41 - DILLO A THOMAS

Il mio pugno lo trascinò giù, come una imbarcazione che affonda; a picco.

E io, stretta nella sua morsa, insieme a lui; una scialuppa costretta ad annegare insieme alla nave madre.

Insomma, tante belle parole per dire che dopo il mio manrovescio mi trascinò in terra insieme a lui. E così rotolammo.

Le fitte alla schiena e la ferita alla spalla non mi impedirono comunque di dimenarmi e usare le ginocchia per spingerlo più lontano che potei.

Fui travolta da una rabbia cieca e dal vecchio e conosciuto senso di sopravvivenza. O io, o loro. Funzionava così nel mondo della strada.

Non sapevo chi erano quegli uomini, né cosa volessero da me; ma era chiaro che non si trattava di nulla di buono, né di procrastinabile. Volente o nolente mi avrebbero costretto a seguirli. Il 'no' non era contemplato. Per questo non potevo permettermi di perdere.

Bloccandomi il braccio sano sull'asfalto, l'uomo cercò di agguantarmi la gola con la mano libera. L'idea probabilmente era quella di soffocarmi fino a farmi perdere i sensi. La paura che riuscisse nel suo intento mi si aggrovigliò in pancia come una serpe. Scattai indietro, colpendo l'asfalto con la schiena. Non potevo arretrare più di così. Ero in trappola.

«Sta' buona, puttanella!» ringhiò.

Puttanella...

Era un appellativo con cui mi avevano chiamato tante volte. Uomini senza palle che avevano un vocabolario grande quanto il loro cervello. Figure che le donne erano costrette, almeno una volta nella vita, a incrociare. Piccoli scarti della società che non avevano nulla se non il proprio ego, pronti a gonfiarlo cercando di sgonfiare quello altrui. E cosa c'era di meglio nell'appagante e mortificante atto di sottomissione e umiliazione fatto verso una donna?

Gli sputai in faccia e per regalo, con la mano libera, mi tirò uno schiaffone in pieno viso. La bocca mi si riempì di saliva e sangue. Sapori di strada. Sapori che conoscevo.

«Non la toccate» gridò Ramones, scattando avanti e affondando un ginocchio nello stomaco di uno degli altri due uomini. L'altro lo placcò gettandolo in terra. «Non azzardatevi a toccarla! Bastardi!» continuò a gridare.

L'uomo che mi premeva addosso ghignò e, nonostante il mio dimenarsi, riuscì a circondarmi il collo con l'enorme mano. Strinse. E l'aria iniziò subito a scarseggiare. «Siamo in tre» mi sibilò all'orecchio, compiaciuto. «Siamo troppi per voi.»

«Stronzate» ringhiai. «Per noi, voi tre... siete solo un antipasto.» E usando la pressione del mio corpo premuto in terra sollevai i fianchi per dargli un colpo di reni e scrollarmelo di dosso.

Rotolai di lato, giusto in tempo per evitare un calcio. Il suo scarpone si schiantò a un palmo dal mio viso.

Gli afferrai le caviglie tirandolo in avanti e quando perse l'equilibrio scattai in piedi. Un grugnito alle mie spalle catturò la mia attenzione.

Mi voltai a guardare proprio mentre Ramones stendeva uno dei due uomini con cui si stava battendo. Un tonfo sordo e il bestione crollò a terra come un bambino. Si pulì le mani sui jeans e fissò dietro di me, a occhi sgranati. «Attenta, Ro-» ma non fece in tempo a finire la frase.

Arpionata per il polso del braccio ferito, tirata indietro, chiusa in una morsa fatta di braccia possenti. La stoccata del colpo mi riverberò in tutto l'arto fin alla ferita. Serrai i denti buttando giù un rantolo di dolore e iniziai a dimenarmi in cerca di un punto debole da colpire per liberarmi.

Un pugno mi arrivò dritto nella bocca dello stomaco. Mi piegai in avanti per prendere aria.l e con la coda dell'occhio vidi l'altro uomo sfrecciare lontano da me.

«Non la toccare, figlio di puttana!» gridò Ramones. «Lasciala!» Lo sentii lottare. Pugni, grida, grugniti e imprecazioni. Era fuori dalla mia visuale ma sentivo quanto si stava battendo per me. E in parte gli ero grata, anche se lo avrei preferito lontano e al sicuro.

Iniziai a scuotermi da una parte all'altra. Dovevo liberarmi. Se anche non fossi riuscita ad aprigli quelle tenaglie che aveva al posto delle braccia, potevo sperare di fargli perdere l'equilibrio e farlo cadere. «Ferma! Sta' ferma, ragazzina!» Tentò di sollevarmi ma riuscii a far scivolare un braccio sopra la sua stretta e approfittando dell'occasione lo colpii con la mano, di piatto, proprio sul pomo d'Adamo.

Un colpo lì, così forte, ti toglie il respiro. E infatti, l'uomo mi mollò subito, portandosi le mani alla gola.

Indietreggiai quanto basta per prendere le giuste distanze e con un movimento rapido e fluido gli assestai un potente calcio al fianco che lo sbalzò contro il furgoncino. Crollò a terra e non si mosse più.

Avrei voluto perdermi in qualche battuta ma il mio corpo assomigliava più a una mappa di contusioni che a un perfetto involucro adolescenziale. Dovevo muovermi a finire la rissa perché non sapevo quanto ancora avrei retto. Ero provata.

«Buona nanna» mi limitai a borbottare, fissando il corpo afflosciato in terra.

Quando però mi voltai pronta per affrontare l'altro, restai impietrita. La situazione si era capovolta in un istante. Era bastato un attimo di distrazione e tutto era andato a rotoli.

«Robin» mugolò Ramones, in ginocchio, per terra. Lo sguardo che mi rivolse fu di totale pentimento. Gli leggevo l'umiliazione in viso e il sentirsi improvvisamente un peso. «Mi dispiace tant-» Il bestione alle sue spalle lo mise a tacere premendogli la canna della pistola sulla tempia.

«Un passo falso e gli faccio saltare il cervello» mi avvisò.

Alzai le mani senza che nemmeno me lo chiedesse. Ancora una volta, Ramones, mi rivolse uno sguardo di scuse. «Okay, okay... parliamone.»

«Non c'è nulla da dire. Tu verrai con noi. Punto.» Arretrò il cane della pistola e la spinse contro la tempia di Ramones. «Niente giochetti, altrimenti...»

Altrimenti pezzi di materia cerebrale per tutti... yu-uh

«Non lo ascoltare, Robin.» Ramones si dimenò. «Non farti problemi per me. Io me la caver-» L'uomo lo colpì al viso con il calcio dell'arma. Uno spruzzo di sangue colorò di rosso l'asfalto.

Feci un passo avanti, d'istinto, e subito mi trovai accerchiata. Gli altri due uomini, ripresi troppo in fretta per i miei gusti, si erano posizionati ai miei lati e aspettavano impazienti che li seguissi. Deglutii. Sentivo la bile risalirmi in gola, pronta a vomitare tutto. «E se mi rifiutassi? Se decidessi di non venire?» Due canne di pistola mi si conficcarono dritte nella schiena. La pressione mi fece inarcuare, oscillando appena, tesa come una corda di violino. Sudavo freddo.

«Il Signor Wyer ha detto che in tal caso possiamo ucciderti. Non sei così indispensabile come credi...» Guardò Ramones con un ghigno carico di disprezzo e compassione e, per gioco, rigirò la punta della pistola contro la sua tempia, premendo finché un rivolo di sangue non gli colò lungo lo zigomo e la guancia. «Prima però ucciderò lui... mi ispira simpatia e sarebbe proprio divertente veder come muore.»

Wyer... Wyer... cosa poteva volere un tipo così da una come me? Ricordavo un solo George Wyer nella storia americana ma non ci avevo mai avuto lontanamente a che fare. Possibile che lo mandasse Joker? Possibile avesse un simile contatto nella sua lista? Tremai.

«Va bene. Vengo.» Mi arrendevo facilmente quando c'erano in ballo le vite delle persone a me care. «Ma solo se lo lasciate andare sano e salvo.» L'altro mi rispose con un cenno del capo. Un accordo era un accordo.

«Non dire cazzate» gridò Ramones, cercando di alzarsi. L'uomo però gli afferrò un braccio, torcendoglielo malamente dietro la schiena.

«Fermo lì, stronzetto. O potrei cambiare idea.» La violenza sembrava divertirlo. C'era un piacere malsano nei suoi occhi ogni volta che vedeva un'espressione di dolore. Crudeltà umana? Sadismo? Ci sembrava sguazzare dentro.

«Non lo fare, Rob! Non lo fare» continuava a gridare Ramones, disperato; mentre anche per la guardia, tenerlo a freno iniziava a diventare sempre più difficile. «Ti prego, Robin! Ti prego.» Cercò di liberarsi dalla presa ma il calcio della pistola lo colpì ancora al viso. Una volta, due volte... tre.

Sangue. Tanto, troppo sangue.

«Ora basta. Basta!» gridai. «Ho detto che vengo... ma - ma vi prego... lasciatelo stare.»

Il bestione smise di colpire e quando Ramones incrociò il mio sguardo ci fu un silenzioso scambio di informazioni, di sofferenza e paura. Sentivo le lacrime scorrermi sulle guance ma non c'era tempo per i sentimentalismi. Non dovevo farmi sopraffare dalle emozioni. «Tu resterai qui. Non proverai a fermarmi, né farai resistenza.» Ramones fece per controbatte ma lo fulminai con un'occhiata. «È un ordine, Ram. Te lo sto ordinando come Scorpion Queen... non come Robin.» Fu un colpo basso, lo so. Ma dovevo.

Serrò i denti così forte che per un attimo temetti gli sarebbero saltati fuori dalla bocca come proiettili ma restò impassibile e annuì. Fu difficile per lui, eppure accettò. Si fidò di me e delle mie decisioni. Era questione di rispetto e fiducia.

C'era un tacito accordo tra noi: Scorpion Queen e Robin erano separate. Due cose distinte. E se le scelte di Robin erano discutibili, tutt'altro lo erano quelle di Scorpion Queen.

Restammo immobili a guardarci qualche altro minuto prima che venissi trascinata verso il furgoncino. Mi spinsero dentro senza alcuna delicatezza, tanto che crollai tra i sedili cozzando le ginocchia sul pavimento del van. «Ehi, andateci piano, stronzi!»

Mi obbligarono a sedere, strattonandomi per il braccio dolorante. Uno dei due mi strinse il viso in una mano, strizzandomi le guance e lasciando schioccar più volte la lingua sul palato: «Non vedo l'ora che il capo ci dia il permesso di giocare con te. Sei proprio un bel animaletto da addormentare.» Il tono lascivo mi fece rabbrividire e quando mollò la presa mi massaggiai la mandibola.

Avrebbe avuto anche lui ciò che meritava. Ogni cosa a suo tempo. Ora, c'era un'ultima cosa da fare.

E così, prima che le porte si chiudessero sulla mia vita quasi perfetta, guardai di nuovo l'espressione tormentata di Ramones e gli diedi un ultimo ordine. L'unico che in quella situazione aveva davvero importanza. «Va' da Thomas!» gridai, forte e chiaro. «Dillo a Thomas! Hai capito? Dillo a Thomas!» Venni sbattuta contro il sedile, una mano contro la bocca. Mi dimenai, morsi il palmo del mio aggressore e gridai ancora: «Solo lui mi può aiutare. Hai capito? Hai capito?»

Ramones annuì confuso. Cosa avrebbe mai potuto fare in una situazione simile un professore di matematica? Non c'era tempo per spiegarlo.

L'uomo ancora alle sue spalle rinfoderò la pistola in un atto di finta misericordia. Sul viso passò veloce un ghigno malvagio prima che lo colpisse allo stomaco con la punta dello stivale, lasciandolo in terra piegato dal dolore.

Fu un gesto immotivato e brutale. Il primo di molti altri. Iniziò infatti ad accannirsi sul suo corpo con violenza. Calci su calci. Sempre più forti. Così impetuosi che ad ogni affondo si potevano sentire rumori di ossa rotte mescolati alle sue risa da sadico.

Così finirà per ammazzarlo!

«No!No!» urlai, terrorizzata. Scattai verso il vano del furgoncino, pronta a gettarmi fuori e combattere, ma quattro braccia mi afferrarono, inchiodandomi contro il sedile. In testa mi venne calato un panno nero, un cappuccio come quello dei condannati a morte. Il respiro divenne subito rarefatto. «Avevamo un accordo. Un accordo!» ululai, graffiando alla cieca, colpendo a destra e a manca.

Lui mi ignorò. Lo sentii continuare a calciare Ramones come se fosse spazzatura per un tempo che mi parve infinito, fin quando probabilmente si sentì abbastanza soddisfatto. E poi, lo percepii salire al posto di guida.

Gli sportelli dei veicolo si chiusero una volta per tutte. Un rumore secco, deciso.

Ero sola.

Al buio.

Incapucciata.

E presto sarei finita nella tana di un lupo ben più cattivo di quello delle favole.

Speravo che Ramones fosse vivo, salvo e che avvisasse Lattner il prima possibile.

Perché non so se sarei durata a lungo.

Potevo solo provarci.

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