20 - VOLO D'ANGELO PT.2
La calca si estendeva per metri e metri, abbracciando le moto che presto sarebbero dovute partire per il giro. Si sentivano grida euforiche e frasi eccitate; la gente continuava a parlare, a spingere, a cercare il posto migliore per assistere alla corsa. Il fatto che gareggiasse il Re dei Teschi sembrava aver mandato tutti su di giri. Le voci erano corse in fretta e c'era molto più pubblico di quanto ne avevo visto al nostro arrivo.
Un covo di teppisti trepidanti berciava senza contegno, lanciando imprecazioni, ridendo smodatamente e puntando i propri soldi sul bolide che pensavano fosse più promettente.
A quando pareva, sebbene per Mr.Teschio fosse il primo Volo d'Angelo, molti credevano che avrebbe vinto. E in parte lo speravo anche io, nonostante si dica che ciò che conta realmente è partecipare.
«Sei pronta, ragazzina?» la voce bassa e calda di Lattner mi colse alla sprovvista mentre il mio sguardo si perdeva nella folla. Sentivo l'agitazione serpeggiarmi sotto pelle. Mi dava i brividi.
Nella mia vita spericolata da teppista avevo fatto delle corse, sì; ma il Volo sembrava qualcosa di molto differente. A fianco di ogni moto c'era una coppia, un uomo e una donna. Era una corsa combinata. E per qualcosa del genere ci voleva determinazione, affinità, coordinazione e fiducia. Non ero sicura di essere così tanto in sintonia con Mr.Teschio, eppure, lui sembrava non aver dubbi su di noi.
«Ma se ancora non mi hai nemmeno detto che devo fare» brontolai, raggiungendolo. Era da quando aveva puntato su di noi che si era immerso in un controllo approfondito della moto. Sapevo che era un suo modo per scaricare la tensione e assicurarsi che fosse tutto a posto ma ciò non cambiava il fatto che mi stesse ignorando. Oltretutto ancora non mi aveva spiegato nulla.
Si voltò verso di me rivolgendomi un sorriso sghembo. Era ancora piegato in terra, ad armeggiare con i poggiapiedi della moto. Era la quinta volta che ne saggiava la resistenza. «Hai ragione. Ma è più facile passare ai fatti che spiegarlo.» Si alzò dandosi alcune pacche ai jeans strappati e mi venne incontro. Ancora non mi aveva toccato che subito la pelle iniziò a formicolare, come se riconoscesse la sua presenza. Il mio corpo, traditore, reagiva a lui, si concedeva con una facilità disarmante.
Abbassai lo sguardo sentendo il viso andare a fuoco, tagliando il contatto visivo e sperando non notasse questa mia debolezza. Non volevo sembrargli una disperata in cerca di attenzioni e sapevo che il mio viso e le mie espressioni erano un libro aperto un po' per chiunque. Difficilmente riuscivo a nascondere ciò che pensavo o provavo.
Le sue mani guantate mi afferrarono i fianchi con decisione. Fu un tocco autoritario ma anche lento e calcolato, quasi aspettasse che mi sgretolassi tra le sue dita. Presi silenziosamente una boccata d'aria e quando il suo corpo si avvicinò al mio l'agitazione iniziò a vorticarmi nello stomaco come una girandola. Il calore si estese tra noi. Sembravamo due braci pronte a fondersi e divampare insieme. «Hai paura?» domandò, piano. La voce ridotta un bisbiglio. Tenni la testa china, sentendo le gote pizzicare. L'aria mi uscì dalle labbra con un sibilo mentre cercavo di non pensare alle sue mani sul mio corpo, sui miei fianchi; mentre indugiavano come se desiderassero qualcosa di più. Ne staccò una e portandosela alle labbra addentò il guanto, sfilandolo e mettendolo nella tasca dietro dei jeans. Quando la posò nuovamente sul mio fianco fui attraversata da una scarica di brividi.
«Dovrei?» rantolai, sobbalzando. Le sue dita, nude, prive di guanto, erano scivolate sotto la mia maglietta, a contatto con la pelle. Pelle a pelle. Continuava a strofinarle sui miei fianchi in lenti e concentrici movimenti. Con il pollice tracciava una linea che risaliva fino a toccare il ferretto del reggiseno, e poi tornava giù sui fianchi.
Era eccitante e frustrante. Appena lo sentivo risalire con la mano, volevo di più. Smaniavo perché toccasse, prendesse, togliesse quegli strati di indumenti che ci separavano; e invece, tornava al punto di partenza. Iniziavo a pensare fosse una tortura e si divertisse a eccitarmi solo per fare poi un passo indietro all'ultimo.
«Non questa volta» rispose. La mano risalì, le dita giocarono col pizzo del reggiseno finché non mi uscì un brontolio contrariato che lo fece sghignazzare. Volevo di più e lui non me lo concedeva. Si trastullava con i miei impulsi, fino a trascinarmi sull'orlo della frustrazione sessuale. Forse sperava lo pregassi. «Sei sempre così impaziente...» mi rimproverò, ma la mano continuò la sua corsa, i polpastrelli segnarono una scia incandescente sul sottile tessuto che li separava dal mio seno. Lo sentii indugiare sul capezzolo, tamburellò indice e medio lì sopra, facendo anche giri concentrici tutt'attorno. Sussultai e strinsi le gambe imbarazzata. Una vampata di caldo mi travolse costringendomi ad arpionargli il giacchetto.
«Sia – siamo sicuri che dobbiamo per forza gareggiare?» Il tono che usai fece assumere alla domanda una sfumatura indecente. Non che non lo volessi, ovvio; ma speravo di essere più discreta, meno trasparente. E invece il mio viso tradiva il desiderio che continuava a crescere, crescere... sempre di più.
«Potremmo andarcene, sì... ma lo scopo di questa gara è strapparti dai tuoi pensieri tristi.»
Pensieri? Quali pensieri?
Perché da quando lo avevo incontrato fuori dal Joily il mio cervello aveva smesso di funzionare.
«Oh, credimi... ci stai riuscendo anche senza bisogno della gara.» Non avrei dovuto dirlo, eppure mi uscì di getto. Era impensabile che riuscissi a restare impassibile a quelle mani, a quei comportamenti provocatori e indecenti.
Mr.Teschio scoppiò a ridere. Una risata virile, di chi sa di piacere, di chi sa di cosa è capace. Si prese quel complimento senza ringraziare, consapevole dell'effetto che mi faceva. E questo un po' mi fece imbestialire perché io non sapevo mai che effetto facevo a lui. «Lieto di sentirtelo dire.» Si abbassò su di me e questa volta non distolsi lo sguardo, mi persi dentro le lenti riflettenti degli occhialoni vintage sperando che un giorno avrebbe trovato coraggio di toglierli, di mostrarsi. Lasciò scivolare la lingua tra le mie labbra, il piercing fece attrito e rabbrividii. Mi baciò con delicatezza, coprendo la mia bocca con la sua, muovendosi come se nella vita non avesse fatto altro che baciare donne. E un po' lo temevo. In fondo, non sapevo nulla del suo passato. E non si poteva certo dire fosse un tipo senza fascino. «Dobbiamo andare» biascicò, senza staccarsi. Strinsi la presa sul giacchetto, sperando che quel bacio durasse più del previsto e quando si allontanò da me presi un respiro. Sentivo le gambe tremare e un calore lussurioso avvolgermi da capo a piedi, concentrato nel basso ventre. Non c'era corsa che reggeva confronto con le sue attenzioni.
Si rimise il guanto e afferrandomi la mano mi trascinò verso la moto. «Guidi tu, vero?» domandai, cercando di stare al passo.
Si voltò un attimo, lanciandomi un'occhiata, le labbra curvate all'insù in un sorrisetto divertito, di scherno. «E chi, sennò? Tu?»
«Guarda che la so guidare una moto, eh.»
Sbuffò una risata e quando fummo in prossimità del veicolo mi lasciò indietro per ricontrollarlo brevemente, di nuovo. Quando si sollevò sorrise. «Forza! Vieni qui!» Diede una pacca affettuosa alla sella e allungò il braccio.
Lo raggiunsi tesa come una corda di violino e quando mi appoggiò le mani sui fianchi sperai volesse riprendere da dove avevamo lasciato pochi istanti prima, invece mi sollevò di peso mettendomi cavalcioni della moto. Dalla tasca tirò fuori una benda e ghignò.
«Non mi piace quando fai così, sai?» borbottai, con un finto broncio che lo fece ridere. «Non capisco mai cosa ti passa per la testa!»
«Hai sempre da protestare. Sei proprio impertinente, eh?» Mi strizzò il naso con due dita. «Comunque adesso sono io a comandare. Farai bene a fare tutto quello che ti dico o...» lasciò cadere la frase a metà.
«O cosa? Mi sculaccerai?» Mi bastò dirlo che il pensiero mi procurò un'intensa vampata di calore.
Mr.Teschio si passò la lingua sulle labbra in un gesto eccitante quanto pericoloso. Per un attimo mi parve sul punto di prendermi, tirarmi giù dalla moto e trascinarmi chissà dove. Magari a sculacciarmi per davvero. Invece le mani si strinsero sul manubrio e la pelle dei guanti scricchiolò. «Quello lasciamolo per dopo... è qualcosa potrebbe piacere a entrambi...e magari durare più del previsto.» La voce roca fu come una frustata, mi scosse da cima a fondo. Fui travolta dai brividi. Lungo tutto il corpo. Lungo le braccia, le gambe, fino a sciogliersi dentro una parte intima e bollente di me.
Avvampai e distolsi lo sguardo ma subito mi sentii picchiettare sulle gambe e questo attirò la mia attenzione. «Metti i piedi sui pedali, ragazzina.» Feci come diceva. Si allungò verso di me con la benda tra le dita e lo sentii armeggiare contro il mio viso. Un attimo dopo mi trovai bendata, il nodo stretto sulla nuca. Buio completo. «E ora in piedi. Forza!»
«Co - cosa? In piedi sulla moto?» Non ci vedevo un accidente.
Rise. «Esatto. In piedi sulla moto.»
Mi sollevai cercando di non perdere l'equilibrio, ondeggiando pericolosamente sui poggiapiedi striminziti. La moto oscillò mentre lui prendeva posto davanti a me e dovetti appoggiarmi alle sue spalle per non cadergli addosso, in avanti. Il tutto, alla cieca, andando a tentoni nel vuoto. «Io non credo di...» Barcollai.
Merda. Qui mi ammazzo.
«Devi tenere le braccia allargate. È un Volo d'Angelo, ragazzina... non la morte del cigno.»
Rantolai. «Bendata, in bilico su una moto... e con le braccia aperte stile Titanic? Ma ti ha scoreggiato il cervello?» berciai.
Mentre cercavo di restare in equilibrio senza dovermi appoggiare alla sua schiena sentii le sue mani sulle gambe, risalire fino alle ginocchia; le strinse debolmente e le ancorò contro i fianchi. Il fatto che non lo vedessi rendeva tutto solo più eccitante. «Tienile ben strette. Stringimi come se...» Esitò. «...come se mi stessi cavalcando.» L'aria mi uscì dai polmoni con un sibilo e un'imprecazione. Ero bendata ma non c'erano dubbi che fossi arrossita violentemente, il viso mi scottava come se lo avessi avvicinato al fuoco. Fui tentata di levarmi la benda ma un fischio e delle grida mi fecero capire che ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. La moto si mosse piano, probabilmente allineandosi con le altre. Senza la vista tutti gli altri sensi erano amplificati. I rumori sembravano avvolgermi da ogni angolazione, il freddo mi correva sulla pelle e c'erano milioni di odori nell'aria. Il mondo sembrava diverso. Io lo sembravo.
Lattner mi toccò le gambe, ricontrollando la stretta delle mie ginocchia sui suoi fianchi. Ogni volta che lo faceva sentivo partire dal punto in cui mi toccava una scarica, che risaliva le cosce e si infilava in posti indecenti, affondando nella mia mente come una freccia e smuovendo pensieri libidinosi poco degni nel mentre di una gara clandestina. La voglia di farci sesso non c'entrava assolutamente nulla con quella gara, ma più passavano i minuti più pulsava viva in ogni angolo del mio corpo e della mia mente.
Sta calma, Robin! Sta calma e cerca di pensare solo alla gara...
Eh, era una parola!
«Asseconda i miei movimenti. Resta a braccia aperte e lasciati andare. Prendilo come un momento tuo, privato... per volare via... per lasciar volare via ogni pensiero brutto.» Era carino da parte sua aver fatto tutto questo per me, per risollevarmi di morale e strapparmi dalle mie preoccupazioni; soprattutto considerando che anche per lui quel Volo era il primo. Ci sapeva davvero fare con le ragazze. E forse nemmeno si sforzava. «Fidati di me.»
Non gli risposi, troppo tesa, troppo in attesa.
Temevo che da un momento all'altro mi sarei sfracellata al suolo non appena ci sarebbe stato il fischio d'inizio. Eppure, al contempo, sapevo che non sarebbe stato così. Mi fidavo di lui, ciecamente. E per quanto l'ansia e la paura strisciavano vilmente sotto pelle, sapevo che non c'era nulla di cui preoccuparsi se era lui a guidare la moto.
Stavo per chiedergli di non esagerare, di non andare troppo forte, quando nell'aria qualcosa iniziò a cambiare. Improvvisamente tutto tacque. Un silenzio pesante e insolito calò sulla pista. Non volava una mosca. Non si sentiva nemmeno il brusio sommesso di qualche commento detto a denti stretti. Sembravo solo io, eppure sapevo di non essere sola. Era come se il mondo fosse sparito, come se fossi finita in una stanza buia e priva di pareti. La sensazione era affascinante e spaventosa al contempo.
Mi sentivo sospesa nel vuoto, pronta a cadere.
Tesi le orecchie in ascolto, le moto presero a sgasare. Un peso della consistenza di un macigno si depositò sul mio petto e trattenni il respiro finché un fischio si levò nell'aria, mescolato a un brusio denso di grida euforiche e frasi esultanti. Le moto partirono con un rombo simile al ruggito di una bestia.
Sentii lo strappo, l'accelerazione. L'aria nei capelli, sul viso, sul corpo.
Le mani aperte come un angelo, il volto rivolto al cielo buio, gli occhi ciechi, la mente aggrovigliata nei pensieri, le paure tutte incastrate in gola in un urlo che non riusciva a uscire.
La moto rombava sotto di me, contro di me, la sentivo spingersi a velocità estreme.
Lattner guidava fluido come un'onda, curvando come in una danza, trasportandomi alla deriva.
«Lasciali andare, Robin!» gridò, accelerando ancora, mentre il mio corpo si inarcava contro la forza del vento. «Lascia che i brutti pensieri volino via!»
Le sue parole mi travolsero, come un ordine, come una richiesta a cui non potevo non dare ascolto.
Aprii la bocca per respirare e invece mi uscì un grido liberatorio, che si perse nell'aria, nel vuoto, nel buio.
Il peso sullo stomaco sembrò sgretolarsi, volare via. Il groviglio di pensieri, paure, preoccupazioni si districò scivolando lontano.
E mi persi.
Persi ogni contatto con la realtà, ogni controllo di me, del mio corpo, della mia mente.
Mi lasciai cullare dal vento, dal buio, da quella sensazione di sospensione e nulla che la benda mi stava regalando. Rimasi incastrata in quel momento perfetto. Un momento fatto di nulla, di pace, di perdita e assenza.
Fu un tempo brevissimo che parve infinito. Secondi interminabili che il mondo sembrò allungare per farmi godere di quell'istante di puro abbandono, dove io non ero io, dove niente esisteva, dove i pensieri non c'erano e la mente era sgombra.
La moto si fermò facendomi oscillare in avanti, persi l'equilibrio e fui costretta ad appoggiarmi interamente alla schiena di Mr.Teschio, abbracciandolo da dietro. Le sue dita mi raggiunsero il viso in una carezza e un istante dopo mi sfilò la benda. Ogni cosa sembrò tornare al suo posto, tassello dopo tassello, come un puzzle che prende vita sotto lo sguardo esperto del suo creatore. Lui mi sorrideva raggiante, come il sole, come un dio. E io sorridevo di rimando, elettrizzata e felice, ancora febbricitante dalla corsa ed eccitata. Gli afferrai il viso baciandolo, prendendogli le labbra tra i denti con un'urgenza che non credevo potesse sfuggire così facilmente dal mio controllo. Ma lui non sembrò preoccuparsi del mio gesto irrazionale, rispose al bacio con decisione, facendo scivolare un braccio attorno alla mia vita. In un attimo mi ritrovai catapultata davanti, seduta sul serbatoio della moto, con le gambe sulle sue e la gonna arricciata sulle cosce. Inarcai la schiena contro il manubrio mentre le nostre lingue si carezzavano, si rincorrevano; intrecciandosi in un bacio pieno di evidenti e bisognose richieste. Volevamo di più, entrambi. Era così chiaro. «Abbiamo vinto» ansimò, contro la mia bocca.
«Non ne avevo alcun dubbio.»
La gente arrivò a frotte, correndoci incontro e gridando. Il Re dei Teschi era una celebrità già prima di allora ma dopo quella gara sembrava aver acquisito ancor più seguaci. Non c'era persona che non si complimentasse, o teppista che non lo toccasse, quasi fosse una rockstar.
«Riesci sempre a sorprendermi» disse, la voce di Marshall, in mezzo alla folla. Molte persone si spostarono al suo passaggio e quando ci fu sotto allungò una mano verso Lattner che la strinse energicamente.
«Che ti avevo detto, eh? Non sminuisco mai le mie capacità quando ne sono totalmente consapevole.»
L'altro ghignò e mi rifilò un'occhiata divertita. «Bé, allora buona fortuna, ragazzina. Te ne servirà parecchia con un tipo egocentrico come lui.»
Stavo per chiedergli qualche delucidazione, più incuriosita che preoccupata, quando diversi lampeggianti blu e delle sirene della polizia ci raggiunsero a velocità spiegata. Guardai quella manciata di auto raggiungersi come una marea, incastrandosi in modo tale da impedirci la fuga.
«Cazzo! La polizia!» imprecò Mr.Teschio, accendendo la moto con un colpo al pedale e una sgasata.
Il caos divampò come un incendio. La gente iniziò a gridare e scappare. Tutti se la diedero a gambe, perfino Marshall, con quella sua espressione composta e placida in viso, schizzò verso una moto e sparì dalla vista.
Ciò che un attimo prima era un ritrovo clandestino presto iniziò a smantellarsi pezzo dopo pezzo, con moto e macchine che si disgregavano in ogni direzione, portando via elementi qua e là.
Io d'altronde ero ancora sul serbatoio della moto, a cavalcioni di Lattner. Guardavo quel sciamare di delinquenti come si può guardare un evento raro e affascinante. Non avevo idea di come ce la saremmo cavata ma ero certa che se ci avessero beccato sarebbe stato un grosso problema. Sia per me che per lui. Soprattutto per lui.
«Tieniti stretta... facciamo un'altra corsa» bisbigliò contro il mio orecchio, partendo. La moto scivolò via veloce, tagliando in mezzo alla folla, immettendosi in una strada trafficata, infilandosi tra le auto, seminando i poliziotti che avevamo alle calcagna. I lampeggianti e le sirene dietro di noi ci rincorrevano come in quei film che eravamo soliti vedere di sera, sul divano, aggrovigliati nei nostri plaid.
Con una imprecazione Lattner virò bruscamente, girò per vie poco illuminate, per scorciatoie sconosciute, guardando di tanto in tanto dietro di sé nella speranza che nessuno ci seguisse. Ben presto infatti ci trovammo soli. Il trambusto, l'agitazione della gara, l'euforia della vittoria... tutto sembrava averci lasciato.
Lattner svoltò ancora e ci infilammo nel sotterraneo del garage di un centro commerciale. Il buio si chiuse su di noi come una tenda e ben presto anche il rumore della moto si affievolì, finché non spense il motore.
«Bene. Direi che li abbiamo seminati» disse, sollevato, carezzandomi il viso. Le sue dita rimasero immobili sulla mia guancia e quando si accorse di quel fugace attimo d'esitazione le ritirò velocemente, schiarendosi la voce con un colpo di tosse.
Scendemmo entrambi dalla moto e ne approfittai per sgranchirmi le gambe. «Diavolo! È stato... non so! Stupendo!» L'euforia che trapelava dal mio tono di voce era sincera e a stento trattenuta. Non volevo dargli l'idea di una ragazzina esaltata che non riusciva a calmare il proprio entusiasmo eppure l'adrenalina non accennava a svanire.
«Sono felice che ti sia piaciuto.»
Lo cercai nel buio, scorgendo solo la sua sagoma. «Quando si tratta di te, è difficile che qualcosa non mi piaccia. Sai sempre cosa fare con me, anche se sono una tipa ingestibile.»
«Non così tanto ingestibile» mi corresse, raggiungendomi, lasciando che i nostri corpi si sfiorassero.
Mossa da una necessità impellente, da un desiderio sconfinato, allungai le mani verso il suo viso, toccandogli la pelle fredda e il casco. Lui me le bloccò quasi temesse che potessi sfilarglielo e rivelare il segreto che custodiva sotto. «Vorrei solo...» Baciarlo, toccarlo. Averlo solo per me, almeno un istante. «Vorrei solo toccarti il viso, i capelli, la bocca... senza – senza tutto questo...» Gli rivelai, picchiettando le nocche sul casco e gli occhialoni.
«Mi spiace, ragazzina... vorrei ma...»
«Ti prego. Non dirmi di no. Alla fine, cosa vuoi che veda in questo buio?» Allargai le braccia segnando il garage. Era buio pesto a parte una flebile lucina di servizio, a malapena riuscivamo a scorgere i nostri corpi e i nostri movimenti e quella fioca luce verde sembrava confondere ancor più le cose.
«Aspetta! Ho un'idea.» Si sfilò la bandana con il teschio e me la imbucò lasciandola arricciata sugli occhi. quando feci per abbassarla mi bloccò le mani. «No, no, no. Lasciala lì o svanisce la magia.»
Abbandonai le braccia lungo i fianchi, sospirando esasperata. Sentivo le mani prudere dal desiderio di toccarlo, di assicurarmi ancora una volta che fosse lui, il mio Lattner. Ero così impaziente che grugnii e lui sghignazzò.
Lo sentii armeggiare con la cinghia del casco e poi mi calò sugli occhi anche i suoi occhiali vintage. «Per precauzione» disse, incastrandoli in modo che mi appiattissero ancor più la bandana sugli occhi. Se prima nel buio non ci vedevo granché, ora ero completamente cieca. Di nuovo. Quella notte sembrava voler annullare parte dei miei sensi.
«Okay, ora sono libero. Puoi fare ciò che vuoi.» Mi prese le mani posandosele sul petto e potei sentire sotto il palmo la durezza del piercing che aveva al capezzolo. Fu una silenziosa conferma che mi arse la gola e mi fece diventare in un attimo le mani sudate.
«Cos'è... fai la timida ora? Non avevi detto di volermi toccare?» Sfacciato. Nei panni del motociclista era molto più sfacciato, meno imbrigliato nelle catene sociali che gli imponevano un certo linguaggio.
«Zitto. Sto decidendo da dove partire» lo rimproverai, facendolo ridere.
Premendogli le dita sul petto risalii lentamente, lungo le clavicole e il collo, fino a raggiungergli le orecchie. Non appena gli sfiorai i lobi lo sentii rabbrividire. «Ti piace essere toccato qui?»
«Più che piacere... mi eccita.»
«Oh, bé... buono a sapersi» borbottai, sentendolo irrigidirsi sotto il mio tocco, che indugiava, che studiava ogni parte di lui, che memorizzava. Gli strinsi i lobi forati, risalendo lungo tutto l'arco dell'orecchio. Con i polpastrelli potevo sentire ogni piercing, ogni foro. Li carezzavo e stringevo uno ad uno, risalendo fino alla punta. Ne aveva anche lì, e di strani, che collegavano più di un buco tra loro. Alcuni perfino nel padiglione.
Quelli erano una parte di lui che conoscevo bene, a cui avevo fatto l'abitudine. In casa teneva spesso i capelli legati con uno chignon e li avevo visti tutti, memorizzati. E ora li stavo toccando, ed era eccitate. Tutta la situazione in cui ci eravamo cacciati lo era.
«Quanti piercing hai?» domandai, passandogli velocemente l'indice su tutto il profilo dell'orecchio, proseguendo per la mandibola. Rabbrividì e segretamente per me fu una vittoria. Sentire questa tensione tra noi mi faceva sperare che anche lui fosse cotto a puntino, come me.
«Parecchi.»
«Sono tutti qui oltre quello alla lingua che ho già assaggiato diverse volte?»
Si schiarì la voce con un colpo di tosse. Era imbarazzato? A disagio? Infastidito? Avrei voluto sbirciare per scoprirlo.
«Circa» biascicò.
«Circa? Che vuol dire?»
«Che ne potrei avere qualcun altro.»
«Ah, sì? E dove?» Abbassai la mano scorrendo le dita sul collo, il pomo d'Adamo gli fece velocemente su e giù in gola. Tirai un po' la maglietta, infilando l'altra mano da sotto e carezzandogli la pelle raggiunsi il piercing al capezzolo. Il contatto lo fece irrigidire, espirò con un sibilo. «Questo, intendi?» Strinsi il piercing tra due dita, tirandolo leggermente e il suo bacino si scontrò contro il mio mentre grugniva.
«Non solo.»
«Quindi non c'è solo questo? E in che altri punti li hai?» Ero curiosa. L'eccitazione mi correva sul corpo in lunghi brividi.
Si schiarì ancora la voce. «Non vuoi davvero saperlo.»
Oh, sì che voglio. Sì, cazzo!
Tutto. Voglio sapere tutto. Voglio sentire ogni angolo del tuo corpo.
«Cos'è... ti vergogni?» lo punzecchiai.
Mi afferrò la mano, abbassandola fino a posarsela sulla patta dei jeans. Trattenni il respiro mentre sentivo la sua erezione gonfiarsi nel mio palmo. Deglutii con forza, mandando giù una boccata di lussuria e imbarazzo. Un allarme rosso si azionò nel mio cervello non appena pensai a come sarebbe stato senza l'ostruzione di tutti quei vestiti.
«Contenta ora, ragazzina?» domandò, la voce spezzata da un respiro più ampio e rumoroso.
«Hai un piercing sul... su...» Era eccitante. Irriverente. Folle. Così poco ortodosso, così poco razionale e poco da Mr.Lattner il professore tutto d'un pezzo e quadrato, che il calore aveva preso a pulsare con una cadenza precisa in mezzo alle mie cosce. Il pensiero volgare di lui proprio in quel punto mi fece espirare piano, cercando di controllare un livello di eccitazione che non avevo mai provato fino ad ora.
«Sì. Proprio lì, ragazzina.»
Mi morsi il labbro cercando di contenere il cuore in tumulto. Se non mi fossi data una controllata mi sarebbe schizzato via dal petto. «È un peccato che... che non posso sentirlo pelle contro pelle come gli altri» lo provocai, stringendo la mano sulla zip, giocando con la sua erezione attraverso il tessuto dei jeans.
Risucchiò l'aria con un fischio, afferrandomi per il polso senza però staccare la mano. «Questo non è toccare... questa è una tortura.»
Lo sapevo. Mi sentivo torturata anch'io da quella attesa. Quel nostro rincorrerci, volerci, trovarci e consumarci; mi stava facendo impazzire. Non riuscivamo mai ad arrivare fino in fondo, a scavalcare i cancelli della razionalità. Ed ero stanca di aspettare. Era ora che passassi al contrattacco.
Se lui si appigliava alla razionalità, io avrei fatto ogni cosa pur di strappargliela.
«È colpa tua che non mi permetti di andare oltre. Sai, si possono fare un sacco di cose... pelle a pelle» dissi, mantenendo l'allusione sul vago in modo che fosse più la sua fantasia a giocare. Lasciai scivolare l'unghia dell'indice sulla zip dei jeans. Ticchettò contro il ferro della cerniera mentre lo sentivo agitarsi il preda all'eccitamento. Mi riportò la mano sul viso, facendomi ridere. «Meglio tenerla qui, vero?» lo schernii.
«Mi piacerebbe lasciarti giocare come vuoi con il mio corpo... ma devo ammettere di aver un autocontrollo molto più basso di quel che credevo e spingerci oltre potrebbe portarmi a un punto di non ritorno in cui mi è impossibile fermarmi.»
«E chi ha detto che voglio che ti fermi?»
Lo sentii esalare un respiro tremulo, il suo corpo tremò contro il mio. «Robin, ti prego...» mi supplicò, piano, con devozione. Sentirlo pronunciare il mio nome con tale struggimento mi fece aggrovigliare lo stomaco. Quella tortura valeva per entrambi, non solo per lui; eppure non l'avrei scambiata con nient'altro. Eravamo sadici, masochisti. Ci tormentavamo ma non riuscivamo a smettere di farlo.
«E va bene! Allora farò la brava, per oggi.»
«Per oggi?» lo sentii goffamente borbottare, sotto voce.
«Bé... spero avremo altre occasioni per toccarci così... magari anche un po' di più.»
Rimase in silenzio, il respiro forte, rumoroso. La sua erezione premuta contro di me parlava molto più del suo mutismo, lasciava intendere ogni pensiero e ogni intenzione. Anche quelle meno pure e che ero sicura lo stessero tormentando in quel momento, proprio come le mie stavano facendo con me.
«Lasciati toccare ancora il viso... solo un po'.»
Mi sembrò di sentirlo deglutire ma poi rispose, piano: «Va bene.»
Allora ripresi da dove avevo lasciato. Gli posai entrambe le mani sulle guance, sagomandogli con le dita gli zigomi, scendendo sulla bocca. «Tira fuori la lingua» ordinai.
«Come?»
«Sì, forza. Tira fuori la lingua. Voglio toccare tutti i tuoi piercing... e visto che quello là sotto e tabù...» Non terminai la frase ma lui comprese perfettamente perché s'irrigidì di nuovo.
Lo sentii esitare un attimo prima di schiudere le labbra e lasciar scivolare fuori la lingua.
Tutto quello che stava accadendo, che stavamo facendo; era così eccitante da non trovar posto nemmeno nelle più oscene fantasie. Erano momenti di pura perversione, di uno stuzzicarsi ed eccitarsi a vicenda, con consapevolezza. Senza aspettare un altro attimo gli passai l'indice e il medio sulla lingua, in una carezza lenta e sensuale, lasciando che la pallina del piercing mi rotolasse sui polpastrelli fino a strapparmi un brivido.
Le sue mani, che fino a quel momento erano rimaste ferme sui miei fianchi, mi strinsero con possesso e quando la sua bocca si chiuse attorno alle dita dovetti ricredermi sulla sua buona condotta. Forse, non era così santo come voleva farmi credere. Forse il suo autocontrollo era molto più fragile del mio.
«Che vuoi fare?» gli domandai, piegandomi leggermente in avanti, scossa da un fremito.
Non mi rispose ma lo sentii succhiare, passò la lingua in mezzo alle dita, in quella fessura che mi rimandava la mente un'altra zona di me più calda e intima, più indecente.
Lui stesso stava giocando con la punta e il piercing, quasi volesse trasmettermi un messaggio, una sorta di sordida fantasia.
Bastò quello a farmi cedere le gambe, mi ritrovai a peso morto tra le sue braccia mentre mi sorreggeva con ancora le mie dita in bocca. Sentii il suo corpo chinarsi, chiudersi sopra di me con passione e poi sfilandomi le dita bagnate dalla sua bocca si avventò sulla mia, mordendola e aprendola con impazienza.
«Dannazione, ragazzina! Come diavolo fai a essere così erotica? Ad accendermi questa voglia tanto travolgente quanto primitiva?» Lasciò correre rapidamente le mani alle mie natiche, sollevandomi di peso. Non potei far altro che allacciargli le gambe dietro la schiena, continuando a baciarlo con un'avidità che non mi dava scampo. Impetuoso come una tempesta, indomabile come un vulcano, devastante come un terremoto. Questo amore ci avrebbe distrutto o ne saremmo usciti invincibili.
Affondai le mani nei suoi capelli, ne strinsi le ciocche e gli tirai la testa indietro, staccando le bocche per respirare. Ansimavamo entrambi. «Cos'è che avevamo detto? Calma? Autocontrollo?» Mi girava la testa.
«Mi sto controllando, infatti» ansimò lui, contro la mia bocca, tornando a baciarmi con più passione di prima. Mi morse un labbro, lo leccò. «E nemmeno immagini quanto, Robin.» Le mani si strinsero sul mio fondoschiena, premendomi contro il muro. L'impatto con la superficie dura mi spezzò per un istante il respiro ma la usai come punto stabile per il nostro equilibrio. «Io non ce la faccio a continuare così. Tu mi distruggi. Mi fai impazzire. Mi fai desiderare il tuo corpo con una intensità che non ho mai provato prima d'ora» la sua voce affannata contro l'orecchio mi mise i brividi, gli arpionai la schiena mentre tornava a baciarmi e mi passava le mani sulle cosce, le dita protese a premersi contro il tessuto degli slip. Carezzarono quella parte di me, con urgenza, lasciandomi intendere fin dove volevano spingersi.
Fui costretta a prendere fiato, a staccarmi dal bacio, a rimettere insieme i pezzi del cervello che si era fatto poltiglia. «Perché non possiamo?» lagnai, mentre la sua lingua giocava con le mie labbra con quell'oscena sensualità che non avevo trovato in nessun altro.
«Lascia che... che sistemi alcune cose prima.» Mi baciò ancora, mi carezzò ancora. Le sue dita scostarono gli slip ma non si spinsero oltre. Sfiorò la pelle vicino, così vicino, così tormentosamente vicino da farmi impazzire. «Dammi il tempo di...» Altro bacio, altro tocco. Vicino ma non abbastanza. «...di chiudere alcuni conti in sospeso.»
Io ho Joker... e tu chi hai?
Per chiedermi una cosa simile, doveva aver davvero qualcosa o qualcuno da sistemare. E forse era qualcosa di pericoloso in cui non voleva invischiarmi.
«Va bene. Posso aspettare, credo.» Probabilmente lo avrei aspettato anche in eterno se fosse servito. Se non era lui, chi altri poteva prendere il suo posto? Il mio cuore era già suo. Nessuno poteva reggere il confronto.
Lo sentii ridere contro le mie labbra. La sua fronte si appoggiò alla mia. Aveva il fiato corto. «Bene. Anche perché se non mi aspettassi... ti verrei a prendere comunque e ovunque.»
Era una dichiarazione d'amore questa?
«Non sono mica di tua proprietà» lo rimproverai, solo per il gusto di stuzzicarlo, di sentirmi dire qualche altra frase strappa-anima e cuore. Quando voleva, sapeva dire parole in grado di affondarti nel petto e di metter radici nel cuore.
«Lo so. Infatti, sono io che sono tuo. Dal primo momento che ti ho visto.»
Ma non c'era alcun dubbio che anche io fossi sua. Solo sua.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top