8 - LIN

«Te ne puoi andare, sai? Non ci offendiamo.» Era la quinta volta che Lattner lo diceva. Ogni volta sempre più gelido e seccato.

Märten mi rivolse un sorriso divertito e allungò le gambe sotto il tavolo apparecchiato. «Avanti, T. Non fare l'egoista. Non te la consumo mica.» Si rigirò tra le labbra una sigaretta spenta e ghignò, facendomi l'occhiolino. «E poi tu non sei un tipo affidabile. Chissà cosa potresti farle mentre siete da soli in queste quattro mura.»

Il pensiero di quello che era successo quella mattina mi fece arrossire di colpo. Cercai di dissimulare la vampata di caldo che improvvisamente mi aveva travolto da cima a fondo e distolsi lo sguardo; ma Märten si allungò verso di me e chinò la testa per guardarmi meglio, invadendo il mio spazio vitale. Avrei dovuto dargli un pugno, sì. «A meno che tu non l'abbia già fatto, eh?» Rise e si cacciò la sigaretta dietro l'orecchio. «L'ha già fatto, ragazzina? Dimmi un po'! L'ha fatto?» Arrossii ancora di più. «Oh, diamine T... diamine! Sei proprio un monello.»

Lattner ci separò sbattendo sul tavolo la pentola con lo stufato. Gli occhi fiammeggianti di rabbia e la vena pulsante sul collo. Inclinò la testa e gli sorrise.

O. Mio. Dio... il Re dei Teschi è arrivato...

Nemmeno gli occhiali da vista nuovi di zecca cancellavano quell'aura spietata e sadica.

Märten deglutì e mi lanciò un'occhiata allarmata. «Scherzavo, T! Lo – lo sai, no?»

«Hai fame, vero? Immagino tu abbia molta... moltissima fame.» E con un colpo secco gli versò una mestolata di stufato nel piatto che aveva di fronte. Qualche schizzò raggiunse la camicia di Märten. «Inizia pure...» Era un consiglio? Una minaccia? Un sottile avvertimento accompagnato da un sorriso demoniaco? Il vichingo però non sembrò voler sfidare la sorte e iniziò a mangiare a testa china.

Quando Lattner si voltò verso di me trattenni il fiato. Ero tesa ed elettrizzata al contempo. Quel lasciar sbocciare il suo lato oscuro quando si innervosiva lo rendeva erotico e pericoloso. Come trovarsi davanti a una maestosa tigre. Sai che è pericolosa ma non puoi fare a meno di restarne folgorata. Non sapevo mai quale parte di lui mi attirasse di più, se il suo lato dolce e premuroso o quello da teppista, audace e sfacciato.

La sua espressione però cambiò radicalmente e tornò il solito Lattner, il solito quattrocchi, il solito imbranato. «Stufato?» chiese gentilmente, alzando il mestolo.

Stavo per rispondergli quando il mio cellulare prese a suonare e allora mi congedai con un cenno del capo, spostandomi verso la camera. «Pronto?» Non avevo fatto in tempo a vedere il numero.

«Robin! Tesoro! Sei tu?»

«Lin!» gridai, entusiasta. Nonna Lin. Una delle persone che amavo di più al mondo. «Certo che sono io. E chi altri sennò?»

Rise. «Oh, bé... speravo fosse il solito aitante ragazzo che mi ha risposto negli ultimi giorni. Con quella voce che si ritrova... mi faceva tornare ventenne.» Rise ancora.

Avvampai. Lattner aveva risposto al mio cellulare? Perché non me lo aveva detto? O forse sì? Avevo un vago ricordo.

«Volevo farti gli auguri, tesoro. Sia quelli di Natale che di buon anno» continuò Lin. Odiava essere chiamata nonna. Era stato così fin da quando ero bambina.

«Sono stata... ehm... un po' occupata.» Sì, a recuperare forze dopo un pestaggio.

«Oh, sì... me lo ha detto Thomas.»

Thomas. Già lo chiamava per nome. Ma quanto diavolo avevano parlato quei due per essere già così intimi? «Sì, già... diciamo che...» Che cosa? Che avevo nuovamente fatto a botte? Mi tormentai il labbro con i denti. Non potevo dirglielo. Avevo fatto una promessa a lei e ad Adam.

«Che hai difeso un amico e conciato per le feste qualche stronzo?» terminò per me Lin. Non capivo se era arrabbiata o no. Non riuscivo a interpretare il tono che stava usando. «Mi è stato detto anche questo, già.»

Abbassai lo sguardo e con la punta del piede iniziai a giocare con le fughe delle mattonelle. Sentivo la gravità delle mie azioni pesarmi addosso come sempre. Mi sentivo in colpa per non riuscire ad essere diversa. Avrei voluto essere migliore, sia per lei che per Adam; ma ero questa. «Mi spiace averti deluso, Lin.»

«Deluso? E perché mai, tesoro?» La sentii sorridere. Non la vedevo ma fece il solito e breve risucchio che faceva prima di sorridere. Le si formavano perfino due fossette sulle guance. «Tu non mi hai mai deluso... mai. Mai in tutta la vita.»

Trattenni il respiro. Sentirglielo dire mi emozionò così tanto che nemmeno trovai le parole per risponderle.

«Senti, tesoro... basta con questa storia. Tu sei così. E sei perfetta così come sei. Anche quando sbagli» continuò. E quelle parole furono balsamo per le mie orecchie. Mi servivano. Mi servivano davvero. «Hai lo spirito delle O'Neil che ti scorre nelle vene. Sei una tempesta, un vulcano. È impossibile tenerti al guinzaglio come avrebbero voluto i tuoi genitori... sei uno spirito libero, una combattente.» Sghignazzò. «Ricordi tanto me... quando ero giovane, bella e una gran testa di cazzo.»

Accennai un sorriso. Il passato di nonna Lin era un po' simile al mio. Meno pieno di ombre, forse. «Io speravo solo che loro...» mi credessero. Mi guardassero.

Già. Mi guardassero. Parlare dei miei faceva sempre male.

Quando era successo il casino con Joker, erano stati i primi a voltarmi le spalle, a non credere alle mie parole, a dare per scontato che fosse tutta colpa mia.

Nessuna mano tesa. Nessuna stretta. Nessun abbraccio. Solo una porta chiusa in faccia.

«Lo so. Cerchiamo sempre di rincorrere la loro approvazione... come dei bambini che cercano una carezza. Guarda me... e tuo padre. Siamo due universi distanti, sebbene sia mio figlio.» Sospirò. Sapevo che con papà non era mai andata bene. Lui era quadrato, rigido; nonna invece era come me. Avevano sempre litigato. Da che avevo memoria. «Dio ci mette una famiglia attorno. E non sempre ci prende. A volte sbaglia anche lui. Ma tu sei giovane... e puoi crearti da sola la tua famiglia, quella che vuoi tu, quella adatta a te.»

Mi uscì una risata secca, disillusa. «Non credo nelle famiglie perfette, quelle con lo steccato bianco, che vanno in chiesa ogni domenica.»

«Nemmeno Thomas da quel che ho capito.»

Arrossii. «Sì, bé... lui è...»

«Speciale?» Sembrava divertita, gongolante.

«Sì, in un certo senso...» Mi grattai la nuca. Era imbarazzante parlare con Lin di Thomas. «Ma non... non nel senso che pensi tu.» Avevo le guance in fiamme.

«Oh, tesoro... non ancora, certo! È il tuo professore. Sarebbe disdicevole, no?»

Spalancai la bocca e mi guardai alle spalle per assicurarmi che fossi sola, poi con una mano coprii il microfono del cellulare parlando piano: «Diavolo, Lin! Ma che cosa vi siete detti, eh? Mi sembri saperla lunga.»

«Un po' di cose interessanti... ragazzina.» Rise.

Bene. Lattner racconta più cose a mia nonna e a Takeru... che a me.

Non sapevo se ridere o incazzarmi. Mi passai una mano nei capelli. «Oh, bè... io non so che dire. Lui non parla molto con me... non delle cose che vorrei almeno. E penso mi tratti come una sorellina minore.»

«Dubito che alle sorelline minori si vogliano infilare tre metri di lingua in bocca, tesoro! Perché è questa l'idea che mi ha dato il tuo bel professore» bisbigliò lei, facendomi quasi strozzare.

Cazzo, Lin! Ci vai giù pesante, eh? Ma quanto sai? Che ti ha detto?

Ero così curiosa che non sapevo da dove partire con le domande. Che lui gli avesse detto chi era? O magari cosa provava per me? Ero confusa. Non sapevo mai come interpretare i gesti di Lattner. Anzi, non sapevo mai come interpretare Lattner... da ogni punto lo guardassi.

«Sei una O'Neil, Robin. Te la caverai perfettamente, anche con i problemi di cuore. Noi ce la caviamo sempre, in un modo o nell'altro.» In un modo o nell'altro. Già.

«Me lo auguro o qui finisce male.»

La sentii ridere e poi sospirò e mi parve perdersi in qualche reminescenza del passato. Quando si riprese cambiò argomento. «Mi manchi molto, tesoro. Spero di vederti presto. Ti ho preparato una scatola con il regalo di natale e alcune cosine che volevo darti...»

«Mancate molto anche a me.» Lei, Adam. Anche i miei a dir il vero. Era inutile essere ipocrita. «Hai sentito Adam?»

«Oh, sì. La scorsa settimana. Fa fatica a chiamare dal posto in cui si trova. È in Africa, lo sai, no? Ha quella vena altruista e da viaggiatore... proprio come tuo nonno.»

Nonno. Quello che non avevo mai conosciuto. E che avrei tanto voluto conoscere. Lin diceva sempre che era un tipo tosto, uno che non si lasciava "pisciare in testa", per usar le sue parole. E diceva anche che Adam era la sua copia sputata. E da alcune foto lo potevo confermare. Sembrava una sua reincarnazione.

«Speravo mi chiamasse per Natale.»

«Oh, ma lo ha fatto. Ha parlato con Thomas però... tu eri... uhm, fuori gioco, tesoro.»

Ha parlato con Thomas? Merda.

E ora come glielo spiegavo? Nonna Lin era un conto ma Adam...

Avrebbe fatto storie. Lo sapevo. La sua vena protettiva mi avrebbe fatto rimpiangere la convivenza con Lattner.

«Tranquilla, gli ho spiegato io la situazione.» Ah, allora. Ero a posto. «Non era molto contento... ma gli ho detto di farsi gli affari suoi.»

Risi. «Lo sai che tanto mi tartasserà di domande non appena ci vedremo, vero?»

«Bé, tesoro... ma per Thomas ne varrebbe la pena, no?»

Ne valeva la pena? Sì. Cento volte sì. Arrossii. Questa chiamata con Lin mi stava facendo ragionare troppo sul mio rapporto con Lattner.

Mi sfregai gli occhi con un sospiro.

«Presa!» Due braccia mi cinsero la vita, sollevandomi da terra. «Che fai? Non mangi con noi?»

Girai la testa guardando Lattner con un certo cipiglio. Sorrideva in modo gentile, come sempre. «Lin» dissi, alzando un po' il cellulare, come se fosse la spiegazione a tutto. Avevo ancora il viso in fiamme. E la sua stretta non aiutava di certo.

«Buonasera, Signora Lin!» gridò lui, lasciandomi andare. Mi scompigliò i capelli con una mano. «Scusa, ragazzina... non avevo notato che eri al telefono. Ti lascio sola, dai. Fai con comodo... noi ti aspettiamo.» Mi fece la lingua prima di sparire dietro la porta, veloce com'era arrivato.

Mia nonna sghignazzò e sospirò. «È così simpatico e passionale... così fresco e spigliato... e premuroso...» disse con quel suo tono svenevole che usava per prendermi in giro. «Mi ricorda tuo nonno.»

«Lin» lagnai, imbarazzata oltre l'inverosimile.

«Oh, avanti, tesoro! Non c'è nulla di male nell'amore.»

Rantolai e con un tonfo mi abbandonai sul letto. Quella conversazione mi stava sfinendo.

Avevo già pensato a Lattner in quel modo. Bé, a dire il vero lo avevo pensato in molti modi. Ma ultimamente, lo avevo pensato soprattutto in quel modo. E ne ero uscita sempre a pezzi.

«E se va male?» Era la prima volta che me lo chiedevo ad alta voce. E a cui forse ci pensavo seriamente.

Lattner per me era importante. E ormai lo avevo capito. Ero disposta a mettere in gioco tutto con il rischio di rovinare ogni cosa? Forse no. Forse mi andava bene così pur di restargli accanto.

«E se va bene?» domandò lei di rimando. «Non saprai mai come vanno le cose se non ci provi con tutta te stessa. La vita non può essere fatta di rimpianti. Non arrivare alla mia età per poi guardarti indietro pentendoti di non averci provato.» Che nonna Lin avesse dei rimpianti? Forse sì. Tutti li hanno.

«Già.»

«Già.»

Restammo un po' in silenzio e alla fine ci salutammo con la promessa di vederci il prima possibile. Lin riusciva sempre a far luce sugli angoli bui dei miei pensieri. Era quella voce capace di farmi ragionare, osare, sperare. Sentirla dopo diverso tempo mi aveva fatto bene, come sempre quando si trattava di lei. Il nostro rapporto era speciale, unico.

«E se va bene?» borbottai, con gli occhi incollati al soffitto.

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