25. Hai i suoi stessi occhi

Rientrai a casa cercando di non fare troppo rumore, immaginando che Jacqueline stesse dormendo, ma quando mi sdraiai nel letto la notai lì, sveglia, con lo sguardo incuriosito rivolto a me. Eppure, non fece domande, forse perché notò il mio viso stanco e un po' scosso o, magari, non le interessava affatto quel che stavo facendo.

La casa di mia zia era leggermente più grande e spaziosa rispetto a quella di Killian e, oltre alla montagna di cuscini nel salone, dove le piaceva rilassarsi il pomeriggio, al di là di una tenda dorata c'era una stanza stretta, con due piccoli letti uno accanto all'altro, divisi solamente da un comodinetto in legno.

Sembrava fatta apposta per due coinquilini, o forse due fratelli.

Pensai che il materasso su cui ero sdraiata fosse lo stesso su cui dormiva mio padre più di dieci anni prima, era strano e imbarazzante scontrarmi con lo sguardo di Jacqueline quando me ne stavo inerme sul letto, a guardare il soffitto, sentendo la sua voce sussurrare: "Sei uguale a lui."

Facevo finta di non udire niente, per non rendere il tutto ancora più folle. Era stata un'idea istintiva, quella di bussare alla sua porta dopo la litigata con il pirata, ma in fondo, probabilmente da lì a poco sarei tornata a palazzo e non l'avrei più vista, meritava un po' del mio affetto dopo aver perso David. Chiusi gli occhi, cedendo al sonno ed evitando ogni genere di situazione imbarazzante. Per quella sera ne avevo decisamente abbastanza.

La mattina successiva mi alzai alla buonora, ma non prima di Jacqueline che aveva già messo a tavola la colazione e, come al solito, mi accolse con un sonoro buongiorno.

"Non mi hai detto perché hai cenato con Killian ieri sera."

"Tu non mi racconti delle ore che passi con lui a parlare di non so cosa."

Una ciotola di latte e caffè, qualche biscotto secco e il suo sorriso troppo confidenziale dipinto sul volto, ancora smunto e assopito, ma speravo in una chiacchierata utile, almeno quella mattina.

"Non me lo chiedi."

Ennesima fragorosa risata, accompagnata da un tono placo, così diverso da quello che mi aveva rivolto il giorno del mio arrivo nel villaggio. Si vedeva proprio che voleva conoscermi.

"Allora te lo chiedo."

"Io e Killian parliamo di lavoro."

Mi grattai il mento confusa. Era una bugia e questo faceva solamente aumentare la mia curiosità.

"Killian non lavora, è un pirata!" sbottai infastidita, sbalordendomi del fatto che fossi scoppiata a ridere dal nervoso.

"Qui non lo è."

"E che cos'è?"

"Una specie di consulente, mi dà qualche consiglio e io aiuto lui con un problema che ha."

"Killian ha un problema?"

Sgranai gli occhi, immaginavo che ci fosse qualcosa che non andava in lui. Mi aveva trascinata lontana dal mondo senza darmi alcuna motivazione e i suoi silenzi dicevano già abbastanza, ma sentirlo era diverso, lo rendeva reale.

"Emma, basta. Puoi chiedere a Killian queste cose, io volevo solamente fare un po' di conversazione con te. Non tutto deve avere uno scopo."

"Penso sia un po' tardi per fare conversazione, sabato prossimo ci sarà la luna piena e io andrò via."

Sospirai. Non ero totalmente convinta che Neal avrebbe colto il mio messaggio, ma la speranza non poteva abbandonarmi, non ancora.

"Abbiamo quasi due settimane di tempo." Mi sorrise Jacqueline.

"Non sono una persona socievole."

"Si vede" ammise, facendo un mezzo sorriso tirato. Le sue dita martellavano sul tavolo, sembrava ansiosa o forse spaventata, ma in entrambi i casi io non avevo idea di come avrei potuto aiutarla.

Era tardi per rimediare all'errore di mia madre e mio padre, le cose non potevano essere cambiate. La loro morte non aveva vanificato né gli errori, né i successi e soluzioni per chi ero non ne avevo e non le avrei mai trovare, probabilmente.

"Gli somiglio davvero?"

"Hai i suoi stessi occhi e il suo spirito determinato... Addirittura nelle tue espressioni, quando corrughi la fronte, rivedo lui. A volte mi fai paura, altre desidero poter passare ore con te, immaginando che sia lui."

"È una cosa un po' folle." Provai a smorzare la tensione con una piccola risata, ma con scarsi risultati.

Lei continuò, con la voce placa e leggermente bassa. Quasi pensai che potesse scoppiare in lacrime da un momento all'altro, ma conoscendola avrei dubitato.

"L'altro giorno, quando mi hai chiesto di aiutarti con la spada, ho sentito un brivido percorrere il mio corpo. Era un gioco divertente, quando David aveva la tua età e io ero poco più che una bambina, prendeva la spada e mi diceva: Concentrati sulla spada, non sul tuo avversario. Seguivo i suoi consigli, era abile in questo genere di cose. Anche se a quei tempi era solamente un gioco, ho imparato e si sta rivelando piuttosto utile." Si passò una mano sul volto, ma non stava piangendo.

Deglutii con forza. Il mio respiro si era fermato durante il suo breve racconto e avevo notato la sua mano tremare, mentre continuava a tamburellare le dita sul tavolo.

"Possiamo farlo di nuovo, domani mattina magari." Tentai di rendere l'aria meno tesa, proponendole un nuovo allenamento. Non sapevo se potesse aiutarla o meno, ma provare non avrebbe fatto male a nessuno.

"Sarebbe davvero bello, sai come si dice: impara l'arte e mettila da parte."

Mi rivolse un occhiolino e sul mio viso spuntò un sorriso naturale. Non mi era mai capitato di parlare così tanto con qualcuno, di sentire i suoi segreti pungere sulla mia pelle e di vedere un simile rammarico negli occhi.

Tolsi le ciotole vuote dal tavolo e la osservai mentre apriva la porta di casa e mi rivolgeva uno sguardo confuso.

"Aspettavi un pacco?"

"No."

Mi avvicinai alla porta e notai una scatola in cartone con sopra inciso il mio nome. La confusione si poteva notare dalle rughe sulla mia fronte, una miriade di pensieri mi offuscavano la mente, tirando fuori le idee più folli e impossibili su cosa contenesse il pacco.

Jacqueline lo sollevò da terra e camminò fino al tavolino della cucina, facendo capolino da dietro lo scatolone.

Ci fermammo entrambe a osservare quella scatola misteriosa e lei mi fece un occhiolino quando sfilò dall'apertura una breve lettera.

Lesse ad alta voce e per un attimo mi sentii come quelle ragazze dei dormitori, pronte a condividere i propri segreti, ma io non ero per niente quel tipo di persona.

"Una promessa è una promessa. Indossalo sabato prossimo, quando finalmente ci sarà la luna piena. Ti aiuterò a cercare il segno che aspetti. Killian."

Arrossii in modo fin troppo evidente, non mi servì neanche aprire il mio regalo, già sapevo cosa conteneva.

"Meschino Jones, quando gli ho chiesto di te ha risposto che eravate solamente conoscenti" disse Jacqueline fintamente offesa.

"Oh, infatti è così."

Nascosi un sorrisino sotto i baffi, era evidente che fossi contenta di aver ricevuto quel semplice pensiero da lui da non riuscir a dare una vera risposta o a smettere di sorridere. In fondo non avevo motivo di gioire, ma la sensazione che provavo era nuova e inebriante. Il suo era un messaggio, qualcosa come: "Ti stavo pensando."

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