Il dio della guerra ci chiede un favore
Fisso Ares nelle lenti degli occhiali da sole scuri e vorrei tanto dargli un paio di pugni sul quel volto pur di togliergli il ghigno divertito dalla faccia.
- Il vecchio Alga Marina si è dato da fare - dice guardandomi e assottiglio lo sguardo sperando che la sua moto e il suo bel culo da dio prendano fuoco in questo preciso istante.
- Ha visto? Che bello - gli rispondo sarcastica e con un sorriso talmente finto che anche il primo degli idioti riuscirebbe a capirlo.
Sento distintamente la mano di Carter che avvolge forte la mia in un muto avvertimento ma la scossa elettrica al braccio viene oscurata dal ghigno di mio cugino.
- Ho un conto in sospeso con quel simpaticone di tuo fratello, non vuoi costringermi a saldarlo con te, vero? - domanda eloquente e alzo le sopracciglia in una pura espressione scettica.
- Ma è serio? Mio fratello le ha salvato le divine chiappe due anni fa contro Crono. Io credo che i vostri debiti siano stati saldati, lei no? - e Carter mi stringe la mano ancora più forte, quasi facedomi male. "Chiuditi quella bocca": è ciò che la sua stretta vuole dirmi ma io non ho intenzione di stare zitta, di smettere di provocare, semplicemente non ci riesco anche se non so bene per quale motivo.
Ares ghigna e guarda verso il mio fianco, come se sapesse che dietro la schiena Carter mi sta stritolando la mano per farmi stare zitta. - Non tentare di far star zitta la tua amica, figliolo. Non voglio farvi del male - afferma con una voce che dice tutto il contrario e mi porto una mano al ciondolo che sta per andare a fuoco sulla mia pelle, - mi serve un favore.
- Ma se lo risolva da solo - borbotto e Carter si batte una mano sulla fronte mentre Ares mi guarda come se fossi carne da macello e io sto iniziando a darmi dell'idiota in tremila lingue.
- Ma se lo risolva da solo - mi scimmiotta e mi volto verso Carter, fissandolo nelle sue pozze scure e indicando Ares dietro di me con il pollice.
- Seriamente, tuo padre quanti anni ha?
Ares ghigna ancora facendomi rabbrividire e stringo ancora di più il ciondolo perché so perfettamente a che gioco sta giocando ma non riesco a stare zitta.
- Ho litigato ancora con Efesto - spiega annoiato rimanendo a cavallo dell'Harley rossa, - è incazzato perché mi sbatto la moglie e non mi va di spendere un po' del mio prezioso tempo a combattere due esserini che mi manda il mio cugino adorato - gesticola molto quando parla e quello, se possibile, mi irrita ancora di più.
Corrugo la fronte e quando sto per parlare, Carter mi precede, - cosa abbiamo in cambio? - domanda e mi sorprendo della voce incredibilmente fredda e dei muscoli che sono ad un tratto più rigidi.
Ares lo guarda con un interesse del tutto diverso da quello che ha mostrato nei miei confronti, - vuoi davvero qualcosa in cambio da me, tuo padre?
E gli occhi di Carter cambiano del tutto sfumatura perché, se prima erano preoccupati, ora sono arrabbiati e fa un passo oltre di me arrivando a pochi centimetri dal viso del dio che si limita a ghignare e a farsi girare nell'indice le chiavi che ha tolto dall'Harley. - Si, voglio qualcosa da te, padre - e rabbrividisco quando mi rendo conto che ha detto "padre" quasi come se fosse una parolaccia.
Ares sta zitto per un po' e solo quando do un paio di strattoni alla felpa di Carter e lui si ritira, parla, - un passaggio per Chicago. So che vi serve - guarda prima il figlio e poi me, - allora, ci state - e sto per rispondere un no, che preferisco farmi chilometri a piedi piuttosto che farmi aiutare da lui ma a uno schiocco di dita del dio, vengo avvolta da un turbine di sabbia e barcollo quando le All Star finiscono su un territorio completamente diverso da quello dove mi trovavo prima.
Sbatto le palpebre un paio di volte riprendendo l'equilibrio e noto Carter alla mia destra che si guarda confuso. - Ma andiamo! - esclamo attirando la sua attenzione, riconoscendo il mio laghetto, gli alberi ricoperti di neve e i grattacieli che circondano il parco più bello del mondo. - Siamo a Central Park! Perché diavolo un dio ci avrebbe spedito a Central Park?
E sto per protestare ancora ma poi guardo Carter, i suoi occhi scuri che quasi brillano mentre si guarda intorno cercando quasi di assorbire ogni cosa che vede. - è stupendo - dice guardando gli alberi, il lago, il Belvedere in lontananza, i ponti e i sentiri dolci che attraversano il parco.
- La mia città è tutta stupenda - affermo con orgoglio e con un sorriso che mi increspa le labbra. Poi guardo il suo profilo e la mia iperattività parla prima che possa trattenermi, - te la faccio vedere, se vuoi. - Carter si volta verso di me, guardandomi leggermente confuso, - New York, intendo. Te la faccio vedere. Divento la tua guida personale per un paio di giorni quando tutto questo sarà finito, che ne pensi? - chiedo sperando che lui dica si e che mi risparmi la figura della deficiente.
Un sorriso gli increspa il volto e annuisce un paio di volte togliendomi un peso troppo pesante dal petto, - se posso sfruttarti per vedere New York allora è senza dubbio un sì - mi sorride sarcastico e gli mostro il terzo dito prima che un ruggito possa bloccare la risata che gli era fuoriuscita dalle labbra, di colpo.
Mi affianco a Carter e facciamo scattare velocemente le armi.
Tutti i miei sensi sono all'erta e sento i muscoli di Carter rigidi contro i miei. Diamo le spalle al laghetto ed è in questo momento che due tigri in ferro, dorate e nere ci sbucano davanti, ruggendo e venendo lentamente verso di noi.
Indietreggiamo per istinto e trattengo un brivido alla vista di quei due rubini al posto degli occhi che mi stanno praticamente inchiodando sul posto.
- Automi - dice Carter a denti stretti e se possibile, i suoi muscoli si irrigidiscono ancora di più, - a prova di dio.
Libero una risata sarcastica agitando leggermente Onda per il mio continuo gesticolare, - già, una gran bella fortuna essere semi-dei, no? Grazie, cugino adorato! Un regalo di Natale in ritardo? - Esclamo e Carter mi da dell'idiota pochi istanti dopo quando gli automi ringhiano e si scagliano verso di noi.
Ci buttiamo dalle parti opposte a cado sulla neve strisciandoci sopra la guancia e rabbrividendo quando il gelo penetra oltre il cappotto.
Un tonfo un po' distante da me preannuncia una caduta di Carter ma non ho il tempo per controllare lui quando la tigre che, per inciso, ha gli artigli delle zampe lunghi quanto la mia mano e, sempre inciso, è grande almeno il doppio di una tigre normale, non mi viene addosso.
Sono a terra e le scarpe non fanno attrito sulla neve, lasciandomi a terra e permettendo agli artigli della tigre di conficcarmisi nella carne. Il dolore che ne segue è lancinante, quasi elettrico e grido girando di scatto il volto quando la tigre mi ruggisce in faccia.
Gli conficco Onda in un fianco, racimolando tutte le mie forze e dell'olio caldo mi cade sulla mano, ma quella ferita è abbastanza perché la tigre salti via da me.
Sento del sangue caldo che mi cola lungo il busto e respiro a fatica mentre la vista si appanna e inizio a vedere i contorni delle cose nere.
Carter prova a guardarmi ma il suo automa lo tiene troppo impegnato a schivare e colpire.
È la terza volta in una giornata che rischio di morire e questo mi sta facendo davvero incazzare. Ma io non posso morire, non posso e non voglio anche se le forze mi stanno abbandonando e anche se la tigre sta per attaccare.
Allison crede in me e io devo salvarla.
Percy crede in me, Annabeth crede in me. Credo che anche Carter creda in me e prima di morire devo almeno dargli un bacio e considerato i nostri rapporti, sono certa che non accadrà molto presto, quindi, non posso morire proprio adesso.
Mi ricordo che affianco a me, a un decina di metri c'è un lago e non sono abbastanza forte per evocare un'onda ma so che l'acqua è la mia unica fonte di salvezza.
Il dolore al petto è lancinante e con la mano già rossa per il gelo, afferro la neve, mettendomela sulla ferita e sospirando solo quando ottengo un minimo di sollievo.
- Ciao - dico alla tigre prima di incespicare sulla neve e correre verso la superficie gelida. Inciampo più volte e gli artigli della tigre mi arpionano i jeans abbastanza da farmi gridare e da rendermi ancora più debole di quanto già non sono.
Non ho più abbastanza forze e lancio la spada dietro di me senza voltarmi indietro ma sentendola comunque cozzare contro il metallo. Mi rimetto in piedi e poi cado finalmente in acqua sprofondando nel gelo.
Chiudo gli occhi per un secondo, lasciando che le forze che ho perso ritornino e permettendo alla ferita all'altezza del costato di rimarginarsi come deve.
Alzo le palpebre notando l'automa che guarda verso di me e spalanca la bocca in quello che deve essere un ruggito ma io sorrido perché in acqua, contro qualcosa di meccanico, non posso che vincere.
Facciamoci un bagno, piccola.
Ed è il mio unico pensiero prima di puntare i piedi sul fondo e darmi la spinta necessaria per schizzare fuori dall'acqua. Rimango a cavallo della mia onda personale e poi vado direttamente addosso all'automa rotolando via e guardandola mentre si contorce e guaisce a pancia in su, prima che i suoi rubini si spengano.
- Bel lavoro, principessa - mi dice Carter allungando una mano verso di me e io la prendo con un sorriso spazzolandomi i jeans umidi per la neve e rimettendomi in piedi nonostante la testa che mi gira un po' troppo.
- Tu anche e non chiamarmi così - dico dandogli una leggera spinta alla spalla e facendolo sorridere mentre cammino per recuperare Onda.
Guardo il suo automa con le zampe staccate dal corpo e la testa lontano dal collo di un paio di centimetri e qualche filo metallico che parte dalle due estremità.
Faccio appena in tempo a trasformare Onda in un ciondolo che un turbine di sabbia ci avvolge e barcollo ritrovandomi sulla strada di Pittsburg con l'amabile dio della guerra a cavallo della sua Harley, che ghigna appena ci vede.
L'irritazione prende nuovamente possesso di me. La schiena brucia per la rabbia e il respiro si affanna per il fastidio e per la voglia che ho di tirargli un pugno.
- Razza di schifoso codardo! - grido e carico il braccio solo per dare più potenza al pugno che non vedo l'ora si diriga verso la faccia di quello stronzo.
- Ariel! - mi chiama Carter bloccandomi le braccia, - dovrei essere io quello incazzato con lui, non tu - mi sussurra in un orecchio chinandosi verso di me e forse, non consapevole dei brividi che mi stanno pervadendo il corpo.
Il ghigno di Ares non è sfumato neanche per un secondo dal suo viso e questo mi fa incazzare in una maniera inaudita.
- Non provocarmi, piccola dea - dice in quella che deve essere una velata minaccia e si abbassa gli occhiali da sole scuri rivelandomi due orbite ardenti e che mi fanno vedere cose alle quali non avrei mai dovuto assistere: esplosioni atomiche, donne stuprate, guerre, mutilazioni. Fame, carestia, malattie e sangue, troppo sangue.
Carter mi mette una mano davanti agli occhi e le ginocchia mi cedono ma lui mi tiene per il gomito scuotendomi per farmi riprendere. Quando toglie la mano da davanti a me, noto che Ares si sta rinfilando gli occhiali con un sorriso e questo non fa che farmi arrabbiare ancora di più.
- Non provocarmi, piccola dea. Io ti ho avvisato - ghigna e sto per rispondere ma Carter mi precede ancora.
- Dov'è la nostra roba? - domanda con un tono talmente freddo che sono costretta a stringere i pugni per fargli fronte, anche se non si sta rivolgendo a me.
Ares schiocca le dita e a una decina di metri da noi appare un camion rosso, uno di quelli con un tendone che rimane ancorato al cassone solo grazie a delle corde. Schiocca le dita ancora e una borsa a tracolla carminia mi appare sulla spalla. Non è molto pesante eppure è gonfia da quanto è piena.
Noto che Carter ha uno zaino dello stesso colore della mia sacca ma l'espressione dura non è comunque sfumata dal suo volto.
- Buon viaggio, piccoli dei - augura con un ghigno infilando le chiavi nel quadrante della moto e dando un colpo di gas per scaldare il motore che sovrasta tutti gli altri rumori attorno a noi, - a si, Carter sei stato bravo anche se non quanto tua sorella.
- E tu sei un padre di merda ma evito di dirtelo solo per dare aria alla bocca - e il tono è talmente freddo che il ghigno del dio quasi scompare dal suo volto prima che lui dia gas e scompaia lungo la statale.
I muscoli di Carter sono tesi, forse troppo e se non avessi paura che mi tiri un pugno, gli prenderei anche la mano.
- Andiamo principessa - mi esorta con voce ferma indicandomi con un cenno il camion che sta per partire.
Quando le ruote iniziano a muoversi sull'asfalto ho un tuffo al cuore e la borsa che mi sbatte sulla coscia ingombra la mia corsa.
Carter raggiunge il camion prima di me e salta sul cassone con un tonfo che posso sentire solo io.
Impreco mentalmente accelerando quando il camion fa lo stesso e Carter allunga un braccio verso di me. Riesco ad afferragli la mano per miracolo e lui mi tira dentro con un grugnito per lo sforzo. Grido per lo spavento capitombolando sopra di lui e quando mi rendo conto di starlo usando come materassino, rotolo via cercando un punto dove il freddo non sia così pungente.
Guardo Carter dal mio angolino e anche al buio, noto il suo sguardo perso nel vuoto, la mascella tesa e i muscoli rigidi.
Allungo una mano arrivando a sfiorare la sua e quando lui la ritira di scatto come se si fosse scottato, faccio lo stesso quasi per riflesso, - tutto bene? - domando.
- Non è un problema tuo, principessa. Inizia a farti gli affari tuoi perché non mi va di parlare con te o ascoltare la tua fastidiosissima voce e i tuoi fastidiosissimi consigli da bambina, d'accordo? - mi dice brusco e lo guardo cercando di capire per quale motivo, tra i due, sia lui ad avere il ciclo.
Cerco in tutti i modi di ignorare le stilettate al petto che sono state quelle parole e - vaffanculo - sibilo allontandomi da lui e andando nell'angolo opposto al suo.
Mi stringo le ginocchia al petto per il freddo, pregando che un posto caldo e asciutto arrivi il prima possibile.
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