16 - TUTTA COLPA DEL MINESTRONE
«Al lavoro? Ma sei stupida?» Takeru posò il vassoio della mensa su uno dei tavolini vuoti e si voltò in attesa che lo raggiungessi.
Mi lasciai cadere su una delle sedie accanto sbuffando. «Non l'ho certo fatto apposta... insomma, mi è sfuggito.»
«Bé... attenta che non ti sfugga anche che sei una ragazza.»
Effettivamente.
«Lo so... lo so... continuando così mi scoprirà entro fine mese.» Anzi, ero addirittura positiva con queste previsioni visto che eravamo solo a inizio dicembre. Qui c'era rischio che la mia copertura saltasse entro il fine settimana.
«E quindi ora sa dove lavori.»
«Già.»
Lo fissai mentre per la centesima volta sistemava i piatti dentro il suo vassoio. Sembrava più un comportamento compulsivo visto che alla fine rimetteva tutto esattamente come prima. «E ti ha portato le chiavi di casa proprio lì.» Aprì l'acqua, la fissò dubbioso e la posò di nuovo.
«Già.»
«E il tuo collega Nate ti ha retto il gioco ma dopo gli hai dovuto spiegare tutto.»
«Ancora già.»
«Devo bere.» Tracannò una sorsata d'acqua.
«Se stai cercando di ubriacarti con della semplice acqua naturale temo che ne dovrai bere più di un sorso.»
Come se fosse stato punto da una serpe mi disintegrò con un'occhiata degna di uno dei peggiori teletubbies. Non gli scoppiai a ridere in faccia solo per lasciargli la silenziosa illusione che fosse abbastanza minaccioso da incutermi timore. «Tu la prendi troppo alla leggera, Rob. Non pensi alle conseguenze.»
«Ma certo che ci penso giappo-mamma... ci penso eccome, cazzo... ma non posso tornare indietro e sistemare i miei errori, altrimenti ne avrei di ben peggiori da cancellare.»
Takeru sollevò lo sguardo dal vassoio e improvvisamente la sua espressione sembrò rabbonita. Non lo disse, ma glielo lessi negli occhi: aveva pensato alla vecchia me, alla Scorpion Queen e tutte le sue malefatte. «Hai ragione. Ormai è fatta. Però cerca di... di essere... insomma, meno impulsiva.»
Mi limitai ad annuire e senza fiatare giocai nervosamente con il cibo nel piatto, pungolandolo con la forchetta.
Il cibo della mensa non era male se non avevi standard troppo alti. Peccato che si presentasse come un'indistinta brodaglia. Aveva tutto la stessa consistenza, lo stesso colore e a volte lo stesso sapore; anche se magari ti davano una mestolata di broccoli e una di purè di patate. Però scendeva giù bene. Ad occhi chiusi, sì.
Io e Takeru congiungemmo le mani in preghiera e facemmo un breve inchino col capo. Era molto in stile giapponese ma da quando avevo preso a frequentarlo se non rendevo grazie al cibo gli veniva una sincope e iniziava a elencarmi tantissimi validi motivi per cui era bene farlo. Tipo il fatto che per ora non ero sotto un ponte, ad esempio.
«Io penso che sarà solo questione di tempo... poi ti abituerai.» Affondò il cucchiaio nel minestrone e sollevandone una traboccante cucchiaiata ci soffiò sopra.
«Dici davvero?» Se lo credeva anche lui c'erano buone possibilità che sarebbe realmente stato così visto che solitamente il pessimismo era parte integrante del suo essere.
Takeru si voltò con la bocca piena, inghiottì e mi squadrò con la sua espressione da professorino. «Diamine, no. Ma ti pare, baka? È ovvio che finirai scoperta e ti butteranno fuori dalla Missan.»
Per un attimo il mio spirito otaku gongolò per averlo sentito parlare giapponese. Poi ricordai che la parola baka voleva dire niente meno che stupida e così gli rifilai una gomitata che gli fece svuotare il cucchiaio nel piatto. La brodaglia schizzò un po' ovunque, perfino sui suoi occhiali. Quando si voltò verso di me aveva le lenti piene di macchie verdognole. «Davvero simpatica... davvero.»
«Senti, ma... potresti ricordarmi perché siamo amici?»
«Perché sono giapponese, no?»
Non fa una piega.
Ci scambiammo un'occhiata veloce prima di scoppiare a ridere come due disagiati, assestandoci in sordina gomitate degne di bambini dell'asilo.
«Ehi, personcine graziose!» La voce di Eve ci raggiunse prima che riuscissimo a intercettarla in mezzo alla folla. Si sbraccio tenendo con una mano il vassoio pieno e ci raggiunse trafelata sgomitando a destra e manca. Beth dietro di lei aveva un'aria verdognola molto simile al minestrone di Takeru.
«Stai male?» chiedemmo all'unisono io e la mia controparte orientale.
Lei scosse la testa e fu l'altra a parlare al suo posto. «Ha appena assistito a una dichiarazione d'amore a Lattner.»
Bene ma non benissimo.
«E?» Io e Takeru quel giorno sembravamo parlare in simbiosi.
«E la ragazza è stata asfaltata con un sorriso degno dei peggiori carnefici.»
E dire che ne sa fare certi da far sciogliere perfino le pareti.
Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. Lattner sapeva essere un gran stronzo con classe quando l'occasione lo richiedeva, eppure quando pensavo a lui mi veniva alla mente solo la sua versione casalinga. Forse semplicemente perché era quella che preferivo. «Immagino che tu ci abbia rinunciato allora.»
«È qui che sbagli.» Gli occhi di Eve roteavano pazzi nelle orbite, passando da me all'amica come se stesse parlando di apparizioni aliene. «Beth vuole comunque tentare.»
Mentre puliva gli occhiali con un fazzoletto Takeru le rivolse un sorriso di scherno. «Non ti facevo una sadomaso. Insomma... deve piacerti veramente tanto per essere disposta a farti massacrare con consapevolezza.»
La faccia di Beth passò da verdognola a un rosso semaforo, lo fissò farfugliando qualcosa poi si chiuse in un mutismo senza precedenti. Nemmeno mio padre nei suoi momenti peggiori mi aveva rivolto attimi di puro vuoto assoluto. Almeno lui ogni tanto se ne usciva con qualche grugnito.
Takeru! Maledetto giappo-minchia!
Adesso lo ammazzo. Secco com'è non farò nemmeno fatica a occultarne il cadavere.
«Non ti si raffredda il minestrone?» Mi girai di scatto e il sorriso che gli rivolsi lo fece impallidire. Ero certa che la mia maschera da demone fosse affiorata con la solita impressionante facilità.
«Eh? Sì, bé... ecco-»
«Ecco... bravo. Allora mangia.» Stringendo la forchetta ci arrotolai svogliatamente una generosa dose di spaghetti. Stavo ancora assassinando Takeru con lo sguardo, con la bocca piena come il peggiore dei bifolchi, quando il fulcro dei nostri problemi apparve sulla soglia della mensa: Mr.Lattner in tutto il suo elegante splendore.
Indossava un completo nero punteggiato interamente da minuscoli triangoli grigi impercettibili all'occhio. Da questa distanza era impossibile notarli ma quella mattina aveva lasciato la giacca sul divano e prima di defilarmi alla velocità della luce gli avevo dato un'occhiata da vicino... e una sniffata.
Sì, avete capito bene: una sniffata. Con tanto di portentoso e rumoroso risucchio nasale.
Sembravo una specie di maniaca sessuale con feticismi inquietanti ma il profumo di Lattner mi piaceva abbastanza da farmi perfino annusare i suoi vestiti. E quella mattina non era stata nemmeno la prima volta.
Forse un giorno avrei trovato il coraggio di chiedergli quale ammorbidente usasse.
«Oh, guardalo là... così tranquillo anche dopo aver distrutto il cuore di una giovane fanciulla.» Eve addentò crudelmente un pezzo di cotoletta e lo fissò con rancore. La sua cotta sembrava essersi dissolta da quando in giro avevano iniziato a fioccare collegiali rifiutate. I metodi di Lattner erano freddi, distanti e accompagnati dal solito sorriso di circostanza. Terrificante.
Peggio di quando mia nonna aveva sorriso a tutti con la dentiera al contrario.
Inoltre la preoccupazione per Beth doveva in qualche modo aver azzerato i suoi pensieri libidinosi a riguardo.
Tornai a fissare Lattner. Stava sorridendo a qualche battuta di un collega, ancora impiantato sulla porta. Si sistemò gli occhiali con il medio e poi il suo sguardo vagò per la mensa.
Sembrava alla ricerca di qualcosa o qualcuno in particolare. E non vi nego che per un attimo temetti cercasse me. Soprattutto quando i suoi occhi si inchiodarono nei miei e mandare giù il boccone di pasta mi sembrò come ingoiare un mattone.
Restammo a fissarci per un istante che mi sembrò un'eternità poi alzò la mano in segno di saluto e a passo svelto raggiunse un altro collega.
Quando mi girai verso Takeru la forchetta che tenevo tra le mani traballava vistosamente.
«Ammettilo che ti è preso un accidente... ti sei cagata addosso, eh?» mi disse lui sghignazzando dopo aver facilmente compreso i miei pensieri senza che nemmeno proferissi parola. Per lui ero davvero come un libro aperto.
«Cazzo, sì! Ho perfino smesso di respirare.»
Eve si sporse verso di noi. «Di che parlate?»
«Uhm, niente... Rob per un attimo ha temuto che Claiton venisse al nostro tavolo. Fortunatamente si è andato a sedere con i suoi amici trogloditi.»
Santo Giappo-cosino! Tu sì che sei la mia spalla...
«Oh, è vero,» Gli occhi di Eve scintillarono di quella che definirei "follia da cupido". La sua indole romantica voleva a tutti i costi vedermi fidanzata con qualcuno, anche uno a caso, ma possibilmente Claiton visto che si era in qualche modo dichiarato. «come procede con lui?»
«Oh, alla grande... insomma, lui là... io qua... una meraviglia, non trovi?»
La mia risposta non sembrò soddisfarla.
Mi spiace, Eve... questa ragazzaccia non potrà mai essere domata da un Claiton qualunque.
Ma dal motociclista, sì, vero?
Abbassai lo sguardo sul piatto sperando che la mia faccia non fosse rossa come la sentivo. Dannazione! Ogni volta che pensavo al motociclista mi sentivo vampate di calore arrivare da ogni parte del corpo.
Magari poi sotto tutta quell'accozzaglia per mantenere l'anonimato era pure un cesso.
Secondo Takeru era il suo atteggiamento da teppista a farmi ribollire il sangue come una pentola a pressione. La sua parte cattiva richiamava la cattiva ragazza segregata in me.
Tornammo tutti a mangiare, Beth chiusa nel suo mutismo, io persa con lo sguardo nel vuoto a pensare a come rendere Robert più uomo, Takeru intento a sbirciare Eve di sottecchi. Lei era l'unica a parlare.
Parlava tanto, anche troppo. Non prendeva nemmeno fiato tra una frase e l'altra, tanto che Takeru le allungava ogni tanto il bicchiere rabboccato d'acqua e lei ne tracannava il contenuto continuando comunque a parlare. Lodevole.
«E quindi le ho detto: "senti, non esiste che ti pago cinquanta bigliettoni per un trattamento che non ti ho nemmeno richiesto". Ti rendi conto?» Stava parlando a tutti e nessuno in particolare. Takeru aveva già la schiuma alla bocca in stile cane idrofobo. Questi discorsi per lui erano taboo con quattro sorelle a casa che lo schiavizzavano e usavano come cavia umana.
Roteai gli occhi al cielo e decisi che questa volta era il mio turno per salvare la situazione: «E quindi, che si fa stasera?» Tutti e tre mi fissarono come se mi fosse spuntata una seconda testa. «È sabato, ragazzi. Siamo qui al Missan solo per i corsi dei club, ricordate?»
«Potremmo andare a un locale nuovo qua vicino... lo hanno aperto la settimana scorsa.» Finalmente Beth ruppe il suo solitario gioco del silenzio.
«Oddio, ti prego, sì. Mi sembra un'idea super» cinguettò Eve, afferrando il braccio di Takeru e strattonandolo come se fosse una pezzuola. Il giovane vergine passò da un tenue pallore a un rosso vermiglio alla velocità della luce, con tanto di guance gonfie da sforzo per non collassare.
Avevo il sospetto che Eve gli piacesse.
Andare in un locale non era proprio tra le mie principali opzioni ma per una volta potevo lasciarmi trascinare dagli eventi. «Credo che possa andare. Ci messaggiamo per i dettagli più tardi magari.»
Le due annuirono. Takeru restò in silenzio. Chi taccia acconsente.
«Chiamerò anche alcuni miei amici... così magari Rob trova qualcuno di carino, eh?»
«Diamine, no, Eve! Sto bene anche single... non c'è bisogno che mi trovi marito. Sembri mia nonna... e non è un complimento, credimi.»
«Ma io lo dico per te. È triste vederti sempre con quella faccia scura.»
Come cazzo glielo spiego che questa è semplicemente la mia fottutissima faccia?
Stavo per cambiare discorso quando la faccia di Takeru divenne una maschera di terrore. Lasciò cadere il cucchiaio nel piatto, iniziò a tartagliare rapidamente qualcosa in mia direzione. Il suo fu un maldestro tentativo di mettermi in guardia prima del caos.
Non feci nemmeno in tempo a voltarmi per seguire il suo dito proteso che una colata bollente di minestrone mi si riversò sul petto e sulle gambe. Trattenni il fiato.
«Ops. Chiedo scusa. Mi è scivolato.» Sullivan proruppe in una risata sguaiata, scambiandosi pacche d'intesa con quei quattro decelebrati che aveva sempre al seguito. Sembravano iene da come ridevano, così istericamente e all'unisono da dare ai nervi.
Scattai in piedi ancor prima di rendermene conto, con gli occhi di Eve e Beth puntati addosso. Avevo stretto le labbra in una linea dura, la mandibola serrata fino a dolermi. Tenevo i pugni impiantati nel tavolo cercando di non esplodere. Respiravo a sbuffi, come un toro. La testa china a nascondere quello sguardo di brace che sentivo essersi già fatto strada nelle mie espressioni più docili.
Addio nuova Robin, bentornata vecchia me!
«Mi dispiace davvero tanto, Scorpion Queen... il passaggio tra i tavoli è stretto e mi è scivolato il piatt-»
Sollevai il capo e Sullivan smise di ridere, sussultò sul posto perdendo la fine della frase nei meandri del suo piccolo cervello.
Con il dorso della mano mi pulii una guancia piena di schizzi di minestrone, passai la lingua sulle labbra secche ed espirai rumorosamente a denti stretti. «Non è successo nulla... tranquillo, Sullivan» sibilai, deglutendo a vuoto la manciata di pugni che avrei voluto conficcargli nello sterno uno dietro l'altro.
Be quiete, Rob. Be quiete. Non puoi ammazzarlo qui. Troppo esposta... sei al Missan, ricordi?Vedrebbero tutti la sua carcassa immonda.
«E - esatto... non - non è su - successo nulla» balbettò Takeru venendo in mio soccorso, toccandomi la mano ancora stressa a pugno. «È stato un incidente... ve - vero?»
In quel frangente il vero pericolo ero io. La bravata di Sullivan era improvvisamente passata in secondo piano. La mia faccia, la mia espressione feroce, la mia postura così incassata nel vano tentativo di tenere a freno la bestia che ribolliva in me... forse era questo che spaventava Takeru più di un bestione alto due metri.
Eve e Beth non avevano proferito parola. Continuavano a guardare la scena ammutolite, strabuzzando gli occhi di tanto in tanto, sgomente. Ero certa che dopo questa, si sarebbero lentamente eclissate dalla mia vita. Strano che già non lo avessero fatto.
«Sullivan! O'Neil!» La voce di Mr.Heeman, il nostro onnipresente professore di laboratorio, mi raggiunse affilata come una lama. Tagliente e rabbiosa come se fossi il peggiore dei soggetti presenti nel Missan. E forse era proprio così. «Che cosa sta succedendo qui?» domandò con fare accusatorio, passando lo sguardo prima a me e poi a Sullivan. Ci aveva raggiunto quasi correndo, aveva ancora il fiatone.
«È stato un incidente, Mr.Heeman.» Takeru si sporse parlando in mia difesa, come sempre fu quella mano tesa, quel punto di forza, un po' la mia voce della coscienza.
Espirai piano e annuii. Avrei dovuto iniziare yoga prima o poi. «Esatto. Sullivan è passato con il vassoio in mano e senza volere me lo ha fatto cadere addosso... sono cose che capitano.»
Certo, come può capitare che casualmente il mio pugno si schianti contro i suoi denti. Dettagli.
«È così, Sullivan?» Mr.Heeman lo frugò con una lunga occhiata. Se non fossi stata a conoscenza che era il nostro professore di laboratorio ce lo avrei visto bene con un distintivo attaccato al petto.
«Esatto. Mi dispiace molto O'Neil.» Quel "mi dispiace" mi parve tanto un invisibile sputo in un occhio, come se il minestrone già non bastasse.
Mr.Heeman sembrò non bersela. Rimase con il suo sguardo inchiodato nel mio, dalle labbra gli uscì uno sbuffo di disgusto. Con ogni probabilità ero uno di quei soggetti che se l'era inimicato ancor prima di averlo incontrato la prima volta, solo dopo aver dato un'occhiata al mio fascicolo. «Voi non me la raccontate giusta. So di che pasta sono fatti i tipi come voi... un incidente non è mai solo un incidente.»
A quanto pare l'etichetta di teppista sembrava proprio non volermi mollare, nemmeno cambiando scuola e addirittura città.
«Non le sembra di esagerare? Le abbiamo detto tutti che è stato un incidente.»
Mi voltai verso Eve sorpresa. Non avrei mai immaginato che prendesse le mie difese, soprattutto contro un professore.
«Signorina Roches, non sono cose che la riguardano.»
Non riguardano nemmeno te, stronzo.
«Ha ragione... ma sono convinta che la famiglia O'Neil non sarà felice di sapere che la figlia è stata trattenuta per un simile malinteso mentre ancora ha del liquido bollente addosso che le brucia la pelle. Non vorrà mica che facciano un esposto in presidenza per eccesso di potere...» Il sorriso di Eve fu tagliente e accattivante e, per la prima volta, pensai che non fosse solo quella scialba ochetta con in bocca solo discorsi futili. Ammetto che mi sorprese.
Mr.Heeman tartagliò qualcosa e poi annuì serio. «Giusta osservazione, Signorina Roches. Direi che la questione può chiudersi qui.» Quando si voltò in mia direzione compresi dalle vene pulsanti sul collo che le mie supposizioni erano più che fondate: gli stavo sul cazzo. E anche tanto. «E lei, O'Neil... si vada a cambiare. Non vorrà mica restare così, eh?»
Ma le pare? È una vita che sogno di restare vestita di vomito di minestrone!
E poi che diavolo mi metto? I panni di Robert? Tanto vale che dico a Lattner tutta la verità e ciao.
Come se avesse captato i miei pensieri, Eve si alzò da tavola e mi raggiunse. Non mi toccò, nonostante lessi nel suo sguardo il desiderio di posarmi una mano almeno sulla spalla. Gliene fui grata. Ero così al limite che anche il minimo segno di affetto mi avrebbe fatto detonare come una bomba. «Vieni. Ho una divisa di ricambio.»
La seguii lungo i corridoi vuoti. Erano ancora tutti chiusi in mensa.
Con ogni probabilità stavano sparlando di me e Sullivan. Odiavo essere sulla bocca di tutti. Soprattutto per queste stronzate.
«Grazie, Eve... per prima, dico. Sei stata una grande.» Ringraziarla mi sembrava il minimo. Era merito suo se Mr.Heeman aveva chiuso un occhio.
«Figurati. Con soggetti come Heeman bisogna giocare subdolamente. Molla l'osso solo se capisce che ci potrebbe rimettere il posto.»
Sorrisi. «Credo mi abbia preso in antipatia.»
«Già, lo credo anche io.» Aprì il proprio armadietto, prese la divisa pulita e voltandosi me la mise in mano. «Sai, certa gente si focalizza solo su cosa una persona ha fatto in passato, sugli scheletri che tiene nell'armadio o sugli errori che ha commesso... senza apprezzare invece i notevoli progressi fatti.» Sorrise. «Fortunatamente non siamo tutti così.»
Nonostante non sapesse nulla del mio passato, nella sua voce captai una nota di consapevolezza. Era come se tacitamente mi avesse detto di sapere che prima del Missan non ero uno stinco di santo ma che gliene fregava ben poco della vecchia Robin.
«Già... sì. Bé, ti ringrazio, Eve.»
«Oh, figurati... per così poco. È solo la divisa di riserva in fondo.» Cambiò repentina discorso e di questo gliene fui grata. «Però ora che ti guardo... non so come ti starà. Abbiamo due fisicità completamente differenti, potrebbe starti stretta in certi punti.»
«Bé, sempre meglio di questo verde vomito che ho addosso.»
«Decisamente» disse ridendo. «Vado a raccattare Beth. Ci vediamo a lezione.»
La ringraziai ancora una volta prima di imbucarmi nel bagno femminile.
Quando fui finalmente sola appoggiai le mani al lavandino e chiusi gli occhi. Mi presi tutto il tempo che mi serviva per smaltire la rabbia e la seccante sensazione di essere sotto il mirino di Mr.Heeman. Probabilmente si era prefissato come obiettivo quello di farmi espellere dal Missan college. Non era certo una novità per me.
«E allora speriamo che si strozzi con gli spaghetti» ringhiai al vuoto del bagno.
Non appena mi fui calmata, passai al cambio vestiti.
La divisa di Eve effettivamente mi stava stretta ovunque. Mi tirava sul seno, ai fianchi e la gonna sembrava più una minigonna indosso a me. Insomma, io ed Eve non portavamo certo le stesse taglie.
Fissai a lungo la mia immagine riflessa nella speranza che i vestiti cambiassero da soli... o si allungassero magicamente. Se Mr.Heeman mi avesse beccato per i corridoi abbigliata a quel modo, gli sarebbe preso un colpo.
«Diamine! Come posso uscire da qui conciata così? Sembro... sembro una prostituta che fa il cosplay di una teenager in divisa... o la brutta copia di Britney Spears in "Baby one more time"» Mi passai le mani nei capelli con un certo sconforto.
Era una fortuna che non fossi costretta a tornare a casa vestita in quel modo. Se Lattner mi avesse visto con quei vestiti striminziti non oso pensare quale idea si sarebbe fatto di me. Magari che arrotondavo lo stipendio del Joily in altri modi meno ortodossi.
Fortunatamente a casa Lattner io ero Robert e i vestiti del mio alter ego erano fedelmente nascosti nel mio armadietto in attesa della fine delle lezioni.
Sospirai. «Devo uscire così? Bene! Okay! Fanculo!» Era il mio colorito modo per accettare la situazione.
Borbottai qualche altra parolaccia e ricontrollando di non aver dimenticato nulla dietro di me, afferrai la maniglia aprendo la porta con uno scatto deciso.
Un tonfo sordo fece tremare tutta l'anta, accompagnato a un mugolio e una imprecazione a denti stretti.
«Merda» biascicai, accorgendomi troppo tardi di aver aperto la porta in faccia a qualcuno e averlo probabilmente seccato sul colpo.
Quando mi sporsi a vedere il danno per poco i miei diciotto anni non furono nient'altro che un numero da scrivere su una lapide.
Avevo appena steso Mr.Lattner.
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