24 - OGAWA VS O'NEIL
«Dannazione, O'Neil!» La voce baritonale di Mr.Boden si fuse al rumore stridulo del suo fischietto mentre all'ennesima pallonata nello stomaco mi piegavo in avanti per prendere fiato. «Pausa! Pausa! Pausa!» gridò, paonazzo in viso, agitando le braccia. E con gran sollievo dei miei compagni, la partita di pallavolo si fermò il tempo di farmi respirare.
Mi passai le mani sulla faccia, asciugando il sudore con la manica. Ero fradicia.
«O'Neil, che diavolo ti prende oggi?» ringhiò Boden, che si era avvicinato. «Se stai male fila a cambiarti. Non mi servi in queste condizioni.»
Oh, bé... buongiorno e vaffanculo anche a te, Mr.Boden!
Quella mattina sembravo fuori forma. Con la testa completamente altrove. E sapevo anche dove.
Al bacio con Lattner del giorno prima, ovvio, no? Non riuscivo a pensare a nient'altro.
Ogni volta che cercavo di concentrarmi, la mia mente mi riportava lì.
Il letto, noi due, io che lo baciavo, lui che ricambiava il bacio. Niente lingua, eh! Per carità!
E poi... fine dei giochi.
Come il precedente, anche quel bacio era finito nel dimenticatoio; probabilmente non appena le nostre labbra si erano separate. Non so come Lattner ci riusciva. A me sembrava impossibile.
Invece lui aveva fatto finta di niente e con una scusa si era defilato da camera mia. Poi era svanito per tutto il giorno, sera compresa. Non lo avevo visto nemmeno quella mattina, per colazione. Ero filata al Missan guardandomi in giro ma niente... svanito.
A evitarmi era davvero bravo.
«Lasciamo perdere la pallavolo!» Mr.Boden schioccò più volte le dita, attirando l'attenzione di tutti. Se avesse fischiato un'altra volta, il mio cervello probabilmente sarebbe imploso. «Visto che questa mattina mi sembrate tutti particolarmente annoiati... riprenderemo le esercitazioni di autodifesa della lezione scorsa.» Un coro di lamentele si levò dal gruppo di compagni.
Se una parte di me esultò all'idea che finalmente avrei dovuto confrontarmi con Lattner, l'altra si fece prendere dal panico. Mr.Boden mi superò, senza degnarmi di uno sguardo. «Pratt!» Un mio compagno si voltò di soprassalto. «Va' a chiamare Mr.Lattner. Non ha lezione e mi serve come partner per O'Neil.» Pratt schizzò via dalla palestra proprio mentre il mio stomaco faceva una capriola. L'agitazione è una brutta bestia.
Lattner e io. Di nuovo ad allenarci insieme. Dopo il bacio di ieri.
Oh, cielo. Sono agitata. Cazzo, se sono agitata!
Feci un respiro profondo. Inutile farsi prendere dal panico, tanto prima o poi ci saremmo dovuti incrociare di nuovo; in fondo abitavamo solo nella stessa casa, no? Bene. Ma non benissimo, ve lo dico.
«Ti tremano le mani, O'Neil... pronta per un'altra sconfitta?» gridò una delle groupie di Lattner. Era una tizia della mia classe ma credetemi, non ricordo il nome. Le facce di merda di solito son tutte uguali per me.
Si diffusero alcune risatine che una mia occhiata mise subito a tacere.
«O'Neil mettiti seduta nel frattempo.» Mr.Boden mi segnò il pavimento della palestra.
«Potrei fare qualche giro di pista. Così faccio riscaldamento» suggerii.
Certo, non sarebbe servito comunque. Oltre a essere fuori allenamento, non ero ai livelli di Lattner. Ma almeno avrei preparato il mio corpo a ricevere le sue sonore bastonate.
«Forse vuole scappare» disse qualcuno.
«Già. Magari si allena a scappare meglio» disse qualcun altro.
Risate.
«O magari cerca un'arma. I teppisti non combattono mai in maniera pulita, no?»
Altro scroscio di risate.
Dopo l'umiliazione che Lattner mi aveva inferto alla lezione precedente sembrava meno spaventoso farsi beffe di me. Anche per loro, piccoli cuor di leone, che si facevano forza in branco ma da soli si cagavano addosso.
«Silenzio! Silenzio! Ho detto silenzio!» Il fischio di Mr.Boden mise a tacere il brusio di cattiverie che mi stava piovendo addosso.
«La sfido io» disse una voce. E sentirla mi parve un'allucinazione. Strabuzzai gli occhi e la cercai nella folla.
Takeru era lì, con la sua solita indolenza, e mi guardava in una maniera che non sarei mai riuscita a decifrare.
Dopo la sfuriata del giorno prima, quella mattina, non ci eravamo nemmeno avvicinati. Mi aveva ignorato per tutto il tempo, distogliendo lo sguardo e allontanandosi ogni volta che mi era troppo vicino.
Avevo rispettato i suoi tempi ma ora non capivo il perché di quell'intervento. Non aveva senso.
«Ogawa non diciamo sciocchezze. Se ti manda in infermeria con qualche osso rotto il Preside mi farà il culo. Ci tengo al mio posto, sai?» Boden liquidò la proposta con una scrollata di mano. E questo sarebbe bastato al vecchio Takeru per mettersi a tacere in un angolo. Perché per quanto bisbetico fosse, aveva un gran rispetto delle autorità scolastiche.
Peccato che la versione 2.0 di Takeru non avesse nulla a che fare con la vecchia. Si fece largo tra la folla arrivandomi di fronte e parlò a Boden senza degnarmi di uno sguardo, come se nemmeno fossi lì o fossi l'oggetto della discussione. «Posso farcela. Sto prendendo lezioni da mia sorella Etsuko... fa arti marziali.»
Mr.Boden sbuffò, incrociando le braccia al petto. «Non voglio ripetermi, Ogawa. Hai visto lei e Mr.Lattner la volta scorsa, no? Non sei all'altezza.»
Una scintilla di rabbia attraversò rapida come un fulmine l'espressione già contrita di Takeru. Serrò le labbra in una linea dura ma quando parlò il tono uscì gentile. Peccato che il suo sguardo dicesse tutt'altro. «La terrò occupata giusto il tempo dell'arrivo di Mr.Lattner.»
Silenzio. Sul volto di Boden spuntò un sorrisetto divertito. Con ogni probabilità era meno politically correct di quanto cercava di sembrare. «E va bene. Solo qualche minuto.»
Mi voltai di scatto, sorpresa. «Cosa? No. Non posso.»
Takeru sbuffò una risata, avanzando di qualche passo in mia direzione. Sembrava determinato. Sì, determinato a farmi perdere le staffe e prendersi due schiaffi. «Hai paura che riesca a batterti, O'Neil? Tranquilla, ci andrò piano.» Fu così arrogante che mi ci volle qualche secondo per ricordarmi che quello che avevo di fronte era sempre lui, sempre il mio Takeru. E poi, da quando mi chiamava O'Neil? Era una vita che non usava più il mio cognome.
«Che diavolo cerchi di fare, baka?» sibilai. L'insulto in lingua lo fece sussultare e per un attimo il viso gli prese il solito colorito rossastro. Solo che si riprese subito, scattando indietro e scoccandomi un'occhiata truce. Sembrava cercasse di mantenere a tutti i costi un distacco che non gli si addiceva. Non con me, per lo meno.
«Cerca di capirlo da sola. Non posso sempre farti un disegnino, non credi?»
Trasalii. «Io non – non posso attaccarti come se...» ... come se non fossimo amici.
Takeru non era Lattner. Non era un teppista o qualcuno che aveva vissuto per strada in grado di fare a botte. Era un ragazzo normale, molto intelligente e poco avvezzo alla violenza. Nella sua natura non c'era alcun interesse per questo genere di cose.
Io non potevo farci a botte. E non volevo.
«Mi rifiuto.» Categoricamente.
«Perché?» sbottò Takeru. «Pensi di essere migliore di me? È per questo?»
«No. Mai.» Avanzai di qualche passo allungando la mano per toccarlo; lui si ritrasse. «Io non penserei mai una cosa simile. Lo sai. Sei una delle persone a cui tengo di più.» Si levarono alcuni fischi di scherno. Diversi compagni impugnarono un violino immaginario.
Sì, be'... sembravo ridicola, okay.
Gli occhi di Takeru s'incupirono, riempiendosi di qualcosa molto simile all'angoscia. Era tormentato. Era evidente. Eppure sembrava non volerne parlare e io non sapevo più come aiutarlo. Distolse lo sguardo e mi diede le spalle. «E allora lascia che ti sfidi, no?»
«Io non...» La voce si incrinò. Fui costretta a deglutire per parlare senza sembrare in procinto di piangere, come effettivamente ero. «Non so cosa ho fatto per farti arrabbiare così tanto, Take. Credevo potessimo risolvere ogni cosa insieme ma...» Espirai. Sentivo gli occhi colmi di lacrime e lo sguardo di tutti puntato addosso. «Lo so. È colpa mia. Sono sempre io che rovino tutto... a volte nemmeno me ne accorgo. Mi dispiace davvero tanto, Take. Vorrei... vorrei poter rimediare.»
«Non puoi.» Takeru strinse i pugni. Le spalle gli sussultarono leggermente. «Puoi solo cercare di... capire!» Roteò la gamba con una velocità e una precisione magistrale. Un sidekick. Un calcio rotante laterale degno di uno che ha già fatto a botte a sufficienza, nella sua vita, da saper dove e con quanta potenza colpire. Riuscii a sollevare il braccio in tempo per pararmi il fianco. Il colpo si schiantò contro l'avambraccio e barcollai indietro. «Devi capire, Robin! Devi capire, cazzo!»
«Capire cosa?» gridai, parando un'altra sequenza di colpi. Era veloce. Era bravo. Da quando riusciva a muoversi così?
Proruppe in un grido, afferrandomi per un polso e tirandomi verso di sé. Non lo avevo mai visto così scosso, non sapevo come comportarmi. Ciò che mi era chiaro sopra ogni cosa, era che non avevo alcuna intenzione di combattere con lui, nemmeno per finta, nemmeno sotto la supervisione di Mr.Boden in un'area controllata e scolastica. Quella era la mia unica certezza.
Aprendo la mano lo colpii al petto, facendolo indietreggiare. Se lo massaggiò e mi tornò a guardare con quello sguardo pieno di rancore. «Non stai facendo sul serio» sibilò, sferrandomi un pugno.
Lo evitai per miracolo, incespicando nei miei stessi piedi.
Per poco non caddi.
«Chi te lo fa credere? Mi sto difendendo, no?»
«Stronzate. Stai solo parando!» Attaccò di nuovo.
Un calcio. Una gomitata. Una raffica di pugni.
Mi trovai contro il muro della palestra e per sottrarmi all'ennesima scarica di colpi dovetti abbassarmi e scivolare in terra. I pantaloni della tuta si lacerarono in prossimità delle ginocchia. Probabilmente me le scorticai visto che il tessuto si tinse di rosso. Gli concessi un'occhiata veloce prima di gattonare via.
Alcuni compagni iniziarono a gridare il nome di Takeru. Non mi sorprendeva. Non sono mai stata la favorita.
«Vedi? Continui a scappare!» Riuscì ad afferrarmi per una caviglia, strattonandomi con forza verso di sé. Cercai di impiantare i gomiti in terra, per rendergli le cose più difficili, ma la mia resistenza gli fece solo aumentare la stretta.
Più lo cercavo di schivare, più si infuriava. Più ignoravo i suoi colpi, più diventavano feroci.
«Ti dico che non è così.» Sollevando il piede libero lo calai sulla sua mano, colpendogliela di tacco. Mollò di scatto la presa, facendo una smorfia. «Visto?» Mi risollevai in piedi con un salto.
Con la coda dell'occhio notai Lattner entrare in palestra. Rimase in disparte, a guardare. Non sembrava per nulla felice di quello scontro, aveva un'espressione cupa in viso. Sembrava il cielo che si prepara a una tempesta.
«Perfetto. Era quello che volevo.» Takeru si ravviò stizzito i capelli e ora che ci facevo caso, i muscoli delle braccia e del petto erano aumentati. Non sembrava più il giapponese mingherlino di qualche mese prima. Si stava allenando per davvero.
«Era quello che volevi? Ma di che cazzo stai parlando, eh?» Schivai un pugno e mi piegai usando l'avambraccio per spingerlo indietro. Impuntò i piedi in terra e usando entrambe le mani mi colpì. Così forte che volai con la schiena contro una pila di attrezzi.
L'aria mi uscì dai polmoni con un rantolo. Crollai in avanti, cercando di riprendere fiato, tastandomi un fianco. Una fitta si diramò in tutto il corpo, attraversandomi come un fulmine. «Basta, Take... non voglio. Se dobbiamo chiarire le cose facciamolo diversamente perché-» Non feci in tempo a finire la frase che mi sollevò di peso, sferrandomi un pugno nello stomaco. Spalancai gli occhi e tossii. Per non crollare a terra fui costretta a stringergli una spalla. «Take... ma che...» Non riuscivo a respirare. Mi lasciò andare e mise distanza.
Rimasi in piedi per miracolo, con il respiro che usciva a scatti e la mano ancora premuta contro un fianco.
Stavamo dando un bello spettacolo ai nostri compagni. La palestra era piena delle loro grida.
Eve e Beth erano ferme in un angolo. Avevano gli occhi pieni di paura e lacrime. Eve singhiozzava di tanto in tanto.
«Forza! Attaccami.»
«No.» Non volevo. Non lo avrei fatto. Qualsiasi fosse stato il nostro problema non lo avrei mai risolto con le botte. «Picchiami pure se vuoi... ma non starò ai tuoi giochetti del cazzo.»
Si scagliò verso di me, alzando un braccio ma colpendomi al fianco con una ginocchiata. Scivolai in terra battendo le ginocchia sbucciate. Di riflesso sferrai un pugno al pavimento, gridando, scaricando in terra la frustrazione. Faceva male. Un male cane.
«Alzati, Robin. Alzati.» Era furioso. E non so se lo era più per il fatto che gli stessi permettendo di suonarmele o più perché non stava traendo il giusto piacere da quel confronto.
«Che cosa vuoi dimostrare, eh?» le parole mi uscirono a fatica, divorate dal fiatone.
«Sto cercando di mostrartelo ma non mi stai rendendo le cose facili.» Avanzò di qualche passo. «Combatti contro di me.»
«Ho. Detto. No.» ringhiai, scandendo le parole una ad una e facendo slittare una gamba avanti usai la spinta per colpirlo a mani aperte al petto. Travolto dall'impatto barcollò indietro, turbinando su se stesso. Nel fare una giravolta mi sferrò comunque uno schiaffo in pieno viso. La testa mi scattò di lato e quando mi toccai le labbra le dita si macchiarono di sangue.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime ma le ricacciai indietro con forza. No. Non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi piangere.
Lattner si staccò dal muro contro cui era poggiato ma non ci raggiunse. Lo vidi tentennare. Ero certa volesse intervenire. Gli diedi le spalle.
«Allora non mi lasci altra scelta... non mi resta che umiliarti.»
La raffica di pugni che mi diede un attimo dopo fu addirittura più veloce delle precedenti. Ne riuscii a schivare solo qualcuno, gli altri andarono a segno quasi tutti, uno mi centrò perfino lo zigomo. Quando vide che avevo preso il suo ritmo, prevedendo le mosse, slittò di lato e muovendo la gamba lateralmente mi diede un colpo al polpaccio.
Indietreggiai. Avevo il fiatone.
Era bravo. Nulla da dire. C'era qualcosa nelle sue mosse che mi ricordava qualcuno. Qualcuno che ci stava osservando in silenzio e con occhi brucianti come braci. Se prima di allora lo avevo soltanto ipotizzato, ora ne ero del tutto certa: Takeru stava prendendo lezioni da Lattner. Forse era questo che voleva capissi? Che lui e Mr.Teschio si erano avvicinati? Capivo quanto gli fosse difficile tener quel fardello, non era un segreto da nulla. Solo che lui non sapeva che io sapevo l'identità di Lattner ancor prima di lui.
Arg, che casino!
«Dobbiamo parlare.» Lanciai un'occhiata alle mie spalle. Mancava poco e mi sarei trovata all'angolo di nuovo.
«Non ignorarmi! Cazzo!» Ruotò la gamba, rapido e implacabile. Mi preparai all'impatto giusto in tempo, bloccandogliela contro il fianco a scapito del contraccolpo, che ancora una volta, mi svuotò l'aria dai polmoni. Quando capii che era bloccato impresse tutta forza nella gamba sollevata, pronto a sollevare l'altra e colpirmi al viso.
Mi avrebbe fatto un bel livido se ci fosse riuscito. O magari spaccato qualche osso. Non potevo permetterlo. Con la mano libera lo agguantai per la maglia e portando indietro il corpo mi lasciai cadere a peso morto.
«Cos-» gridò, prima di esser trascinato insieme a me sui materassini alle nostre spalle. Lo vidi arrossire fin sulle orecchie non appena si accorse di essermi sopra, a cavalcioni, ma ciò non gli impedì di tentare a colpirmi ancora.
Rotolò di lato e mentre lo faceva allungò un braccio arpionandomi la maglietta. Mi trovai soffocata dal bordo del colletto. Per liberarmi lo colpii nella piega dei gomiti ma lui rispose con una testata.
Sentii colare il sangue lungo il viso. Non mi aveva spaccato il naso ma di certo non ci era andato leggero. Cercai di pulirmi con le mani ma Takeru non sembrava ancora soddisfatto. Mi bloccò per i polsi, stringendoli fino a strapparmi un grido, tirandomeli sulla testa. Mi divincolai senza risultato, rabbiosamente. E finalmente Boden fischiò la fine dell'incontro.
Avevo perso. Era chiaro.
Takeru ghignò, soddisfatto. «Allora? Come sono andato?» Aveva il fiatone e un sorriso vittorioso a increspargli le labbra. Mentre io mi sentivo svuotata, ferita. E non solo per le botte prese.
Cosa lo divertiva di più? Avermi pestato? Aver dimostrato di sapermi tener testa? Aver fatto a pezzi la mano che gli tendevo?
Dannazione! Lui era la mia mano tesa! La mano che mi stringeva nella tempesta e che mi sorreggeva nei momenti bui. E io era la sua. Com'era potuto succedere tutto questo? Come avevamo fatto ad arrivare fino a questo punto?
Aveva detto che mi avrebbe umiliato. Bé, c'era riuscito. Complimenti.
I miei occhi si riempirono di lacrime, i suoi di sorpresa. Gli arrivai uno schiaffo che nemmeno tentò di schivare. Si limitò solo a toccarsi la guancia, turbato. «Sei proprio uno stupido, Takeru» gridai, alzandomi di scatto dal materassino e lasciando la palestra piangendo.
In un angolo, Lattner ci osservava, le braccia conserte e uno sguardo capace di incenerire l'intero inferno. Gli sfrecciai davanti senza nemmeno guardarlo.
Fanculo anche a lui!
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