50 - UNA SCELTA SOFFERTA
«Thomas! Thomas! Thomas!» Era la mia voce quella che continuava a gridare il suo nome. Incrinata, disperata e lontanissima.
Come avevo fatto a raggiungerlo nemmeno lo sapevo. Era successo. In automatico. Il mio corpo si era mosso. E forse avevo dato fondo alle ultime energie di cui disponevo.
Il mondo è strano. L'essere umano è strano. Un attimo prima è privo di forze, l'attimo dopo riesce a smuovere mari e monti pur di salvare delle persone che ha care.
Ed era proprio ciò che stavo facendo. Il mio disperato tentativo. La mia flebile speranza.
«Thomas! Oddio, Thomas!» Abbassai lo sguardo e la verità mi colpì dritta come un destro: Lattner era stato ferito e stava perdendo sangue. Troppo e troppo in fretta.
La macchia rossa sul fianco divorava attimo dopo attimo il bianco della t-shirt. Sembrava un inesorabile conto alla rovescia, una lotta alla sopravvivenza.
Una morsa di ghiaccio mi azzannò lo stomaco. Era tanto che non provavo più quella soffocante e destabilizzante sensazione di impotenza. Un terrore che ti pietrifica e ti ricorda quanto a volte, in certe situazioni, tu sia infimo e inutile.
Inutile...
Mi strappai dalle spalle il giacchetto di Takeru e glielo affondai nel fianco, premendo con la poca forza che mi restava e aiutandomi con il peso del corpo.
Devo fermare l'emorragia... devo fermarla!
Frenesia. Paura. Smarrimento.
Non sapevo cosa fare. Ed era forse questa la cosa peggiore.
Come potevo salvarlo?
L'unica cosa certa di tutta quella situazione è che non sarebbe durato a lungo in quelle condizioni.
«Rob! Rob!» Takeru gridò il mio nome, più e più volte. La voce traballante, spaventata; quella situazione era diventata molto più grande di lui, non sapeva gestirla. Non era il suo mondo, quello. Se fossi stata una buona amica gli avrei prestato più attenzione anziché ignorarlo come stavo facendo. Ma non c'era tempo. Non potevo più seguire il piano originale, raggiungerlo e mettermi in salvo come avrebbe voluto Lattner. Non ora che il diretto interessato era ai miei piedi, in una pozza di sangue. «Robin!» Gli occhi stralunati di Takeru incontrarono i miei giusto un attimo prima di essere spintonato indietro ed esser superato da un blocco di gente in piena crisi isterica di massa.
Lo sparo non aveva agitato soltanto lui. In quel posto sembrava appena esplosa una bomba.
Gente che correva. Gridava. Urlava. Parole che non capivo e restavano un semplice brusio di fondo. Ogni suono sembrava perdersi nei meandri del mio cervello. Una mente intasata. Un ingorgo di emozioni e pensieri.
Tutto sembrava concentrarsi a lui, Lattner, alle mie dita sporche di sangue. Tremanti. Gelide.
Continuavo a premere sulla ferita cercando di arrestare l'emorragia. «Thomas... Thomas...» il suo nome diventava un bisbiglio nella mia bocca, svanendo proprio come sembrava fare lui.
Non stava accadendo davvero. Non poteva accadere, no?
«Il sospettato ha sparato un colpo. Civile a terra! Ripeto: civile a terra.» Era la voce di Lexie. Professionale, distaccata. Per un attimo nemmeno l'avevo riconosciuta. Anche lei sembrava lontana anni luce mentre io restavo lì, ancorata a quel pavimento gelido e a quel corpo che pian piano stava diventando freddo uguale.
Dov'era finito il mio Lattner? Più lo fissavo, più temevo non fosse più lì.
«Vedrai, tutto si risolverà, tranquillo...» Con le dita imbrattate gli scostai dal viso alcune ciocche di capelli intrise di sangue. La testa gli ciondolò mollemente di lato, abbandonata. Gli occhi erano chiusi, l'espressione vuota. Lo stomaco mi restituì una fitta di paura sotto forma di dolore. «Non - non ti preoccupare. Sistemiamo tutto.» Tirai su col naso, fregandomene del risucchio rumoroso. Piangevo silenziosamente, senza nemmeno singhiozzare. «Cerca di resistere... ti prego.» Spinsi il giacchetto contro la ferita, cercando di far pressione e pregando arginasse l'emorragia. Le mie braccia, cedendo, si piegarono sotto il peso del mio corpo. Mi ritrovai con il naso contro il suo petto.
Debole!
La coscienza me lo gridò a gran voce, in testa. Debole, priva di forze. Wyer mi aveva piegato, anzi, ci aveva piegato a entrambi. Ci aveva rotti. E quanto potevo aiutarlo se nemmeno riuscivo ad aiutare me stessa?
Strinsi i denti. Rabbia e frustrazione sostituirono la paura.
Non poteva finire così, no.
Mi sollevai di nuovo, decisa a non permettere a Lattner di lasciarmi in quel modo. Avevamo troppe situazioni in sospeso, troppe cose non dette e discussioni da finire. Non poteva morire. Non ancora.
«Robin!» La voce di Lexie perse la tonalità neutro e composta che fino a quel momento aveva mantenuto. Fu la prima volta che gridò il mio nome e dal tono capii che era urgente, che stava succedendo qualcosa.
La mia unica premura però, in quel momento, era la ferita che tamponavo con le mani e che stava buttando fuori sangue come un vulcano in eruzione. Il mio cervello non sembrava sentire altro.
Non c'era niente di più importante.
Lattner... Lattner... Lattner...
Quanto resisterà?
Perché è così fredda la sua pelle?
Perché non parla più?
Perché non si lamenta?
Io griderei di dolore. Possibile che...
Confusione. Terrore. Disperazione.
Sentivo la paura divorarmi le viscere. Mi veniva perfino da vomitare.
Cosa devo fare?
Cosa posso fare?
Lui non aveva alcuna reazione. Immobile. Sembrava un corpo vuoto.
«Robin!» Questa volta l'urlo di Lexie sembrò più vicino, più spaventato, più urgente. Era un allarme che suonava e cercava di farmi accorgere di qualcosa che avevo volutamente ignorato. «Robin!»
«Dannazione! Non posso!» ringhiai, spingendo sulla ferita. Le lacrime mi offuscarono la vista.
Non posso. Non posso lasciarlo!
«Abbassati, cazzo!»
Fu come un brusco scossone.
Improvvisamente mi resi conto che stavano tutti cercando di avvisarmi di qualcosa di grosso e il tempo, riprese a scorrere con la sua incredibile velocità.
Mi voltai di scatto mettendo a fuoco Wyer: era una maschera di sangue, a malapena si reggeva seduto sul pavimento, eppure impugnava la pistola e potevo vederne perfettamente il foro della canna, visto che era rivolta verso di me. Dritta in faccia, alla testa.
Ci guardammo negli occhi. Il suo compiacimento era così evidente che provai un moto di rabbia cieca, l'impulso di alzarmi e correre a picchiarlo, finirlo. Sorrise crudelmente biascicando qualcosa che a malapena capii: me, Lattner, l'inferno in cui saremmo finiti.
In realtà, non me ne fregava un cazzo. Questo era già l'inferno.
Lattner... Lattner sta perdendo troppo sangue.
«Posa quell'arma. Posala!» Ancora Lexie. Autoritaria, ferma. Non potevo vederla ma la sua voce sovrastava tutti i rumori con decisione.
Avevo chiuso gli occhi, lo ammetto. Se mi dovevo prendere un proiettile in fronte, volevo farlo alle mie regole.
Non me la sentivo di regalare a quel bastardo anche gli ultimi istanti della mia vita. Non era la sua faccia l'ultima cosa a cui volevo restare aggrappata.
E infatti, in quel frangente, l'unico volto che riempì la mia visuale mentale era lo stesso di chi stavo ferocemente tentando di salvare dal dissanguamento.
Lo sparo arrivò poco dopo.
Il rumore esplose nell'aria affilato come un coltello. Si infilò nelle orecchie martellando i timpani. Trasalii sul posto sentendomi travolgere da una colata gelida.
La pressione di quella angosciante attesa arrivò tutta insieme, come uno tsunami; ma non provai nulla.
E fu strano non provare nulla.
Di solito quando ti sparano dovrebbe far male, no? Invece, niente dolore. Niente senso di abbandono. Niente lento scivolare via, lontano.
Eppure lo sparo c'era stato.
C'era la paura, sì; quella era rimasta. Ma il resto, nulla. Solo freddo.
«Forza! Dobbiamo andarcene da qui!» La voce di Märten mi fece sussultare, la sentii soffiarmi nell'orecchio; risoluta ma soffocata dal brusio dei presenti. L'intero stabile era in fermento: c'erano grida e schiamazzi; la gente se ne andava senza guardarsi dietro. Il corpo di Wyer giaceva in terra come un giocattolo rotto e abbandonato. Era al centro di una pozza di sangue e Lexie gli era accanto. Stava ancora parlando alla radiolina ma non sentivo più ciò che diceva. Il mio cervello sembrava scollegato da tutto il resto, non voleva razionalizzare. Si abbassò a sentirgli il battito e scosse la testa. Non sembrava dispiaciuta, solo concentrata. Solo in quel momento mi accorsi che indossava una uniforme da poliziotta. Per un attimo sorrisi. Ora si capivano molte cose, come le fedine pulite di tutti gli skulls. Aver un agente di polizia nelle fila, era un ottimo lasciapassare.
«Forza! Muoviti, ragazzina!» Capii che Märten stava parlando con me solo perché mi sollevò di peso da terra e persi la presa sul corpo di Lattner.
Fu in quel momento che abbassai lo sguardo e lo vidi veramente: immobile, sporco del suo stesso sangue dalla testa a piedi, cianotico e senza alcun accenno di vita.
L'ondata di panico fu travolgente e subito si trasformò in un grido che sentii esplodermi dalle labbra prima ancora di razionalizzare. «Lasciami!» lo strillo distorse il mio timbro di voce che uscì stridulo e acuto, come delle unghie che stridono sugli specchi. «Lasciami, cazzo! Lo devo aiutare! Non vedi?» Mi sbracciai, cercando di sgusciare via dalla stretta di Märten. «Non possiamo lasciarlo qui così! De - devo tenergli tamponata la ferita!»
«Non puoi più fare niente, Robin! Non puoi aiutarlo ora...»
No. No.
Non ci sto.
Non ora. Non adesso che sa che ho scoperto chi è.
Non ora che le carte sono state tutte scoperte.
Märten afferrò per la spalla uno dei suoi, uno Skulls, gli disse qualcosa all'orecchio e il ragazzo corse a svestire Lattner. Gli sfilò il giacchetto, la bandana, gli occhiali. Raccolse il casco e poi filò via con la refurtiva. Lasciandolo lì. Immobile.
Come se non fosse il loro capo.
Come se fosse una persona qualsiasi sul ciglio della morte e loro fossero ladruncoli da quattro soldi che la privavano degli ultimi averi.
«Cosa gli state facendo?» La voce mi graffiò la gola. Raschiava. Bruciava. Mi uscì con ferocia di bocca. Ma ero sconvolta. Non capivo. «Cosa fate? Perché lo lasciate lì?» Affondai le unghie nelle braccia di Märten cercando di fargli male, sperando mi lasciasse.
Ma le mie forze non sono abbastanza. Fallisco ancora.
Dannazione, no!
«Lasciami! Lasciami, Märten! Lasciami!» Le mie grida si trasformarono ben presto in singhiozzi, in sussulti, in un pianto a dirotto che non riesco a fermare.
Scalcio, lo tempesto di pugni, mi scuoto come una dannata.
Lo odio.
Odio lui, gli Skulls, Wyer... e Lattner. Odio anche Lattner, sì.
Odio doverlo amare così profondamente e così totalmente.
«Ora basta!» Lo schiocco dello schiaffo mi lasciò di stucco più dello schiaffo stesso. Immobile sul posto, tra le braccia di quel vichingo senza cuore, alzai lo sguardo incontrando gli occhi gelidi di Lexie. È furiosa, sporca di sangue, con ancora la pistola stretta in mano; che le trema. È stata lei a darmi lo schiaffo e da come mi fissa sembra me ne voglia dare ancora. «Non è morto, stupida egoista che non sei altro... ho chiamato una ambulanza. Ma morirà se non andrò a tenergli chiuso quel buco di merda in attesa dei soccorsi.»
Distolsi lo sguardo, osservando Lattner in terra. Un impercettibile movimento del petto, quasi invisibile, mi fece capire che, sì!, respirava. «Perché non posso farlo io?» È una domanda inutile in quel momento. Andrebbe bene chiunque, no? Basta che Lattner resti in vita.
Lexie mi guardò come si può guardare un bambino stupido, che fa una domanda stupida e che merita una risposta stupida. «Perché tu non dovresti essere qui, Robin O'Neil, ex teppista con precedenti penali... mentre io, che sono una poliziotta, sì!» Aprendo il braccio indica tutto attorno a sé. «Nessun coinvolgimento con gli Skulls, nessun legame con le bande, nessuna illegalità o qualsiasi cosa non rientri in una vita noiosa e ordinaria, nessuna macchia da imputargli.» Mi spinse a forza il giacchetto di Takeru tra le braccia. «Lui è un professore di matematica del Missan College, ricordi? Niente di più. Ed è stato adescato da Wyer perché voleva vendicarsi del fratello, ex teppista defunto, che lo ha deturpato al viso. Si tratta della semplice vendetta di uno psicopatico.»
Sembrava aver proprio pensato a tutto Lexie. O forse era stato lo stesso Lattner, sin dall'inizio. Magari consapevole che probabilmente non sarebbe andata come sperava.
«Sì, ma io v-» tacqui di colpo. La consapevolezza fu schiacciante. E dolorosa.
Lattner non poteva essere associato agli Skulls. Né a me. Non se voleva uscirne pulito da tutta questa situazione.
Quella fuori luogo, in quel posto, ero io. Ancora.
Sì, aveva tutto un senso. E allora perché sebbene fosse giusto e la cosa migliore, faceva così male? Perché era così doloroso non potergli star accanto?
Un ultimo gemito straziato mi sfuggì dalle labbra soffocato dalle lacrime e i singhiozzi. Mi tappai la bocca per spegnere quella sfilza di imbarazzanti sussulti.
Lo stavo abbandonando.
Lo stavo lasciando lì, su quel pavimento gelido, a lottare tra la morte e la vita. E non sapevo se lo avrei mai più rivisto vivo, né se avremmo mai finito quel discorso in sospeso su di me, lui, noi e il Re dei Teschi.
Avevo promesso a Samu che mi sarei presa cura di lui. E invece, ancora una volta avevo fallito.
«Robin, ti prego!» la voce ruvida di Märten si ammorbidì in quella supplica. Gli artigliai il braccio scaricandogli addosso quel dolore incontenibile e lui non reagì. Lo accettò.
«Ora vattene. Andatevene. Non posso restare a parlare.» Rivolse uno sguardo veloce a Lattner, dietro di sé. «Ha bisogno di me.»
Di lei.
Non di noi, né di me.
Di lei.
La mia cattiva condotta mi stava ancora una volta impedendo di star vicino alle persone che amavo.
Takeru ci raggiunse. Le sue dita mi sfiorarono la pelle nuda. Solo in quel momento ricordai che ero ancora in intimo, nulla di più. «Andiamo, Rob! Marshall ti deve medicare e poi lo raggiungeremo subito in ospedale. Andrà tutto bene, vedrai.» Quella promessa risvegliò in me una debole scintilla di speranza.
Sollevai gli occhi e lo fissai da dietro il velo delle lacrime. «Promesso?»
Lui annuì, convinto. «Promesso.»
E così, feci una delle scelte più difficili e sofferte mai fatte prima d'ora: abbandonare Lattner e la sua stessa vita nelle mani di qualcuno che non ero io.
Me ne stavo andando.
Lo stavo lasciando.
Lo stavo abbandonando.
E non ero sicura che lo avrei mai riabbracciato ancora.
Con la coda dell'occhio fissai il punto in cui Lexie era piegata sul corpo di Lattner. E l'ultima cosa che vidi prima che Märten mi trasportasse fuori di peso fu l'espressione straziata e delle lacrime sincere sgorgare dagli occhi di una stronza insensibile.
❤ The End ❤
O meglio...
❤ To Be Continue... ❤
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top