47 - FACE TO FACE

«Qualsiasi siano le tue intenzioni con lei... dovrai prima passare sul mio cadavere.» Le parole di Takeru risuonarono decise e senza possibilità di replica. Il vuoto del seminterrato amplificò la voce e sembrò qualcosa di simile a una condanna che si era auto inflitto. Mi aggrappai al suo braccio, impotente. Il mio stato fisico aveva raggiunto un livello pietoso: incapace di camminare senza supporto e con una vista che stava tornando a funzionare a fatica. Da buttare, in pratica.

Wyer non sembrò sorpreso da quella dichiarazione, anzi, sorrise. Ora che sapevo chi era, vedevo nel suo sorriso la scintilla di una mente deviata e totalmente alla deriva. Non c'era un briciolo di sanità in lui. «Vorrei! Dico davvero, cinese... ma ho ancora bisogno di te.» Ondeggiò la canna della pistola in nostra direzione, segnandoci le scale che salivano alle sue spalle. «Forza! Portala su! Non crederai mica che la scorterò da solo di sopra, eh? Mi servono entrambe le mani libere.» Rise. «E dopo, quando non mi servirai più... allora sì che passerò sul tuo cadavere.»

«Non uscirai vivo da questo posto» biascicai, mentre Takeru mi stringeva a sé quasi temesse che potessi dissolvermi da un momento all'altro. Serrai i denti perché anche se fu una stretta gentile fece male. Il dolore era come le onde, andava e veniva a intervalli; come il calore che tiepidamente tentava di tornare in possesso del mio corpo.

Non ci siamo. Sono troppo debole... 

«Tu dici?» Wyer non era quel genere di squilibrato che valutava seriamente le minacce, anzi, ne sembrava fortemente attratto. C'era una certa imprudenza in lui, una sorta di folle e istintiva ricerca di pericolo.

Più rischi c'erano, più il gioco gli sembrava divertente.

Con Lattner, anzi no, con il Re dei Teschi doveva aver trovato un degno avversario con cui scontrarsi. Motivo che lo aveva portato a sviluppare questa ossessione nei suoi confronti. E motivo per cui Lattner aveva deciso di tener la propria identità sempre più segreta e sempre più staccata dal sé quotidiano.

Ora capivo molte cose.

Capivo perché Mr.Lattner e il Re dei Teschi fossero due figure ben distinte e con identità propria, capivo perché temesse a fare sul serio con me, capivo perché non fosse quasi mai sincero; non prima di aver ottenuto la sua personale vendetta quantomeno e capivo perché negli ultimi tempi era diventato così paranoico.

Lattner lo sapeva. Lo temeva.

Aveva sempre cercato di proteggermi dal suo passato mentre io non avevo fatto altro che pensare al mio... e ai miei problemi. Se fossi stata meno egocentrica forse mi sarei accorta che c'era qualcosa che non andava e magari avrei evitato tutto questo. In fondo, era anche colpa mia: sempre convinta di esser al centro dell'attenzione, sempre convinta di veder Joker sbucare da ogni angolo.

Non avevo minimamente pensato ai demoni del suo passato. O a lui.

Egoista! La solita egoista!

«Forza! Muovetevi!» Spingendo la canna sul braccio di Takeru, Wyer ci intimò di salire e nessuno dei due obiettò. Mai tirar troppo la corta con un pazzo. Non sai mai qual è la sua prossima mossa. «Se tu fai un passo falso, l'ammazzo» disse, picchiettando l'arma contro il suo collo. «Stessa cosa vale per te, stronzetta! Fai un passo falso... e vedrai cervella di cinese sparse ovunque.»

Con le minacce ci sapeva fare.

Un denso brusio iniziò a echeggiare nella rampa di scale, aumentando man mano che salivamo le scale.

Ci trovammo ben presto al piano superiore: un enorme stanzone che non aveva nulla di diverso da quello in cui ero andata ad affrontare Sullivan. I covi dei bastardi sembrano tutti uguali. Spogli, privi di personalità, freddi come le loro anime. Solo che in quel momento, quel posto era tutto meno che spoglio. Infatti, brulicava di gente intenta a picchiarsi ferocemente, con tanto di grida, imprecazioni e lame sguainate qua e là.

C'era fermento. C'era vita. C'era lotta.

Restammo paralizzati a quella vista, lo stesso Wyer restò imbambolato qualche secondo, destabilizzato da quel trambusto.

«Sono tanti» biscicai a denti stretti, strizzando gli occhi per mettere a fuoco le figure. Ancora la vista non funzionava bene, andava e veniva come una lampadina sul punto di fulminarsi. Non riuscivo a distinguere nemmeno le facce.

«Son gli Skulls, che ti aspettavi?» Takeru lo disse con orgoglio e anche senza vederlo fui certa che provasse sinceramente quella fierezza. Strano a dirsi, visto la sua natura introversa, ma finalmente sembrava aver trovato il suo gruppo di appartenenza. E si trattava proprio di un branco di teppisti della peggior specie, tra l'altro. Ironico.

«Dove sei, eh?» strillò Wyer, guardandosi attorno. Ci spinse verso il centro ma poi iniziò a muoversi avanti e indietro, dimenticandosi di noi. La sua mente era lontana, completamente assorbita nel confronto che presto avrebbe avuto con Lattner. Noi eravamo solo un inutile dettaglio. «Dove diavolo sei, bastardo!» Ma anche se gridava, il Re non c'era. Lattner sembrava volatilizzato. Come sempre, quando vestiva i panni del Re, inconsistente come il fumo, labile come le ombre di cui si faceva scudo.

«Esci fuori! Esci! Abbi il coraggio di affrontarmi.» Wyer sputava rabbiosamente le parole, guardando uno ad uno i volti degli Skulls. Lo cercava, lì, nella folla. Cercava il suo avversario senza identità. «E voi luride e inutili bestie...» Calciò lontano da sé uno dei suoi uomini che rotolando venne inglobato nell'ennesima rissa di massa. «Levatevi dalle palle!» La voce gli uscì quasi stridula. Sembrava tanto sul punto di una crisi isterica. Forse anche perché nessuno lo stava considerando. Erano tutti focalizzati sul proprio avversario di turno. Non avevano tempo per gli sproloqui di un pazzo, in quel momento dovevano menare le mani.

Come ogni buon teppista farebbe...

Takeru mi tappò la bocca con una mano e iniziò a indietreggiare cercando di non dare nell'occhio. Lattner gli aveva dato un compito e sembrava determinato a portarlo a termine. Non ero sicura però che ci sarebbe riuscito visto l'impedimento che continuavo io stessa a essere. Trascinarmi era complicato, Takeru era poco più pesante di me e ancora non aveva sviluppato abbastanza muscoli da riuscire a trasportare senza fatica un corpo a peso morto. Eravamo fregati.

Dannazione! Se solo riuscissi a muovermi...

«Avanti, bastardo! Dove sei?» le grida di Wyer erano soffocate dal rumoroso ammassarsi dei suoi uomini contro gli Skulls. Grida, colpi, sangue che schizzava come spruzzi di vernice ovunque. E più si accorgeva d'essere ignorato, più sembrava trasudare follia e ferocia. Essere trascurato, messo in un angolo, non era qualcosa che faceva per lui. «È così che credi di battermi? Mandando avanti gli altri al posto tuo? Di nuovo?» urlava al vuoto, cercando con gli occhi Lattner. Il suo sguardo saettava da una parte all'altra dello stanzone, senza sosta, pazzo. Scosse furiosamente la testa e quando parlò di nuovo sembrò un cane rabbioso ormai privo di freni. Anche l'ultima rotella che teneva collegati gli ingranaggi del suo cervello doveva essere saltata via. «No, no, no... non te lo permetterò. Questa è una faccenda tra me e te. Tra me e te.» Si girò verso di noi e, come un mastino che avvista la preda, ci raggiunse a grandi falcate.

Quando Takeru si accorse che la nostra fuga era ormai saltata, usò il proprio corpo per farmi da scudo. «Non ti azzardare a toccarla.»

Wyer arretrò il cane della pistola. Il clic mi diede i brividi. «Sai, cinese... non mi servi più.»

«Aspetta!» gridai, prima che sparasse. Il sapore acido della bile mi bruciò la gola. Volevo vomitare. «Lascialo andare e verrò senza fare resistenza. Sarà più facile per te se son collaborativa, no?»

Lui tentennò un attimo, allettato dalla proposta.

«Non dire cazzate, Rob!» Sapevo che Takeru non sarebbe stato d'accordo. Glielo leggevo negli occhi, anche se non ci vedevo un cazzo e nemmeno ci stavamo guardando per davvero. Ma lo conoscevo. Avrei fatto lo stesso per lui.

Gli posai una mano sul petto e il mio palmo fu travolto dalla velocità dei battiti del suo cuore. La paura gli pompava nelle vene, eppure, non mi voleva lasciare. La Lin del mio sogno aveva ragione: ora non ero più sola. Sarei potuta cadere altre mille volte ma ci sarebbero state tante mani tese ad aiutarmi a risalire. E quella di Takeru era tra queste. «Stai tranquillo. So che il Re verrà a salv-» La mano di Wyer mi afferrò per i capelli, tirandomi indietro e strappando a metà la mia debole rassicurazione.

Non appena mi agguantò per la vita usò il calcio della pistola per colpire Takeru dritto al viso.

Veloce. Cattivo. Spietato.

Lanciai un grido rabbioso e fissai il mio amico a terra, mentre il sangue gli usciva dal naso come una fontana, a fiotti. Forse era rotto però respirava, vedevo gli sbuffi d'aria nel liquido rosso e denso che creava una pozza sull'asfalto.

Era vivo. E vivere, in questo sporco mondo perverso, era la cosa più importante di tutte.

Wyer si lasciò sfuggire un grugnito di disapprovazione ma non perse tempo a finirlo. In qualche malato angolo del suo cervello, forse quel gesto fu molto simile a una grazia. «E ora... a noi.» Con uno strattone mi trascinò al centro dello stabile, puntò la pistola in aria e sparò. L'eco del colpo sembrò divorare tutti gli altri rumori e ogni cosa si fermò.

Anche le lotte più accanite cessarono, sostituite da qualche lamento soffocato e tanti respiri affannati. Però, per lo più, c'era silenzio.

Wyer ghignò. Finalmente aveva ottenuto l'attenzione che pensava di meritare. «Lo so che sei qui! Lo so!» urlò, circondandomi la gola con il braccio. Strinse la presa e subito l'aria iniziò a scarseggiare. «Vuoi davvero che finisca così? Vuoi davvero che ammazzi anche lei? Sei solo un codardo!»

Silenzio.

Di Lattner nessuna traccia.

Il timore che non ci fosse iniziò a farsi strada nel mio cervello e quel piccolo angolo pieno di dubbi e paure prese a sgomitare e allargarsi. Il cuore iniziò a marciarmi con ferocia in petto.

Avevo paura? Sì, non ve lo nego. Ma avevo anche fiducia in lui.

«Bene» disse Wyer, ascugandosi la fronte sudata con il braccio. Arretrò il cane della pistola e me la premette con forza contro una tempia. Ancora era calda per il colpo appena sparato. «Sai, probabilmente non sei così importante come speravi» mi sibilò all'orecchio.

Chiusi gli occhi, indecisa se fosse più un atteggiamento di rassegnazione o di accettazione. Stavo morendo, no? Okay. Potevo sopportarlo. Insomma, prima o poi toccava a tutti, no?

«Dì addio al mondo, stronzetta.»

Un rumore leggero e preciso fendette il silenzio. Un sibilo. Che tagliò l'aria e sembrò mettere un punto a tutta quella faccenda. Il coro di voci sorprese che si levò un istante dopo mi incoraggiò ad aprire gli occhi.

In terra, conficcato nel terreno, a un palmo dai nostri piedi, un enorme coltello dalla lama lunga e affilata. Era penetrato nell'asfalto come se fosse tonno e ancora vibrava.

Dovevi aver una mira davvero eccezionale per fare una cosa del genere. E io, conoscevo solo una persona con una mira simile.

«Lasciala stare, Wyer. Questo gioco è solo nostro.» Le parole piovvero dal cielo come un ordine divino. Riconobbi subito la voce. L'avrei riconosciuta tra tutte. Sempre.

Sollevai gli occhi, alla ricerca del mio salvatore e fu allora che lo vidi.

In alto, appollaiato su una impalcatura rialzata che circondava l'intera stanza dello stabile, c'era lui: il Re dei Teschi. Indossava i soliti vestiti, il solito casco e i soliti occhialoni vintage. Era lui, in tutto e per tutto.

E sembrava spandere rabbia e voglia di vendetta semplicemente restando immobile. Lo intuivo dalla rigidità del corpo e dalla forza con cui stringeva il parapetto dell'impalcatura. Non lo vedevo in viso ma sapevo che ero di fronte a una resa dei conti. Lui non aspettava altro.

Non aspettava altro da anni.

Wyer si passò la lingua sulle labbra. Pregustava anche lui, da tempo, quel faccia a faccia. Mi spinse di lato, in terra. E rotolai sul pavimento senza riuscire a rialzarmi. «Finalmente sei qui. Finalmente io e te!» Non aveva più bisogno di me. Io ero stata solo il mezzo per ottener quel confronto. 

Lattner strizzò il ferro dell'impalcatura fino a far scricchiolare la pelle dei guanti e con uno slancio la scavalcò cadendo nel vuoto, giù fino a toccare il suolo; come se fosse la cosa più normale tra tutte. Piegò le gambe per attutire la caduta e si risollevò pronto a fronteggiarlo in tutta la sua grandezza. Nonostante casco e occhiali, una scarica di brividi mi attraversò da cima a fondo quando sollevò il capo e guardò in nostra direzione. Tutta la sua attenzione era rivolta a Wyer. «Mi volevi? Bene. Sono qui. Mettiamo la parola fine una volta per tutte.»

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