12 - DOCCIA FREDDA

«Io non... non capisco.» Le due enormi gemme azzurre che mi fissavano sembrarono farsi ancor più grandi e luminose dopo quell'ammissione.

Lattner che non capiva... bé, non era una novità.

Mandai giù il solito boccone di frustrazione e inspirai a fondo. Dovevo far molta attenzione alle parole che avrei usato. Ero di fronte a un esemplare di uomo Bambi. Avete presente il classico cerbiatto cuccioloso che si cerca di avvicinare tendendogli la mano? Diffidente, schivo e pronto a scappare al primo rumore? Ecco. Proprio lui, Lattner.

Io, il mio amore per lui e la mia voglia di starci insieme, in questo caso eravamo al pari di un enorme umano che voleva simpatizzare con un animaletto selvatico. Un potenziale pericolo ambulante, insomma.

Facevamo paura, sì.

E lo capivo, in realtà; perché io stessa, prima di lui, ero stata al pari di un animale in fuga. Fuggivo dall'amore e da ogni rapporto solido. Mi cullavo nella convinzione che la solitudine facesse più al caso mio e che fosse parte di me. Bé, mentivo.

Arrivare al Missan era stata, probabilmente, la svolta decisiva che serviva alla mia vita e al mio cuore.

E tutto era partito da uno stupido giapponese in cerca di aiuto.

«Oh, avanti... non fare l'ingenuo. Non ti si addice.»

La mia proposta lo aveva scosso.

E capivo anche questo, a dir il vero.

Insomma, non era quel genere di offerta che ti farebbe una ragazza innamorata, in cerca di una storia seria e ambendo ad una esclusività sia fisica che mentale. A meno che non fosse una pazza sadomaso. E forse io lo ero.

Perché diciamocelo, con una proposta simile si rischiava il tutto per tutto. Poteva andare bene come finir tutto a puttane. E tanti cari saluti alla romantica speranza di starci insieme.

Ma d'altronde bisognava partire da qualche parte, no? Avrei potuto puntarmi e forzare la mano facendogli assumere quel ruolo da cui tanto scappava. Ci sarei riuscita, probabilmente. Magari usando qualche mezzuccio non proprio corretto. Però non volevo.

Volevo che lo desiderasse, lo bramasse e temesse di venir spodestato da altri prima ancora di ricoprirlo. Inoltre, volevo capisse da solo, senza miei suggerimenti, che in qualche bizzarro modo lui già si comportava come un fidanzato e non ci sarebbero stati chissà quali cambiamenti una volta ufficializzato il tutto.

Ecco perché avevo preferito definire la nostra attuale condizione con un ruolo ben definito per ciò che saremmo stati. Per non farlo navigare in quelle situazioni dove i rapporti non hanno una definizione ma in cui la controparte si aspetta un certo comportamento dall'altro.

Lui doveva pensare, credere ed esser convinto che io, da lui, non pretendevo nulla. Se non il sesso.

E dire che ho sempre odiato le etichette. Non son mai stata capace di incasellarmi bene nelle definizioni standard sociali. Perfino le definizioni di fidanzamento e matrimonio per me perdevano senso laddove i due interessati vivevano bene il loro amore, in un reciproco rispetto e fedeltà.

Tuttavia, capivo però la necessità di Lattner di non sentire addosso più responsabilità e obblighi nei miei confronti di quelli che già non avesse. Ero disposta a ridefinirmi, momentaneamente. Solo per lui. Solo per ora.

Anche perché c'è un confine sottile tra sesso e amore ed io ero certa che entrambi lo avessimo valicato senza rendercene conto già da tempo.

Il resto lo avremmo aggiustato strada facendo, di volta in volta, di situazione in situazione; analizzando ogni caso.

Era un gioco pericoloso? Cazzo, sì.

Mi andava a genio la cosa? No.

Mi sarei sforzata per andargli incontro? Certo che sì. Perché dopo tutto quello che aveva fatto per me, meritava questa chance.

«Allora?» lo incalzai, stanca di vederlo imbambolato e fisso a guardarmi. «Davvero vuoi fingere di essere tanto innocente? E dovrei crederci secondo te?» sghignazzai.

Mandò indietro la testa, colpendo la porta con la nuca. Sulle labbra gli spuntò un sorriso imbarazzato ma anche malizioso. «Dannazione, Robin... non sai quello che dici.» Il tono con cui me lo disse mi fece rabbrividire.

Forse aveva ragione. Forse stavo sbagliando tutto. Ma non potevo più tirarmi indietro. Per lui, ero pronta a scommettere tutto e giocarmi ogni carta.

«Sei sicuro?»

Abbassò lo sguardo lasciando che i nostri occhi si incrociassero e corrucciò la fronte, quasi a volermi intimare tacitamente di tornare seria. «Vogliamo davvero minimizzare ciò che siamo con del semplice sesso?»

Lottai contro il desiderio di prenderlo a pugni e gridargli addosso che, sì!, brutto scemo... era l'unica opzione rimanente in alternativa al nulla cosmico. Sbuffai dalle narici e optai per un approccio decisamente poco politically correct: mi sporsi verso la sua bocca fino a sfiorargli le labbra con le mie. Il bacio fu casto ma nei suoi occhi scintillò qualcosa. «Quindi vuoi privarmi anche di questo? Sarebbe un vero peccato, Mr. Teschio.»

Bastò poco a far crollare la sua resistenza. Si sciolse contro la mia bocca e il mio corpo, espirando esasperato, arrendevole.

Sapevo che mi desiderava tanto quanto lo desideravo io, se non di più.

Il suo problema era quel filo di razionalità e rimorso che mai lo abbandonava. La consapevolezza di star facendo qualcosa che, se scoperto, avrebbe messo entrambi nei guai.

Tutto girava attorno al fatto che era un professore del mio stesso college.

Probabilmente anche il suo non volersi impegnare seriamente aveva radici in questi timori. Ed ero sicura che fosse spaventato più per me che per se stesso. In fondo, era fatto così. Metteva gli altri prima di sé.

«Forse dovremmo parlarne. Devo - dev-» farfugliò lui, mentre gli tappavo la bocca con una sequenza di baci.

Era necessario parlare? Non sempre, no?

«Magari dopo, okay?» Gli infilai la mano in tasca, afferrando le chiavi di casa; con maestria le inserii un attimo dopo nella toppa, dopo alcuni tentativi alla cieca.

La porta si aprì alle sue spalle e per poco non cadde all'indietro. Anziché riprendere equilibrio, la prima cosa istintiva che gli venne da fare fu quella di attirarmi a sé e chiuderla con un colpo di stivale.

Aveva preferito un Noi a un Sé. C'era differenza, fossimo anche caduti insieme a terra. Non era uno scacco matto, ma ci andava molto vicino.

Sbattemmo contro il mobiletto del corridoio, facendo cadere la ciotola con le caramelle, il centrino, il vassoio portachiavi e un vaso.

Ogni cosa si infranse in terra, proprio come il nostro autocontrollo; gettato via, inutile.

Scappò una risatina a entrambi, soffocata subito da un'altra sequenza di baci. Caldi. Passionali. Tanto desiderati e attesi.

«Sono un tuo professore» ansimò lui, contro la mia bocca.

«Non proprio» precisai, slacciandogli la cintura.

Ci liberammo entrambi delle scarpe, senza usar le mani, lanciandole ovunque senza guardare.

«Sono più grande di te. Dovrei darti il buon esempio.» Le sue dita si strinsero sul tessuto lungo i miei fianchi.

«Allora dammelo!» lo incoraggiai, lasciando aperta ogni possibile allusione in quella frase già piena di doppi sensi. Lo spinsi contro il muro, aprendo il primo e unico bottone dei jeans. Non abbassai subito la zip, mi limitai a giocare in quella zona, tirando il tessuto del pantaloni e la cerniera stessa. Pizzichi leggeri che gli fecero sfuggire un sospiro e mandar indietro la testa; ne approfittai così per baciargli la gola, il pomo d'Adamo.

«Robin, ti prego...» Quando mi pregava a quel modo impazzivo; la trovavo la cosa più eccitante mai sentita in tutta la vita. La sua voce diventava bassa e profonda, in grado di raggiungere i punti giusti delle mie sinapsi; toccarmi senza toccarmi veramente, entrarmi dentro senza farlo per davvero. «...mi stai torturando.»

Era un tortura reciproca in realtà. Le sue mani erano scese sulle cosce, scavalcando l'ostacolo del vestito che mi aveva arrotolato fino ai fianchi. Il mio corpo era alla sua mercé e non vedevo l'ora perdesse anche quel briciolo di esitazione.

«Lo so,» ammisi, arcuandomi in modo che i nostri bacini si scontrassero. «e mi piace» aggiunsi, facendolo ridere. Una risata virile e carica di eccitazione.

«Sono io che porto sulla cattiva strada te, Miss O'Neil, o sei tu che stai portando me?» Mi attirò a sé in un bacio tormentato e carico di desiderio e lasciando lo nostre labbra incollate fece scivolar una mano sulla mia gola, lungo il petto.

Fu in quel momento che ricordai un dettaglio importante e disgustoso di cui mi ero completamente dimenticata.

Mi bloccai di colpo, staccandomi da lui e notai troppo tardi il danno appena fatto. Il sangue di Tony che mi era colato sul collo e petto aveva sporcato anche Lattner. «Ah, Diavolo! Io non... cazzo! Mi dispiace!» Cercai invano di pulirgli la t-shirt. Il bianco immacolato si era riempito di macchie rossastre.

Abbassò gli occhi, notando il disastro e sulle labbra gli si formò un ghigno. «È lo scotto da pagare quando si ha a che fare con una teppista come te.»

Risi. «Sono pericolosa.»

«Molto, sì.» Si sporse per baciarmi ma gli sfuggii tirando indietro la testa, dispettosamente. Sulle labbra gli spuntò uno dei suoi ghigni maliziosi, quelli che trovavo estremamente seducenti e che mi smuovevano un esercito di farfalle nello stomaco. «Molto, molto pericolosa» ripeté, acciuffandomi il labbro tra i denti prima di baciarmi con impeto.

Gli agganciai un fianco con la gamba, artigliandogli la schiena in cerca di un appiglio che evitasse di farmi crollare come una pera cotta. Sentivo le gambe di gelatina ma, per quanto gli morissi dietro, non lo avrei lasciato prendere il sopravvento. Volevo averlo io, il comando, quella sera. «Acqua. Doccia. Bagno.» scandii ogni parola mentre i suoi baci si facevano più urgenti, avidi e insaziabili.

«Tutto quello che vuoi...» Ci staccammo dal muro del corridoio, continuando a baciarci, in un groviglio di lingue, mani, carezze, tocchi. Le gambe intrecciate, i movimenti goffi, frettolosi.

Raggiungemmo il bagno per miracolo, a tentoni. Lattner accese la luce con un colpo della mano, impaziente, staccandosi dalla mia bocca per respirare e facendomi sentire spoglia come se non potessi più esistere senza il suo contatto.

Indietreggiai verso la doccia, allungando la mano per invitarlo. E lui non se lo fece ripetere. Mi raggiunse cingendomi la vita con un braccio e nella foga colpimmo il miscelatore che si aprì.

Il getto di acqua gelida che ci investì mi fece trasalire. Lattner sussultò, aspirando l'aria tra i denti, rumorosamente. Un attimo dopo sigillò la propria bocca con la mia.

Fu un bacio che sapeva di possesso e nuovo inizio.

Mi spinse contro le mattonelle, senza gentilezza e l'acqua ci travolse interamente. La t-shirt bianca, di nuovo candida, gli aderiva al corpo come una seconda pelle, fatta di trasparenze eccitanti e che rivelavano ogni dettaglio. A partire dai fianchi stretti, le spalle larghe agli addominali scolpiti e il piercing al capezzolo.

Ne approfittai per passargli la mano sul petto. Il tessuto intriso di acqua faceva attrito contro i miei palmi.

Quando gli raggiunsi il pettorale con il piercing lo strinsi tra indice e medio.

Sbuffò una risata virile e con la mano libera, quella non impegnata a stringermi a sé, si afferrò il bordo della maglietta e con un movimento fluido se la sfilò dalla testa. La gettò sul pavimento, ormai zuppa.

L'acqua gli piovve addosso scivolando sulle spalle e i pettorali già bagnati. I miei occhi cercarono la collana con le chiavi abbinate alla mia e quando la trovarono, restarono ad ammirare il resto. Era perfetto.

Perfetto...

Il suo erotismo mi spiazzava. Trasudava virilità in ogni gesto e la cosa che più riusciva a disorientarmi era la sua totale mancanza di consapevolezza. Il più delle volte, per lo meno.

«Vuoi farlo qui dentro?» Si staccò dalla mia bocca ma gli riacciuffai il labbro con i denti. Si lasciò sfuggire un gemito, battendo i palmi sulle mattonelle, a lato della mia testa e inchiodandomi al muro con il suo bacino. «Decidi in fretta o lo farò io.» Mi afferrò con una mano il mento, girandomi il viso e scendendo a baciarmi il collo, graffiarlo con i denti.

Brividi.

«No, qui no. Volevo solo ripulirmi dal sangue.»

«Bé, sei pulita ora... anche se non so per quanto lo resterai.» Le mani gli scivolarono dietro la mia schiena, risalendo verso l'inizio della zip del vestito. Armeggiò un po' prima di imprecare a denti stretti. «Cazzo! Questi abitini sono trappole mortali.» Tornò con le mani sui miei fianchi e mi rivolse il suo sorriso sfacciato. «Scusa, ma... sai... devo.» E con uno scatto mi voltò di colpo.

Mi ritrovai di petto contro le mattonelle. Il freddo del marmo, a contatto con le mie cosce scoperte, mi fece rabbrividire.

La sua bocca si posò proprio al centro della schiena, tra le scapole. Mi baciò lì, passando la lingua sulla pelle bollente fino a risalire al collo e quando arrivò all'orecchio addentò il lobo e le mani strinsero la zip del vestito. «Quindi, hai deciso dove?»

«Ca - camera» farfugliai, mentre mi tormentava l'orecchio con i denti e leggeri risucchi.

«Tua o mia?»

«Tua.»

«Ottima scelta.» Il rumore della zip che si abbassa si trasformò in una bollente vampata di calore. Un secondo dopo, Lattner lasciò che il vestito mi cadesse ai piedi, accompagnandolo con le dita e approfittando per delinearmi il corpo in una invisibile scia seducente.

Nuda, o quasi. Fu una sensazione liberatoria.

Eravamo dove volevo io. E anche dove voleva lui, in realtà.

La sua bocca mi sigillò un delicato morso alla base della nuca. «Intimo in pizzo nero, eh?» Afferrò la mia collana tra le labbra, tirando. La pressione del lucchetto a ciondolo sulla gola mi fece respirare con affanno. «Avevi decisamente in mente di fare la cattiva, vedo.»

Trovare risposte razionali quando le sue mani correvano lungo il mio corpo seminudo era decisamente un'ardua impresa. «Volevo cancellarti dalla mia mente.»

La presa sul mio corpo si accentuò e le sue dita sparirono sotto il leggero tessuto delle mutandine. «E ci sei riuscita?» chiese, facendole scivolare dentro di me.

Una scossa d'eccitazione mi travolse partendo dal basso ventre e risalendo verso il mio stomaco come una fiammata bollente. Mi si spezzò il respiro.

Girai la testa di lato, cercandolo con lo sguardo, ma non feci in tempo a rispondergli che mi tappò la bocca con la sua, muovendo le dita.

Quei movimenti, quel tormento, quell'eccitazione così palpabile, quella urgenza di volermi far sua. Il respiro mi uscii a scatti, a fatica. E sebbene l'acqua fosse fredda e io ne fossi consapevole, il mio corpo dava tutta l'impressione di esser sull'orlo di una combustione.

«Sarebbe stupendo farti venire qui. Così. Non credi?» Il movimento delle sue dita aumentò, prendendo un ritmo con una cadenza che dettava i miei stessi respiri. Le gambe mi iniziarono a tremare.

Gemetti, ormai al limite del piacere e, anche se tentata di lasciarlo fare, gli stoppai la mano con la mia. «In - in camera» riuscii a dire, pregando mi assecondasse.

«Giusto.» Mi baciò con foga. Quei tipi di baci che consumano e che gridano desiderio. «Hai ragione.»

Quando tolse la mano, la sensazione di abbandono e insoddisfazione mi strappò un grugnito esasperato. Esser a un passo da un'esplosione di piacere e sentirsela portare via a quel modo era frustrante.

Anche Lattner però mostrava evidenti segni di impazienza. Nei suoi occhi bruciava lo stesso desiderio che bruciava nei miei.

Eravamo entrambi al nostro limite. Non ci bastavano più tutti quei baci e quelle carezze. Dovevamo appartenerci.

Mi voltai verso di lui e subito ne approfittò per afferrarmi e sollevarmi di peso. Dovetti chiudergli le gambe attorno ai fianchi per agevolargli l'operazione.

Uscimmo dalla doccia così. Bagnati fradici e ancora semi vestiti. Impazienti e accecati dalla passione. Avvinti l'uno nell'altra in un intreccio perfetto.

Lattner attraversò il corridoio velocemente, raggiungendo la propria camera senza staccarsi dalle mie labbra. Gli affondai le dita nei capelli bagnati, stringendoli tra le mani. Mi schioccò un bacio rumoroso prima di posarmi sul letto.

Soffice, morbido. Profumava di lui.

Mi abbandonai tra le lenzuola, allargando le braccia in una posa provocante, senza imbarazzo. In qualche bizzarro modo mi sentivo bellissima. Forse era per come mi faceva sentire o per come mi guardava.

I suoi occhi erano fissi su di me, intensi, di un azzurro denso come le onde di un mare in tempesta. In quello sguardo potevo leggere una marea di sentimenti ben distinti e alcuni contrastanti. Mi voleva dire qualcosa. Glielo leggevo in faccia, nella bocca socchiusa, nello sguardo fisso e nel modo in cui le sue dita si tormentavavano tra loro pur restando incollate sui jeans.

Lui d'altronde era bellissimo. Ed era la prima volta che potevo vederlo così, in tutta la sua maestosa bellezza, senza bandane a coprirmi la vista.

«Sei bellissimo, lo sai?» la mia osservazione gli fece incendiar le gote. Si morse il labbro e si abbassò verso di me per passarmi le mani sulle gambe, fino all'orlo dei miei slip.

«La mia bellezza è riduttiva quando siamo vicini. Non c'è paragone con la tua.»

«Che sviolinata!»

Rise. «No, davvero, Robin. Tu sei...» Scrollò la testa, sbuffando un sorriso e poi accarezzò il mio corpo passando l'indice dal ginocchio all'interno coscia, all'inguine fino a risalire il mio ventre, verso il mio seno e infine il mio viso. Le sue labbra raggiunsero le mie in un bacio dolce molto differente dai precedenti. Era privo della sessualità che ci aveva fino a quel momento travolto ma era pieno d'altro, di qualcosa spaventosamente pericoloso come solo l'amore può essere. Quando si staccò da me abbozzò un sorriso impacciato che mi sciolse il cuore. «Sono già fregato, vero?»

«Forse... ma per questa sera non ci pensare» e detto ciò lo spinsi sul materasso, mettendomi a cavalcioni su di lui.

Sapevo che stavo rompendo un attimo di romanticismo e probabilmente presa di coscienza ma non potevo rischiare che il suo cervello elaborasse tutto in quel momento e anziché capirlo quando ormai tutto era già avvenuto lo processasse lì, in quel preciso momento. E magari anziché accettarlo, si bloccasse e facesse passi indietro. O ne scappasse.

Era ancora troppo presto. E non volevo perderlo.

«Lascia i ragionamenti per un altro momento. Adesso concediti questo...» Portando le mani sulla schiena mi slacciai il reggiseno, facendolo scivolare lontano. I suoi occhi persero il contatto con i miei e lo sentii trattenere il respiro. Mi guardava come un uomo può guardare una donna che desidera. Non come una coinquilina molesta. Non come una alunna molto più piccola. Ma come una donna. «Ti piace ciò che vedi?»

«Troppo.»

«Allora lascia che ti mostri anche il mio di apprezzamento.» Scesi a baciargli il petto e fu piacevole veder la reazione immediata del suo corpo, l'eccitazione nei suoi occhi, il rigonfiamento nei pantaloni, le sue mani strette sulle lenzuola. Si poteva dire tutto di noi, che fossimo una strana coppia destinata a scoppiare o non avessimo nulla in comune oltre il triste passato, ma non che non ci fosse chimica. Quella c'era. Ed era in ogni sguardo, gesto e interazione che avevamo. E non sarebbe svanita tanto facilmente.

Passandogli le mani sul petto le accompagnai da una scia di baci, raccogliendo con la lingua le goccioline di acqua ancora sparse sulla sua pelle candida. Lattner chiuse gli occhi e sospirò. Probabilmente si chiese quando avrebbe potuto togliere il restante ingombro dei vestiti. I nostri corpi ora erano a contatto, il mio seno schiacciato contro il suo petto, pelle contro pelle.

Quando gli raggiunsi il mento gli posai l'ultimo bacio e mi staccai. E lui aprì gli occhi. Eravamo così vicini che sarei potuta tuffarmi in quell'azzurro ma restai sorpresa del modo adorante in cui mi fissava. «Sai, è la prima volta che posso veder chiaramente ogni tuo singolo spasmo di piacere. Ed è confortante sapere che ti piaccio almeno tanto quanto tu piaci a me» ammisi.

«Il problema è che tu non mi piaci soltanto.» E questa volta, il bacio che mi diede dopo avermi attirato a sé, non lasciò spazio ad altre parole. E finalmente ogni freno sembrò rompersi e le barriere che ci separavano sembrarono sparire.

Io. Lui. Solo noi quella notte.

Quella notte era nostra.

La prima di tante.

Un nuovo inizio.

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