13 - PASSI AVANTI
Quando mi svegliai nuda, in un letto vuoto e non mio, ammetto che non pensai a qualcosa di idilliaco o di romantico. Anzi, probabilmente uno dei miei primi pensieri, oltre a rievocare chi fossi e come mi chiamassi, fu quello di aver fatto una delle più grosse cazzate del secolo.
Sì, okay, nottata di fuoco. E sì, okay, sesso bellissimo.
Ma dopo? Sarebbe sempre stato così?
Mi sarei sempre svegliata in un letto vuoto con quel senso di inadeguatezza?
Non avevo fatto nulla di male, certo... eppure in qualche modo, per alcuni istanti, mi sentii terribilmente sbagliata. E sporca.
Trovarmi lì, sola, mi aveva strappato via il piacere del risveglio. E la sua mancanza era soltanto un silenzioso sottolineare di ciò che non eravamo.
Sapevo a cosa andavo incontro però vedermelo sbattere in faccia così, dopo tante ore di sesso e poche ore di sonno, faceva male. Molto male.
«La solita stupida» mi rimproverai.
Ormai era fatta. Non potevo certo riavvolgere il nastro. Dovevo andare avanti e prendermi la responsabilità di ciò che sarebbe avvenuto tra noi da lì in avanti.
Passandomi una mano tra i capelli usai l'altra per tirarmi le lenzuola al petto e cercai con lo sguardo i miei vestiti. Non c'era più niente di mio, nemmeno l'abito sporco della sera prima.
Sul letto però era stata posata una tuta, di Lattner. C'era anche un biglietto. Mi allungai a leggerlo.
"Ho messo i nostri panni a lavare. Ti ho lasciato una mia tuta."
Pensiero molto carino, sì. Nulla da ridire.
Forse non se l'era data a gambe tipo il classico cliente che fugge non appena consumato il rapporto con la prostituta di turno. Perché sì, ammetto che al risveglio mi ero sentita abbastanza a quel modo. Ed era stato squallido.
Come se nonostante i nostri ruoli ben definiti di scopamici, non valessi più di quello.
Scrollai le spalle, cercando di liberarmi dai pensieri tossici. «Adesso ti fai un caffè, metti sotto i denti qualcosa... e poi, via!, sotto la doccia.» Era un bel programma per la mattinata. Avevo intenzione di poltrire tutto il giorno e rinchiudermi in una bolla di commiserazione, risentimento e pentimento.
Eppure avevo fatto sesso. Era una cosa buona, no? Avrei dovuto essere appagata e scoppiettante, no?
Perché non riuscivo semplicemente a essere compiaciuta del mio appagamento sessuale? Cosa c'era in me, ANCORA, che non andava? Dannato cuore!
Ci vollero dieci minuti buoni per far collaborare il mio corpo con la mia testa. Ogni muscolo sembrava gridare pietà e probabilmente era tutta opera dell'intensa attività notturna che avevo fatto. Non ci ero più abituata.
Mi alzai appuntandomi mentalmente di far un salto in camera mia a prendere l'intimo prima di infilarmi nella doccia e, trascinando i piedi, mi diressi verso la cucina; salvo bloccarmi di colpo non appena misi piede in sala.
«Ma che...» Strabuzzai gli occhi.
Il tavolo era stato allestito al pari di un ricco buffet di un hotel cinque stelle. C'era di tutto, da torte a muffin, a spremute e caffè.
Non riuscii a trattenere il sorriso. «Ah, Lattner... che diavolo ti salta in testa, eh? Pazzo!» Feci qualche passo verso il tavolo e individuai l'ennesimo biglietto.
"Visto che sono dovuto andare ad allenarmi con Märten (sai, qualcuno dice che per mantenermi giovane devo farlo) ma non volevo svegliarti... ho pensato di farti trovare tante cosine buone pronte da mangiare, almeno potrai recuperare le energie in mia assenza."
Aveva firmato solo con un cuore ma bastò a spazzare via tutti i pensieri brutti che mi avevano investito appena sveglia.
Avvampai.
Non era scappato come un ladro dopo aver fatto sesso con me... era semplicemente andato a far allenamento dopo avermi preparato un risveglio degno di un fidanzato modello.
Ero così abituata a diffidare che i miei pensieri avevano optato per lo scenario peggiore senza nemmeno considerare le altre variabili.
Forse quella che scappava dall'amore e lo temeva di più, ero io non Lattner.
Guardai di nuovo il tavolo imbandito e il foglietto che stringevo tra le mani. Ogni dettaglio sprizzava impegno, cura e amore. Si vedeva chiaramente che si era dato da fare per rendere tutto perfetto.
Scoppiai a ridere, coprendomi la faccia con entrambe le mani e piegandomi sulle ginocchia mi raggomitolai in un abbraccio goffo e imbarazzato. Ero passata dal sentirmi inadeguata a sentirmi una sposina viziata durante la luna di miele. Ero emotivamente instabile, sì. «Dannato Lattner... guarda cosa mi fai.» Sentivo le guance scottare.
Qualcuno bussò alla porta mentre avevo ancora il viso affondato nelle ginocchia.
Era tornato? Era già qui? Oddio.
Mi alzai come una molla, sistemandomi i capelli e mettendo le corte ciocche ribelli dietro le orecchie. Rasettai la tuta, che mi stava enorme, e corsi alla porta.
Avevo le mani sudate e tremanti, la salivazione assente e il cuore che scalpitava. Quando afferrai il pomello lo stomaco parve accartocciarsi su se stesso e un brivido mi attraversò da testa a piedi come un fulmine. Inspirai. «Che gli dico? Sarà imbarazzante! Lo saluto e faccio finta di niente? Fingiamo non sia mai successo? Ha senso? No, no... normale, Robin... sii te stessa. Te stessa.» Espirai, rumorosamente.
Forse aspettai troppo prima di aprire perché bussarono di nuovo, più forte e con meno pazienza.
Aprii la porta di scatto, sorridendo come un ebete e continuando a mandarmi le ciocche dei capelli dietro l'orecchio.
«Cristo Santo, se fai paura! Vuoi che ripasso quando ti svanisce questa aura da protagonista di drama?» Lexie rabbrividì e il mio sorriso svanì immediatamente. «Immagino che non aspettassi me.» Incrociò le braccia, freddandomi con una occhiata.
«Bé, ecco...»
«Quella tuta è di Thomas, vero?»
«Cosa? N - no... no, no.»
Il suo sguardo si assottigliò ancora di più, riducendosi in una piccola fessura trasudante d'odio. «Piccola bugiardella!» Sfoderò l'indice puntandomelo contro. «Gliel'ho regalata io per Natale... lo so che è sua!»
Roteai gli occhi al cielo. «Sì, è sua, okay, va bene? Ma - ma c'è una spiegazione se la indosso io.»
Si piazzò le mani sui fianchi. «Sentiamo! Sono tutta orecchie!»
Avvampai.
Dannazione! Come potevo dirle che io e Lattner, quella notte, avevamo fatto sesso e questa era l'unica cosa che avevo trovato da mettere? «Ecco, stamattina mi sono svegliata e...»
«E?» Picchiettò il piede in terra.
«E gli ho rubato la tuta. Già.»
Wtf? Seriously? Lo avevo davvero detto?
Un rapido ghigno le si dipinse sul viso, sparendo subito dopo. «Oh, capisco... un bottino interessante.»
«Già. Sì. Qui - quindi? Come sto?» allargai goffamente le braccia.
«Fai schifo e ti odio.» Mi lanciò una bottiglietta di Gatorade che afferrai al volo. «Muoviti. Sono venuta a prenderti perché dobbiamo allenarci, ricordi?»
Il mio cervello si ricollegò al ricordo di me che parlando con Lexie le confermavo il nostro appuntamento mattutino per... bé, proprio oggi, anzi, ora. Sbuffai. «Ma io non ho ancora fatto colazione, Lè» frignai.
«Mangerai sabbia e sudore per questa mattina.» La cercai di corrompere con una delle mie espressioni da cucciolo bastonato ma non funzionò. Mi liquidò scuotendo la mano. «È ancora dentro? Ci parlo io!»
«Chi? Cosa? No, no, no.»
«Ora entro, lo uccido e trascino il tuo piccolo culo da teppista svogliata a fare allenamento» Mi disintegrò con lo sguardo e scavalcandomi entrò a passo spedito in casa, senza nemmeno togliere le scarpe da ginnastica. «Dove sei, eh? Esci fuori! Non te la lascerò questa mattina! Non farete i piccioncini anche ogg-» la voce le morì in gola non appena entrò in sala. Si bloccò sul posto tanto che a momenti quasi le finii addosso.
Restammo entrambe in silenzio, immobili, a fissare quel tavolo imbandito come se fosse un mostro alieno.
«Oh, bé... cavolo!» borbottò, a disagio tanto quanto me. «Ti ha preparato anche la colazione, eh.»
Sapevo che la sua cotta non era ancora passata. Sapevo quanto ci tenesse a lui e quanto la ferisse non essere ricambiata come avrebbe voluto. Tuttavia non potevo smettere di essere ciò che ero con Lattner solo per lenire il suo dispiacere. Ciò che provavo per lui non era sostituibile o cancellabile. E mi feriva veder il suo dolore.
«Ecco, bé... wow! Che dire...»
«Mi - mi dispiace.»
«Di cosa? Di non avermi detto che avete fatto sesso?» Fece una pernacchia. «L'ho capito subito. Ti sono sparite le rughe in mezzo alla fronte.» Mi picchiettò il punto esatto con l'indice che subito coprii con le mani, quasi fosse una nudità imbarazzante di cui non mi ero accorta. «Ahh, non posso distrarmi un attimo con te.»
«Ma - ma... cioè... non... non sei arrabbiata?» Mi faceva strano vederla così tranquilla. Non capivo se avesse accettato e approvato la cosa o fosse solo rassegnazione. Tuttavia, nei suoi occhi non leggevo rabbia, risentimento o gelosia. Sembrava sorpresa, sì... ma anche e soprattutto divertita.
Ghignò. «Bé, non cantar già vittoria. Non crederai mica che mi arrendo così in fretta, eh?»
Questa sua leggerezza mi fece sorridere. Probabilmente la nostra amicizia era stato lo step successivo alla sua rinuncia e io non me n'ero mai accorta fino ad ora. Conoscendo così bene Lattner, forse aveva anche capito qualcosa a cui ancora io non ero arrivata.
Mi voltai verso il banchetto e sospirai. «È davvero tanta roba per una pancia sola.»
«Già.» Sospirò anche lei.
«Tu hai già fatto colazione, per caso?»
«No. Mi sono vestita di fretta per venire da te... piccola ingrata.» Mi colpì sulla testa con la sua bottiglia di Gatorade. «E guarda come mi ripaghi.»
«Bé, allora... potremmo farla insieme.» Le indicai con una alzata di mento tutto il ben di Dio con cui avrebbe potuto rimpinzarsi. «Quando ci ricapita una cosa così, eh?»
Ci pensò un attimo prima di sfoderare il suo sorrisetto diabolico. «Hai ragione. Si fotta Thomas e pure l'allenamento... il cibo vince sempre!»
«Parole Sante!»
Ci affrettammo a sederci e iniziare a mangiare. Sia mai che si freddasse il caffè.
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