I cattivi odiano la mia schiena
Argo ci lascia alla stazione degli autobus e poi sgomma via sul furgone che porta un'iscrizione gigante delle fragole di Delfi.
Mi poggia al muro e osservo la frenetica vita newyorkese davanti a me alla quale non sono più abituata.
Mancano due giorni a Capodanno e quasi mi sembra di sentire qualcuno che prova il microfono sul palco di Times Square.
Mi manca la mia città, mi manca veramente tanto e osservo qualunque cosa stia accanto, attorno e davanti a me, quasi cercando di imprimermi ogni particolare nella mia mente.
New York è un casino. È il più totale caos, la più continua cofusione. È rumore, disordine e chiasso e mi ricorda un po' me. Forse è per questo che mi piace così tanto.
Carter è accanto a me con il cappuccio della felpa scura tirato sul viso che gli copre gli occhi e la pianta del piede sinistro poggiata al muro. Sembra distratto ma so perfettamente che è vigile tanto quanto me. Continua ad accarezzarsi il bracciale che si trasforma nella sua spada scura quasi fosse un cucciolo di gatto e sono quasi certa che quegli occhi neri saettano da una parte all'altra.
Un gruppo di sei ragazzi alti il doppio del figlio di Ares bevono coca-cola, lanciano le lattine a terra e gridano mentre si picchiano per finta.
Mi danno fastidio e il cuore prende a battermi un po' più veloce, così come il ciondolo che brucia dispettoso sulla mia pelle.
Lo stringo nel pugno e volto il capo, scrutando quei ragazzi che, vicino alla fermata, mi stanno guardando come se fossi una bistecca.
Carter grugnisce al mio fianco e si avvicina leggermente a me. Posso sentire i muscoli tesi del suo braccio anche sotto il tessuto della felpa.
Non capisco che stia succedendo ma Onda sta bruciando e il mio cuore batte sempre più veloce.
- Dove cavolo è il pullman? - domando con leggera apprensione, battendo nervosamente il piede sull'asfalto.
Carter ringhia ancora e quei sei ragazzi adesso si sono fermati e continuano a guardarmi, a guardarci come se fossimo delle cazzo di bistecche.
Un pullman argentato con un levriero sul muso e le fiancate si ferma davanti a noi con uno sbuffo e quando vedo la scritta "Chicago" sul vetro, il respiro torna leggermente regolare.
- Muoviti - ordina Carter e il tono è talmente tanto autoritario e quei ragazzi talmente tanto grossi e cattivi che non mi importa di essere afferrata per il braccio e trascinata brutalmente verso la coda di persone che sta per salire sul pullman.
Arranco dietro Carter per un paio di metri mentre la sua mano calda continua a stringermi il braccio quasi dolorosamente.
Il ciondolo sta continuando a bruciare sulla mia pelle e so che, come il pericolo l'ho sentito io, l'ha sentito anche Carter.
- Ciao - e sussulto quanto quei ragazzi si mettono tra noi e la fila di persone dirette a Chicago, incrociando le braccia sui petti allenati.
Osservo i muscoli che guizzano oltre le maniche corte della maglietta nonostante ci siano pochissimi gradi e Onda continua a bruciare con forza.
- Fateci passare - ordina Carter e la voce è talmente tanto fredda e arrabbiata che, anche se quei sei cosi sono più alti e grossi di lui, per un attimo, solo per un attimo, sembriamo noi in vantaggio.
Uno dei sei ragazzi ride, gettando la testa all'indietro e scoprendo una fila di denti giallognoli. "I kill", il tatuaggio sull'avambraccio, guizza per il leggero movimento del muscolo e mi affianco a Carter, chiedendo il ciondolo nel pugno, preparandomi a trasfomarlo in spada.
- Piccoli, piccoli dei - canzona quel ragazzo e, assieme ai suoi compari, inizia a camminare verso di noi, facendoci indietreggiare.
Non ho idea di chi siano ma la parte peggiore è che sono umani, sono sei e non possono essere uccisi.
- Merda - dice Carter, un attimo prima di tirarmi via con lui.
Capitomboliamo a terra e sbatto la testa a terra con forza. Carter mi acchiappa per il cappuccio troppo tardi e vedo tutto a rallentatore.
Non riesco a muoversi, anche se vorrei e quei sei ragazzi stanno venendo ancora verso di noi, scrocchiandosi le dita.
Che diavolo vogliono? Basta.
Credo che Carter mi stia dando colpi al braccio ma non sento nulla.
Lo zaino mi è volato via dalle spalle come sono caduta e voglio solo che tutto questo finisca.
Non ci capisco niente, mi sente impotente e odio sentirmi così.
Le mani calde di Carter si stringono sulle mie guance e questo mi dirienta un po' perché è la prima cosa che riesco a sentire. Mi perdo nei suoi occhi scuri, spalancati per la rabbia e solo dopo qualche secondo, lo sento.
- REAGISCI!
Mi alzo di scatto, ringraziando l'adrenalina che mi scorre nelle vene, aspettando che quesi sei ragazzi vengano verso di me.
- Ehi, bello. Ci fai fare un giro con lei? - domanda uno, indicandomi col pollice e ringhio, saltandogli al collo.
Sono il doppio più alti di me, più forti ma non sono neanche la metà arrabbiati quanto la sottoscritta. Mi acchiappo alla sua testa e faccio correre le gambe attorno al suo collo, buttandomi all'indietro con uno scatto.
Il mio peso e la velocità dei movimenti lo fanno sbilanciare in avanti e poggio le braccia a terra, facendolo rotolare sull'asfalto.
Sento rumore di pugni non lontano da me e un attimo prima che mi possa alzare, qualcuno mi acchiappa per i capelli. Una mano mi stringe il sedere. - Soda.
- Già - mi limito a dire, dandogli una gomitata al viso talmente tanto forte che sento il meraviglioso crack delle ossa del naso rompersi sotto il mio gomito.
Molla la presa sui miei capelli, portandosi le mani al viso e indietreggiando, abbastanza perché possa assestargli un calcio sulla testa, facendolo cadere a terra e voltandomi di scatto verso l'idiota che ha appena gridato.
Mi abbasso di scatto e le braccia del tizio si chiudono sull'aria. Gli balzo sulla schiena, rimpendogli la testa di pugni e stringendo le gambe attorno alla sua vita mentre quello corre in cerchio, tentando di liberarsi di me.
Sento la risata di Carter e quello è abbastanza perché si possa beccare un pugno dal ragazzo con il tatuaggio.
Continuo a colpire il ragazzo con i pugni sulla testa e quando ringhia e mi afferra per le cosce, mi rendo conto di cosa sta per succedere.
- Nononono! - ma un secondo dopo, vengo sbattuta a una colonna in metallo e l'impatto è talmente tanto forte che mi manca il respiro.
Mi sbatte ancora una volta e il dolore è lancinante, troppo forte che possa sopportare un'altra cosa simile. È una scossa che parte dalla schiena, arrivando a tutte le mie terminazioni nervose e quando il tipo si allontana un'altra volta, riesco a liberare un tallone, colpendolo.. lì.
Impreca dal dolore e quando la presa si allenta, torna a sbattermi al metallo con forza.
La testa prende a girarmi come se fossi un cavolo di ottovolante e lotto per rimanere sveglia, senza riuscirci.
- Lasciala andare - ringhia una voce, familiare abbastanza perché mi ci posa aggrappare nella speranza di rimanere un minimo lucida.
La testa del ragazzo schizza a destra e sinistra con forza e un fiotto di sangue macchia l'asflato, mentre la presa sulle mie gambe inizia ad allentarsi.
Carter lo copisce ancora e poi, finalmente, il ragazzo crolla in avanti.
Mi aspetto di cadere in piedi ma le ginocchia mi cedono e la testa continua a girarmi ancora, come se avessi bevuto un po' troppo alcool.
Sbatto le ginocchia a terra e cerco di focalizzare ciò che ho davanti ma mi sembra di vedere solo un miscuglio di flash di telefonini che non fanno altro che disorientarmi.
- Alzati - mi ordina Carter e voglio farlo. Voglio alzarmi solo per orgoglio. Voglio alzarmi perché lo odio e perché non sopporto di vedermi così debole ma quando tento di rimettermi in piedi, la testa prende a pulsarmi con forza e le gambe cedono.
Sono certa di cadere, farmi nuovamente male, ma la mano di Carter mi acchiappa il braccio, sostenendomi poi per la vita.
- Alzati, principessa - mi sussurra all'orecchio, sfiorandomi la pelle con le labbra e facendomi rabbrividire.
Mi attacca al suo fianco, issandomi in piedi e gli risponderei male per avermi chiamato "principessa", ma è già tanto se riesco a camminare.
- Prendi lo zaino - dice e mi aiuta, mentre mi inchino, afferrando le cinghie della borsa e incastrandola tra le dita. Arranchiamo verso il pullman, verso tutte le persone che ci stanno guardando e Carter si tira su il cappuccio, facendo lo stesso col mio. Impreca in greco antico e mi porta su per i tre scalini dell'autobus, mostrando i biglietti che abbiamo fatto prima all'autista, dando una spallata a un ragazzo poco più grande di noi e che stava continuando a farci video. - Idiota - borbotta osservandolo con odio mentre si sbatte al vetro della cabina dell'autista. - Siamo stati aggrediti! - esclama, mettendomi a sedere in uno dei posti centrali, vicino al finestrino. - E nessuno di voi ci ha aiutato. Guardate come sta la mia ragazza per colpa vostra! - continua e poggio la testa al sedile, chiudendo gli occhi e sorridendo per tutte le stronzate che dice e che, con ogni probabilità, avranno esattamente l'effetto che lui desidera.
Un leggero mormorio si solleva da tutti i passageri e apro leggermente gli occhi, in tempo per vedere quello che mi sembra l'autista dare cinquanta dollari a Carter, prima di tornare al suo posto.
Il figlio di Ares si siede accanto a me e le labbra sottili si stendono in un leggero sorriso mentre si infila i soldi nello zaino, un attimo prima che il pullman possa partire.
Stiamo andando verso sud la testa continua a pulsarmi ancora con forza.
Carter non mi ha più chiesto nulla. Non mi ha chiesto come sto, né se mi sono ripresa e mi impongo di fregarmene anche se, solo un po', mi fa male.
Sono passate un paio d'ore da quando siamo partiti e non ho neanche idea a che altezza siamo.
Ho paura e non so cosa aspettarmi da tutto questo casino. Se mi ero psicologicamente preparata solo per mostri, non ero affatto pronta a scontrarmi con dei mortali, consapevoli dell'esistenza di semidei. È stato talmente tanto inquietante che il suo pensarci mi fa pulsare la testa più dolorosamente e mi impongo di smetterla.
Carter si è appisolato accanto a me, con le mani sulle coscie chiuse nei jeans e la testa abbandonata contro il sedile.
Volto il capo verso di lui, soffermandomi a guardare il suo profilo: le labbra schiuse e rosate, sottili, cattive. Le ciglia lunghe e scure che gli accarezzano gli zigomi, i tratti marcati e il naso lungo.
Tiene il cappuccio tirato sul viso ma posso comunque vedere i tratti marcati, fin troppo simili a quelli della sorella.
È bello. Tanto bello quanto stronzo e Carter, ho imparato essere davvero stronzo.
- Smettila di farmi la radiografia.
Ecco, appunto.
La sua voce roca mi fa sussultare e borbotto un paio di volte, sistemandomi meglio sul sedile e raggomitolandomi con le gambe al petto.
- Stronzo - sibilo guardando la strada di campagna che stiamo costeggiando, tentando di ignorarlo ed evitando di chiedermi quando arriveranno i prossimi guai.
L'autista si ferma per l'ennesima volta e mi alzo leggermente per vedere chi sta facendo così tanto casino.
Guardo quel po' di persone che varcano l'entrata dell'autobus e corrugo la fronte quando sei ragazzi più atletici di Carter (il che è tutto dire) salgono schiamazzando e ridendo sguaiatamente.
Sento i muscoli di Carter irrigidirsi accanto a me e mi porto una mano sul mio ciondolo che ha iniziato a bruciare sulla mia pelle.
- Abbassati - mi ordina Carter quando quei sei tizi si fanno più vicini, tirandomi sul sedile e voltandomi verso di lui.
- Perc..
- Fallo e basta! - mi interrompe in un sibilo rabbioso e mi giro di scatto verso di lui. Pensavo sarei rimasta così ma lui mi avvolge un braccio attorno alle spalle e mi attira contro il suo petto. Sarebbe anche una bella posizione se non avessi il naso schiacciato contro di lui, ma nonostante tutto non posso fare a meno di sentire che ha un buon profumo e se me lo permettesse, mi sistemerei anche accoccolandomi contro di lui e rimanendo così fino a che il viaggio non termina.
Sento che quei sei ragazzi ci stanno passando accanto e Carter poggia la fronte contro la mia nuca chiudendo gli occhi, senza allentare la presa sulle mie spalle.
Non riesco a spiegarmi per quale motivo quel fastidioso organo al centro del mio petto sia impazzito e mi muovo un po' infastidita per la posizione contro Carter che mi lascia subito andare.
Lo guardo nella speranza di avere spiegazioni e lui scrolla le spalle, lo sguardo assottigliato e sono certa che stia ascoltando i rumori di quei sei che sono andati a sedersi negli ultimi posti, esattamente come sto facendo io.
- Quei tipi non mi piacciono. Se sono mostri sentono il nostro odore ma il non farci vedere è comunque un passo in avanti.
Annuisco e stringo i pugni chiedendomi se sarò in grado di sostenere un altro scontro. Ho preso nettare e ambrosia ma la schiena mi fa ancora male e la testa mi pulsa fastidiosamente, senza darmi tregua.
Le porte dell'autobus si chiudono con un tonfo e respiro forte prima di poggiare la testa al sedile e chiudere gli occhi quando il mezzo parte lentamente, immettendosi sulla statale.
Sono almeno le otto e mezzo del mattino e lo stomaco brontola costringendomi a metterci una mano sopra.
Sento Carter abbozzare una risata accanto a me e alzo gli occhi al cielo divertita lanciandogli un'occhiata di sottecchi. Noto che le persone dietro, davanti e accanto a me hanno cuscini e coperte e mi domando dove dormirò io. Probabilmente mi accontenterò della spalla di Carter anche se credo che mi colpirebbe con la sua spada prima che io possa inclinare la testa verso di lui.
Oggi, alla stazione mi ha salvato ma credo che l'abbia fatto solo perché una guerriera in più gli può soltanto essere utile, i sentimenti non c'entrano e non c'entreranno mai niente quando si tratta di me e lui.
Quei sei ragazzi continuano a fare rumore ma nessuno sembra accorgersene o almeno preoccuparsene abbastanza. Corrugo ancora la fronte e le palpebre si fanno leggermente pesanti. Sto per controllare con la testa contro il sedile, quando una frase mi fa drizzare in meno di qualche secondo:
- Piccoli deeeei - dice una voce gutturale accompagnata da un paio di schiamazzi e quelle che sembrano pacche sulla spalla, - venite a giocare?
Carter impreca un paio di volte e guarda la strada fuori di sé. Siamo fuori New York ormai su una statale costeggiata solo da zone di campagna che, a meno che non ti si bloccasse il pullman, non noteresti mai. Punto subito dopo i suoi occhi neri nei miei e si passa la mano sul bracciale.
- Vattene - mi dice e sbarro gli occhi per la cavolata del secolo.
Rido sarcastica ma mi interrompo davanti alla sua espressione fin troppo seria, - stai scherzando? - faccio con un sopracciglio alzato e lui sbuffa infastidio continuando ad accarezzarsi il bracciale.
- Vattene, ho detto. Vogliono te, non me quindi scendi da questo cavolo di pullman e vai a recuperare mia sorella - sibila rabbioso.
Alzo entrambe le sopracciglia e lo guardo come se fosse pazzo cosa che, tanto per essere chiari, non mi sembra poi cos lontana dalla realtà, - scordati che ti lascerò qui da solo contro quei cosi.
- Piccoli deeei - chiamano ancora ridendo, - venite voi o veniamo noi?
Carter mi guarda spazientito e nonostante lo stomaco mi faccia male per la tensione non ho intezione di lasciarlo a combattere da solo. Per quanto sia abile e stronzo, non lascerei mai nessuno da solo contro sei energumeni.
- Sto cercando di salvarti il culo, stupida! - sibila ancora e gli do un colpo sulla spalla.
- Io voglio salvare il tuo, idiota.
Sbuffa e alza gli occhi al cielo e gli tiro un altro colpo, - tieni le mani apposto - mi ordina e lo guardo con un sorriso di strafottenza che mi increspa le labbra.
- Altrimenti?
- Sei davvero una bambina.
- E tu un coglione ma nella vita bisogna sapersi accontentare.
Lui sbuffa ancora e si sporge verso di me, afferrandomi il bavero della felpa e tirandosi verso di sé, - ho detto: vattene - sussurra deciso scandendo le parole e fisso i miei occhi nei suoi, così vicini che mi ci potrei anche specchiare, se volessi.
Il mio respiro si lega al suo e chiedo cosa succederebbe se fossimo ancora più vicini e se ci sopportassimo un po' di più.
Lui mi guarda e dentro quelle pozze scure, mi ci perdo. Non riesco a decifrare i suoi occhi, non ci riesco e forse non voglio ma lui mi guarda come se mi vedesse per la prima volta e io mi bagno le labbra ignorando i crampi per la fame che sono stati sostuiti da qualcos'altro.
- Vai via, Ariel. Vai via e porta in salvo mia sorella.
- Ma.. - sbarro gli occhi quando uno di quegli energumeni ghigna, davanti a me. - Carter! - grido, tirandolo verso di me per la felpa.
Il fragore del sedile rotto mi inonda le orecchie e il cuore mi batte a mille quando osservo due di quelli energumeni davanti a noi, con un ghigno stampato sui visi deformi e il pugno di uno di loro piantato esattamente dov'ero io.
- Abbiamo deciso di venire noi a giocare - dice uno e si guarda con il compare. Ghignano ancora prima che possano flettere i muscoli già di per sé enormi. Le magliette che portano si strappano e mi porto una mano al ciondolo sistemandomi tra le gambe di Carter che, non so per quale motivo, ha un braccio attorno alla mia vita.
Quei cosi si ingradiscono fino a raggiungere con la nuca il tettuccio dell'autobus e se non fossi certa che siano mostri, direi che si sono pompati un po' troppo di steroidi.
- Lestrigoni - dice Carter e quello è abbastanza perché, accompagnata da una sua spinta, salti sul sedile davanti al mio, calandomi il berretto dell'invisibilità sulla fronte.
E dal quel momento in poi, è il caos.
I passeggeri urlano, Carter ruggisce e quegli affari si limitano a ghignare e a schernirci.
Scavalco un paio di sedili andando verso l'autista che cerca di capire che diavolo stia succedendo senza fermarsi e limitandosi a una visuale parziale dallo specchietto retrovisore.
Cado addosso a una coppietta che aveva deciso di procreare figli su un autobus e la ragazza castana grida quando le cado addosso, - mi dispiace! - urlo in riposta uscendo lateralmente e correndo lungo il corridoio.
Non so bene che cosa voglio fare ma Carter è da solo nei posti centrali e in qualche modo lo devo aiutare.
Mi guardo attorno spaesata quando vedo il freno a mano enorme nella cabina dell'autista. Mi ci lancio sopra senza pensarci un secondo di più e lo tiro con forza contendendomelo con il conducente che grida.
- Che diavolo stai facendo? - mi urla Carter e sento distintamente il suono di una spada che trafigge qualcosa.
- Fuori uno - dico con un mezzo sorriso tra le grida dei passeggeri che spero davvero perdano la voce.
Le gomme stridono sull'asfalto e ringhio tirando il freno a mano verso di me, contrastando la forza dell'autista che non controlla il volante.
- Tieniti! - esclamo cercando di sovrastrare le voci dei passeggeri e sperando che Carter mi capisca al volo.
L'autobus inchioda con forza e mi reggo al freno a mano quando veniamo sbalzati in avanti.
- Due! - esclama Carter dopo che sento un magnifico rumore di mostro polverizzato.
Sorrido d'istinto.
L'autista impreca e prende il volante, stringendo inconsapevolmente la mia mano quando solleva il freno, schiacciandomela. Preme il piede sull'acceleratore con forza.
Il cappellino mi vola via e grido perdendo la presa sul freno a mano e sbattendo la schiena a terra. Il respiro mi manca per qualche secondo e sbatto le palpebre per un secondo cercando di recuperare lucidità ma mi alzo di scatto quando sento un gemito e vedo Carter piegato in due, ignorando la testa che mi gira e le ginocchia che mi fanno ancora male.
- Ehi! - grido agitando le braccia con un sorriso di scherno, - come va? - e quello è abbastanza perchè i cinque lestrigoni rimasti perdano la concentrazione.
Carter ne infilaza velocemente due e uno dei tre rimasti, quello che porta un tatuaggio che dice:"Joe ama Pasticcino" ringhia.
Stringo il ciondolo e onda si allunga sulla mia mano in pochi istanti.
- Giù - esclamo quando scaglio la spada contro i lestrigoni beccandone uno in piena fronte che guarda confuso l'elsa che spunta dal cranio prima di diventare polvere.
- Morirai - ruggisce il lestrigone con il tatuaggio venendo verso di me e gli sorrido.
- Non è nei miei piani.
E gli corro incontro.
Quello mi guarda come se fossi la prima degli idioti e ignoro altre urla da parte dell'autista e dei passeggeri che chissà che cosa stanno vedendo adesso.
Scivolo sotto le gambe del mostro e afferro la mia spada rialzandomi di scatto e infilandolo sulla schiena, guardandolo diventare polvere in pochi secondi.
Mi volto di scatto notando una nuvola di polvere davanti a Carter che abbozza un sorriso.
- Bel lavoro, bambina. - Lo guardo confusa.
- Non chiamarmi così - dico con un mezzo sorriso.
Carter mi guarda con un cipiglio divertito sul volto e distolgo lo sguardo dal panino per puntarlo verso di lui: - Che c'è? - domando.
- Come fa a starci tutta quella roba dentro di te? - chiede, alludendo al panino con hamburger che ho tra le mani, le patatine, le crocchette di pollo e la coca-cola sul vassoio marrone del McDonald.
- Mi mancava il cibo spazzatura - e chiudo gli occhi quando do un morso al pane e alla carna secca ma che comunque, al mio palato risultano anche fin troppo buoni.
Carter mi guarda per un po' prima di scuotere la testa e bere dalla sua coca-cola.
- Come mai così loquace? - domando poggiando il panino sul piatto e bevendo un po' della mia coca-cola.
Lui inclina la testa di lato e si rabbuia per un po' facendomi pentire di avergli posto quella domanda. - Ci siamo salvati la vita a vicenda, bambina. Io direi di stipulare una tregua - allunga una mano verso di me sopra al tavolo e la fisso divertita prima di pulirmi un po' le mie tra loro, - che ne pensi? - mi domanda e annuisco un paio di volte stringendogliela.
La sua mano è calda contro la mia incredibilmente fredda e rimaniamo così per un po', fissandoci negli occhi.
Qualcuno dentro il fast-food grida e mi volto di scatto verso le vetrate rendendomi conto che quelle urla precedevano un'esplosione.
- Giù! - fa Carter e con le mani ancora unite mi tira dietro al tavolo accovacciandosi su di me quando i vetro si infrangono e le persone gridano ancora di più.
- E chi diavolo è adesso? - sbuffo irritata sistemandomi la felpa appena Carter mi lascia libera di muovermi.
Farò indigestione di ambrosia, lo so.
Nessuno dei due commenta quello che è appena successo e quando guardiamo fuori dalle vetrate, è unanime la decisione di far scattare le spade.
- Piccoli dei - dice la donna affabile e cerco di ignorare i gemiti e i pianti di adulti e bambini che sono stati colpiti dalle scheggie di vetro.
Assottiglio lo sguardo osservando furente, finché posso la donna che in origine doveva essere bellissima ma che adesso, porta un turbante scuro sul viso con un velo extra sugli occhi.
Stringo l'impugnatura di onda e sento distintamente i muscoli del braccio di Carter irrigidirsi contro i miei.
- Ci facciamo una foto assieme? - domanda il mostro e poi ride procurarmi dei brividi fastidiosi lungo la spina dorsale.
- Benissimo - fa Carter senza staccare gli occhi dalla donna fuori dal locale, - qualche idea su come uccidere Medusa?
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