Sono una guerriera, non una principessa
Quando mi sveglio la mattina dopo sono un po' dolorante e Carter non c'è.
Tutto di lui è sparito e se i ricordi di ieri notte non fossero così vividi dentro di me e su di me, penserei che sia stato tutto un sogno.
Il mio buon umore però è senza dubbio un segno palese del fatto che io ho fatto l'amore per la prima volta. Che io ho fatto l'amore con lui e, ancora adesso mi sento talmente tanto completa che mi viene di nuovo da piangere.
Sono talmente tanto felice da darmi fastidio da sola e non ringrazierò mai abbastanza Tyson per aver lavorato nelle fucine del Campo per tutta la notte e Percy per aver scelto la mia stessa serata per stare solo con Annabeth.
Mi alzo dal letto completamente nuda e spero di avere il tempo di farmi una doccia prima che suoni la campana per la colazione.
Canticchio mentre vado in bagno e giro il rubinetto verso l'acqua calda, sorridendo perché oggi rivedrò Carter e mi sembra tutto migliore.
Mi lavo velocemente anche se rimango un po' più del dovuto sotto il getto dell'acqua calda e poi, mi sposto i capelli scuri su una spalla osservando il segno violaceo che Carter mi ha lasciato sul collo.
Sorrido ancora e anche se sembro un ebete, non mi importa.
Oggi è il mio giorno e niente e nessuno potrà rovinarmelo.
Esco dalla cabina abbassandomi la felpa sul bacino e intercetto i capelli neri di Percy mentre cammina verso la mensa per la colazione.
Corro tra i ragazzi delle altre case che mi salutano allegri e leggermente infreddoliti e salto sulla schiena di mio fratello, facendolo sussultare per lo spavento e barcollare leggermente in avanti.
Gli stampo un bacio sul collo, allacciando le mani sul suo petto per non cadere e lui ride, assicurandomi attorno ai suoi fianchi.
- Ariel! – mi saluta contento e io rido ancora, banciandolo sulla guancia. – Come mai così felice da mattina presto? – domanda curioso e io scivolo dalla sua schiena, affiancandolo e permettendogli di avvolgermi le spalle.
Lo guardo dal basso e sorrido ancora, – ci deve davvero essere un motivo per essere felici?
Percy ci pensa per un secondo guardando davanti a sé e continuando a camminare verso il padiglione dove qualche semidio si sta sistemando nei tavoli della propria casa. – No, penso proprio di no.
Non vedo Carter da nessuna parte e sento di star perdendo tutto il buon umore che avevo stamattina.
Voglio davvero vederlo.
Voglio vedere i suoi occhi scuri che scintillano quando guardano i miei.
Voglio toccare i suoi capelli e baciare le sue labbra fino a che non mi stuferò di farlo così tante volte di seguito.
Voglio lui e basta e il fatto che non ci sia è quasi snervante.
- Preparetevi per le lezioni mattutine, eroi! – ci dice Chirone battendo con la forchetta sul piatto mentre un gruppo di satiri terrorizzati continua a servire Dioniso che, annoiato, fa lievitare il bicchiere di Diet Coke che ha davanti.
Scatto in piedi verso il laghetto delle canoe perché ho come il sentore di trovare la' Carter anche se non so bene il perché.
Ho davvero tanta voglia di vederlo e non me ne accorgo neanche ma inizio a correre sul pavimento ricoperto di neve che hanno permesso di far entrare.
Scarto e saluto semidei senza fermarmi neanche per un secondo a chiacchierare con loro o scambiare qualche parola.
La voglia di vedere Carter è talmente tanto grande che mi stringe il petto e il cuore mi fa male per l'emozione quando inizio ad intravedere il laghetto da lontano.
Scivolo su un punto del terreno particolamente ghiacciato e rido, riuscendo a rimanere in equilibrio solo per miracolo.
Lo stomaco si contorce piacevolmente al solo pensiero che le braccia forti del figlio di Ares torneranno a stringermi contro di lui e quando vedo la sua figura scura, rallento di corpo.
Lo osservo.
Osservo le spalle larghe fasciate dalla felpa nera, e la vita stretta. I jeans scoloriti e un po' rovinati che gli cadono sulle gambe e gli scarponi scuri che ho scoperto essere un'esclusiva della sua casa.
È talmente tanto bello che devo stringere i pugni pur di non correre verso di lui e saltargli al collo come ho fatto con Percy.
Poi lo guardo ancora e mi ci vuole un secondo per cambiare idea.
Gli salto sulla schiena facendolo barcollare in avanti e, – ehi! – lo saluto contenta, stampandogli un bacio sul collo.
- Che diavolo fai?! – esclama lui e, decisamente, quella non era la reazione che mi aspettavo.
Corrugo la fronte scivolando via dalla sua schiena e mettendomi davanti a lui, raccogliendo i residui di difesa che lui ha abbattuto dolcemente la sera prima.
Un forte fastidio si fa largo dentro di me, propagandosi dal mio stomaco come se fosse della lava gelida.
Lotto con tutta me stessa per non piegarmi in due dal dolore e mi sento nuda, spoglia sotto il suo sguardo che è esattamente identico a quello che mi rivolgeva i primi giorni che ero al Campo: disprezzo.
Tremo e lo associo al freddo anche se so bene che non è per quello.
Incrocio le braccia sul petto per tentare di proteggermi, per tentare di prepararmi a qualsiasi cosa ma quando lui mi guarda ancora in quel modo, come se valessi meno di zero, mi rendo conto di non avere più niente.
Lui ha preso le difese che avevo, la mia armatura e l'ha spezzata. Mi ha lasciata nuda, vuota, persa e sola e non so più come fare difendermi perfino de me stessa.
Mi rendo conto di non essere neanche abbastanza forte per sopportare l'imminente discussione che, lo so, avverrà e stringo i pugni perché, almeno per un po' devo fingere di esserlo.
Devo fingere di essere forte.
- Che vuoi? – mi domanda freddo e il mio cuore perde un battito.
Voglio andarmene. Voglio smetterla di stare male.
Voglio scuoterlo con forza fino a che non si riprenderà, fino a che non tornerà al Carter che mi ha protetto mentre eravamo in missione. Fino a che non tornerà al Carter che mi ha reso la sua principessa.
- Che diavolo sta succedendo? – gli domando e accumulo le forze per la prossima cosa che dovrò dire.
Carter alza le sopracciglia e ride sarcastico e io perdo un altro battito, inesorabilmente. – Cosa vuol dire che diavolo sta succedendo? Sei tu che sei venuta e ti sei comportata come se fossimo amiconi – si china verso di me e il petto mi si stringe in una morsa. – Non lo siamo, novellina.
Sbarro gli occhi e ficco con forza le unghie nei palmi delle mani.
Non posso andarmene adesso, prima devo capire.
E mi costringo a restare, a farmi del male ancora, a cercare di spiegarmi perché Carter si stia comportando come se neanche mi conoscesse o come se non volesse farlo affatto.
- Mi prendi in giro? – ringhio raggruppando le poche forze che ho per contrastarlo. – Era tutta una presa in giro? – quasi urlo contro di lui mentre la collana inizia a bruciare sul mio petto, quasi bruciandolo.
Carter mi guarda e per un secondo penso che mi stai per dire che è tutto uno scherzo. Che io sono la sua principessa, che sono sua e basta ma raddrizza di scatto la schiena e ride, buttando la testa all'indietro.
- Era solo sesso, novellina. Perché, pensavi ci fosse dell'altro? – sembra una parolaccia. Tutto quello che ha detto sembra la più grande parolaccia del mondo e se non cado a terra quando le ginocchia tremano, è solo per puro orgoglio.
Solo sesso.
Solo sesso.
Le parole rimbombano nella mia testa come acido bollente e adesso capisco perché, in tutti questi anni non mi sono mai affezionata a nessuno.
Le persone ti tradiscono, ti deludono, ti uccidono e ti logorano. Le persone ti distruggono perché è l'unica cosa che fanno davvero bene.
Ecco perché, in tutti questi anni mi sono fidata sempre e solo di me stessa, e adesso mi sembra di crollare.
Non riesco a racimolare altre forze per picchiarlo o semplicemente rispondergli male perché lui mi ha portato via tutto facendomi credere che, se ne avessi avuto bisogno, mi sarei potuta poggiare a lui.
Le lacrime mi pungono le palpebre e abbandono le braccia lungo i fianchi con i pugni ancora stretti e le unghie che si conficcano nella carne.
Non posso piangere.
Devo essere forte come sempre.
Devo combattere, come ho fatto sempre.
Lo guardo negli occhi, in quegli occhi che mi hanno fatta innamorare ma che, senza difficoltà, hanno deciso di tradirmi e mi rendo conto che io non sono mai stata e non sarò mai una principessa.
Io sono e sarò sempre una guerriera.
Ed ora, è tempo di combattere.
Caccio indietro le lacrime e carico un pugno colpendo Carter talmente tanto forte alla mascella che la testa gli scatta di lato e barcolla leggermente portandosi le mani al punto che ho colpito.
- Vai a farti fottere – ringhio e poi lo spingo correndo via da lui e lasciando che le forze che ho accumulato se ne vadano. Mi abbandonino velocemente, esattamente come sono arrivate.
Corro, corro finché i polmoni non mi bruciano e finché i piedi non mi chiedono pietà.
Corro senza ascoltare nessuno e permettendo solo in quel momento che le lacrime mi righino le guance perché ci sono davvero tante cose che non riesco e non posso capire.
Corro e decido che, a prescindere da quello che potrà dirmi Percy, io voglio tornare a casa.
- Perché vuoi andartene?
Credo che sia almeno la quarantacinquesima volta che Percy mi fa questa domanda e io non ho intenzione di rispondere. E non perché voglia proteggere Carter, per quanto mi riguarda può anche venir sbranato dalla signora O'leary, ma per salvaguardare Percy..
Non credo verrebbe visto di buon occhio se uccidesse qualcuno e di lui mi importa eccome.
Continuo a preparare la borsa e sbuffo nascondendo come sto davvero.
Penso che se parlerò: o confesserò tutto a mio fratello facendolo diventare un omicida, o attaccherò a piangere e sarebbe piuttosto imbarazzante.
Stringo i pugni e la felpa che stavo mettendo nello zaino mi cade a terra. Nessuno mi ha mai visto piangere e odio il fatto che Carter sia stato l'unico, dopo mamma, a vedere la mia parte fragile.
Odio me, odio la situazione e odio lui e torno ad afferrare la felpa ficcandola nello zaino e fregandomene se poi si stropiccia.
- Ariel, guardami – mi ordina Percy con la stessa voce autoritaria che gli ho sentito solo poche volte.
Stringo lo zaino e prendo un respiro prima di poggiare i fianchi alla colonna del letto a castello per guardarlo.
È seduto sul letto e mi guarda con gli occhi verdi che sembrano quasi mi vogliano scavare dentro, carpendomi tutte le infomazioni che non voglio dargli.
Per un istante, ma per un solo istante e penso di essermelo immaginato, mi sembra ci sia qualcuno a scavare nella mia testa, come se stesse infilando la chiave sbagliata nella serratura, ma poi questa sensazione passa e incrocio le braccia al petto per proteggermi.
- Che c'è? – domando con uno sbuffo e Percy mi guarda con un sopracciglio scuro inarcato che diventa quasi un tutt'uno con i capelli che gli ricadono disordinati sulla fronte.
- Non prendermi in giro, sorellina – e se non fossi già attaccata a qualcosa, indietreggerei anche. – Perché vuoi andare via? – mi domanda ancora e il tono è talmente tanto triste, quasi arrendevole che, per un attimo, credo che gli dirò che mi succede. Credo che piangerò tra le sue braccia e credo che, almeno per una volta, riuscirei a sentirmi a casa.
Percy cammina verso di me e scuoto la testa un paio di volte spostandomi verso sinistra e riuscendo quindi ad indietreggiare di qualche passo. – Voglio solo prendermi una pausa – e mi faccio quasi i complimenti per la mia mezza verità. – Tutta questa storia della finta impresa, della cerchia di eletti – elenco, – ho bisogno di un po' di tempo per stare tranquilla e il Campo mi tiene in agitazione.
Carter ti tiene in agitazione, razza di idiota.
- Carter? – domanda Percy fermandosi di colpo a meno di un metro di me e aprendo un po' di più gli occhi.
Impreco tra i denti quando realizzo di essermi dimenticata di schermare ciò che penso a Percy ma è questione di attimi prima che il suo sguardo si possa ridurre in una fessura.
Spalanco gli occhi e gli afferro il braccio quando affonda la mano nella tasca destra dei jeans, probabilmente afferrando Vortice, la sua spada. – No! – esclamo ma lui si libera dalla mia presa con uno strattone e inizia a camminare verso la porta.
Posso quasi vederlo tremare dalla rabbia.
- Io adesso vado e lo ammazzo – dice tranquillo e realizzo che avrei di gran lunga preferito che avesse urlato.
- Percy, per favore.. – imploro, rendendomi conto che ormai è la mia unica arma.
Non potrò mai essere forte quanto mio fratello, sono riuscita a malapena a batterlo quando ero in piena forma dopo che mi ero bagnata, figurarsi adesso che non ho neanche le forze per difendere me stessa.
- Ariel – ringhia inchiodandomi sul posto con lo sguardo, – ti ha usato. Questo non va bene solo a me?! – esclama voltandosi per dare un pugno alla porta.
Il tonfo secco risuona per la nostra cabina e sussulto quando il legno continua a tremare.
- Percy.. – tento ancora ma non ho abbastanza forze per fermarlo.
Ho bisogno che tutto questo finisca.
Ho bisogno di fermarmi per un po'.
- No, Ariel quell'idio..
- Mi puoi solo abbracciare? – gli domando nascondendo le mani dentro le maniche della felpa, tirando leggermente su col naso. So che non riuscirò a nascondere le lacrime ancora per molto. Già mi pizzicano agli angoli delle palpebre e sento di star crollando.
Ho bisogno di essere salvata prima di rompermi del tutto.
Percy si volta di scatto verso di me stringendo la penna in mano con talmente tanta forza che le nocche spaccate per il colpo di prima, sbiancano. Mi guarda, come per valutare se stia facendo la cosa giusta e quando una lacrima dispettosa fugge via al mio controllo, lui attraversa in pochi passi lo spazio che ci divide, attirandomi contro il petto.
Mi aggrappo al retro della sua felpa dando il via libera alle lacrime solo adesso che Percy mi sta stringendo, solo adesso che so di essere protetta e molto più forte.
Respiro il suo profumo, quello che è sempre un misto di mare e Annabeth e forse gli sto bagnando la maglietta ma a lui non sembra importare abbastanza per lasciarmi andare.
Tutte le emozioni che ho represso salgono a galla con forza, lasciando il mio corpo attraverso le lacrime calde che mi rigano silenziose le guance. Sembra quasi che mi stia liberando da tutto lo schifo che ho dentro ma il ricordo di Carter è ancora troppo vivido dentro di me perché qualche lacrima possa cambiare il modo in cui mi sento.
Stringo un po' di più la felpa di Percy perché, se non lo facessi, mi sembrerebbe inesorabilmente di crollare e continuo a concentrarmi sul suo profumo, sul suo petto che si solleva regolare, sul suo cuore che batte contro il mio orecchio.
Mi aggrappo all'unica certezza che ho per rimanere a galla.
Poggia il mento sulla mia testa e mi stringe più forte quando l'ennesimo sussulto mi fa tremare contro di lui. – Ci sono io – mi sussura, – te lo giuro, non sei sola – dice baciandomi la testa e cullandomi ancora un po'.
- Sicura di aver preso tutto? – mi chiede ancora Percy.
È passata meno di un'ora da quando mi ha abbracciata dentro la nostra cabina e anche se ci ha messo un po' di tempo è riuscito ad accettare l'idea che me ne vada a New York.
Ha anche insistito perché andasi da sua madre, Sally, e il suo patrigno, ma ho preferito rifiutare. Non ho intenzione di essere un peso per nessuno e anche se lui ha negato, so bene che sarei comunque di disturbo.
Nascondo il calore al petto per quella domanda che non mi rivolgevano da anni, con uno sbuffo, – sul serio, bello, quanti anni pensi che abbia?
Annabeth accanto a lui ride e si sporge verso di me per abbracciarmi. Ancora.
Sembra che abbia una sorta di tic nervoso per il quale non riesce a non stringersi a me per più di cinque secondi.
Posso giurare che non è facile salire una collina con una figlia di Atena diciottenne che ti si attacca al fianco come una cozza.
La amo ancora di più per questo.
Mi dispiace che loro due non possano venire ma devono gestire il Campo. Chirone ha bisogno di una mano e ci sono troppi piccoli semidei a cui badare perché non venga aiutato.
Ho deciso di andarmene senza dire niente a nessuno.
Non voglio che Als mi saluti o che lo sappiano troppe persone. Ho sempre odiato gli addii e amo troppo la mia arciera perché riesca a sapportare la sua vista mentre me ne vado.
Certo, tempo sei mesi e la vedrò ancora ma non sono mica pochi.
- Devo andare – annuncio e lo sguardo di Percy si adombra, osservandomi come se sperasse di farmi cambiare idea in quel momento.
Come se Argo mi avesse sentito, suona il clacson del furgone ai piedi della collina e alzo una mano verso di lui, facendogli segno di averlo sentito.
- Ancora certa che tu non voglia rimanere con noi? – domanda Annabeth quando mi stringe ancora a sé, accarezzandomi i capelli come mi piace tanto.
Annuisco un paio di volte perché so che adesso, tra le sue braccia attaccherai a piangere come una squirtenata, così mi limito a stare zitta, a sentire il suo profumo o il suo cuore che batte contro il mio.
- Non sarai una figlia di Atena – mi sussurra contro l'orecchio lasciando che le sue labbra me lo sfiorino, – ma sei comunque la mia sorellina, va bene? – e io annuisco ancora perché non voglio piangere e perché è proprio per questi motivi che odio gli addii.
Quando ci separiamo, lei ha gli occhi lucidi ma sbatte le palpebre un paio di volte sorridendomi e tornando normale, guardandomi come se niente fosse.
Percy mi sorride e apre le braccia perché io mi possa fiondare contro il suo petto ma una voce che è ormai familiare mi chiama e mi sporgo oltre mio fratello per vedere la chioma scura di Als che si agita nel vento mentre corre verso di me.
- Ariel! – grida continuando a venire verso di me, fermandosi solo quando siamo a pochi passi di distanza, accanto ad Annabeth.
Poggia le mani sulle ginocchia e ansima per lo sforzo mente io lo guardo stranulata.
Lei non avrebbe dovuto sapere nulla.
- Che ci fai qui? – domando, forse con più freddezza di quanto avrei voluto, ma lei sembra non farci caso, tornando dritta quando riprende fiato per bene.
- Dioniso. Ha allestito un buffet con tanto di decorazioni per la tua partenza – sorride un po' amaramente. – Non ci ho messo molto a collegare gli striscioni:"Finalmente via" con te che non ti trovavi da nessuna parte.
Inclino la testa prendendomi qualche secondo per osservarla, bella come sempre e non più con segni di pestaggio.
La pelle diafana è liscia come al solito. Le labbra sono più rosee del dovuto per il freddo, le ciglia sempre lunghe che rendono gli occhi ovviamente bellissimi. I capelli le svolazzano attorno al viso per il vento e il corpo è imbottigliato in un paio di jeans scuri, degli scarponi e una felpa del Campo.
La guardo ancora negli occhi e poi lascio che l'ennesima lacrima mi scorra sulla guancia quando vado verso di lei.
- Vieni qui – dico e lei mi avvolge il collo con le braccia, stringendomi come se non lo facesse da giorni.
Ci stringiamo con forza perché proprio quando l'ho ritrovata, la sto perdendo di nuovo.
Permetto a qualche lacrima in più di bagnarmi il volto e quando sento la schiena di Allison scossa dai sussulti, sorrido.
Con ogni probabilità, quando ci allontaneremo e ci guarderemo nuovamente negli occhi saremmo in condizioni pietose.
Ridiamo entrambe quando finalmente riusciamo a vederci ed Allison mi asciuga una lacrima con un sorriso che sembra quasi un pugno sul quel volto triste.
- Poi torni da me? – mi domanda e annuisco un paio di volte perché il palato mi brucia e non riuscirei a parlare senza che la voce si incrini.
- Allora, saluti tutti e non tuo fratello? – domanda Percy fintamente offeso e mi catapulto contro di lui ridendo, lasciando che le sue braccia forti mi stringano ancora. – Ti voglio bene, sirenetta – e me lo dice talmente tanto piano che faccio quasi fatica a sentirlo.
Corro giù per la collina quando Argo suona nuovamente il clacson e mi impongo di non guardare indietro verso la mia famiglia perché ho appena smesso di piangere e non mi va di ricominciare ancora.
Sono una guerriera, non una principessa.
Salgo nei sedili posteriori perché Argo e tutti i suoi occhi mi fanno paura e abbandono lo zaino accanto a me raggomitolando le gambe al petto per il freddo.
Poggio la testa al finestrino che vibra quando il custode mette in moto partendo verso New York.
Osservo la strada sotto di me, quando decido di voltarmi.
Forse sono masochista, o forse più nostalgica di quanto pensassi ma schiaccio il viso contro il finestrino per guardare un'ultima volta la collina anche se non è lei, il pino di Talia o Peleo che attirano la mia attenzione.
Carter lo fa, sul ciglio della strada con il vento che gli scuote la felpa e gli arrossa il naso.
Mi fissa come se così facendo io potessi smettere di andare via e mi chiedo come sarebbe stare tra le sue braccia in quel preciso istante.
Una lacrima mi riga ancora la guancia e lo osservo fino a che una curva decide di portarmi definitivamente via da lui.
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