46 - SONO MORTA?

«Non lo so» dissi, poco convinta. Mi lisciai la stoffa sul corpetto e feci qualche passo indietro per osservarmi meglio. Storsi il naso. Troppo bianco. Troppo pizzo. Troppo tutto. «Mi sento... boh! Strana!»

Lin rise. Era raggiante. Indossava un completo turchese che le metteva in risalto i capelli bianchi con le punte blu: se le era fatte per l'occasione. Dava tanto l'idea di una di quelle nonnine rock. E sicuramente lo era. «Strana? Ma se sei bellissima! Su, non sminuirti così. Inoltre...» Pizzicò il bordo del vestito e scosse la testa. La vidi sparire alle mie spalle e capii ciò cosa stava facendo solo quando sentii i lacci attorno al busto strizzarmi fino a togliermi il respiro. L'aria mi uscì con un fischio stridulo. «...è il mio vestito questo. Porta rispetto!»

Dovetti reggermi il seno per evitare mi schizzasse fuori dal corpetto insieme al cuore e la dignità. Sembravo una bambina sperduta. «Sì, be'... dico solo che non è il mio stile.» Che poi, sinceramente, da quando i vestiti da sposa erano diventati "un mio stile"? Insomma, più mi guardavo più sentivo il disagio crescere. E anche la confusione, sinceramente.

Perché mi stavo sposando?

«Ma no, vedrai... devi solo aggiungere il tocco speciale di ogni Scorpion Queen, proprio come feci io. Parlo del tuo giacchetto, ovviamente. È quel 'qualcosa' in più che ci identifica.» Lin sembrava più agitata di me. Mentre mi rassicurava continuava a muoversi su e giù per la stanza come un proiettile impazzito. L'avevo sentita dare ordini qua e là al personale con la stessa determinazione di un despota. Inoltre, continuava a spostare oggetti da una parte all'altra senza sosta. Mi stava facendo venire il mal di stomaco. «Vedila così: nei matrimoni c'è sempre qualcosa che ci piace... e qualcosa che non ci piace affatto. Bisogna solo imparare a trovare il giusto equilibrio. Come per questo vestito, no?»

La parola matrimonio mi fece torcere le budella e il mal di stomaco peggiorò improvvisamente. Non ero pronta per un matrimonio, no davvero. Insomma, non ero nemmeno pronta a un ragazzo, figuriamoci a un marito. «Senti, Lin...» Niente nonna, solo il nome. Come sempre. «Io non... non credo di sentirmi... insomma, non lo so... è che...» E poi con chi mi stavo sposando? Diavolo, qualcuno mi avrebbe dovuto preparare meglio.

Un attimo prima mi trovavo in un seminterrato a morire di ipotermia e l'attimo dopo ero in una sontuosa stanza sconosciuta a provare un abito da sposa insieme a Lin. C'era qualcosa che non andava.

O stavo facendo il sogno più strambo della mia vita o ero morta e finita all'inferno a coronare in un loop eterno il sogno di mia nonna. Perché diciamocelo, io e Lin, da morte, non saremmo finite certo in paradiso.

«Non ti preoccupare, tesoro... andrà tutto bene.» Mi passò circolarmente la mano sulla schiena. Il suo calore mi confortava, era un caldo che mi entrava nelle ossa. Sembrava molto più reale di tutto il resto. «E poi Thomas sarà sicuramente agitato quanto te... se non di più. Tanto lo conosci, no?»

«Tho - Thomas?» Lattner? Stavo per sposare Lattner? Nel chiederlo per poco non mi strozzai.

Per un attimo, sebbene fosse evidente fosse tutto frutto del mio cervello bruciato dal gelo, restai tramortita all'idea che sarebbe diventato mio marito. O meglio, lo sarebbe stato in questa sorta di verità parallela. «Lattner! Mio marito!» le parole mi uscirono secche e piene di incredulità. Avrei voluto gridare un "a-ah" finale ma ero leggermente scossa. Mi limitai quindi a esprimere il mio disappunto e la mia perplessità con una sequenza di grugniti e versi dalla dubbia origine. Un maiale avrebbe argomentato meglio.

Ero così irrimediabilmente invaghita di lui da sognarmi questi pietosi scenari anche in punto di morte? Proprio non mi capivo.

«Oh, cielo, Rob! Ti ha fatto la proposta poco tempo fa, non ricordi?» La vidi alzare gli occhi al cielo e sospirò con esagerata enfasi, portandosi una mano al petto. «Tutto estremamente romantico. Fiori, cena a lume di candela, musica. Davvero non ricordi niente?»

Avrei dovuto? Insomma, questo era un sogno, no? «Ecco, io... non...» scrollai il capo. «Deve essere un sogno» farfugliai infine, confusa.

Lin sorrise con aria pacifica e quasi compassionevole. Nei suoi occhi lessi comprensione e un pizzico di tenerezza. «Ma certo che lo è, Robin. Io sono morta, ricordi?»

Per un attimo mi sentii stupida. Sì, be'... insomma, non c'era bisogno che la Lin dei miei sogni mi venisse a ricordare una cosa tanto ovvia. Lo sapevo. Era un dolore costante e ancora troppo vivo per essere dimenticato. Era lì, pronto a sbucare in ogni istante storto.

Mi ero solo persa un attimo. A volte la realtà non ci piace e preferiamo rifugiarci nei sogni e nelle fantasie. Sarebbe stato tutto più bello lì, con Lin viva e Lattner che mi amava.

E invece, non mi dimenticavo dov'ero: in un seminterrato, a morire.

Sì, la vita è proprio ingiusta.

Sospirai. «Perché sei nei miei sogni, Lin? Sto morendo?»

«Sì, tesoro.» Non si sforzò nemmeno di fingere. E forse lo preferivo. Meglio una verità brutta che tante bugie inutili. «Per questo sono qui. Per spronarti a resistere.»

«A resistere...» mormorai. Ero stanca. Avevo resistito una vita intera. E ora, sentivo che tutti gli sforzi fatti mi erano costati parecchio. Di tutta la mia corta vita quanto tempo avevo passato a resistere? E quanto a vivere? «E se non volessi più farlo?»

C'erano state tante cadute nel corso degli anni. Mi ero sempre rialzata. Rotta, distrutta; ma ero sempre tornata in piedi.

Eppure continuavo a cadere.

Che senso aveva allora cercare di andare avanti? Era inutile quella fatica o alla fine avrei trovato anche io la mia pace?

O forse, la mia pace era la morte.

Lin mi raggiunse, carezzandomi il viso. «Non posso prometterti che questa sarà la tua ultima caduta... ma posso prometterti che non sarai mai sola. E lo sai bene anche tu.» Le sue dita risalirono le mie guance, asciugando lacrime che non mi ero accorta di avere. «Hai faticato tanto. Sei caduta e ti sei rialzata tante volte... e sei sempre stata sola, prima d'oggi. Ma ora, bambina mia, sai bene che non sei più sola come un tempo.» Mi sorrise.

Di riflesso le strinsi la mano che ancora mi teneva posata sulla guancia. Sapevo che era morta, che era un sogno e che forse ero anch'io sul ciglio della morte ma... lei era Lin. La mia Lin. E qualsiasi fosse la circostanza in cui ci trovavamo restava sempre uno dei miei pochi punti fissi. E avevo bisogno di lei. Ora più che mai. «Sono stanca, nonna. Sono stanca di lottare. Stanca di vivere una vita scontando errori del passato. Vorrei solo... solo... pace.»

Lin mi attirò a sé in un abbraccio silenzioso e colmo di amore. Era un gesto che aspettavo da tanto e che mi serviva come l'ossigeno. Quando si staccò da me i suoi occhi si riempirono di lacrime e paura. «Non mollare, Robin! Ti prego, non mollare! Non ti azzardare.» La voce di Lin cambiò lentamente, parola dopo parola, passando dal suo consueto tono dolce e femminile a uno più basso e maschile.

Furono i deboli colpetti al viso a riscuotermi. «Robin! Robin! Dannazione, Robin!» La voce di Lin venne ben presto sostituita con quella di Takeru, stridula e singhiozzante. Non lo vedevo ma avrei giurato piangesse. «Ti prego, Robin... ti prego.» Continuavo a sentire dei movimenti circolari sulla schiena e il leggero tepore che ne derivava sembrava propagarsi timidamente verso le restanti parti del mio corpo. Non era stata Lin a farmi quelle carezze, era sempre stato Takeru.

«Sono morta?» Aprii debolmente gli occhi fissando la figura sfocata del mio caro amico. Sembrava lui e allo stesso tempo sembrava un'altra delle mie allucinazioni.

«Diavolo, no! Baka!» Scoppiò in singhiozzi e lo sentii tirarmi a sé. «Pensavamo di trovarti... di - di trovarti già...» Scrollò il capo e si asciugò una lacrima.

«Fa freddo.» Sentivo labbra e gola aride. Ad ogni parola bruciavano.

Takeru mi affibbiò un bacio in fronte. «Lo so. Mi dispiace... ti ho coperto con il mio giacchetto ma non basta... dobbiamo portarti all'ospedale. La tua temperatura corporea è bassissima.»

Già. Stavo per morire, in fondo.

Anche se non vedevo nulla lo sentii spostarsi e con fatica mi aiutò a rimettermi in piedi. Senza il suo aiuto ero un fantoccio senza fili. Crollavo come un sacco di patate. Fu costretto ad avvolgermi un braccio attorno alla vita per sorreggermi. «Come hai fatto a...» deglutii e non terminai la frase. Avevo la gola in fiamme.

«Mi sono calato dalla grata. Sono il più piccolo.»

«Ci sono anche gli altri?» Più che altro volevo sapere di Lattner ma ero certa che a Takeru la cosa non fosse sfuggita.

Rinserrò la presa sul mio fianco. «Sì, tutti gli Skulls.»

Proprio in quel momento il mio udito sembrò finalmente rimettersi in moto e solo allora mi accorsi dei rumori, delle grida e dei colpi. «No, Take, no...» Cercai di divincolarmi ma ero priva di forze. Per quanto la mia mente volesse ribellarsi e correre a cercare Thomas, il mio corpo non rispondeva ai comandi. «È una trappola! Cazzo! È una trappola!» riuscii a biascicare, sentendo ogni parola farsi strada in gola come artigli.

«Tranquilla, T. lo sa già, infatti il mio compito è prenderti e filare via. Al resto ci pensa lui.» Un colpo ci fece trasalire in simultanea. Di sopra si stava scatenando l'apocalisse. «Dannazione! Dobbiamo andarcene, Robin. È un casino restare qui... e tu hai bisogno di cure urgenti.» Con fatica, lentamente, mi trascinò verso la porta. Passetto dopo passetto. Con una lentezza che sembrava attraversare i secoli.

Avrei voluto facilitargli il compito ma a malapena riuscivo a reggermi sulle gambe. Il gelo ancora faceva da padrone e continuava a rendere il mio corpo insensibile. Anche i pensieri sembravano intorpiditi. «Io non... non riesco a muovermi come vorrei.» Strizzai gli occhi per vedere meglio, per quanto mi sforzassi la vista era appannata e stanca. Avevo bisogno di scaldarmi, recuperare energie e solo allora sarei tornata operativa al cento per cento.

«Non importa, ci sono io! Adesso ti porto fuori, Rob! Adesso ce ne andiamo.» Allungò la mano verso il pomello della porta, pronto ad aprirla, ma questa si aprì ancor prima che lo sfiorasse e una luce artificiale ci investì con violenza.

«Spiacente, muso giallo! Lei non andrà da nessuna parte.» Il sorriso di George Wyer si allargò come uno squarcio nel cielo. La canna della pistola che ci puntava addosso scintillò controluce.

Eravamo sotto tiro.

Eravamo di nuovo alla mercé di quel pazzo.

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