6 - PICCOLI GRANDI CAMBIAMENTI

I corridoi del Missan non mi erano sembrati mai tanto affollati come quella mattina. La gente correva, strillava e sgomitava, per riunirsi nei soliti gruppetti di amici ritrovati post vacanze estive; mentre io, a momenti ancora con la bava secca da sonno sulla guancia, camminavo ciondolando in cerca della mia voglia di vivere.

Primo giorno di un nuovo anno scolastico tra quelle mura, primo giorno di nuovi propositi che non avrei mantenuto... e già lo sapevo.

Per certi versi mi era anche mancato quell'ambiente, la rigidità delle sue regole e la routine che si finiva per intraprendere. Ciò che non mi erano mancati erano gli urli, le risate e i gridolini maliziosi dei miei coetanei.

E Claiton.

Lui non mi sarebbe mancato mai.

Purtroppo però, anche se quella mattina ancora non era apparso, sapevo che prima o poi avrei dovuto far i conti anche con la sua molesta e ingombrante presenza.

E poi dovrò pestarlo! Come sempre...

Svoltai l'angolo, la testa persa in pensieri riguardanti Lattner, come mio solito; quando un braccio mi agguantò per il collo e il profumo di colonia di Ramones mi invase le narici prima ancora che la sua faccia entrasse nel mio campo visivo. «Buongiorno, Capo» mi canzonò, affibiandomi un veloce bacio sulla nuca. Sorrisi. Mi ero abituata ai suoi saluti carichi di dolcezza.

Qualcuno però lo spinse lontano da me, interrompendo quell'abbraccio. «Levati, Vega! Non la toccare. Da quando sei così appiccicoso già di prima mattina, eh?» Takeru lo rimproverò a muso duro, sistemandosi gli occhiali con il medio; una sottile provocazione.

«Io la tocco quando mi pare e piace.»

«Ma non credo proprio.»

«Allora tocco te... però in maniera meno carina.» Con la coda dell'occhio vidi Ramones ghignare. Non era una vera minaccia, stava giocando; da quando la faccenda di Wyer si era conclusa, e aveva scoperto tutto, lui e Takeru si erano avvicinati molto. E questo loro avvicinamento aveva creato infinite dinamiche simili a quella che stava avvenendo.

Erano divertenti. Cane e gatto. Riuscivano perfino a mettermi di buon umore. E vederli battibeccare tra loro, inoltre, mi riportava ai tempi in cui anche gli Scorpion non avevano nulla di che temere e Joker era solo un lontano pensiero. Bei ricordi.

«Lei è il mio Capo. La mia ex. La mia amica, nonché mia ex vicina di casa... circa.» frignò Ramones. In realtà, a New York, abitavamo a due isolato di distanza ma non credo fosse il caso di precisarlo.

«E quindi? È anche mia amica. La mia migliore amica. E mia compagna di classe. E mia confidente. E-»

Mia. Mia. Mia. Mia.

Venni strattonata da una parte all'altra come una bambola contesa tra due bambini e i miei pensieri nostalgici sfumarono in un istante, insieme alla poca pazienza che avevo accumulato in quell'estate così movimentata e poco vacanziera.

«Ve la volete finire? Cazzo!» sbottai, liberandomi dalla presa di entrambi. Mi accorsi da sola di aver reagito con eccessiva stizza ma, ehi!, erano le otto di mattina.

I due si scambiarono uno sguardo d'intesa.

«Si è arrabbiata» bisbigliò uno.

«È colpa tua» sibilò l'altro.

«No, tua.»

«Tua.»

«La finite?» berciai, mettendo a tacere quell'infinito e inutile litigio. I due tacquero, mascherando un sorrisetto con la mano. In realtà più che incutergli timore, li divertivo: si prendevano gioco di me; motivo per cui ero indecisa se abbandonarli lì su due piedi o sfogare su di loro la frustrazione derivante dalla mia situazione amorosa.

Quale situazione amorosa, vi chiederete. Bé, sì... quella. Avete capito, no? Lattner, io, la Wood... lo Spirito Santo, l'asinello, il bue, i Re Magi e stocazzo. Tutti insieme.

Tutti insieme... e saltellanti verso la Valle dei Vaffanculo.

«Ha iniziato lui» si giustificò immediatamente Takeru.

La sua spia indignò Ramones a tal punto che si portò una mano al petto platealmente. Quando c'era da far la primadonna era il migliore, dopo Lattner, ovviamente. «Brutto bugiardo di un falso cinese.»

«Sono giapponese, baka

«Impossibile! Hai la faccia da cinese.»

«E che differenza ci sarebbe? Sentiamo! Dite sempre che tanto siamo tutti uguali»

«Sei forse un ninja?»

«Cosa? No.»

«Hai una tua katana personale?»

«Che? N - nemmeno. No! Perché?»

«Visto? Sei cinese.» lo liquidò Ramones, con una alzata di spalle.

L'orgoglio giapponese di Takeru pianse lacrime di samurai. «Hai per caso sniffato della colla stamattina?» squittì, sistemandosi nervosamente gli occhiali sul naso.

Sollevai gli occhi al cielo. «State davvero litigando per queste cazzate?»

Si segnarono all'unisono, sciorinando una sequela di giustificazioni miste a insulti e minacce. Uno si lamentava del suo essere un giapponese sottovalutato e stereotipato, l'altro di esser ormai diventato un teppista in pensione costretto a passare il proprio tempo bullizzando un finto giapponese.

Ad ogni modo, ne avevo abbastanza.

Era uno spettacolo troppo impegnativo per il mio cervello, soprattutto a quell'ora del mattino. E soprattutto il primo giorno di ritorno al Missan. Così, già satura delle loro sciocchezze, afferrai entrambi per il bavero pronta a scuoterli come delle maracas. «Adesso vi ammazzo e abbandono i vostri cadaveri nell'aula di Mr.Wärz, così verrete ritrovati quando andrà in pensione... tra circa dieci anni.» Mr.Wärz era il professore di scienze, un vecchio puzzolente e accumulatore compulsivo che aveva trasformato la propria aula-laboratorio in una discarica ambulante. Nel tempo libero, amava sezionare rane e impagliare animali di piccola taglia. Un amor d'uomo, insomma.

I due trasalirono. «Scherzi, vero?» farfugliò Takeru, cercando nel mio sguardo una conferma.

Avrei voluto gonfiare le minacce, magari scendendo in macabri dettagli ma per loro fortuna vennero salvati da un crescente vociare, simile al brusio di insetti, che interruppe i miei istinti omicidi e mi costrinse a lasciarli.

Stava succedendo qualcosa.

E infatti, proprio mentre stavo per chieder spiegazioni, davanti a noi si riversò una massa compatta di ragazze esultanti e infervorate che blateravano le più sguaiate e imbarazzanti ovazioni, accompagnando in un groviglio fatto di spintoni, gridolini eccitati, complimenti e dichiarazioni d'amore un individuo. Soggetto che, dal basso del mio metro e un tappo, non riuscivo a individuare nella calca.

Chi era? Mistero. Doveva essere qualcuno di famoso per suscitar tanto fermento.

«Dico io... ma avete visto?» la voce di Beth, non molto distante da noi, mi fece sobbalzare.

La guardai rapidamente, notando il nuovo taglio di capelli, e tornai a puntare i miei occhi all'accozzaglia di collegiali ormonate che tentavano di farsi largo nella ressa di corpi. «È un vip?» domandai, infine; forse troppo ingenuamente visto che Eve rise di me.

«Ma va! È Mr.Lattner!»

Per poco non mi strozzai con la saliva. Cominciai a tossire e Ramones mi assestò un paio di pacche sulla schiena, nemmeno troppo delicatamente. «Co - cosa?» gracchiai. E subito lo cercai con lo sguardo mentre nel mio cervello iniziò a suonare la sirena di un allarme rosso.

Dove sei? Cosa diavolo hai fatto, eh?

Poi lo individuai.

Ci vollero alcuni minuti prima che il mio cervello registrasse il rinnovato aspetto del Lattner che avevo di fronte. Era sempre lui eppure con qualche accorgimento stravolgeva totalmente l'immagine di sé che aveva strenuamente difeso all'interno del Missan. In un attimo aveva fatto crollare la reputazione di ligio, morigerato e per certi versi banale professore di matematica.

«Lui non...» deglutii. «Non può averlo fatto davvero.»

Lattner stava avanzando lungo il corridoio con una andatura fiera ma annoiata. Sembrava essersi appena svegliato. Continuava a sbadigliare dilatando solo le narici e stropicciarsi gli occhi, privi di occhiali.

Si guardava attorno in cerca di qualcuno e forse, quel qualcuno, ero proprio io.

Per un attimo fui tentata di nascondermi ma quando il mio cervello diede l'impulso di scappare; le gambe, quelle traditrici, rimasero inchiodate lì.

«È impazzito? Si è bevuto il cervello? Quel - quel... è pazzo! Pazzo come la merda» biascicò sotto voce Takeru, fissandolo attonito. Si sfilò meccanicamente due o tre volte gli occhiali, pulendo le lenti con il bordo della divisa. Lo faceva quando era nervoso.

Lattner, nel frattempo, sollevò le braccia al cielo, sgranchendosi. Nel farlo strinse i denti sul batecco del chupa chupa che stava mangiando e le sue groupie andarono in totale visibilio. Si susseguirono grida e apprezzamenti fin troppo coloriti ma che per certi versi capivo e in parte condividevo tacitamente. Indossava il solito completo gessato. E fin qui era tutto nella norma, se solo non avesse tenuto la giacca aperta, la camicia stropicciata fuori dai pantaloni e la cravatta allentata.

E avrei anche potuto sopportare l'outfit da perfetto scoglionato aka nuovo badboy del college, se i capelli non fossero stati legati in un codino alto che metteva in bella mostra le orecchie piene di piercing e la rasatura laterale. Quello era troppo anche per lui.

Era come se improvvisamente Mr.Lattner e il Re dei Teschi si fossero fusi cancellando i confini l'uno dell'altro e amalgamando le due personalità fino a formarne una sola.

Era possibile aver quelle due ben distinte personalità in una unica persona? Sembrava proprio di sì. E il solo pensiero mi fece avvampare.

Troppa, troppa roba. Sei troppa roba, Thomas...

«Queste vacanze devono avergli fatto davvero bene.» Beth aveva ancora una cotta per lui, era palese. Cercava di non darlo a vedere ma con scarsi risultati. «Avrà trovato qualcuna da sbattersi» aggiunse, acidamente.

Takeru trasalì, ma io restai impassibile. Mi morsi la lingua e tacqui.

«Era ora che svecchiasse quel look da matusa. Non credi, Rob?» Eve mi sorrise, gentile. Era l'unica delle due che cercasse ancora di coinvolgermi nei loro discorsi. Lo apprezzavo ma sapevo fosse tempo sprecato. Non saremmo mai potute essere amiche strette.

«Già. È un vero fico così» ammisi.

Non so come successe. Le mie parole tagliarono la folla attraversandola nell'unico istante di silenzio. E in un attimo gli occhi di Lattner intercettarono i miei. Mi fece l'occhiolino poi accennò un breve sorriso e salutandomi con un cenno della testa si allontanò lungo il corridoio. Seguito ovviamente dalle sue groupie.

Devo fare la prima mossa. Già. La prima mossa...

E allora perché mi sembra che questa partita l'abbia appena iniziata lui?

Sfilandomi la cartella la scaricai tra le mani di Ramones in un gesto affrettato e poco razionale. Stavo per fare una cazzata, me lo sentivo. «Ehi, guarda che non sono il tuo maggiordomo personale! Mica mi chiamo Alfred!» mi gridò dietro mentre correvo all'inseguimento di Lattner facendo slalom tra groupie e gli spettatori curiosi.

«Lattner!» berciai. «Mr.Lattner!» Non so perché volevo fermarlo. Sentivo di aver bisogno di un confronto, per capire. Quei cambiamenti così improvvisi avevano creato scompiglio nella mia banale quotidianità ma, soprattutto, nel mio cuore. Veder il Re dei teschi sovrapporsi a lui mi creava ancora un certo turbamento, sebbene sapessi perfettamente fossero la stessa persona. «Dannazione, Mr.Lattner! Si fermi!»

E lui lo fece. Mi sentì e si fermò. Di colpo, bloccando con sé tutti gli altri al suo seguito.

Quando lo raggiunsi trafelata mi scaricò addosso un'occhiata indecifrabile tanto che per un attimo pensai non fosse affatto felice che lo avessi chiamato. «Che succede, O'Neil?»

Che succede? Eh, bella domanda.

Che cosa stava succedendo?

In realtà avrei dovuto chiederglielo io, visto che sembrava tutt'altra persona. «Possiamo... cioè, ecco... le posso parlare in privato?»

Si accigliò e trattenne un sorrisetto. «In privato? Perché? È un segreto?» Era divertito, lo vedevo. Stava giocando con me. I suoi occhi percorsero ogni centimetro del mio corpo e sebbene tra noi ci fosse un metro di distanza, li sentii premere su ogni parte di me. «Ho sentito che mi trovi fico, non è vero, O'Neil? Lo hai detto proprio un attimo fa. Vuoi forse dichiararti?»

La gente ci fissava, mormorava, ridacchiava e io ero rossa, in difficoltà e mortificata. Mi stava mettendo volutamente in imbarazzo. Avrei dovuto detestarlo per come mi stava trattando eppure, in quello stuzzicarsi senza esclusione di colpi, lo trovavo elettrizzante. Forse ero masochista. O magari solo stupida.

«Volevo parlarle di un compito.»

«Chiedilo alla tua docente di corso, no?»

Sollevai gli occhi per fissare i suoi e bastò un attimo per perdermi in quell'azzurro cielo. Quella mia arrendevolezza lo fece vacillare, tanto che avanzò di un passo; ma non andò oltre.

Ero stata ingenua e impulsiva a cercare un confronto proprio a scuola, in un momento in cui non era solo e con una scusa banale. Avevo agito d'istinto, sbagliando.

Sciocca, sciocca Robin!

«Io volevo... cioè... ecco...» mi sentii improvvisamente stupida. Molto stupida. Una ragazzina, proprio come spesso mi definiva lui. Accennai un sorriso imbarazzato e scossi il capo. «Fa lo stesso. Chiederò alla mia docente.» Avrei trovato coraggio di chiederglielo a casa, o forse mai. Tanto funzionava così tra noi, no? Evitavamo tutto, sempre.

Indietreggiai e mi voltai di scatto, pensando al miglior modo per defilarmi senza sembrar più patetica di quanto già non fossi ma Lattner mi agguantò un polso e anziché fuggire mi bloccai sul posto.

«Seguimi!» ordinò, trascinandomi verso l'aula più vicina. «E voi andate in classe. Non sono affari vostri.» Il tono gelido con cui impartì l'ordine sembrò scoraggiare persino la più ossessionata delle groupie. Il gruppo iniziò subito a dissiparsi.

Quando entrammo nella classe, richiuse la porta alle spalle e mi lasciò. Mi massaggiai nervosamente i polsi. Non che mi avesse fatto male, ero solo tesa.

«Siamo soli ora. Parla.» La stessa freddezza di poco prima la impresse in ogni singola parola che mi rivolse.

Non capivo.

Il suo comportamento non era mai stato del tutto chiaro nei miei confronti, ma ora, era una completa incognita. E questo mi faceva arrabbiare. «Perché ti sei vestito così per venire al Missan? E perché ti comporti così?» sbottai. Forse il perché lo sapevo, in realtà. Solo che sentirlo per bocca sua mi avrebbe aiutato ad accettare l'evoluzione di questo nostro rapporto. «Vuoi forse farti licenziare?»

Scrollò le spalle. «Avevi detto di vivere la mia vita e non quella di mio fratello, no? Eccomi. In tutta la mia essenza. Mr.Lattner 2.0.» Allargò le braccia, facendo un giro su se stesso e mostrandosi a trecentosessanta gradi. «Non ti vado bene, ragazzina? Troppa roba da gestire?»

Avvampai, consapevole che con ogni probabilità in fronte avevo stampato proprio quel pensiero. Ma ero stata io a spingerlo lì, all'accettazione di se stesso. Era giusto che trovasse la sua dimensione. Ciò che non sapevo, era se io sarei riuscita a sopportarla. «Ma - ma il tuo ruolo al Missan è... tu se - sei... ecco...» Mi posò due dita sulle labbra, silenziando il mio farneticare.

«Si può sapere che cosa vuoi, Robin?» si passò una mano tra i capelli, teso. Era serio. Non ero nemmeno certa che quella domanda fosse riferita a quel preciso momento. Mi sembrava abbracciasse un argomento più vasto di quell'unico frangente di noi.

«Voglio... capire.»

Che cosa stava succedendo? A lui, a noi. Volevo solo capire.

«Capire cosa?»

Rimasi a fissarlo dritto negli occhi prima di parlare: «Chi sei adesso, eh? Mr.Lattner, professore di Matematica o Thomas, il Re dei teschi? Qual è la differenza tra i due? Cosa cambia tra di noi?» buttai fuori tutte quelle domande in un colpo solo, trattenendo il respiro.

Si tormentò il labbro con i denti; divorato da qualcosa che ancora non voleva condividere. Poi si abbassò pericolosamente verso di me, in aria aleggiò l'odore di fragola e fior di latte del chupa chupa. Le sue labbra si accostarono al mio orecchio e quando parlò, ad ogni parola le sentii sfiorarlo. «Non posso tornare indietro e cancellare ciò che è stato... posso solo andare avanti e preoccuparmi di ciò che saremo in futuro.» Le sue parole erano cariche di passione eppure assunsero il suono di un triste destino che sembrava aver accolto. Quasi non fossimo degni l'uno dell'altro.

«E cosa saremo in futuro?» Indieteggiai di alcuni passi, fino a raggiungere il muro e mi appoggiai usandolo come appoggio stabile. Con lui dietro non sarei potuta scappare via, qualsiasi risposta mi avrebbe dato. «Quindi, adesso chi sei? Sei tornato a essere il morigerato professore che mette le distanze tra noi? Sarai lui?» domandar quella verità, che in parte già sapevo, mi era costato caro. Sentivo il fiato corto e un dolore acuto in petto.

Non volevo che tutto tornasse come prima. Non volevo far un passo avanti e tre indietro.

Lattner macinò la distanza in una falcata, raggiungendomi. La sua presenza era talmente imponente da annebbiare tutto il resto, perfino la mia razionalità. «Adesso? Bé, adesso sono Thomas Lattner, professore di matematica del Missan College nonché tuo coinquilino, nonché il Re dei Teschi... un ex teppista che ha fatto molti casini.» Le sue labbra scesero fino a sfiorarmi il collo, il suo alito mi solleticò la pelle. Una scarica di pura lussuria mi attraversò fin dritta nelle mutandine tanto che sussultai. Lui si abbassò ancora, incastrandomi tra sé e il muro e lasciando che sentissi la sua eccitazione attraverso i pantaloni del completo. «Sono anche quello con cui hai fatto più e più volte sesso e con cui vorresti rifarlo... perché so che vorresti, anche adesso.»

Cercai di dargli uno schiaffo, forse per l'imbarazzo; ma lui riuscì comunque a bloccarmi il braccio contro il muro. «Sei solo uno stronzo arrogante bastardo!» Non so se gli dissi quelle cose più per nascondere la verità che aveva colto o perché le credevo davvero. Probabilmente anche perché odiavo sentirmi così nuda di fronte a lui, anche quando indossavo dei vestiti. Sapeva leggermi dentro come nessuno prima d'ora.

Mi afferrò il viso con una mano, sfilandosi il chupa chupa di bocca con un sorriso malizioso e strizzandomi leggermente le guance. «Touchè! Ma sappi che anche tu sei stronza e arrogante tanto quanto me... ed è proprio ciò che mi fa impazzire di te» si abbassò a leccarmi le labbra, prima quella sopra e poi quella sotto, trasmettendomi il sapore del dolce e la voglia di averne di più. Quando mi sporsi per baciarlo si tirò indietro e scosse la testa, serio. «Era l'ultimo, questo... un addio dolce amaro.» Si staccò di scatto, come se improvvisamente scottassi.

Un addio. Che cosa voleva dire?

«Cosa? U - un addio? Io non... non capisco.»

«È meglio così, Robin. Facciamo entrambi un passo indietro.» Abbassò gli occhi sul chupa chupa e tornò ai miei e poi, prima di lasciare l'aula di tutta fretta, me lo spinse in bocca quasi volesse marcare quel bacio a metà che non ci eravamo dati e che sembrava esser stato l'ultimo di quel nostro rapporto mai sbocciato e troncato sul nascere.

Richiuse la porta alle spalle con un tonfo, lasciandomi lì, in balia dei miei sentimenti.

Gli occhi mi si riempirono di lacrime che rifiutai di far scendere. Schiacciai tra i denti la pallina di caramella del chupa chupa e lanciai lo stecco vuoto in terra. Ero furiosa. E il cuore mi faceva male, pompandomi in petto come un treno a tutta velocità a cui si è rotto il freno.

Non gli avrei permesso di chiudere tutto in questo modo. Non sarebbe scappato di nuovo da me senza fornirmi una motivazione valida.

Non potevo arrendermi così. Soprattutto quando le sue parole dicevano una cosa ma il suo corpo e i suoi occhi tristi, altro.

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