30. Ragionare con il cuore
Mi trovavo in una cella spoglia, di piccole dimensioni, con tre pareti in mattoni e una serie di aste in ferro battuto a fare da sbarre.
Me ne stavo rannicchiata sul terreno, con una guancia indolenzita, dolorante e calda come il fuoco, le mani legate una all'altra da una corda spessa e la testa pesante come la roccia.
La prima cosa che vidi al mio risveglio fu un'espressione cupa e canzonatoria. Un volto spento che mi scrutava quasi infastidito, come a voler parlare senza aprire la bocca, esprimeva uno sbiadito e malinconico te l'avevo detto.
Provai una sensazione di fastidio acuto, come un accenno di raffreddore in inverno, che mi faceva odiare me stessa e tutto ciò che mi circondava. Impiegai un po' di tempo a capire che quel flebile dolore proveniva dal petto, causato dalla visione di quel viso languido e stanco, il labbro spaccato proprio nel centro e le braccia legate da una catena al soffitto. Feci fatica a riconoscere in quello sguardo spento il sorriso beffardo di Killian.
"Cosa diavolo è successo?" mi domandò, prima di sputare della saliva mista a sangue in un angolo della prigione.
"Dovrei chiederlo io a te, Killian. A chi hai dato qualche pugno?"
"In realtà, se ti fa sentire meglio, le ho solo prese."
Una risata amara gli fuoriuscì dalle labbra.
Sussultai alla macabra scena di quell'uomo malconcio, che fingeva di non provare dolore fisico, quando il suo volto esprimeva tutt'altro. Mi sentii male alla sola idea che in qualche modo fossi stata proprio io a provocargli quel male, ma il pensiero sciamò appena mi resi conto che forse era lui il motivo per cui eravamo rinchiusi tra quelle mura cupe e impolverate.
"Un tipo in armatura mi ha visto con una freccia puntata verso il principino e si è agitato un po'."
Provò ad alzare le spalle per fingere disinteresse, ma dalla posizione in cui si trovava gli era impossibile. Avrei voluto dirgli che aveva sbagliato a tenere l'arco alzato, rivelargli che lo stavo incolpando della nostra disgrazia, ma non ci riuscii; era ferito e stanco, non volevo lasciargli altro peso sulle spalle. Incolpai me stessa e cercai di non scoppiare in lacrime.
Feci un sospiro profondo. Non sarei mai riuscita a spiegare l'ennesima incomprensione a Neal e iniziai a pensare che dovevo smettere di provare ad avere un vero rapporto con lui.
Eravamo troppo distanti per essere anche solo considerati fratelli, trattarsi da tali sembrava impossibile dopo quel che era appena successo.
Con un po' di difficoltà, mi alzai in piedi. Io, al contrario di Killian, non ero ancorata al soffitto da funi di metallo e avevo la possibilità di muovermi almeno in quello spazio stretto.
"Non potevi aspettare che per una volta risolvessi io le cose?" domandai leggermente spazientita, non riuscendo a trattenermi dall'addossargli almeno quella piccola colpa: l'impazienza.
"Tesoro, è andata sicuramente meglio a te che a me."
Ennesima risata finta, mentre ruotava gli occhi, come a volermi far notare le sue catene, ma non era la risposta di cui avevo bisogno.
Ero una goccia d'acqua su una tovaglia, smarrita, persa e molto presto sarei diventata il nulla.
Questo Killian non l'avrebbe mai capito, come non avrebbe mai capito quanto era importante per me ricomporre quel che rimaneva della mia famiglia. Per quanto avesse provato ad agire in buona fede, non potevo far a meno di pensare che avesse rovinato tutto.
"È un bene che ti abbiano legato, almeno questa volta non potrai interferire con i miei affari familiari" parlai aspra.
Non avevo riflettuto su quelle parole prima di renderle tali, ma ero arrabbiata. Non tanto con lui, quanto con me stessa, per aver veramente pensato che Killian potesse riporre un po' di fiducia nella corona, dopo tutto quel tempo passato a disprezzarla.
L'avevo visto con i miei stessi occhi, il suo desiderio di giustizia, le persone che conosceva e infine avevo sentito anche la straziante storia di suo padre. Che sciocca che ero, a credere che tanto rancore potesse essere messo da parte.
"Non avevo intenzione di interferire, nonostante tuo fratello sia l'alter ego del re, avevo deciso di fidarmi del tuo giudizio. Peccato che mi hanno colpito alle spalle, mentre riponevo le frecce al loro posto" sembrava quasi scocciato a rivelare quel dettaglio e fu per questo che decisi di credergli.
Annuii e mi avvicinai a lui, baciandogli delicatamente una guancia, sperando di non fargli provare altro dolore inutile.
"Grazie, era importante per me saperlo" sussurrai piano, per paura che dirlo ad alta voce mi avrebbe indebolita. In pochi secondi il mio rancore per lui sciamò, lasciando spazio alla possibilità che potessi rimediare insieme a quel che ci stava succedendo.
Sorrise, per quanto gli fosse possibile.
Sei ore più tardi ci trovavamo ancora lì. Io sentivo lo stomaco in subbuglio, anche dopo aver ricevuto il pasto giornaliero continuavo ad avere una strana sensazione di vuoto, come se mi stesse divorando dall'interno.
In quel momento desideravo solo trovarmi in un altro luogo, uno qualsiasi sarebbe bastato, ma il mio pensiero si rivolse veloce alla capanna di Jacqueline, vuota e spoglia, con quell'unica donna che si trovava di nuovo da sola. L'avevo abbandonata e me ne rendevo davvero conto solo in quel momento.
Il tempo era infinito, nonostante fosse difficile capire se fosse notte o dì, scandivo il passare dei giorni con l'arrivo dei pasti: uno ogni ventiquattro ore.
Killian venne slegato dopo una settimana e questo rese più facile per lui consolare i miei lamenti.
"Non capisco perché ci tengono qui, così."
"Aspetteranno il momento giusto per tagliarci la testa" disse lui, appoggiando la nuca al muro. Era stremato, ma lo nascondeva bene. La ferita sul labbro stava guarendo in fretta e questo rendeva decisamente più facile stringerlo a me, senza paura di fargli male.
"Neal non mi ucciderebbe mai" affermai, un po' malinconica.
Accovacciata su me stessa, con le gambe strette al petto e la testa nascosta dai capelli biondi leggermente scompigliati, sospirai. Non so quanto credessi alla mia stessa affermazione, ma avevo ancora un briciolo di speranza e non mi avrebbe abbandonata con tanta facilità.
Killian, di fronte a me, nascose un sorriso intenerito e disse con un tono distaccato: "Quando si parla di famiglia non rifletti mai."
"Tra il non riflettere e il ragionare con il cuore c'è una bella differenza."
"Non esiste questa cosa del ragionare con il cuore" ammise schietto, con un tono ancora più indifferente rispetto a poco prima.
Era una delle nostre solite discussioni, un battibecco innocente, eppure la sua ultima frase aveva colpito in un punto in cui non ci eravamo mai soffermati abbastanza.
"Quando mi hai baciata quindi non stavi riflettendo?" domandai a quel punto, veramente curiosa e leggermente ferita.
"Ti prego, Emma. Non è il momento di affrontare un discorso simile."
Sviò con una risata che a me parve fin troppo finta.
"Invece credo sia il momento perfetto, forse anche l'ultimo che avremmo per parlare di questo genere di cose" ribattei, incrociando le braccia al petto.
Lo punsi con una sola occhiata, lui si passò una mano tra i capelli e scivolò verso di me per potermi poggiare una mano sulla coscia, come a volermi proteggere.
"Baciarti fino allo sfinimento, fino a non sentire più le labbra o al perdermi nel tuo profumo, non faceva parte della mia missione. È successo, è stato ed è ancora bello, ma non posso dire che sia una di quelle cose su cui abbia riflettuto."
"Te ne penti?" chiesi schietta.
Negò con la testa, mostrandomi un piccolo sorriso che sembrava voler dire che ero una folle anche solo a pensarlo.
"Allora non conosci la differenza tra il non riflettere e il ragionare con il cuore" dissi, risultando più antipatica di quanto volessi realmente.
"Avrai il tempo di insegnarmela."
Alzò le spalle con indifferenza e si protrasse verso di me per darmi un leggero bacio sulla guancia.
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