2. Legge ingiusta
Non so come, ma riuscii a trascorrere i dodici anni successivi in completa pace.
Nessuna paura di sbagliare, né altre paranoie sciocche. La mamma mi mancava, ma pensare a lei era piacevole e quasi confortante.
Mio fratello stava crescendo in fretta e, ormai, era un vero signorino. Il re gli aveva insegnato gli oneri e i piaceri della corona, sottolineando quanto fosse importante il rispetto.
Io ero diventata una principessa a tutti gli effetti, proprio come sognava mia madre. Compostezza ed educazione erano le mie parole d'ordine, ma sentivo sempre più di non appartenere a quel mondo. La notte, chiusa nella mia stanza con il buio che opprimeva la visuale, pensavo alle parole dette tempo prima da Killian Jones.
Un ricordo fugace, di un ragazzino arrabbiato con il mondo. Ero convinta volesse solo indebolirmi, ma la mia mente veloce non poteva far a meno di metterci un "e se..." che avrebbe cambiato ogni cosa.
Me ne stavo seduta sull'erba fredda, trastullandomi nella consapevolezza che niente e nessuno avrebbe potuto turbare la mia pace. Il canto degli uccellini, accompagnato dai miei sospiri, cullava ogni pensiero come una dolce ninna nanna, e l'ombra dell'ulivo a cui ero poggiata con la schiena rendeva il tutto più piacevole e rilassante.
"Principessa Emma" chiamò la voce di una delle domestiche. Una retina per capelli le contornava il viso e un abito primaverile la copriva fino alle caviglie: il suo nome era Helena.
Mi alzai dal terreno smeraldo, freddo e umido, ma piacevole al tatto. Le rivolsi un sorriso finto.
Lei mi mostrò la sua solita espressione, mista tra spaventata ed educata. Non ero esattamente una persona socievole.
Nonostante sembrassi pacata e delicata, dentro nascondevo un leone che usciva fuori nei momenti meno opportuni.
"Suo padre vuole parlare con lei, sembra qualcosa di importante" disse con voce tremante.
Annuii, senza rispondere, e le rivolsi uno sguardo annoiato. Non potevo sbuffare, né alzare gli occhi al cielo, non era una cosa da principessa, non era ciò che avevo imparato a essere.
Mi allontanai e, camminando per il vasto cortile del castello, dove si estendevano alte siepi da cui spuntavano fiorellini bianchi dall'odore dolce, mi scontrai con mio fratello.
Neal, a testa bassa, mi rivolse un piccolo sorriso di cortesia, ma non disse una parola.
Sapevo fosse un ragazzo intelligente, a dodici anni potevo definirlo già un vero uomo. Non eravamo cresciuti proprio come due fratelli, ma sapevo di poter contare su di lui se ne avessi avuto bisogno. Eppure quel sorrisino finto mi lasciava intendere il contrario. Faceva sgretolare ogni mia convinzione.
Non gli dissi nulla, continuando per la mia direzione: la sala del trono.
Il luogo dove sapevo mio padre trascorresse la maggior parte del tempo.
Poggiai la mano destra sulla pregiata maniglia in oro luccicante e la porta in legno massello scricchiolò sotto il mio tocco.
La stanza era ampia, con stendardi e spade appesi come trofei sulle pareti bianche, simbolo della pace in cui viveva il regno da tempo.
Il re si schiarì la voce appena arrivai davanti a lui, sotto la piccola scalinata dalla quale si ergeva il maestoso trono reale. Mi sentivo così piccola quando mi trovavo al suo cospetto. Era mio padre, non c'era motivo di temerlo, ma l'istinto quasi mi obbligava a farlo.
Si alzò in piedi e scese le scale, con la solita calma ed eleganza che solo un sovrano poteva avere.
Sorrise lievemente e mi strinse le mani, che avevo lasciato lungo i fianchi con noncuranza.
"Figlia mia, mi duole il cuore a doverti parlare con tanta freddezza" disse.
La voce risuonò nella stanza vuota e giunse alle mie orecchie prepotente, come ogni sua parola precedente da quando ero nata.
Inizialmente non capivo. L'avevo sempre visto freddo, poco affettuoso e concentrato su quel che era il suo ruolo nella nostra società.
Non risposi, non potevo permettermi di interrompere il re; anche se era mio padre, non ne avevo il diritto. Questo era ciò che mi era stato insegnato.
"Fra esattamente quaranta giorni compirai vent'anni e credo tu sappia quel che significa."
Annuii fiera, vent'anni, avrei finalmente potuto ereditare la corona di mia madre. Sarei finalmente stata il suo orgoglio.
"Sarò incoronata regina" risposi, facendo un sorriso al solo pensiero di poter avere un simile onore.
"No, Emma, non potrai ereditare la corona. Sai, a vent'anni una principessa deve trovare un marito, un principe o un conte, un uomo ricco con cui possa governare. Proprio come ha fatto la tua defunta madre. In caso contrario sarai costretta a ritirarti in convento."
Sul suo volto si formò un'espressione più rigida del solito. I suoi occhi calmi mi scrutavano senza accennare al dispiacere di aver appena distrutto ogni mio ideale.
"Non indosserò mai la corona della mamma? Dovrò sposarmi con un estraneo e andare via da qui per sempre?" domandai, quasi a negare di aver sentito le sue parole.
"Il trono spetta di diritto a tuo fratello, la nostra dinastia è al potere da trecento anni. Tu sei una donna, figlia mia, e penso tu sappia come funziona la nostra società" disse, leggermente più scosso.
Io alzai gli occhi al cielo, nonostante dimostrare insofferenza fosse assolutamente vietato. Negai con la testa. Avevo vissuto per anni in una campana di vetro, cullata dal ricordo delle parole di mia madre: Un giorno sarai regina, diceva e io le credevo. Avevo continuato a crederle anche dopo la sua morte. Non sapevo come funzionasse la nostra società e nessuno si era mai preso la briga di spiegarmelo.
"Non puoi costringermi. La mamma diceva che avrei indossato la corona, che sarei stata regina un giorno. La tua legge è ingiusta."
Proferii ogni parola con odio, con tono quasi strozzato per il dolore. Il cuore mi si stringeva nel petto, talmente mi sentissi inutile.
"La legge è legge, non la scelgo io. Tua madre non poteva immaginare l'arrivo di Neal e tu eri troppo piccola per capire."
Il tono freddo era tornato. Lasciò le mie mani, che caddero molli lungo fianchi, e io negai nuovamente con la testa.
Le mie guance erano rosse di rabbia e di dolore, mentre le lacrime scendevano impetuose sul mio viso. In quel momento il desiderio di piangere era troppo forte per sopraffarlo.
Voltai le spalle al re, senza neanche il cenno di un saluto, e iniziai a camminare per la grande stanza, decisa ad allontanarmi il più possibile.
Mi girai verso di lui un'ultima volta, esclamando: "Ne uscirò fuori, non sposerò un principe per compiacerti."
Non ricevetti alcuna risposta, neanche aspettai che la pronunciasse.
Iniziai a correre, sbattendomi la porta alle spalle per lasciarmi tutto indietro.
Non mi importava della corona, né dei tesori reali. In quel momento mi interessava solo una cosa: capire perché Neal avesse i privilegi che io non potevo permettermi. Ero una donna, ma non poteva essere quel piccolo dettaglio a impedire a mio padre di scavalcare la legge.
Dovevo conoscere la verità.
Un ricordo fugace di un bambino di otto anni che si ostinava a darmi risposte, nonostante non gli avessi rivolto nessuna domanda, balzò alla mia mente. Un piccolo "e se..." scatenò tutto quel rancore. Ero convinta che qualunque fosse la ragione non l'avrei trovata nella mia stanza.
E me ne andai, libera da quelle mura opprimenti e quegli sguardi severi. Non c'era più legge, né doveri. Ero una persona nuova fuori dal castello, una persona che non vedevo l'ora di conoscere.
*** N/A ***
Sono così soddisfatta di questo capitolo e di questa storia in generale che penso sia difficile anche solo descriverlo. Questo è solamente l'incipit, i primi capitoli di una storia che ancora sto cercando di definire nella mia mente e già non riesco più a fare a meno di pensare a quali emozioni e sensazioni potrebbe scaturire.
Sta diventando veramente un bel percorso e sono decisa a viverlo a pieno, con voi, i miei lettori, ecco perché faccio spesso spazi d'autore.
Voglio che voi condividiate con me i vostri pensieri su questa lettura, quindi non tiratevi indietro, commentate e dite tutto quel che pensate.
Il prossimo capitolo è una vera bomba e non vedo l'ora di postarlo, ma nel mentre sono curiosa di sapere cosa vi aspettate? Quale pensate sia la storia di Emma? La mia mente malata ne ha studiata una da copione!
Baci a tutti e buon proseguimento,
Euph.
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