11. Un piccolo villaggio

La notte, al contrario di quel che immaginavo, riuscii a dormire.

Killian mi svegliò dandomi un leggero scappellotto sul braccio e io, dopo essermi stiracchiata, mi alzai in piedi ancora frastornata.

"Adesso che si fa?" domandai, senza neanche augurargli il buongiorno.

Lui non mi rispose, impegnato ad accudire il cavallo, accarezzandolo e dandogli da mangiare il resto delle nostre provviste.

Mi accigliai, ma evitai di controbattere la sua decisione di terminare così le nostre scorte.

"Se sposti quei rami, capirai quel che dobbiamo fare" disse, senza degnarmi di uno sguardo e puntando il dito verso al cespuglio che segnava la fine del sentiero.

Annuii e feci un sospiro profondo. Poi mi avvicinai al luogo che indicava.

Iniziavo veramente a pensare che la mia vita sarebbe stata una fuga continua. Sarei stata una nomade, senza una casa fissa, con indosso gli stessi abiti lerci, e con il desiderio di trovare un torrente per potermi lavare. Ad accompagnarmi avrei avuto sempre l'ansia che qualcuno mi trovasse e Killian, con i suoi sbalzi di umore e i suoi segreti.

Scostai un ramo del cespuglio e notai, oltre un fiumiciattolo che circondava metà del perimetro, un piccolo villaggio. Qualche persona impegnata nei lavori domestici stava fuori dalla propria abitazione con un ampio sorriso sul volto, pochi bambini gironzolavano liberi e gli uomini erano tutti impegnati nell'orticello posto dietro le esili abitazioni fatte in legno e granito. Sembrava un posto pacifico, nessuno mostrava espressioni di noia, nessuno se la prendeva con gli altri. Tutti avevano il proprio compito e si impegnavano per farlo al meglio. Non impiegai molto a capire che fosse una qualunque comunità di persone e non capii perché Killian mi avesse portata lì.

"Non potevamo andare di notte, avrebbero pensato che volessimo attaccarli" sussurrò Killian, facendomi sobbalzare per la sorpresa. Ero convinta che stesse ancora pensando al cavallo.

"Attaccarli?"

Annuì. "Uomini e donne a cui il destino ha dato uno schiaffo sul volto. Chiunque si nasconde qui ha una storia che gli pesa sulle spalle. Sta a te decidere se credergli o meno."

Killian si fece strada, scostando il mio braccio per passare. Io rimasi a osservare solamente per qualche istante, dubbiosa su ciò che avrei trovato sull'altra sponda del fiume, poi decisi di seguirlo.

Alcuni degli abitanti ci guardarono storto, altri finsero un sorriso senza accennare a un misero saluto. Rimasi stupita vedendo che appena varcammo il loro confine, delimitato da quel misero fiumiciattolo, tutti, bambini compresi, lasciarono quel che stavano facendo per venirci incontro.

Formarono una muraglia umana, attorno ai nostri corpi, avvicinandosi sempre di più e borbottando tra di loro.

Uno di loro non si fece scrupoli e chiese: "Chi siete?" Aveva circa trentanni e una lunga barba gli nascondeva gran parte del viso. Non esitò a puntarci contro una balestra, per intimarci a parlare. Io indietreggiai e mi poggiai una mano sul petto intimorita.

Il pirata prese parola: "Siamo come voi, ma parleremo solamente con una persona. Vogliamo incontrare lei."

Mi poggiò una mano sul petto per evitare che intervenissi, non che fossi così interessata a intromettermi. Avevo un'unica domanda e decidi che fosse meglio non porla davanti tutte quelle persone: chi poteva mai essere questa lei di cui Killian conosceva lidentità?

Non lo sapevo, ma appena la nominò, tutti, compreso il barbuto con la balestra, abbassarono la guardia e alcune donne si allontanarono per tornare alle proprie mansioni

"Se conosci lei, allora saprai bene che non le piace essere disturbata."

"Le farà piacere ricevere una nostra visita"!rispose il pirata alzando le spalle.

Non parlai, ma il desiderio di placare ogni curiosità era diventato quasi opprimente e il vedere Killian positivo non mi tranquillizzava affatto, al contrario creava in me un vuoto desideroso di essere colmato.

L'uomo cercò approvazione negli sguardi dei compagni, ma si ritrovò costretto a cavarsela da solo; tutti fingevano indifferenza, i loro occhi si erano addolciti e la maggior parte delle persone aveva ricominciato a lavorare nei campi.

Annuì e disse: "Fatevi strada da soli, non ho tempo da perdere."

Killian fece un sorrisino soddisfatto e si morse il labbro rivolgendomi uno sguardo complice. Era evidente che, nonostante i suoi tentativi di rasserenarmi, fossi ancora scossa e leggermente spaventata.

Lo seguii in silenzio, ancora incapace di comprendere quale fosse il passato oscuro che lo legasse a queste persone. Sembrava conoscere le loro culture, i loro punti deboli e soprattutto notai che non avesse alcuna difficoltà a orientarsi tra quelle quindici o sedici abitazioni poste in fila una accanto all'altra.

I miei piedi calpestavano i ciottoli poggiati a terra, provocando un rumore fiacco, offuscato dalle risate dei bambini, mentre cercavo un modo per porre al pirata le mie domande.

Non ne ebbi il tempo. Talmente concentrata a pensare da dove potessi cominciare, non mi curai di guardare la strada davanti a me e, sbadatamente, quando Killian si fermò davanti a una capanna, gli andai addosso.

Alzai lo sguardo e compresi subito che non fosse una casetta come le altre: le mura esterne erano ricoperte da canne e già dall'esterno compresi che fosse leggermente più grande, a nascondere l'ingresso non c'era una comune porta, ma due tende rosse come il fuoco.

"Stai calma e lascia parlare me."

"In realtà con le parole me la cavo, sai?" dissi beffarda.

Lui alzò gli occhi al cielo, ma devo ammettere che controbatterlo era piacevole.

"Non ne dubito, milady, ma non credi di aver già combinato abbastanza casini?"

Evitai di rispondere. Tra la lettera, la mia fuga da palazzo e la morte del re ne avevo di questioni da sistemare. Mi morsi il labbro per nascondere l'espressione colpevole e lui, senza farci caso, mi fece cenno di seguirlo.

Varcammo insieme l'ingresso e per qualche istante mi sentii sopraffare dalla stessa pressione alla quale mi aveva sottoposta mio padre al nostro ultimo incontro.

L'interno della capanna ricordava molto una bancarella orientale, con strane candele di forma rotonda che pendevano dal soffitto e stoffe decorate in modo dettagliato un po' ovunque, a partire dalle pareti e finendo con i grandi cuscini posti alla fine della stanza.

Una signora dalla carnagione chiara e gli occhi scuri era seduta proprio su di essi. I capelli corvini erano raccolti in uno chignon disordinato e un misero abito, simile a una sottana, la copriva fino alle caviglie.

Lei ci degnò di un solo sguardo, standosene lì, beata tra lo sfarzo, mentre la sua gente si sporcava mani e piedi in mezzo ai campi. Per qualche secondo pensai fosse una specie di regina, ma scossi la testa e tornai a guardarla.

"I vostri nomi?"

La sua voce era possente, secca e decisa. Aveva posto quella che tutti potevano considerare una domanda, ma alle mie orecchie arrivò come un ordine.

"Killian, il mio nome è Killian. Sono il figlio di Brennan Jones." Sentii il suo tono vacillare, quasi fosse spaventato delle parole che proferiva. Chinò leggermente il capo in segno di rispetto.

Io rimasi ferma, proprio come il pirata mi aveva consigliato di fare. Non aprii bocca finché non me lo chiese lei stessa.

"Tu?" Mi indicò, osservandomi, anzi studiandomi con quello sguardo di superiorità.

"Mi chiamo Emma, sono la figlia del re."

L'imbarazzo mi si leggeva in viso, visto che in quel periodo neanche io sapevo bene chi fossi. Feci un leggero inchino e notai immediatamente lo sguardo preoccupato di Killian dopo aver proferito la mia ultima parola.

La donna si alzò in piedi, con il dito ancora puntato verso di me. Quando la vidi avvicinarsi con quello sguardo torvo feci qualche passo indietro, inciampando per colpa delle mie stesse scarpe.

La paura mi possedeva come se fosse un demone smanioso di uscire allo scoperto, costringendomi a trattenere il fiato. Dal fondo del pavimento la donna mi sembrava una tigre pronta a sbranarmi. Chiusi gli occhi e strinsi i pugni per allentare la tensione che si propagava nel mio stomaco.

"Indegna di essere qui! Verrai uccisa anche solo per aver provato a fingerti nostra pari. Ti farò pentire di aver varcato questa porta!" Mi si rivolse con odio e rabbia.

Provai paura e mi poggiai una mano sul petto per cercare di placare le palpitazioni del mio cuore.

Schiusi leggermente un occhio e notai che, mentre parlava, guardava il soffitto, quasi stesse comunicando con il cielo e non con me.

I respiri che emettevo erano corti e ansiosi, e a ogni suo passo indietreggiavo trascinandomi con le braccia. Non sembrava più neanche un luogo quella casa, ma un'emozione: la rabbia.

Macchie di peccati e gridi smaniosi di una donna talmente infuriata da portarmi a vedere del fuoco intorno alla sua figura, ma ovviamente era solamente la mia immaginazione che giocava con il panico.

In quel momento scattò qualcosa in Killian, che abbandonò la sua posizione per andare verso la donna e dirle: "Jacqueline! Non è figlia al re. Lei è la figlia di David Nolan."

Quella signora, Jacqueline, rimase incredula, come scottata dalle parole. La sua rabbia era svanita nel nulla, cancellata dalla rivelazione del pirata.

"Jones, casa di tuo padre dovrebbe essere ancora in buone condizioni. Sistematevi lì."

Si voltò dal lato opposto e tornò a sedersi sui suoi cuscini apparentemente morbidi.

Killian mi porse una mano per farmi alzare da terra e io provai a rivolgergli un sorriso, ma un'espressione mista tra spavento e confusione continuava a tormentare il mio volto anche a pericolo scampato.

"Giuro che ti spiegherò tutto."

"Credevo fossero finite le cose da spiegare" risposi ovvia, con un tono basso, mentre uscivamo dalla capanna.

"Lo credevo anche io."











***N/A***

Ho capito qual'è il problema del mio computer, ma dubito che riuscirò mai a risolverlo.

In ogni caso ho una domanda per le oncer che seguono questa storia, vi ricordate di Jacqueline?

Se la vostra risposta è positiva, beh sappiate che il suo personaggio nella mia storia non è una semplice comparsa, la rivedremo spesso.

Baci a tutti e ricordate di farmi sapere se questo capitolo vi piace!
Euph.

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