12 - LA PALESTRA

«Beccata!» Il braccio di Ramones mi circondò il collo serrandosi in una stretta che mi tolse un po' il respiro. Ero appena entrata tra le mura del Missan e già sarei voluta fuggire. Soprattutto al pensiero che quella mattina avremmo iniziato con due estenuanti ore di educazione fisica. «Mi sei sfuggita ieri sera ma non oggi!»

«Non iniziare, Ram. Non è giornata.»

Sghignazzò. «Irritata già di prima mattina, eh? Immagino non ti sia andata poi così bene ieri sera... con Mr.Stronzo! Sai, mi ha quasi spaccato il naso quel tipo!» Se lo massaggiò e solo in quel momento focalizzai la mia attenzione sul suo viso. Aveva un livido violaceo che si estendeva dalla punta del naso fin sotto gli occhi. Lattner gli aveva piazzato un bel colpo. Per fortuna non sembrava aver nulla di rotto anche se non ero sicura che Mr.Stronzo, come lo chiamava lui, volesse davvero farglielo solo sanguinare un po'.

«Non sono affari tuoi, Ram!» Quello che facevo nel mio tempo libero con Lattner o il Re era qualcosa che riguardava me soltanto e difficilmente amavo sentirmi dare consigli in merito. Anche perché sono una che i consigli non li ascolta mai. Spesso a mio discapito, lo ammetto.

«Lo so, capo. Non stiamo più insieme in fondo... ma siamo amici, no? E quel tipo... cazzo, se mena!» Continuò a massaggiarsi il naso. Stentavo a credere lo avesse ancora tutto integro. «È di una banda locale, vero? Aveva un giacchetto con scritto King of Skulls... e un teschio.» Ramones aveva proprio l'occhio lungo. Sempre detto che è un tipo sveglio.

«E allora?» domandai seccata. Non mi andava di parlare del Re con lui. Temevo sempre di cader in fallo e dire qualcosa di troppo.

«Niente. Mi ha ricordato un po' noi... ai vecchi tempi, ovviamente.» Continuammo a camminare lungo il corridoio così, con il suo braccio a circondarmi le spalle. La gente ci guardava con occhi pieni di curiosità. Non potevo certo dire che fossimo una coppia che passava inosservata. Solo Ramones era in grado di attirare gli sguardi più disparati, spesso femminili, spesso interessati.

«Non è come pensi. È un teppista in pensione.»

«Sì, certo... dillo al mio naso.» Rise. «Comunque mi piace. È forte, eh! Sembra uno con i controcoglioni.»

«Puoi ben dirlo.» Presi a massaggiarmi le tempie. In un punto remoto della testa sentivo pulsare il mio cervello in cerca di riattivarsi. Forse entro mezzogiorno ce l'avrebbe fatta. «Ma tu non hai... chessò... lezione?» Raggiungemmo il mio armadietto e lo aprii con un grugnito. Cercai Takeru con lo sguardo. Ma dove diavolo era finito? Di solito quel tratto di strada era nostro, fatto di nostri silenzi, fatto di nostri sospiri, fatto di noi e basta.

Ramones sbuffò. «Devo vedermi con quella mezza checca del quattrocchi.»

Lo fissai. «Ma chi? Mr.Lattner?»

«E chi sennò?» Scrollò le spalle. «Mr.Qualcosa deve darmi la lista del programma... ha detto di avermi segnato degli appunti fin dove siamo arrivati a studiare. Dio... quanto è sfigato!»

Intanto quello sfigato per poco non ti spaccava il naso!

«Sì, bé... forse dovresti impegnarti un po' di più, Ram. Il Missan non è come gli altri istituti.»

Inarcò un sopracciglio, sorpreso. Effettivamente sentir uscire simili parole proprio dalla mia bocca era sorprendente. «Perché dovrei?»

Mi limitai ad una alzata di spalle.

«Temi che mi buttino fuori?» Serrò la presa sull'abbraccio, strofinando il viso nei miei capelli.

«Dico solo che... insomma, hai la possibilità di ricominciare da capo. E non è una possibilità che capita tutti i giorni, no?»

Ma Ramones non sembrò bersi la mia improvvisa buona condotta. «Non sarà forse perché vuoi che ci vado piano con il tuo professorino?» Ghignò.

Mi sentii andare a fuoco fin sulla punta delle orecchie. Lo scostai da me bruscamente. «Diavolo! Ne dici parecchie di stronzate per essere solo le otto di mattina, eh?»

«Mah... in realtà ho solo fatto due più due sull'allusione che Nate ha fatto ieri sera.»

Mi voltai a guardarlo. «Avete per caso parlato?» domandai, allarmata.

«No, figurati. Anzi, appena te ne sei andata mi ha liquidato senza mezze misure. Se n'è andato subito dopo. Era davvero incazzato.» Si ravviò i capelli. «Credo abbia una cotta per te. Ma lascia perdere, capo... mi sembra un tipo con le manie di controllo.»

Lo aveva inquadrato bene. Nate era quel tipo di persona predisposta a comandare. Non accettava dei no. E se ti comportavi in maniera diversa dai suoi piani non lo capiva. O forse semplicemente non voleva farlo.

«Non c'è percolo. Io e Nate siamo solo colleghi.»

«Forse dovresti dirglielo meglio.» Mi affibbiò un bacio sulla testa proprio nell'esatto istante in cui la campanella suonava. «E forse dovresti dirlo anche a me... ma sai che non ti ascolterei e ci proverei comunque... perché sai cosa penso. Ne varrebbe comunque la pena.» Allungò una mano e afferrandomi il viso mi strizzò le guance. Odiavo quando faceva così. Era un vizio che aveva sin da quando eravamo ragazzini. «Pensavo che stasera potremmo andare da qualche parte... chessò, cinema... o magari a pattinare sul ghiaccio. Ho visto che c'è una pista di pattinaggio e-»

Qualcuno alle nostre spalle si schiarì la voce con un colpo di tosse. Lattner. Lo riconobbi subito, ancor prima di voltarmi; ma fui lo stesso sorpresa di vederlo, aveva un'espressione furente in viso. «Vega!» ringhiò. Gli occhi azzurri sembrarono macchiarsi di tinte più scure, come se si aprissero sulle porte dell'inferno. «Ti serve un invito scritto per caso?» A me scoccò un'occhiataccia.

«Arrivo, arrivo Mr.Qualcosa... certo che lei ha il radar per arrivare nei momenti migliori, eh?»

«Oh, cavolo... quanto mi spiace avervi interrotto.» Decisamente ironico. E seccato. Molto seccato. «Muoviti Vega... non ho tutto il giorno da perdere dietro di te.»

Ramones mi lanciò un bacio con la mano, allontanandosi. «Ci becchiamo in sala mensa... così parliamo per stasera.»

«Comunque... bel livido...» sentii Lattner dirgli, mentre sparivano dietro una porta. Se n'erano andati.

Bene. E ora, palestra. Odiavo la palestra. Odiavo il Missan. Anzi no, odiavo il Missan senza Takeru.

Dove diavolo si era cacciato quel Giappo-minchia? Era impossibile fosse in ritardo. Non lui.

Estrassi il cellulare e gli mandai un messaggio vocale. Corto e veloce. Che stesse male? Ero preoccupata.

Magari si è solo addormentato e ti stai facendo paranoie inutili!

Roteai gli occhi al cielo e con la disperazione in corpo mi trascinai verso le mie due ore di eduzione fisica. Strada facendo incrociai molti miei compagni ma di lui nessuna traccia. Lo cercavo con gli occhi un po' ovunque. Era strano come improvvisamente fossero entrate nella mia vita persone di cui mi importava davvero, persone che se non vedevo riuscivano a farmi preoccupare.

«Ehi, Rob!» cinguettò Eve, raggiungendomi con un gran sorriso stampato in faccia. Il mattino non la scalfiva. «Beth è in ritardo... come sempre.»

Venni folgorata da una intuizione.

E se Takeru e Beth avessero preso a frequentarsi in segreto? Non c'era alcun motivo di tenerlo nascosto ma almeno si sarebbero spiegati i recenti e strani comportamenti di Takeru. E anche se non sopportavo l'idea che mi ignorasse e non fosse del tutto sincero con me almeno avrebbe giustificato quel suo cambio repentino.

Feci per sollevare questo dubbio con Eve ma Beth apparve dal nulla proprio in quel momento, il viso rosso e il respiro affannato. Ci raggiunse con una corsa.

«La sveglia... oddio...» ansimò. «Muoio» Si piegò appoggiando le mani sulle ginocchia e cercò di prendere fiato. Lo zaino le scivolò lungo il braccio, cadendo in terra. Aspettammo si riprendesse e poi entrammo insieme negli spogliatoi con l'espressione di chi sa già ciò che gli spetta.

Cinque minuti dopo stavamo facendo riscaldamento. Dieci giri di corsa del campo coperto di pallavolo più innumerevoli esercizi per sciogliere i muscoli. Arrancavo.

Diavolo, Lattner ha ragione quando dice che sono fuori forma!

Mr.Boden fischiò e un manipolo di studenti crollò a terra esausto. Me compresa.

La lezione era iniziata da poco meno di un quarto d'ora e io avevo già il fiatone, il viso imperlato di sudore e la faccia paonazza. Senza contare i capelli corti che si erano incollati alla nuca. Uno straccio da buttare.

Takeru entrò in palestra proprio in quel momento, cercandomi con lo sguardo. Non appena mi trovò in mezzo alla folla alzò la mano per salutarmi e in una corsetta mi raggiunse.

«Dove sei stato?» biasciai piano, per non farmi sentire. Mr.Boden era un professore alla mano e mi piaceva; però era parecchio severo e non amava che durante le sue ore ci si perdesse in chiacchiere. Era un tipo tosto, arrivato al Missan un mese esatto dopo l'inizio dell'anno. Lo avevo visto spesso chiacchierare con Lattner, sembravano in buoni rapporti.

«Ho passato la nottata in bianco con la testa affondata nel cesso.» Era stato male. Ora si spiegava tutto. Sbadigliò. «Pensavo addirittura di saltare le prime due ore di fisica.»

Boden fischiò di nuovo e fummo costretti a rialzarci. Non era uno che ti lasciava troppo tempo per poltrire. Le sue due ore di educazione fisica erano più una sorta di addestramento militare. Da due settimane inoltre aveva iniziato a impartirci qualche nozione sulle tecniche di autodifesa.

Con la coda dell'occhio guardai Takeru che si stropicciava stancamente il viso e trasalii. C'era un cambio radicale nel suo look. Non me n'ero accorta prima, ma ora guardandolo meglio era più che palese. Lo affiancai rifilandogli una gomitata in sordina. «Ehi, ma da quando metti le lenti a contatto, eh?» biasciai a denti stretti per non essere beccata.

«Bé, dopo che la settimana scorsa ho quasi rischiato di spaccarmi gli occhiali con una pallonata... direi che hanno più senso per ginnastica.»

«E da quando metti la tuta dalle maniche lunghe come me?» domandai ancora. Ero sospettosa ultimamente. Era strano. Non me la raccontava giusta. Lui scrollò le spalle senza rispondere. Almeno io per farlo avevo i miei buoni motivi. Motivi vecchi e incancellabili.

Sì, proprio incancellabile. Eterno oserei.

Indelebile sulla pelle quanto una macchia o una colpa. La traccia del mio passato, il marchio del mio peccato. Restava lì, impresso su di me; ricordandomi ogni volta che mi guardavo allo specchio spoglia di ogni cosa le mie imperfezioni e i miei errori.

Non era nulla di più che un tatuaggio, che si estendeva dalla spalla fin poco prima del polso. La prova concreta che prima di quel momento non ero nient'altro che una Scorpion. Una delinquente, una teppista. Ramones lo esibiva con orgoglio. Io lo nascondevo sempre.

Mr.Boden notò quel mio improvviso disagio e mentre la classe si divideva nei soliti gruppetti a circolo chiuso mi raggiunse posandomi una mano sulla testa. Il gesto mi ricordò Lattner, solo che Boden era molto più grande, più vicino a una possibile figura paterna. Una figura che avevo dimenticato da tempo. «Tranquilla, O'Neil. Non c'è nessuna regola che vieta di mettere le maglie lunghe nelle mie ore.» Sorrisi riconoscente e lui si voltò verso gli altri soffiando ancora una volta il fischietto. «Chi vi ha detto che potevate bighellonare?» gridò, facendo trasalire tutti. «Forza, radunatevi e formate delle coppie. Oggi proveremo quello che nelle precedenti lezioni vi ho spiegato solo con la teoria.» Takeru venne agguantato da un nostro compagno che mi rivolse uno sguardo di scuse.

Stavo per raggiungere il gruppo, conscia di aver appena perso il mio fedele partner, quando Mr.Boden mi bloccò la strada allargando il braccio. «O'Neil...» Lo guardai. «Non rinnegare mai le tue scelte del passato perché son proprio quelle scelte ad averti portato ad essere ciò che sei oggi. E oggi, credimi, sei una brava ragazza. Non lasciare che nessuno ti faccia credere il contrario.» Quelle parole mi piovvero addosso nel momento giusto, perché ne avevo seriamente bisogno. Mi serviva qualcuno che credeva in me, nella me di adesso. Mi serviva qualcuno al di fuori della mia ristretta cerchia di amici (Lattner compreso) che mi ricordasse che non ero poi così disastrosa come pensavo. O come tutti pensavano.

«Mi aspetto che tu sia la migliore del mio corso» disse d'un tratto, continuando a guardare avanti a sé, verso i miei compagni. «E non perché voglio torchiarti o essere un bastardo... ma perché io so che sei la migliore del mio corso. E glielo dimostreremo anche agli altri professori, che ne dici?» Mi sorrise, spavaldo; e forse fu la prima volta che un professore fu tanto fiducioso e gentile nei miei confronti. Era più facile capitasse il contrario. Era più facile che il mio fascicolo parlasse al posto mio facendomi accaparrare delle antipatie ancor prima di aprire davvero bocca.

Non me ne lamentavo mai. Avevo imparato ad accettarlo. Ero questo e ormai avevo capito che non potevo essere diversa. Non potevo cancellare con un colpo di spugna il mio passato, potevo soltanto far in modo che la gente si ricordasse per ciò che ero nel presente. Però era bello sapere che non tutti erano così, che non tutti partivano prevenuti. A dir il vero ne ero sorpresa. «Io non... cioè... sì. Certo. Ci proverò, sì.»

«No, non ci proverai, O'Neil. Tu ci riuscirai.» Sorrise.

Risi. Fu liberatorio. «Sì, va bene. Ci riuscirò. Glielo prometto.» Ci scambiammo un'occhiata d'intesa. Era nato qualcosa tra noi, una complicità silenziosa, un fine comune.

«È una promessa. Ci conto.»

Ci conta.

Su di me.

Su questa teppista da strapazzo.

«La ringrazio» farfugliai, imbarazzata. Mi riusciva più facile rispondere alle offese che alle gentilezze della gente. Ero così abituata a difendermi che non sapevo rapportarmi con gli altri in nessun altro modo.

«Non devi ringraziare me, O'Neil... ma lui.» Con una alzata di mento indicò un punto davanti a sé. «Si sta prodigando molto per far in modo che la gente ti guardi per ciò che sei ora... e non per ciò che ti sei lasciata indietro.»

Quando sollevai lo sguardo non fui affatto sorpresa di veder Lattner lì. Indossava la tipica divisa da ginnastica dei professori del Missan e ci stava guardando a braccia conserte appoggiato allo stipite della porta della palestra. Non aveva gli occhiali. E aveva i capelli legati. Sembrava teso, le spalle strette e le braccia compresse al petto. Cosa ci faceva lì conciato a quel modo mi era del tutto oscuro. Però dovevo ammettere che senza il suo completo pomposo stava meglio. La tuta lo svecchiava un sacco. Sarebbe potuto benissimo passare per un nostro coetaneo.

«Lui è...»

Mr.Boden rise. «Lo so, lo so... un bravo ragazzo.»

Non era ciò che volevo dire ma sicuramente si avvicinava molto all'idea che avevo di Lattner. Perché diciamocelo, Lattner era davvero una bella persona nonostante tutto. «Credo sia uno di quei professori fissati per i casi disperati.»

L'altro scoppiò a ridere e alzando la mano lo salutò energicamente. «Oh, ma lo sono anche io.»

Lattner ci raggiunse in una corsetta, beccandosi gli sguardi di tutto il corpo studenti presente. I capelli legati mettevano in bella vista le orecchie piene di piercing e questo creò un'escalation di reazioni. Le ragazze andarono in visibilio. Ci furono perfino dei gridolini isterici che mi ricordarono tanto quei banali film da quattro soldi dove il figo di turno sfila – con tanto di canzone – nel mezzo di un corridoio sotto lo sguardo incredulo di tutto il popolo femminile presente. «Mr.Boden, O'Neil... buongiorno.» Sembrava in imbarazzo. Le gote erano rosse e non certo per la fatica. Continuava a guardare l'altro professore con occhi carichi di ammirazione. Non ne ero del tutto sicura ma probabilmente i due si conoscevano da parecchio.

«Thomas quante volte dovrò ripeterti di chiamarmi per nome? Ora siamo colleghi...»

L'altro sussultò e arrossì ancor di più. «Giusto, Mr.Boden... cioè, Jonathan!» Rise. «Abitudine vecchia a morire.» Sì, sicuro. Lattner doveva essere stato un suo studente. O qualcosa di simile.

«Bene. Ora che sei arrivato possiamo iniziare. Ci mancava giusto un ragazzo per far coppia con O'Neil.»

«Che?» chiedemmo all'unisono sia io che Lattner, voltandoci di scatto verso Boden che in tutta risposta proruppe in una fragorosa risata.

«Non te lo avevo detto, Thomas? Oggi, come da programma, proveremo alcune mosse di autodifesa.» Gli diede alcune pacche sulla schiena, sghignazzando. «Forza, ragazzo... lo sai che non potevo metterla in coppia con uno qualunque. Non vogliamo mica far finire qualcuno in infermeria, no?»

Lattner si grattò la nuca, a disagio, gli occhi sgranati come due palline da ping pong, la mano libera affondata nella tasca della tuta. Quando si voltò verso di me deglutì e il pomo d'Adamo fece su e giù con prepotenza. «Ha detto così solo perché ho fatto un po' di anni di arti marziali, autodifesa... sì, be'... lo sai, no?»

E la strada. Dove li metti gli insegnamenti della strada?

È ovvio che Mr.Boden metta due teppisti come noi a confronto... mica vorrà che ammazziamo qualcuno.

Ma altra cosa interessante... come faceva Mr.Boden a conoscere così bene il suo passato?

«Ma certo, Mr.Lattner» lo canzonai, usando il suo cognome. Nessuna confidenza particolare, eravamo al Missan e soprattutto sotto lo sguardo di tutti. Dovevo cercare di tener per me tutte le sciocche considerazioni che invece avrei fatto se fossimo stati soli. E le battutacce. «Ha proprio l'aria di uno che ha fatto arti marziali.»

Lo sentii imprecare sottovoce e seguendo il gesto incalzante di Boden raggiungemmo gli altri. Avevamo gli sguardi di tutti puntati addosso. Ed era imbarazzante perché sapevo che avrei dovuto dimostrare qualcosa. Ma cosa? Dovevo sembrare la teppista in grado di tener testa a un professore o fingere di essere finalmente cambiata? In ogni caso Lattner non era quel genere di professore ai cui era facile tenere testa. Loro non lo sapevano ma il suo lato nascosto era peggiore del mio.

«Allora ragazzi... ricordatevi che questa è solo una simulazione, quindi per favore attenetevi ad alcune regole: niente colpi in faccia o colpi scorretti o ai genitali, niente uso di armi od oggetti di qualsiasi tipo. Limitatevi a riprodurre le mosse che vi ho insegnato senza esagerare.» Boden camminò avanti e indietro della fila, le coppie erano formate e io accanto a Lattner mi sentivo un pesce fuor d'acqua. Avevo già sentito qualche commento crudele da parte di qualche compagna. «In base a come affronterete questa prova avrete una valutazione. Sarà determinante per il vostro voto di fine anno, quindi non prendete la cosa troppo alla leggera.» Si levò un coro di lamenti e proteste a cui però lui non fece caso portandosi il fischietto alle labbra e dando il via agli scontri.

Tutti presero a colpirsi. Chi ci andava giù pesante, chi sembrava schiaffeggiare maliziosamente l'amichetto di turno. Riproducevano fedelmente gli insegnamenti di Boden: gesti che ricordavo, che ci aveva spiegato e che avevamo studiato su carta. Niente di troppo impegnativo né pericoloso, semplici mosse di difesa e di attacco; schivare, immobilizzare, liberarsi da una presa. Ad ogni modo, ognuno cercava di dare il meglio di sé, chi più chi meno; ma anche se tutti erano occupati con la loro prova, con la coda dell'occhio continuavano a guardare noi. Eravamo l'attrazione principale. Come dargli torto.

«Sei pronta?» domandò Lattner, con il solito tono pungente. Era ancora incazzato da prima, glielo leggevo nello sguardo. Ramones non gli piaceva e forse non gli piaceva nemmeno che mi girasse intorno. Se da una parte la cosa mi lusingava, dall'altra mi chiedevo per quale motivo non facesse nulla per cambiare le cose. Gli sarebbe bastato un gesto, uno solo, e tra noi sarebbe cambiato tutto. «Non ho tutt'oggi.» Erano più o meno le stesse parole che aveva detto a Ramones. Sì, era proprio incazzato. Si abbassò con un colpo secco la zip della felpa e la sfilò sotto l'attenzione bruciante di tutti, rivelando una t-shirt bianca che metteva in risalto il fisico muscoloso e tonico. Per me non c'era nulla di nuovo, a casa vestiva spesso così, ma capivo l'eccitazione delle compagne che accompagnarono il gesto con sospiri degni di un porno. Eve e Beth mimarono una frase che non compresi ma dalle loro espressioni fui certa si trattasse di qualcosa di imbarazzante.

«Sarei scontata se rispondessi che sono nata pronta?» risposi ironicamente sperando di strappargli una risata. Lui però era mortalmente serio. Divaricò le gambe e si apprestò a ricevere un mio colpo.

«Forza, ragazzina! Fatti avanti!» Mi chiamò a sé con un gesto della mano, cercava di provocarmi. Probabilmente una scazzottata avrebbe aiutato entrambi a scaricare le tensioni della giornata. E non ero il tipo da negargliela. I teppisti funzionano così, sistemano tutto a suon di pugni. «Non aver paura... prometto che non ti farò male.»

Dannato stronzo! Non mi prendi sul serio, eh?

Non mi prendi mai... mai sul serio.

L'idea odiosa che per lui fosse sempre e solo un gioco, soprattutto con me, soprattutto tra noi; riuscì a riportare a galla il mare di insicurezze e paure che avevo tentato di seppellire. Insieme a una rabbia sorda, cieca. La sentii crescere, tracimare, esplodere, sfondare gli argini del mio autocontrollo. Furono questi pensieri a farmi decidere di mettere da parte le buone maniere e passare davvero al contrattacco. Sferrai il primo colpo di getto, totalmente privo di tecnica, mosso semplicemente da una furia indomabile. Lattner lo schivò per un soffio. Mi fissò stralunato, sorpreso. E sotto sotto gongolai per essere quasi riuscita a coglierlo in fallo.

Non gli diedi tempo per riprendersi. Ripartii all'attacco. Una finta, un calcio, un destro. Deviò di lato ogni colpo, come una danza. Sembrava perfino annoiato. Cercai allora di raggiungerlo con un calcio ma afferrandomi la caviglia mi spinse la gamba verso il basso. Persi l'equilibrio e per poco non mi ritrovai a faccia in terra. I muscoli mi si irrigidirono. Era frustrante non riuscire a colpirlo.

«Non stai facendo sul serio» ringhiai, fendendo un pugno nell'aria. Gli passò a un palmo dal viso ma lui non ne sembrò turbato.

«Con le ragazzine come te è inutile fare sul serio.» Quelle parole mi colpirono, mi turbarono. Andarono ad abbattersi in un posto che difficilmente aprivo al pubblico. Abbassai un attimo le braccia lungo i fianchi e forse feci una faccia strana perché lui si accorse subito che ci ero rimasta male. Sembrò dispiaciuto e stava per dire altro ma non gli diedi tempo. Mi scagliai in avanti e riuscii a sferrargli un pugno al fianco, sentendolo imprecare. Gliene cercai di dare un altro ma venni sollevata di peso e gettata a terra. La schiena mi sbatté contro il pavimento duro della palestra, il respiro mi si troncò in petto.

«Vaffanculo» sibilai, sentendo in bocca il sapore metallico del sangue; dovevo essermi morsa la lingua.

La gente iniziò a formare la calca attorno a noi. Sentivo i loro mormorii, le loro risa, i loro giudizi.

Mi rialzai cercando di non pensare al dolore alla schiena, al cuore, a tutto. Mi lasciai consumare dalla rabbia perché era meglio che farmi consumare dal dispiacere e dalla delusione. Arrivandogli sotto il naso mossi rapidamente il braccio, pronta a colpirlo in faccia. Pensavo si sarebbe limitato a evitare ai miei attacchi invece scattò di lato e cercò di colpirmi a un fianco. Riuscii a sottrarmi in tempo per evitare il suo pugno. Sul viso gli spuntò un sorrisetto spavaldo. Lui si stava divertendo, io invece ero arrabbiata nera.

«Tu. Non. Mi. Prendi. Mai. Sul. Serio.» ringhiai, scandendo ogni parola con un calcio. Li parò tutti, bloccandomi ogni volta la gamba e rilanciandola indietro energicamente. Passai allora ai pugni. Uno, due, tre. Al quarto mi afferrò torcendomi il braccio dietro la schiena, con il braccio libero mi cinse la vita.

«Abbi pietà di me, Rob» la voce uscì debole, sussurrata tra il mio collo e i capelli, così bollente da farmi rabbrividire. Il tono era tormentato, supplicante. «Non posso ancora farlo.» Mollò la presa spingendomi avanti. Ruotai la gamba per colpirlo al viso ma non sembrò per nulla impressionato e deviò la traiettoria spostandosi semplicemente di lato. Con un movimento veloce e preciso mi colpì in pieno stomaco. Scivolai indietro, in terra. Le ginocchia strisciarono sul pavimento, i palmi si arrossarono per l'atrito.

Maledetto stronzo!

Mi rialzai con slancio, sferrandogli una raffica di calci che parò con nonchalance. All'ultimo mi afferrò per la gamba e con una piroetta mi lanciò su un cumulo di materassini poco distante da noi. Lanciai un grido esasperato, saltando in piedi prima che riuscisse a colpirmi. Il suo pugno affondò nella gomma, colsi un guizzo del suo ghigno prima di rotolare via. Gli era rispuntato quel sorrisetto strafottente che amavo e odiavo senza trovar un giusto equilibrio.

«Dannato... bastardo!» ansimai, evitando per un soffio un altro colpo. Mi afferrò un polso, tirandomi verso di sé. Nel tentativo di colpirlo con una ginocchiata sollevai la gamba ma lui affondò le dita proprio nella piega del ginocchio. Strinse ma non mollò. Crollai in avanti, seppellendolo con il mio corpo. Mi ritrovai a cavalcioni di qualcosa di duro. Molto duro. Ero seduta su, bé...

Buon Dio! Aiutami tu!

«Oh!» Avvampai. «Mr.Lattner, non si era detto senza armi?» cercai di sdrammatizzare. Mi disarcionò sollevando il bacino. Rotolai di lato, sbattendo il naso sul materassino duro. Cercai di girarmi prona e sgattaiolare via ma riuscì ad afferrarmi per le spalle e in un attimo il suo corpo sovrastò il mio, mi trovai schiacciata sotto il suo peso senza vie di scampo.

Ci guardammo per un breve istante, accaldati, ansimanti, con le bocche schiuse e i petti che si alzavano su e giù come treni. Si passò velocemente la lingua sulle labbra, senza staccare gli occhi dai miei. E mi sentii sciogliere. Ogni parte di me sembrò disposta a cedergli qualsiasi tregua volesse.

«Ho vinto. Ancora» ansimò, deglutendo. Il fatto che avesse il fiatone mi fece pensare che forse gli avevo davvero dato del filo da torcere. I capelli si erano slegati e ora gli formavano una massa nera e ribelle che gli dava un aspetto selvaggio. «E ora non mi resta che finirti...» Sollevò la mano sulla testa, la strinse a pugno e la fissai chiedendomi se davvero lo avrebbe fatto.

Boden fischiò la fine delle lezione proprio mentre Lattner calava il colpo sul mio viso. Strinsi gli occhi di riflesso ma il pugno non si infranse mai sulla mia faccia. In compenso sentii una carezza, veloce e leggera come il tocco di una piuma; mi scivolò sulla pelle della guancia fino alle labbra e un secondo dopo venni afferrata per le braccia e tirata su in piedi.

Che diavolo era successo? Cosa voleva dirmi col fatto che non poteva ancora prendermi sul serio?

Barcollai un attimo, spaesata. Avevo il fiato corto e il viso in fiamme. Mi guardai attorno cercando di registrare anche quell'ultimo strano episodio appena avvenuto tra noi. I compagni proruppero in uno scroscio di applausi e risa. Lattner venne travolto dal branco delle sue groupie e da nuovi ammiratori. Partirono ovazioni e grida elettrizzate.

Rimasi ancora qualche secondo ferma immobile cercando di riprendere fiato poi afferrai il mio asciugamano e pulendomi il sudore mi avviai verso lo spogliatoio. Sentivo la rabbia corrermi giù lungo il corpo in brividi.

La lezione era finita e io mi sentivo uno straccio sia fisicamente che emotivamente. Lattner mi faceva sempre a pezzi, sotto milioni di punti di vista.

«Dio, Rob! È stato così... così wow!» Eve mi apparve alle spalle con il viso sovrastato da un enorme sorriso. Era entusiasta. E raggiante. «Sei stata fenomenale! Vero, Beth?» L'altra, poco dietro, annuì. «E poi Lattner... Lattner... Dio! Avete visto i piercing che aveva alle orecchie? Fa così tanto badboy!» squittì, tamponandosi il viso con il suo asciugamano. Beth grugnì qualcosa, seguito da alcuni sbuffi. Non ero certa le fosse passata la cotta per Lattner; anzi, quasi certamente non le era passata. Lo avevo intuito dall'occhiataccia che mi aveva scaricato addosso quando aveva capito che ci ero finita in coppia insieme. «Ma da quando sa fare tutte quelle mosse? Cioè... io non me lo immaginavo proprio.»

«È un fanatico... va tutte le mattine a correre. Fa parkour e diverse discipline. Va in palestra e si tiene sempre in allenamen...» tacqui. E notai che loro mi fissavano. «Ecco, bé...» E ora come lo spiegavo? Teoricamente tra le tre ero quella meno interessata a Mr.Lattner. E così avrebbero dovuto continuar a credere. Beth mi fissò assottigliando lo sguardo. «Ho origliato in bagno una conversazione di due ragazze del terzo anno... non la finivano più di parlare di lui» mentii. Ero credibile come una pepsi che si spaccia per coca cola.

Eve sembrò non darci peso. Gli eventi di oggi avevano conquistato il podio delle sue priorità. «Io già lo so! Stanotte me lo sogno.» Questo strappò una risata a tutte e tre, compresa Beth che sembrava esser ricaduta nel vortice della depressione post-rifiuto. «Che ne dite di fare un salto al Count stasera?» propose all'improvviso, mentre varcavamo la soglia degli spogliatoi. Io non avevo nessun turno al Joily e sinceramente non mi dispiaceva come idea.

«Serata solo tra ragazze?» domandai, facendo loro intuire che non volevo sorprese. L'ultima volta la presenza di Claiton e dei suoi amici aveva spento il mio entusiasmo.

«E Takeru, ovviamente» specificò Eve, incontrando la mia approvazione. «Così festeggiamo anche il vostro rientro dopo... bé, hai capito, no?» Tutti sapevano che era successo qualcosa con Sullivan ma nessuno lo voleva menzionare. Era semplicemente sparito dal Missan, portando con sé i suoi problemi. E a me andava bene così. E mi andava anche di farmi una serata di sballo totale al Count.

«Ci sto.»

Ci sarebbe stato da divertirsi quella sera. E io, ne avevo proprio bisogno.

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