35. Le chiavi sbagliate
"Emma, Emma! Veloce, prendi le chiavi."
"Emma, non le vedi? Sono proprio dietro di te."
"Nella sacca, Emma."
Killian e Regina non cessavano di parlare, inveivano contro la mia figura pallida, imploravano il mio aiuto. Sbracciavano verso di me e con quel gesto mi chiedevano, senza saperlo, di svegliarmi, di tornare alla realtà e smetterla con tutte quelle paranoie.
Rimasi ferma, immobile, a fissare quel corpo esanime che io stessa avevo trafitto con la spada insanguinata, che avevo lasciato lì, posta lì accanto al cadavere.
Non sentivo più il mio corpo e la testa aveva deciso di vagare per conto suo, nel mondo insidioso che avevo conosciuto e che non sarebbe mai stato tanto pericoloso quanto me, quella me che aveva ucciso un uomo.
Il cadavere lercio di sangue, privo di ogni dolore, me lo lasciai alle spalle. Faci un passo in avanti, senza sentire le dita dei piedi o qualunque altro muscolo del mio corpo. Quella era la prova di una grande malefatta, era la conferma dell'aggettivo che mi avevano attribuito: omicida.
"Emma, liberaci o uccideranno anche noi!" urlò alterata Regina. Un mugolio le morì in gola, insieme a delle lacrime che stagnavano nei suoi occhi scuri.
Mi voltai, curiosando nella penombra, e trovai quel suo viso smunto poggiato alle sbarre, mentre il suo corpo si era accasciato a terra proprio sul sangue di quella guardia. Non si curò di avere le cosce e le vesti sporche di rosso, puzzolenti di stantio, ma osservò me e io vidi il vuoto nel suo sguardo di carcerata.
"Perché piangi?" chiesi, dopo quegli interminabili minuti di silenzio.
"Ho paura. Piango perché se non prendi quelle chiavi moriremo tutti e tre."
Annuii. Provai una stretta al petto, di pena e compassione... mi chiesi se lei avesse provato le mie stesse sensazioni quando il corpo della guardia si era accasciato a terra, per colpa sua, per colpa mia... per colpa della guerra.
Mi risvegliai dai sogni sporchi di sangue, sentii il mio corpo possedere a me e a nessun altro, cullato e coccolato dal pensiero che non fosse colpa mia, ma della guerra. Il mio unico compito era quello di salvare sia lei che Killian e nonostante il mio corpo e il rimorso tentassero di impedirmelo, non potevo cedere alla tentazione di provare dolore.
Il coraggio non lo avevo mai avuto, tantomeno avevo dimostrato qualche briciola di esso trafiggendo il petto di una guardia, ma presi una decisione r quella mi fece sentire per la prima volta una donna e non una bambina.
Mi voltai verso il cadavere e mi sentii una temeraria guerriera, infilai le dita tremanti e sporche di terra e sangue nella sua giubba. Tastai il suo petto, da cui uscì un rivolo di sangue che mi macchiò i polsi, ignorai quella sensazione viscida e sfilai da un cordino il mazzo di chiavi. Sorrisi, senza provare alcuna gioia, quando lo strinsi tra le dita e lo osservai.
In quell'anello erano state incastrate e strette tra di loro circa dieci chiavi, ognuna diversa dall'altra per forma o dimensione.
Iniziai a rigirare le chiavi, escludendo quelle troppo piccole rispetto alla serratura della cella di regina, e iniziai a provare le restanti, una per una, con le mani che tremavano a ogni tentativo.
La prima aveva denti troppo stretti e girava a vuoto.
La seconda era troppo larga rispetto alla toppa.
"Veloce, Emma! Sbrigati, sento i passi delle guardie sempre più vicini."
"Ci sto provando!" esclamai, senza degnarla di uno sguardo, troppo impegnata a inserire l'ennesima chiave in quel buco, ma niente. Anche la terza girò a vuoto.
... Non volevano proprio entrarci. Erano troppo larghe o troppo strette, con troppi denti o poco aguzze.
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo, il mio viso era un misto di lacrime e sudore, la mia attenzione iniziava a vacillare e mi resi conto che le voci di alcuni soldati giungevano in lontananza.
Mi bloccai. Alzai lo sguardo verso Regina e lessi in lei la paura che fino a quel momento avevo cercato di ignorare. Nelle sue pupille scure si rifletteva la mia immagine smarrita e il mio viso chiazzato di rosso.
Ogni passo che sentivo arrivare era un battito in meno del cuore nel mio petto.
"Dalle a me, faccio da sola" sbottò la donna.
Mi sfilò le chiavi, senza fatica scivolarono via delle mie dita tremanti.
Si concentrò a osservare il mazzo e in pochi secondi prese una chiave, che scattò due volte nella serratura e aprì la gabbia. Rimasi a osservare la scena attonita, con le mani poggiate sul terreno e gli occhi grandi rivolti verso di lei. Regina con uno scatto raggiunse Killian e liberò anche lui.
In quel momento mi sentii persa.
Non c'era più alcuno scopo per me, l'unica cosa che era rimasta era la sensazione di vuoto e la consapevolezza di aver peccato.
Ero riuscita nella mia missione, avevo in qualche modo salvato Killian e Regina, ma avevo macchiato la mia anima con il sangue.
Non trovai il coraggio di reagire, né quando il pirata abbracciò la donna, felice di essere stato salvato, né quando si avvicinò a me e mi sfiorò una spalla con il pollice.
Incrociai il suo sguardo e lo sentii sussurrare: "Sei stata fantastica."
Non era vero, ero stata tutt'altro che fantastica. Avevo ucciso un uomo e questo avrebbe segnato la mia vita per sempre e per lo più non ero neanche riuscita ad aprire le loro celle.
Vedevo tutto oscuro, sfocato. Mi sembrava di vivere un sogno... come quando la mente giocava brutti scherzi e mi lasciava credere che la persona a me piu cara fosse morta, mi svegliavo di soprassalto e iniziavo a immaginare cosa sarebbe accaduto, se fosse stato tutto vero.
Non piangevo, non urlavo... pensavo, finché la più macabra delle riflessioni non mi costringeva a ignorare ogni pensiero e ad archiviare quel sogno.
Mi chiesi come avrei fatto a scappare dal mio incubo se non era un sogno.
I miei due compagni non avevano il mini accenno di paura o ansia sul volto, adesso che erano liberi mi guardavano pacati e quasi sorridevano. Non sentivo più alcuna guardia e questo mi fece fare un sospiro di sollievo, ma non bastava per farmi sentire bene.
Avevo ucciso una persona davanti ai loro occhi ed entrambi ignoravano completamente la situazione... avrei voluto essere come loro.
Mi massaggiai le tempie e respirai profondamente.
"Emma, da dove usciamo?" chiese Regina, guardandosi attorno in quella lugubre caverna buia.
Mi alzai in piedi, pulendo la polvere e la terra dal mio vestito, ma il sangue rimase lì, a guardarmi. Feci a Killian e Regina un segno con la mano destra, per lasciargli intendere che dovessero seguirmi.
Per tutto il tragitto rimasi in silenzio, non mi tradii neanche quando giungemmo davanti la porticina che nascondeva la cripta di mio padre. Mi voltai a osservare l'uscio, che avevo chiuso con cura, e trattenni il fiato.
Giungemmo di nuovo alla luce, non era più buio e la prima alba tiepida accolse i nostri occhi che ormai si erano abituati all'oscurità.
"Come usciamo da qui?" chiese Killian, osservando l'immensa fortezza del palazzo reale.
Io sospirai. "Non possiamo uscire ora, dobbiamo attendere" risposi.
Non ero certa di quel che avevo appena detto, ma sarebbe stato impossibile fuggire con le prime luci del giorno. Aspettare sarebbe servito a trovare una soluzione.
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