EXTRA 1 - LA PRIMA VOLTA
Giacca, cravatta, i capelli ingellati e legati affinché nascondessero le orecchie piene di piercing e gli occhiali da vista. Odiavo gli occhiali da vista ma... dannazione, facevano tanto "good boy" che se li toglievo subito riaffiorava la mia faccia da teppista.
No, no... gli occhiali restano!
«Merda, mi tremano così tanto le mani che non riesco a farmi il nodo alla cravatta.» Era la terza volta che lo rifacevo.
Märten ciondolò le gambe a cavallo della mia cassettiera. «Vorrei darti una mano ma anche dopo cinque anni di vita da ragioniere, quella, è la mia unica debolezza.»
Sorrisi. «Grazie, ma no. Sarebbe strano farmi fare il nodo da te.» Fatto. Circa. Mi voltai, allargando le braccia. «Che dici? Come sto? Sembro un ex capo di una banda?»
Märten sghignazzò. «Sembra che ti hanno infilato un palo nel culo.»
Ottimo. «Bé, è proprio l'impressione che vorrei dare.»
«Oh, allora ti riesce alla grande.» Saltò giù dal settimino e guardò l'ora. «Non vorrei dirtelo ma sei in ritardo, T.»
Cazzo, cazzo, cazzo!
Non potevo arrivare tardi il mio primo giorno di lavoro. Non ora che avevo finalmente ottenuto la mia prima cattedra al Missan college, il più prestigioso istituto di Detroit.
Afferrai le chiavi della moto. «Volo!» Feci per sfrecciare verso l'uscita ma Märten mi sbarrò la strada e mi oscillò davanti alla faccia un altro paio di chiavi.
«Mi spiace, capo... ma la moto resta a casa.»
Merda, merda, merda!
Guardai il mazzo del demonio. O meglio, il mazzo di chiavi della sgangherata auto che avevo comprato a un prezzaccio da uno zio di Märten. Ho sempre odiato le auto ma anche quella faceva parte del pacchetto "good boy". «E va bene, fanculo!» Gliele strappai di mano fiondandomi fuori casa.
Non so come arrivai al Missan in tempo. La cariatide che avevo sotto il culo sbuffava a ogni cambio marcia, sobbalzava e sembrava tossire come un novantenne che ha fumato quattro pacchi di sigarette al giorno per gli ultimi sessant'anni. Parcheggiai borbottando a denti stretti qualche parolaccia colorita e quando spensi l'auto sobbalzò in maniera preoccupante. Dal cofano uscì uno sbuffo di fumo bianco. O aveva appena eletto un nuovo Papa o era l'ultimo rantolo pre-morte, cosa assai più probabile. Era deceduta. Ottimo. Ora avrei anche dovuto chiamare un carro attrezzi... o forse un prete per l'estrema unzione, scelta ardua.
Mi stropicciai stancamente gli occhi e sbirciai la mia immagine riflessa nello specchietto retrovisore. Feci una smorfia. Non sembravo nemmeno io e non ero certo fosse un bene. «Salve, sono Thomas Lattner.»
No. Tono di merda.
«Salve, sono Thomas Lattner» ritentai.
No. Altro tono di merda.
Cercai di sorridere e mi uscì un ghigno sghembo, spaventoso; dannazione! Sembrava qualcosa a metà tra una paresi facciale e il sorriso mefistofelico di un demonio. In un solo istante sembravo tornato il Re. Diavolo!
Certo, sorridi pure così se vuoi essere licenziato il primo giorno...
Mi allentai il nodo alla cravatta. Faceva caldo. «Salve, sono... sono... sì, 'sto cazzo! Cristo!» Afferrai la ventiquattrore e scesi dall'auto. La portiera si chiuse con un colpo secco e penzolò divelta da una delle cerniere. La fissai allibito. Al peggio non c'era mai fine. Con una scrollata di spalle ficcai le chiavi in tasca. Che bisogno c'era a questo punto di chiuderla? Se me la rubavano forse mi facevano un favore.
Non ho tempo!
Girai su me stesso e mi avviai verso il college. Dal taschino sfilai una sigaretta d'emergenza. Ne portavo due, tenute nascoste. Queste non facevano parte del pacchetto "good boy".
Mentre aumentavo il passo iniziai a tastarmi ogni tasca a disposizione, perfino quelle finte. Possibile che avessi dimenticato l'accendino a casa? Sentivo già partire il tic nervoso all'occhio e forse anche una di quelle parole non proprio politically correct. Feci un profondo respiro.
Dannazione, dannazione, dannazione!
Avevo bisogno di quella sigaretta. Mi serviva quella dose di nicotina pre-ansia, pre-lavoro, pre-crisi esistenziale, pre-crisi isterica.
Inchiodai i piedi davanti al cancello del Missan.
Ma a chi voglio darla a bere io, eh?
Qua ci dovevi essere tu, Samu.
«Ehi, Mr.Palo in culo... le serve un accendino?»
Bene. Era la seconda volta nell'arco di mezzora che qualcuno mi affibbiava un palo in culo. Forse, e dico forse, mi ero leggermente tirato troppo a lucido. O magari camminavo davvero come se avessi un...
Samu! Ti prego... salvami tu!
Presi un altro respiro e mi voltai in direzione della voce. Avevo ancora la sigaretta spenta stretta tra i denti e l'occhio che già tremava vistosamente.
Mi sta esplodendo un fottuto mal di testa!
Una ragazzina mi fissava con le mani in tasca. Indossava dei jeans e una felpa, una lunga treccia le ricadeva sul davanti arrivando fino alle tasche. Il colore di capelli era un misto di castani che nel tenue sole mattutino e nelle trame dell'acconciaura sembrava creare un intero carnet di sfumature del marrone. Nessuna divisa. Non era del Missan. Anche se l'età doveva essere quella.
«Allora? L'accendino?»
Strabuzzai gli occhi. «Che?»
Rise. Aveva un bel viso, lineamenti delicati, labbra piene e rosee. Gli occhi erano un punto scuro nell'espressione luminosa, sembravano i cancelli di un inferno personale, un posto più scuro; nascosto dietro quelle iridi quasi nere, nascosto in un angolo remoto dei propri pensieri.
Per un attimo riconobbi i miei stessi demoni in quello sguardo, il mio stesso dolore, le mie stesse paure. Istintivamente indietreggiai di un passo. Il cuore sembrò collassare un attimo, come se lo avessi buttato giù di qualche piano.
Ma che Diavolo...
Si sfilò la mano di tasca e mi accese una fiamma a un palmo dal naso. Ammiccò con lo sguardo e sentii il viso andarmi a fuoco. Era bella. E sfacciata. E nella pancia sentii ribollire quella spericolatezza che avevo segregato anni prima.
«Oh.» Fissai la fiamma. Mi abbassai per avvicinare la punta della sigaretta. «Oh! Bè... grazie.» Gentile. Oltre che bella. Bassa, fragile. No, non fragile. O forse sì. Dura fuori ma fragile dentro, sicuro. Quello sguardo, sì... lo conoscevo; aveva gli occhi di chi ha dovuto vestirsi di parecchie armature per non mostrare la propria fragilità dentro.
Il cuore mi fece un'altra capriola, si strinse.
Una ragazzina così, di quell'età, non poteva avere uno sguardo simile, no? O forse sì. In fondo il mondo fa schifo.
Giocò con un lembo della treccia e si strinse nelle spalle. Aspirò una boccata della sua sigaretta e rivolse lo sguardo verso il Missan. «Fa un bel po' paura, eh?» Non ero sicuro parlasse con me. Forse era più un pensiero detto a voce alta. Ad ogni modo, non potevo darle torto. Il Missan incuteva un certo timore. «Non ho nemmeno la divisa ancora» borbottò, abbassando lo sguardo sui vestiti. «Farò come al solito una pessima impressione... l'ennesima figura di merda.» Il tono sottomesso, sconfitto, di chi sa già come gira il mondo, di chi ha ormai appeso da tempo la speranza, di chi finge che non gliene importi.
Non dissi niente. Mi venne solo da vomitare. Quel tono, quei pensieri... mi sembrò quasi di affacciarmi sulle macerie dei miei sentimenti, di aprire la porta delle mie disillusioni.
Allungai la mano per toccarla, per stringerla. Volevo abbracciarla.
Ma che dico, abbracciarla?
E ricordarle che il mondo fa schifo, sì... ma ce la si fa. Più o meno. Non sempre. A volte.
Ci si prova... eh, Samu?
Lasciai ricadere la mano lungo il fianco. Deglutii a forza.
«Devi iniziare anche tu, vero?» chiese, lanciando il mozzicone in terra e schiacciandolo con il tacco delle scarpe.
Mi riscossi. «Come?» La sigaretta si stava consumando tra le mie labbra senza che l'avessi realmente fumata. Ero scosso.
«Lavori qui, no?»
Aveva preso a darmi del tu. E non so bene come, ma la cosa riusciva a imbarazzarmi. Distolsi lo sguardo e puntai gli occhi verso il Missan. «Ah. Sì. È il mio primo giorno.»
Sorrise. Si mandò dietro l'orecchio un ciuffo sfuggito dalla treccia. «Dai che ce la fai! Hai la faccia di uno che se si impegna ce la fa.»
Lei. Lei stava rassicurando me.
Aprii la bocca per dire qualcosa ma improvvisamente mi sentii tremendamente impacciato. Io. Impacciato io. Assurdo.
Lei mi fissò divertita e allungò il braccio verso di me, la mano stretta a pugno. La fissai un attimo prima di colpirla ricambiando il gesto. Pugno contro pugno. Un segno vecchio una vita, un saluto che sapeva di strada, di botte, di ragazzi poco "good" e molto "bad" e di qualcosa che mi ricordava me... quando ancora non avevo freni. Mi si aggrovigliò lo stomaco.
«Bene. Così si fa.» Si sfregò le mani e ci alitò dentro poi con un saltello avanzò verso il Missan. Si voltò a rivolgermi un sorriso e una linguaccia. «Dai che ce la fai Mr.Palo in culo.» E ficcandosi le mani in tasca sparì in quella folla fatta di puntini tutti uguali.
Dieci minuti dopo ero seduto in presidenza, accanto a una fila di altri professori di cui ancora non conoscevo i nomi.
Il preside era in piedi, camminava su e giù dietro la scrivania costosa. «Quest'anno non vi farò nessun discorso di apertura. Sapete già le regole di questo college e mi auguro le rispettiate. Siamo molto rigidi, come ben sapete.» La sua voce era forte e chiara e mai tanto lontana da me come in quel momento. Avevo la testa altrove. E sapevo bene dove.
«Prima però che andiate via... vi passo questo fascicolo. Vorrei lo visionaste un attimo.» Lo passò alla prima collega della fila e questa dopo averlo letto rapidamente lo fece girare. «Quest'anno abbiamo accettato un nuovo studente. Ha dei precedenti penali e alle spalle una vastità di ritiri e cambi istituto. La giovane sembra aver un carattere violento e ingestibile, maleducata e poco incline alle regole... una di quelle mele marce di cui il sistema dovrebbe liberarsi, però...» Ridacchiò mentre gli altri docenti si perdevano in dissensi più o meno coloriti. «Però i genitori hanno sborsato una bella sommetta per farla ammettere qui. Quindi... vorrei faceste attenzione. Non datele confidenza. Non siamo suoi amici. Non datele modo di pensare che qui può fare come negli altri istituti. Qui siamo al Missan... e non si scherza. Facciamo in modo che questa sia la sua prigione.» Rise e gli altri con lui.
Il fascicolo mi arrivò tra le mani un secondo dopo la fine dello scroscio di risate. Lo aprii non sapendo bene cosa aspettarmi. Quale faccia doveva avere uno studente problematico? Una faccia come la mia, che senza un paio di occhiali sembrava incattivita con il mondo? Una faccia piena di ombre e scheletri? Una faccia arrabbiata?
Rimasi invece a fissare la sua, quella della ragazzina che pochi minuti prima mi aveva rincuorato e dato coraggio, che mi aveva acceso una sigaretta senza che lo chiedessi, che mi aveva ricordato tanto me... anni prima.
Robin O'Neil. Bel nome. Le stava bene.
Di New York. Faceva parte di una banda, gli Scorpion. Li conoscevo.
In matematica faceva schifo. Ironico.
«Mr.Lattner, tutto a posto?»
Fissai l'uomo di fronte a me. Com'è che si chiamava? Lo avevo sentito un attimo prima. Mr.Groner? Credo di sì, già. Non che me ne fregasse qualcosa in realtà. «Oh, sì. Certo.»
Mi sfilò il fascicolo di mano con scortesia, senza chiedere. Sentii la vena sul collo pulsare giusto un attimo e ingoiai una risposta poco carina. Avrei voluto leggerlo di più, scoprire di più. L'uomo mi sorrise. «Non si preoccupi, Mr.Lattner... è nella mia sezione. Sarò io a occuparmi di questa delinquente. La farò sputare sangue...»
Delinquente? Oh, no, no... quella è la mia ragazzina.
Dovevano esserci piani bizzarri per noi se un ex teppista diventato professore di matematica era incappato in una giovane teppista che sembrava odiarla. Forse, era destino.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top