassicurarmi.
Quando tornammo a casa Lattner ci aspettava seduto al tavolo della sala. Sembrava mangiato da una strana apprensione. Scattò in piedi non appena ci vide e fissò Märten come se volesse divorarlo. Uno sguardo severo, rigido. «Vi siete divertiti per questa... uhm, ora e mezzo?»
Cavolo. Ci mancava solo che scandisse minuti e secondi.
Il buon umore di quella mattina sembrava averlo del tutto abbandonato. Lasciava correre lo sguardo da me a Märten come se fossimo sotto interrogatorio. «Ehm, sì. Abbiamo chiacchierato» mi limitai a dire, temendo di fare peggio.
Il sorriso che si aprì sul viso di Lattner fece scoppiare in un eccesso di tosse Märten, come se la saliva gli si fosse incastrata in gola. Sollevò una mano per scusarsene. «Chiacchiere normali» si giustificò subito, come se in qualche modo gli spettasse una spiegazione.
E questo che diavolo significa?
Io non gli devo alcuna spiegazione. Mica siam sposati!
«Ci siamo conosciuti meglio» tagliai corto io, afferrando la spesa e andando verso la cucina. Ma Lattner mi bloccò la strada interponendosi tra me e la porta.
«Quanto meglio?»
Diavolo! Ma che gli interessa? Sembra geloso!
Solo pensarlo mi fece accalorare e girai lo sguardo per evitare se ne accorgesse. Non volevo dargli in pasto il mio imbarazzo. Lo sentii acciuffarmi un polso, mi tirò vicino costrigendomi a guardarlo negli occhi. «Quanto meglio?» domandò di nuovo, troppo serio.
Ne avevo abbastanza. «Bé, direi parecchio. Sai, abbiamo fatto sesso selvaggio durante la strada del ritorno» sbottai di colpo.
«Che?» squittì Märten, alzando le mani e agitando i palmi. «No, no, no. Te lo giuro. Non abbiamo fatto niente.» Poi ghignò. «Non ancora T., ma sarai il primo a saperlo se accadrà.»
Lattner fece un profondo e calcolato respiro e in un angolino della testa lo immaginai mentre prendeva in braccio la propria rabbia e la ficcava in una cesta richiudendo il coperchio. E magari affibbiandoci pure un calcio. «Oh, diamine! Siete proprio divertenti, sì» biascicò a denti stretti, masticando le parole come se cercasse di calmarsi.
«Oh, lo sappiamo. Grazie.» Gli pizzicai una guancia. «Tranquillo, su. Sei ancora tu il suo migliore amico del cuore.»
Roteò gli occhi, sbuffando. Mi sembrò sul punto di dire qualcosa ma Märten mi cinse la vita con un braccio tirandomi indietro e strappandomi dalla stretta di Lattner. Nei suoi occhi guizzò per un solo istante un'espressione che mi fece accapponar la pelle. «Bé, sai... pensavo di restare a mangiare.»
«Pensavi male.»
«Avanti, Thomas... non puoi tenerti Robert tutto per te.» Lo sentii ghignare mentre stringeva la presa sui miei fianchi. Quando parlò di nuovo, la voce gli uscì canzonatoria, di scherno. «E poi... io e lui, ora, siamo più intimi.»
Lattner si passò la punta della lingua tra le labbra e il respiro gli uscì con un sibilo. «Märten.» C'era aria di tempesta tra quei due.
«Sì?»
Mi sentivo un pupazzetto strattonato da due bambini.
Lattner si ravviò i capelli e sorrise. «Ricordi quella volta a casa di Norman?» La voce era tranquilla ma nello sguardo leggevo ben altro.
Per certi versi quella specie di gelosia mi lusingava e imbarazzava. L'idea che Lattner non mi volesse condividere con altri era qualcosa di eccitante quanto utopico.
Märten rise. «Sicuro? Con un braccio solo?»
«Uno basta e avanza.»
«Oh, voglio proprio vedere, T.» Märten lasciò schioccare la lingua sul palato, come se pregustasse già qualcosa.
Divincolandomi rudemente mi liberai dalla sua presa e li fissai entrambi con disappunto. «Oh, ma finitela di fare a gara a chi piscia più lontano. Siete ridicoli. Cosa avete dodici anni?» gli berciai addosso.
«Ma io...» iniziarono a farfugliare insieme.
Acciuffai Märten per un braccio e lo spinsi verso la cucina. «Forza, visto che hai entrambe le mani buone va a prendere la roba e apparecchia e tu,» sbattei sullo stomaco di Lattner la borsa della spesa. «tu vieni con me che prepariamo insieme da mangiare.»
Sbuffarono all'unisono, peggio di due ragazzini e mi ritrovai a spingerli verso la cucina. «Forza, Forza. Se volete mangiare farete quello che vi ordino io. Ora.»
Sghignazzarono entrambi e Märten fu il primo a sparire in cucina per eseguire i miei ordini.
Quando restai sola con Lattner la tensione sembrò crepitare tra noi a tal punto che mi sarei presto messa urlare. Restammo un altro attimo in silenzio e vagliai tutte le opzioni di fuga che avevo quando voltandosi mi afferrò per il naso. «Sai, Rob... potrei quasi abbituarmi a esser comandato in questo modo da te» mi bisbigliò vicino all'orecchio, staccandosi e raggiungendo l'amico in cucina.
Li avrei seguiti ma per un attimo il cuore sembrò schizzarmi fuori dal petto e le gambe non risposero ai comandi; fui costretta a sorreggermi contro il tavolino della sala apettando che smettessero di tremare e il cuore tornasse ai suoi battiti normali.
Sei cattivo Mr.Lattner.
Prima mi seduci e poi mi abbandoni.
Prima mi fai impazzire e poi non ti prendi le tue responsabilità.
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