17. Sogni proibiti - 2° parte

In quella piccola dimora, illuminata dalla ormai fiacca luce del giorno, Killian mi dimostrava di essere un uomo diverso rispetto a come lo consideravano in molti.

Probabilmente ero l'unica persona al mondo ad aver visto un pirata mutare in un sarto, ma le origini di Killian non potevano di certo tradirlo.

Chiusi gli occhi per qualche secondo, immaginando come sarebbe stata la sua vita se non avesse intrapreso la carriera del pirata. Un sarto con una bottega colma di stoffe più o meno pregiate, avrebbe viaggiato in lungo e in largo per il regno, mostrando i propri capolavori e sarebbe stato ricompensato con grandi somme di denaro.

Però la realtà era diversa e mi chiesi perché quella scelta. Non era per il gusto di prendere soldi facili, né per brama di potere e tanto meno si poteva dire che avesse vissuto molto sulle spiagge da acquisire una passione sconsiderata nei confronti del mare.

La mia riflessione fu interrotta dalle sue parole e per tornare vigile scossi la testa.

"Sei fortunata, dio vuole che ci sia un kit per cucito proprio riposto in quel cassetto. Ti dispiace prenderlo?" domandò indicando un comodino posto vicino al divano.

Annuii e feci come chiesto. Aprii il cofanetto in legno di piccole dimensioni, conteneva vari nastri e fili di cotone di molteplici colori e qualche spillo sparso sul fondo.

"Il bianco c'è ancora vero?"

Feci cenno di sì, mostrandoglielo, e lui mi ammiccò in segno di gratitudine quando afferrò il pallido colore e iniziò a srotolarlo.

Lo guardai con attenzione mentre infilava il filo nel buco posto sull'estremità superiore dell'ago e mi tornò in mente il ricordo di suo padre, l'uomo che aveva cucito per me talmente tanti vestiti da non poterli contare. Constatai che con l'occhio semichiuso e la lingua fra i denti, attento a non commettere alcun errore, gli somigliava veramente molto.

"Ti dispiace toglierti la camicia? Dovrei prendere le misure."

Non c'era un briciolo di provocazione nel suo tono, né nel suo sguardo serio, ma provai comunque pudore e rimasi fissa con la bocca spalancata, incapace di annuire o di negare.

Lui, con l'ago stretto tra i denti, fece un leggero ghigno e mi sentii maliziosa anche solo per aver provato vergogna alla sua richiesta.

"Puoi girarti di spalle se preferisci, tesoro" ammise.

Io annuii rinunciataria, mi voltai e sfilai la camicetta dall'alto.

Mi sentivo così nuda, poteva vedere solamente la mia schiena scoperta, pallida e scarna, ma era strana la sensazione che provavo alla consapevolezza che nessuno oltre lui mi avesse vista tanto scoperta.

Quando le sue mani calde e ferme si poggiarono sulle mie spalle e le afferrarono saldamente, per farmi stare più ferma, provai un brivido di eccitazione per tutto il corpo e sobbalzai.

Lo sentii emettere una piccola risata, divertito all'idea che un semplice gesto mi provocasse una simile reazione, e con i pollici iniziò a tastare la mia spina dorsale. Immaginai stesse contando per comprendere meglio quanto avesse dovuto stringere l'abito.

"Mi dispiace, ma non ho gli strumenti giusti e sto cercando di adattarmi" disse serio.

Era così impegnato in quel lavoro che non lo sfiorarono neanche i pensieri che invece vagavano liberi nella mia testa.

Avrei preferito qualunque cosa alle sue dita gelide; un metro, un mattarello o una mela, ma non mi aveva proposto alcuna opzione. A ogni tocco il mio corpo fremeva e non compresi bene se fosse per vergogna o per desiderio di rendere nulla una distanza, che fino a qualche attimo prima credevo necessaria.

Persa in quei sogni proibiti, mi mordevo il labbro, immaginando quanto sarebbe stato bello sottrarsi completamente alle regole che mi erano state imposte da bambina.

Non ero più la principessa di una volta, ma continuavo a seguire quella linea invisibile di leggi che non dovevano essere infrante e le sentivo così giuste, sentivo che non possedere il sangue reale non significava poter diventare qualcun altro. Dovevo essere grata per gli insegnamenti ricevuti e che molti potevano solo sognare.

Lo pensavo veramente, finché una delle sue mani non si poggiò sul mio fianco sinistro, facendomi desiderare che il suo tocco possente mi stringesse la vita e non mi lasciasse andare più.

Mi voltai, senza conoscere chi mi sarei ritrovata davanti: il pirata malizioso e beffardo o l'attento uomo che si era proposto di sistemarmi l'abito?

Avvampai nuovamente e socchiusi gli occhi, in attesa che la risposta mi logorasse l'anima e il desiderio si insinuasse dentro me con prepotenza.

Killian mi guardò, la sicurezza che mostrava da sempre era sparita e le sue iridi azzurre sembravano così espressive rispetto al solito, così luminose.

Mi spostò i capelli da sopra le spalle e mi cinse i fianchi stringendoli con forza, quasi a farmi male. Provai un brivido lungo il corpo alla consapevolezza che da lì a poco sarebbe successo qualcosa a cui non avrei potuto sottrarmi.

La ragione mi aveva abbandonata, la calma e la riflessività con cui agivo ogni volta avevano ceduto quando mi spinse verso le pareti in legno e mi afferrò le mani, incastrandole contro il muro strette alle sue più grandi e forti.

Con un bacio voglioso e bramoso si fiondò sulle mie labbra facendole sue, gonfiandole e mordendole come se fossero l'unico sapore che volesse godersi.

Non c'era romanticismo, né amore, era solamente un desiderio incontrollato, la voglia di provare ciò che non credevo di volere.

Con la bocca scese fino al mio collo, mentre la barbetta ispida mi carezzava obbligandomi a emettere dei piccoli gemiti e dei nuovi brividi si insinuavano fra le mie gambe, era un qualcosa di così naturale, qualcosa che non riuscivo a controllare.

Il suo tocco così forte sulla mia pelle e la mia voglia di stare lì a mordere il suo labbro per tutta la vita era la risposta a molte delle domande che continuavo a pormi.

Due respiri che diventavano uno solo, due corpi così uniti da riuscire a pensare allo stesso modo, eppure mi bloccai.

Una delle sue mani sciolse la mia, insinuandosi fra le mie gambe e accarezzandomi delicatamente l'interno coscia.

Il ricordo della voce di mia madre quando ero solo una bambina, la consapevolezza di star tradendo lei ancor prima di tradire la corona e la paura di aver dato troppo a un uomo che aveva visto talmente tante donne da non ricordarsi nemmeno i loro nomi tornarono vividi nella mia anima, facendosi spazio tra la miriade di pensieri maliziosi che vagavano nella mia mente.

"Scusa" balbettai poggiando con fermezza le mani sulle sue spalle per farlo allontanare.

Killian rimase di pietra, con il labbro spalancato e il respiro corto. Non compresi a pieno il significato dei suoi occhi, in quel momento grandi e lucidi.

"Qualsiasi cosa sia, io non posso."

Afferrai la camicia, che avevo lasciato cadere sul pavimento e la rimisi addosso.

Non gli diedi il tempo di reagire, lo lasciai lì da solo, perso nel ricordo di ciò che era appena successo o di ciò che stava per succedere, e fuggii via nuovamente.

Scappavo sempre, continuamente. Era diventata una strana routine; fuggire quando le cose iniziavano a diventare troppo complicate, eppure non ricordavo tutti i dubbi che assalivano la mia mente, i pensieri più o meno belli che volevo scacciare per poter andare via senza avere rimpianti.

Avevo ancora così tante cose da fare in quel posto, eppure la decisione di andarmene aveva preso il sopravvento su tutto.

Non avrei mai imparato ad affrontare le situazioni come meritavano di essere affrontate.

Jacqueline e Killian si sbagliavano, non ero forte, né tanto meno coraggiosa, ero solamente una bambina viziata e confusa.

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