15. La guerra della tua anima
Scese da cavallo e lo accolsi sorridendo in modo innaturale. Immediatamente il mio pensiero si spostò sul disagio che poteva provare lui vedendomi in quelle condizioni, così felice di vederlo. La gioia mi si leggeva sul volto e si intuiva dai brividi sulla mia pelle.
Non disse niente, si poggiò entrambe le mani sui fianchi e si guardò attorno mordendosi il labbro. Era evidente che non si aspettasse una simile reazione, sembrava quasi spaesato.
"Ben tornato, stavo andando a preparare la cena" dissi, cercando di mettere fine al suo silenzio.
"Oh ehm... Siamo ospiti di Jacqueline stasera, non devi preoccuparti."
Sminuì con un gesto della mano e mi fece cenno di seguirlo, solo in quel momento notai che, oltre allo zainetto in cuoio, portava con sé un secondo bagaglio, un baule per l'esattezza.
Entrammo in casa e poggiò la valigia sul tavolo, mi sorrise per la prima volta da quando era tornato e premendo i due bottoni sui lati del piccolo forziere, lo aprì mostrandomi della stoffa azzurra.
"Tanti auguri, principessa" affermò facendomi un occhiolino.
Io sgranai gli occhi stupita e mi avvicinai placa a quel che avevo intuito essere il mio regalo di compleanno.
"Avanti, non fare la timida."
"Non sto facendo la timida!" replicai offesa.
Era una bugia, ma ammettere di essere imbarazzata non sarebbe stato d'aiuto, vista la reazione avuta pochi minuti prima.
Poggiai le mani sul tessuto di lino, morbido al tatto, un merletto bianco mi incuriosiva e in quel momento, con gli stessi occhi brillanti di chi non fingeva di essere felice, lo tirai fuori dal baule.
Un abito celeste, non troppo lungo e decisamente più povero rispetto a ciò a cui ero abituata, ma adatto per la vita che stavo imparando a conoscere. Semplice, chiaro e avvitato, probabilmente abbastanza comodo da rimpiazzare i pantaloni trovati nella stiva della nave di Killian.
Me lo poggiai addosso costatando che probabilmente era leggermente troppo largo alle spalle e ai fianchi, ma non replicai, ero onorata di aver ricevuto un dono da parte sua.
Era il segno di cui avevo bisogno, il simbolo che avesse pensato a me in quei cinque giorni passati in un'altra realtà, con un semplice gesto mi fece sentire fortunata come non mai.
"Grazie, Killian. Non dovevi, veramente. Io non so neanche quand'è il tuo compleanno" ammisi arrossendo.
I miei occhi brillavano e lui sembrava essere rimasto incantato a fissarli, ma cercai di non sembrare inopportuna e feci finta di niente.
Pochi attimi dopo parlò: "Visto da qui direi che è leggermente largo. Se me lo permetterai, domani mattina gli darò una sistemata."
Rimasi di stucco, pensando che non fosse poi così necessario sistemarlo visto che avevo indossato pantaloni di due taglie più grandi per tutto quel tempo, ma annuii concordante.
"Novità dal castello?"
"Ne parliamo a cena."
Qualche ora dopo ero seduta sullo stretto tavolo della capanna di Jacqueline, tra tutti i suoi sfarzi e tappeti colorati. Killian di fronte a me mangiava del cinghiale come se non ne vedesse uno da tutta la vita e lei continuava a chiedermi se fossi riuscita ad ambientarmi nel villaggio.
"Tutto molto bello, davvero, ma se il re è morto qual è lo scopo della rivolta che volete fare?" domandai confusa. Era il mio più grande punto interrogativo, l'unica domanda che credevo non avrebbe mai ricevuto una vera risposta.
"Comprendere di non dover più lottare per qualcosa è difficile, Emma."
"Quindi non farete alcuna rivolta?"
Negò con la testa.
Rimasi stupita e guardai storto Killian che per tutta risposta alzò le spalle.
"Non sapevo tutte queste cose un mese fa, milady, non farmene una colpa" ammise facendomi un occhiolino.
Alzai gli occhi al cielo e feci un sospiro di sollievo, la consapevolezza di non dover combattere contro mio fratello mi rilassò quel tanto che bastava per farmi godere la cena.
"Volevi essere una regina, e nel tuo animo credo che tu lo voglia ancora, dimostra a queste persone che non devono più temere, Emma, dimostra il tuo coraggio" parlò con voce ferma Jacqueline. Mi tolse il piatto da davanti e spostò un cesto di frutta dalla credenza al centro del tavolo.
"E se non fossi coraggiosa?" risposi titubante afferrando una pesca.
Killian mi fece un piccolo sorriso per farmi intendere che lui credeva in me e io chiusi gli occhi per non farmi condizionare da quello sguardo magnetico.
"Conoscevo abbastanza bene tuo padre da comprendere che non sei molto diversa da lui."
La risposta mi lasciò di stucco. Nonostante stessimo mangiando, sentii lo stomaco vuoto e la consapevolezza che lei sapesse qualcosa che io non potevo conoscere mi faceva male.
"Perché lo conoscevi?" Fu l'unica cosa che riuscii a dire.
"Era mio fratello."
Rimasi di pietra, la osservai per una quantità di tempo che parve infinita e cercai di metabolizzare ogni parola.
Mi convinsi che non avrei mai provato affetto per lei, ma era unaltra storia a cui mi sentii costretta a credere. Ero ingenua forse, eppure, come nel racconto di Regina, bastò uno sguardo per convincermi a fidarmi delle sue parole.
Non mi somigliava affatto, neanche un singolo carattere somatico poteva essere paragonato a me. L'avrei chiamata zia se le cose fossero andate in modo diverso, era una donna apparentemente frivola, decisamente più coraggiosa di quanto mi avesse mostrato. Aveva creato un piccolo impero convincendo uomini e donne a lottare per qualcosa che forse era solo nei suoi remoti pensieri; era a capo di quel villaggio, era una condottiera, tutto per placare il suo desiderio di vendetta nei confronti del re per aver ucciso David.
Il silenzio era diventato imbarazzante, ma non lo capii fino a quando Killian si schiarì la voce tirando fuori dalla tasca un pezzo di carta.
La riconobbi immediatamente: la lettera.
"Me l'ha data un amico, affermando che hanno scoperto il colpevole grazie a questa."
"L'ho lasciata al castello?" domandai sorpresa e leggermente scossa.
Ero convinta di star per piangere e il pirata comprese subito il mio disagio, perché si alzò in piedi e disse: "Non credi si sia fatto tardi?" guardando fuori da una delle piccole finestre il cielo tinto di blu.
"Oh... Penso di sì."
Mi alzai in piedi e lui fece un occhiolino a Jacqueline, convinto che non lo notassi. Lei si precipitò verso di noi, esclamando: "Sicuri che non vogliate restare? Potrei preparare del tè."
Compresi il tono disperato di una donna desiderosa di conoscere la propria nipote, ma non potevo passare un secondo di più in quel luogo. Incapace di rispondere a parole, negai con la testa.
Ero convinta che se avessi parlato delle lacrime salate sarebbero scese dal mio volto.
Afferrai la lettera, ancora poggiata sul tavolo e lasciai che fu Killian a salutare per entrambi prima che la mora ci aprisse la porta.
Il freddo della notte mi fece rabbrividire e lui mi poggiò le mani sulle spalle, accarezzandomi la schiena.
"Sei più forte di quanto credi, Emma" disse con un tono di voce basso, quasi impercettibile.
"Forte?"
"Attutisci ogni colpo, sfiori il bivio della disperazione e torni in piedi. Non te ne rendi conto, ma stai combattendo una grande guerra, quella della tua anima. Se questo non è sinonimo di coraggio, cos'è?"
"È la mia vita e sto solo imparando a viverla" ammisi fredda.
Si era dimostrato così buono con me nelle ultime ore e io lo stavo ripagando mostrandomi impassibile. Non sapevo parlare con le persone, avevo passato la vita a pretendere e a imporre, vedere finalmente cosa significasse ricevere affetto era un qualcosa che non sapevo gestire.
Era il mio compleanno, il giorno in cui sarei dovuta essere incoronata regina, ma non potevo essere più felice di essermi sottratta a quel destino.
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