venti

I petardi erano già al sicuro nelle mani di Calum. Lui doveva farli esplodere per attirare tutte le guardie per far sì che noi fossimo evasi. Era alla fine di un corridoio molto lungo. Mi disse che li avrebbe tirati nella cella del suo vicino, Jack, per dargli la colpa. In questo modo faceva un favore sia a me che a lui stesso.

Quando sentimmo il botto, era notte fonda, probabilmente le quattro. Mi coprii le orecchie con le mani e mi rannicchiai sotto le coperte, non volendo sentire le urla dei carcerati. C'era il caos. Gli stivaletti dei poliziotti facevano un gran baccano mentre correvano verso la cella di Jack, ma non erano niente in confronto a tutto il resto del casino fatto dai ragazzi.

Sbirciai con un occhio semiaperto fuori dalla mia cella, notando che il baccano si era calmato nel nostro corridoio. Michael aprì la mia porta e mi sorrise, per poi abbracciarmi e sussurrarmi "Andiamo."

Eravamo già pronti vestiti: avevamo messo la canottiera, i pantaloni del pigiama e gli stivali, per non farci riconoscere in divisa.

Quando fummo davanti al portone, mi stupii nel vedere che non c'era nessuno. Tutti gli agenti erano andati da Jack. Dovevamo fare in fretta.

Michael inserì la chiave nella serratura e l'aprì lentamente per non fare rumore. Lasciò il mazzo sopra allo zerbino quando fummo usciti. E all'improvviso tutto mi sembrava così diverso dall'ultima volta. Le stelle illuminavano il cielo come mai prima d'allora. La luna era piena e i grilli cantavano. Potei finalmente respirare aria pura. Aprii le braccia e chiusi gli occhi, beandomi ancora di più della sensazione di libertà che circolava dentro di me.

"Ti sei imbambolato? Dobbiamo allontanarci da qua!" disse Michael, iniziando a correre. Lo seguii a passo svelto.

Dopo quasi un'ora di corsa arrivammo nella periferia della città, dove un immenso prato copriva il terreno. Solo una piccola casetta era presente in questa campagna, ed era lontana.

Crollai a terra sfinito, aggrappandomi a Michael per far sdraiare anche lui al suolo. Eravamo uno di fianco all'altro a guardare le stelle.

"Guarda, l'Orsa Maggiore." indicai in alto, mostrandogli la stella più luminosa. Le costellazioni si vedevano perfettamente. "L'Orsa Minore, il Cancro... I Gemelli..." passai il dito su quell'infinita tela nera che era il cielo.

Michael rise e scosse la testa, prendendomi la mano che prima era sollevata in aria. Me la strinse forte.

"Vorrei un po' di California..." dissi all'improvviso, dopo un po' di silenzio.

"Cosa st-" provò a dire, ma io "Però col cielo londinese." lo interruppi. "Vorrei portare il mio cuore altrove e volare via, sta notte. Non sarebbe fantastico?"

"Assolutamente."

Alzai il busto e ressi il mio peso con un braccio, guardando le stelle che si specchiavano nei suoi occhi lucidi, "Magari anche un po' di oceano aperto, col modo di pensare di New York. E volare via questa notte."

"Ti seguirò. Potrei davvero seguirti in capo al mondo." sorrise, "Luke, non mi sono mai sentito più bene di così. E' solo, solo, incredibile."

Mi lasciai trascinare nel peccato da quelle labbra rosse curvate in un sorriso pieno di speranza, così mi affondai su di esse. Gli presi il viso con la mano ed iniziai a sghignazzare nel bacio, sentendo la sua, di mano, accarezzare il mio sedere.

"Vogliamo entrare in quella casa e fare qualcosa o vogliamo morire qui?" si staccò dal bacio, poi entrambi guardammo la piccola villa con un sorrisetto malizioso. Così pensai ad una cosa: sti cazzi di Ashton.

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