32 - UNA NOTTE DI TEMPESTA PT.1

«A domani!» salutai Nate agitando la mano e lui ricambiò tornando subito a contare il fondo cassa e compilare i documenti di chiusura. Per quanto potessimo aver le nostre divergenze, ammiravo l'impegno che metteva nel portare avanti il Joily, sebbene non fosse nemmeno suo.

«Ci vediamo domani» aggiunse, accorgendosi che mi ero un attimo imbambolata. Mi raggiunse alla porta con le chiavi in mano. Si sarebbe chiuso dentro, così avrebbe fatto tutto con più calma. «Vai a casa subito, sembra stia per piovere.»

Sollevai gli occhi verso il cielo e notai le nubi grigie che si mescolavano ai toni scuri e fitti della notte. Non c'era nemmeno una stella. Era come se il buio se le fosse mangiate.

«Sì, ci vado subito.» Quando sentì che non lo stavo contraddicendo sorrise e allungando la mano mi sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Sai, pian piano ti stanno tornando lunghi.»

Già. Da quando qualcuno si era lamentato di quel taglio corto avevo deciso di farmeli allungare di nuovo. Ci avrei messo anni per tornare alla lunghezza di prima ma dovevo ammettere che il capello lungo piaceva anche a me.

«Sì, bé... ora che non devo fingermi Robert... possono tornare come prima.»

Nate mi guardò di sottecchi, si pinzò il labbro inferiore con i denti limitandosi ad annuire e aspettò che uscissi dal Joily. Forse voleva dirmi altro, magari lanciarmi qualche frecciatina pungente. Apprezzai che si tenesse i suoi pensieri per sé e una volta fuori dal locale lo guardai chiudere la porta d'ingresso prima di avviarmi verso casa.

I pensieri mi assorbirono subito. Un passo dietro l'altro. Una preoccupazione dietro l'altra. Una domanda sopra l'altra.

Samuel. La sua morte sospetta. Lattner. Il nostro rapporto contorto. Gli Skulls. Fedeli compagni o traditori?

Mi massaggiai le tempie, incamminandomi verso la strada principale.

Una sensazione di freddo, come un cubetto che scivola giù lungo il collo e la schiena, mi attraversò da capo a piedi. Portò con sé un brivido capace di farmi venire la pelle d'oca, capace di costringermi a serrarmi le braccia attorno al corpo, a farmi da scudo.

Girai lo sguardo in cerca di qualcuno. Le strade erano vuote.

Stavo tornando ad essere paranoica. La vecchia Robin. Quella che camminava con uno sguardo avanti e due indietro, con un coltello nascosto in un posto abbastanza accessibile e la guardia sempre alta. C'era qualcosa che mi tormentava in quei giorni. E sicuramente la nuova scoperta su Samuel aveva smosso qualche preoccupazione covata in profondità.

Aumentai il passo.

Le notti sembravano più buie, piene di ombre, con qualcosa sempre nascosto e pronto ad allungare i suoi artigli per catturarmi. Era una sensazione spiacevole, la sentivo sulla lingua, come il sapore ferruginoso del sangue dopo un pugno. Il cielo si illuminò per un attimo e subito dopo nell'aria si diffuse il fragore di un tuono. Non passò molto che la pioggia scrosciò veloce come un torrente.

«Ah, dannazione! Nate aveva ragione!» Cercai di proteggermi con il cappuccio del giacchetto ma ogni sforzo fu vano perché veniva giù così forte che in men che non si dica mi trovai zuppa fin dentro le mutande. Lanciai un grido disperato verso il cielo e iniziai a correre a perdifiato.

L'acqua creava un compatto scudo simile a una tenda, capace di non farmi vedere al di là di un metro; così densa da rendere i miei movimenti più maldestri e rallentati.

Un fischio sibilò nell'aria, pneumatici che stridono a contatto con l'asfalto e la pioggia. Impuntai i piedi cercando di non farmi investire da qualsiasi cosa stesse viaggiando a quella velocità. Sentii una frenata brusca e sollevai leggermente il cappuccio per vedere meglio.

«Ti stai allenando per le Olimpiadi di nuoto?» Mr. Teschio ciondolò in sella alla moto, la sua voce mi raggiunse a malapena, eppure, riuscì comunque a strapparmi una risata isterica.

«Sei per caso diventato il mio taxi personale? Appari sempre quando mi serve un passaggio.»

Rise. «Sono un tipo dalle mille risorse.»

Roteai gli occhi e avanzai di qualche passo. La pioggia sembrava filtrarmi nella pelle, nelle ossa. Iniziavo a sentire freddo e forse lui se ne accorse perché afferrandomi per un polso mi tirò verso la moto. «Forza, sali.» Un ordine, come sempre. Quando indossava i panni da motociclista aveva il brutto vizio di diventare autoritario, perfino seccante se vogliamo. Scavalcai con un balzo la sella e mi sistemai dietro di lui. «Non ho il casco stasera.»

«Non importa» gridai, cercando di farmi sentire sopra i tuoni e lo scrosciare incessante della pioggia. «Portami via da qui.»

E lui non se lo fece ripetere, sfrecciò via dando un leggero tocco al gas.

Ben presto mi trovai trasportata dal vento, dall'acqua che mi batteva addosso da ogni lato e dalla velocità della moto. Ultimamente, ogni volta che incontravo Lattner in versione motociclista, c'era sempre la pioggia. Era come se il cielo piangesse ad ogni nostro incontro. Un po' triste, a dir il vero.

La sua guida, sebbene il cattivo tempo, riusciva in qualche modo a rilassarmi. I pensieri fluivano leggeri e improvvisamente mi trovavo sola con me stessa. Era rigenerante.

«Ci dobbiamo fermare qua vicino» gridò, girando leggermente la testa. Mi limitai ad annuire.

La moto perse aderenza, giusto un attimo, oscillò brevemente prima di tornare a filare dritta. Serrai la presa attorno alla sua vita e lo sentii irrigidirsi prima che rallentasse. Quando allontanai il viso dalla sua schiena notai che stavamo scivolando dentro un edificio. Scalò una marcia e infine spense il motore accostandosi a un muro.

«Dove siamo?» chiesi, scendendo senza accettare il suo aiuto.

«A casa mia» rispose, vago.

Casa sua era altrove, e io lo sapevo bene. Quella era una specie di bettola piena di murales e dal forte odore di bombolette spray. I muri erano un caleidoscopio di immagini e scritte. Qua e là c'era qualche parolaccia, infarcita da simboli e disegni. In un muro stagliava l'enorme immagine di un teschio, solo il volto. Sul capo aveva una corona che pendeva di lato. Il ghigno sembrava un po' il suo quando si calava troppo nella parte di Mr.Teschio ma vestiva ancora i suoi soliti panni da Mr.Lattner.

«Ti hanno fatto un ritratto.»

Rise. «Visto? Sembro un po' sciupato, non trovi?»

Questa volta toccò a me ridere. Mentre lo seguivo nei cunicoli stretti dello stabile, continuavo a guardarmi attorno e chiedermi se avremmo incrociato qualcuno. Com'erano gli altri della banda? Assomigliavano tutti a Lexie e Märten? Ero curiosa. «Quindi è la tua Tana.»

Annuì, sfilandosi i guanti e passandosi una mano sul casco per asciugarlo. Gli schizzi di acqua mi picchiettarono sul viso come leggeri tocchi.

«E siamo soli?»

Si voltò. «Perché me lo chiedi? Hai in mente qualcosa di sconcio?»

Diavolo, sì! Finalmente!

«Io? Ti pare?» riuscii a balbettare, dissimulando interesse. Bé, provandoci quantomeno.

Aprì con un colpo una porta e finalmente ci trovammo dentro una stanza più piccola, arredata e dall'aria familiare. C'era un tocco di Lattner in quel mescolarsi di oggetti. Era un'accozzaglia di stili ma in quel caos tutto sembrava aver un senso. Mi ritrovai a fissare le pareti con gli innumerevoli poster appesi, una chitarra in un angolo, un divano dall'aria comoda, una pila di libri e tanti altri sparpagliati a terra e ovunque, un carrello porta vestiti pieno di maglie e jeans che non gli avevo mai visto addosso, una scrivania sommersa di carte e un camino. Rimasi immobile al centro della stanza, facendo scorrere lo sguardo avanti e indietro, seguendolo con gli occhi ma non con il corpo. Bevevo ogni dettaglio.

«Accendo questo» disse, afferrando dei legni e gettandoli nel focolare spento. Si piegò armeggiando con alcuni oggetti lì attorno e un attimo dopo una debole fiamma prese a crepitare nel camino. Subito fui travolta dal torpore tenue delle lingue di fuoco. «Avvicinati mentre io cerco qualcosa da bere. Devi scaldarti.»

«Non hai risposto alla mia domanda.» Avanzai di qualche passo, allungando le mani verso il calore. Socchiusi gli occhi compiaciuta. Era piacevole. E in qualche strano modo romantico.

«Se siamo soli?»

«Già.»

«Sì. Lo siamo.» La voce gli uscì bassa, un soffio. Sentii la tensione accarezzarmi la pelle al pari di un'amante indecente. Mi vennero i brividi. «Lo saremo fino a domani mattina» aggiunse, quasi a voler dare un limite di tempo ai miei pensieri.

«Non penso resteremo così a lungo» borbottai, sfregando le mani l'una con l'altra. Mi sentivo tesa. C'era agitazione nella mia voce, come se fosse la prima volta in cui mi trovavo da sola con un ragazzo.

Mr.Motociclista mi raggiunse vicino al camino e con maestria mise a bollire un pentolino di acqua. «Abbiamo del tè... il resto è solo roba forte.»

Osservavo i suoi movimenti con ingordigia, troppo assorbita in lui, troppo coinvolta.

Si sfilò il giacchetto di pelle e lo lanciò su una sedia vuota, girando per la stanza in cerca di qualcosa. Quando fu vicino al carrello porta abiti mi lanciò un'occhiata. «Questi vestiti non sono miei. Sono dei miei ragazzi. Li tengono qui come ricambio.» Non so perché me lo disse ma provai piacere che condividesse con me qualche nuova informazione di lui, di questo lato di sé e della sua banda. Era un passo in più, no?

«Non hai mai pensato di tenerne qui qualcuno anche tu?»

«No. Sono un tipo piuttosto riservato, qui vengo solo in questa forma.» Si toccò i vestiti. «E poi... ho un altro posto dove tengo la moto e i cambi.»

«La tua Batcaverna

Scoppiò a ridere. «Esatto. Bé, in realtà è solo un banale garage vicino a casa mia.»

Ora si spiegava tutto. Si spiegava la rapidità con cui si muoveva da un personaggio all'altro e il modo in cui riusciva sempre a essermi avanti di un soffio. Astuto, non c'era che dire.

«Spogliati se vuoi.»

«Che?» squittii, prima ancora che il mio cervello razionalizzasse una reazione meno imbarazzante.

Mr.Motociclista si girò a guardarmi e poi lasciò scivolare le dita tra le asole della camicia nera, completamente inzuppata e aderente al suo corpo. Un attimo dopo se l'era completamente aperta, mettendo in bella vista il petto scolpito, il piercing al capezzolo, la distesa di addominali e la striscia di peli che spariva nei jeans. Mi trovai a deglutire, pescando qualche sprazzo di pensiero razionale qua e là, nel cervello ormai annacquato dai miei film mentali indecenti.

Si sfilò le scarpe e i calzini e avvicinandosi scalzo al fuoco posizionò una sedia poco distante, di fronte. «Devi mettere ad asciugare i vestiti se non vuoi prenderti un malanno.» Con un gesto fluido lasciò scivolare il tessuto della camicia lungo le braccia, scoprendo prima le spalle e poi tutta la schiena nuda.

Il respiro svanì, tutto d'un colpo. Cercai di tirar aria nei polmoni ma non venne su niente. Ero in apnea. Completamente paralizzata di fronte a quella vista. E non potei far altro che restare immobile a fissargli la schiena: l'enorme tatuaggio di un teschio con la corona gli prendeva tutto il dorso, avvolgendogli le spalle e scivolando lungo i fianchi fino al fondoschiena. Era la cosa più erotica che avessi mai visto in tutta la mia breve e stupida vita. Il fatto che indossasse ancora il casco non intaccava minimamente l'immagine di pura seduzione che il suo corpo rimandava, tanto che quando piegò la camicia e la posò sulla sedia fui travolta dall'impulso di toccarlo. Allungai la mano a un palmo da quella macchia scura che gli segnava la schiena, e in qualche modo lo classificava, e la punta delle dita sfiorò a malapena la sua pelle. Questo però bastò a farlo irrigidire e rabbrividire.

Si voltò verso di me inclinando il capo. «Stai portando avanti un gioco pericoloso, Scorpion Queen.»

Non sapevo che rispondere. Sentivo solo un groviglio di emozioni incastrate in gola, pronte a uscire. Il cuore correva così veloce in petto che i battiti si mescolavano tra loro, senza aver una vera cadenza. «Volevo solo... ecco, sì... vedere il - il tatuaggio» riuscii finalmente a farfugliare.

Lui si avvicinò, dandomi di nuovo la schiena in modo che potessi guardarlo da più vicino. Quando le mie mani si posarono sulla sua pelle fredda lo sentii espirare rumorosamente, inclinando indietro la testa.

«È bellissimo» ammisi, delineandone il contorno. Si sentiva un leggerissimo rialzo della pelle dove era stata marchiata dall'inchiostro. Piccole scariche mi si concentravano dalla punta dei polpastrelli per risalire lungo le dita, fino a perdersi su per le braccia. Avevo la pelle d'oca.

«Fammi vedere il tuo... so che ne hai uno» disse, la voce arrochita da un desiderio trasparente, lampante per entrambi. Si voltò senza che il contatto delle mie mani si staccasse dal suo corpo. Scivolai con le dita sulle sue braccia, sul suo petto, sul piercing al capezzolo, sul ventre.

Trattenemmo entrambi il respiro.

«Il mio non è così grande.»

«Ha davvero importanza?» La sua mano si chiuse sulla mia guancia, pelle fredda contro pelle fredda. Allargò le dita facendole scivolare sulla gola e lo sentii pizzicarmi l'orlo della maglia.

Chiusi gli occhi e lasciai che indugiasse ancora su di me. Sentivo il respiro uscire a fatica, in ansimi faticosi e bisognosi. C'era una certa urgenza in quel mio semplice respirare, una voglia tenuta a freno, un desiderio incatenato. Da quanto lo desideravo? Da quanto tenevo a freno i miei bollenti pensieri?

Mi passai la lingua sulle labbra aride, cercando di non sembrare una ragazzina alla deriva dei propri ormoni. Con mani tremanti raggiunsi il bordo della maglia e la sfilai dalla testa con un unico e fluido gesto. La lasciai cadere a terra, senza nemmeno guardare dove finisse. I miei occhi erano fissi nello specchietto dei suoi occhiali, impenetrabili e al tempo stesso così rivelatori.

Lo vidi abbassare lo sguardo sul mio braccio, quello tatuato. Aspettò un po' prima di toccarmi il disegno, quasi avesse timore. «Una Regina Scorpione e un Re Teschio... che insolita accoppiata» mormorò.

«Lo odio. Mi ricorda sempre il mio passato.»

«È grazie a quello se ora siamo ciò che siamo... e soprattutto, se ora siamo qui.»

Aveva ragione. A volte tendevo a perdermi nel passato senza considerare il presente. Se ora ero lì con lui, se ora ero la Robin migliore, lo dovevo anche alla vecchia me. E per certi versi dovevo ringraziare le mie scelte sbagliate.

«Hai ragione. Solo che... insomma...» Avvampai. «Non è molto femminile.» Non avevo mai detto a voce alta una cosa simile. Era imbarazzante. Soprattutto considerando che io stessa non credevo in un effettivo canone di femminilità. Eppure, essere guardata da lui, con quell'enorme macchia scura addosso, mi faceva sentire meno bella.

«Stronzate! Lo trovo decisamente sexy.»

«Oh, ma falla finita!» Cercai di spostarlo ma afferrandomi per i gomiti mi bloccò. Istintivamente indietreggiai fino a trovarmi chiusa tra lui e la scrivania. Niente vie di scampo. Era la trappola più eccitante nel quale mi fossi mai cacciata prima d'ora. Forse l'unica in cui sarei volontariamente caduta preda.

«Giuro. Non potrebbe essere più perfetto di com'è.» E si abbassò a baciarlo. Le sue labbra indugiarono su ogni lembo dello scorpione, sulla rosa e la corona. Passarono delicate sul pungiglione, quasi temessero di essere punte e di finire vittima del loro veleno. Dalle labbra mi uscì un respiro tremulo, fui costretta ad appoggiare le mani sulla scrivania per non barcollare. La stanza sembrava girare come una giostra.

«Continuo a dirmi che devo fare il bravo ma... tu rendi tutto troppo difficile.» La bocca risalì il mio braccio, un bacio dietro l'altro, fino all'incavo del collo, fino a che non lo sentii compresso contro il mio corpo. Era eccitato tanto quanto me. «Doverti aspettare per anni diventa una tortura.» La sua mano si posò sul mio ventre nudo, salì verso il seno, carezzando con due dita il pizzo del reggiseno proprio attorno al capezzolo.

Dalle labbra mi sfuggì un gemito, chiusi gli occhi e mandai indietro la testa. Di riflesso mi inarcai contro il suo corpo, pronta a tutto, pronta ad accoglierlo, pronta a perdermi in lui e a lasciare che lui si perdesse in me. «Mi hai qui, stanotte. Perché aspettare anni?»

Sentii il calore del suo alito a un palmo dal mio orecchio. «Tieni gli occhi chiusi allora.» Un brivido mi colò a picco tra le gambe, che subito mi tremarono.

Restai con gli occhi chiusi come mi aveva chiesto. Non protestai nemmeno. Almeno per una volta volevo assecondarlo in tutto e per tutto, sperando magari di ottenere qualcosa di più di una semplice pomiciata. Ne avevo bisogno. Avevo bisogno di lui. Avevo bisogno di questo nostro attimo e ad esser sincera, avevo anche bisogno di fare sesso. Era da troppo che continuavo a rincorrere quella fantasia. Io, lui, una cosa sola. Lo volevo. Era inutile continuare a fare la brava ragazza.

Qualche istante dopo, che sembrò durare un'eternità, mi sentii agganciare sugli occhi la solita bandana, i soliti occhialoni. Tutto ben stretto. Tutto posizionato in modo che non lo vedessi per nulla. Armeggiò con qualcosa e poi le sue mani tornarono sui miei fianchi. Un brivido si propagò dal suo corpo al mio, quasi fossimo collegati.

«Ti sei tolto il casco?» domandai. Doveva essere quello il motivo per cui mi aveva bendata.

«Sì, stavo soffocando. Ma temo che il vero problema non fosse quello.»

Allungai le mani alla cieca, cercando il suo viso, i suoi lineamenti ormai a me conosciuti. Le dita gli sfiorarono prima gli zigomi e poi scesero sulla bocca. «Quindi? Che cosa stai aspettando, Mr.Teschio? Davvero vuoi aspettare anni?» Mi sporsi, cieca, in cerca di lui e delle sue labbra che subito raggiunsero le mie e si completarono. Un bacio denso, violento, per nulla gentile o rispettoso. Ci stavamo divorando, come se fossimo esausti di quella attesa, di quel prenderci e lasciarci. Gli affondai le mani nei capelli, stringendoglieli fino a farlo ansimare e venni sollevata di peso. Mi strinse per le natiche lasciando che mi agganciassi a lui.

Il fruscio delle carte che volano e il rumore di oggetti che cadono riempì la stanza insieme ai nostri respiri pesanti. Fui appoggiata sulla scrivania vuota, tra un bacio e l'altro, tra una carezza e l'altra. «Io credo che...» Non gli lasciai terminare la frase. La mia bocca trovò nuovamente la sua, in un bacio che sapeva di proibito e pericoloso. Con le mani rincorsi ogni sua forma, ogni dettaglio del suo corpo, raggiungendo i jeans e stringendoli fino a sentirli affondare nella carne dei palmi. Lo sentii irrigidirsi e si staccò dalle mie labbra, ansimando.

«Sei sicura che la vuoi passare così questa notte di tempesta, ragazzina

«Mai stata tanto sicura fino ad ora.»

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