Carter si fa una Porsche

Usciamo dal camion che è ormai mattina presto, forse sono le sei e il mio stomaco brontola per la fame ma non c'è tempo per mangiare, non adesso.

Corriamo verso l'autostrada e scivolo un paio di volte sulla neve, imprecando ogni volta che rischio di fare frontali con il suolo.

- Come facciamo ad arrivare al Gran Canyon? - domando guardando l'autostrada deserta e fredda.

Carter apre la bocca per rispondermi ma il rombo potente di un motore lo interrompe, facendolo sorridere a labbra chiuse. - Dolce suono di una Porsche - si fa serio il secondo dopo, - andiamo con quella macchina. - Esordisce poi indicando la strada dietro di sé e alludendo al rombo del motore che si sta facendo sempre più vicino.

Alzo le sopracciglia e mi metto le mani sui fianchi, - e come vuoi prendere una Porsche?

Lui mi guarda con l'aria un po' colpevole e indietreggio per il panico.

- Sicura di volerlo sapere?

- Penso di no.

- Sappi che sei l'essere più spregevole del pianeta - sibilo mentre cammino verso il centro della corsia sperando che la Porsche che sta per arrivare non mi metta sotto come un cazzo di cane.

Se muoio in questa maniera così squallida perseguiterò Carter da fantasma.

Un invisibile Carter sghignazza, - come pensi di fermare un uomo in autostrada se non così? - domanda retorico, alludendo al golfo che ho infilato per buona parte dentro il reggiseno, lasciando la pancia scoperta e che, se potesse, chiederebbe pietà per il freddo.

- Vai alle ortiche, idiota - ringhio e lo sento ridere prima di riportare lo sguardo sulla Porsche argentata che ha appena inchiodato difronte a me.

Sorrido e il trentenne al volante scende velocemente, guardandomi come si guarda una bistecca.

- Ehi, bellissima - ammicca nella mia direzione e trattengo una smorfia di disgusto per quella frase d'abbordaggio così banale.

- Ciao - sorrido maliziosa e faccio un passo verso di lui, - mi dai un passaggio? - allungo un braccio per toccarlo e gli poso la mano sul petto protetto da un giaccone scuro.

- Ovvio - mi attira a sé per i gomiti e mi sembra di sentire Carter ringhiare ma non ci penso, quando incrocio i polsi dietro la sua testa. - Tutta mia - ghigna poi, aprendo i palmi delle mani sul mio sedere.

Avvicino il volto al suo e so che adesso dovrei colpirlo con un pugno alla testa e metterlo K.O., con Carter abbiamo deciso così, ma non faccio in tempo ad alzare il braccio che gli occhi castani del tipo si girano e lui cade a terra con un tonfo, sbattendo la schiena sull'asfalto.

Mi tiro giù il golfo prima di portare le mani sui fianchi, guardando davanti a me con rimprovero, dove spero ci sia Carter.

Lui torna visibile stringendo nel pugno destro il cappellino degli Yankees e mi guarda con freddezza, - stava allungando troppo le mani. - Si limita a dire prima di lanciare la mia e la sua sacca nei sedili posteriori e infilarsi in quello del pilota.

Rido, facendo il giro e sedendomi sul sedile in pelle nero della Porsche, attaccando le mani congelate al bocchettone dell'aria condizionata. Guardo Carter con la coda dell'occhio, - qui qualcuno è geloso? - insinuo divertita e l'espressione da orgasmo che aveva sul volto scompare, un secondo prima che i suoi occhi scuri si fermino su di me, inchiodandomi sul posto anche se, a dirla tutta, non ho granché intenzione di uscire dal torpore dell'auto.

- Quello era un idiota e non solo geloso, novellina.

Roteo gli occhi al cielo. Ho capito che mi chiama così solo quando è nervoso o arrabbiato e mi chiedo che cosa sia adesso, ma forse questo ragazzo ha seri problemi col ciclo e il lunaticismo.

- E adesso fammi godere questi istanti di piacere dentro una Porsche.

Lo guardo come se fosse scemo, mentre tamburella con le dita sul volante, osserva il quadrante illuminato, il cambio automatico e le rifiniture elaborate dei sedili. Mi sbatto il palmo della mano sulla fronte, scuotendo la testa, e Carter parte a razzo facendo slittare le gomme della macchina sull'asfalto ghiacciato.

La mia nuca cozza contro lo schienale del sedile e gemo, prima di vedere il sorriso di Carter.

Sorrido anche io, rendendomi conto che tutto il resto passa in secondo piano e stringo convulsamente il mio ciondolo, rendendomi conto di cosa ho appena pensato.

Cazzo.

C'è silenzio anche se Carter sta guidando per il Colorado da qualche ora, interrotto solo dalla radio che sta passando l'ultima hit del momento.

- Perché Ade mi odia? - domando di punto in bianco, chiedendomi subito dopo perché mai l'ho fatto. Forse, questo dubbio mi sta rimbalzando nella mente da troppo tempo perché possa fare finta di nulla e ho bisogno di teorie, idee, qualcosa che non siano i miei pensieri che mi stanno facendo penare già da un po'.

Carter non risponde subito, sbuffa, tamburella con le dita sul volante e canticchia la canzone che stanno passando prima di parlarmi. - Ade è un tipo strano - lancia un'occhiata alla strada e i muscoli delle spalle si rilassano leggermente, - forse ce l'ha ancora con mister "mi metto contro tutti perché sono figo" e si vuole vendicare su di te.

Lo guardo con rimprovero e lui abbozza un sorriso. - Percy - lo correggo e la mano di Carter si muove sul volante come se stesse cacciando via una mosca.

- È uguale - borbotta e alzo gli occhi al cielo.

Probabilmente ha il ciclo e va sicuramente capito.

- In ogni caso, parlerò con Percy quando torneremo al Campo - dico dopo qualche secondo di silenzo, guardando il profilo di Carter, - ho incontrato più mostri e dei che volevano vendicarsi su di lui che altro! - protesto e Carter ride, strappandomi un sorriso.

- Se vuoi ti do una mano - propone e spalanco gli occhi, scuotendo la testa con vigore.

- Possiamo anche farne a meno, credimi.

Dopo un po', cala nuovamente il silenzio e canticchio le canzoni che passano alla radio, cercando qualcosa da dire.

Non mi piacciono i silenzi, men che meno quelli con Carter.

- Carter! - trillo poi e lui sussulta per lo spavento, sbandando con la macchina e facendomi sbattere allo sportello quando torna bruscamente in carreggiata.

- Non lo fare mai più! - esclama e io rido, alzando le mani al petto in segno di difesa.

- Sei davvero così bravo come dicono? - domando, rendendomi conto che è l'iperattività che parla per conto mio. Lui alza un sopracciglio scuro e mi affretto a spiegare con un mezzo sorriso sul volto. - Voglio dire, tutta la casa femminile di Afrodite decanta le tue lodi - corrugo la fronte e poi torno a guardare nuovamente il suo profilo e le labbra stese in un leggero sorriso, mentre tiene lo sguardo fisso sulla strada ancora deserta, - quante tacche hai sul letto?

Lui mi guarda velocemente prima di riportare l'attenzione davanti a sé con un sorriso malandrino sul volto. - Letto? Vorrai dire canoa, albero, parete dell'arrampicata, stalle..

Faccio una smofia e gemo, facendolo ridere, - complimenti, davvero romantico. Dico sul serio - borbotto con un mezzo sorriso mentre lui continua a ridere.

- E tu, invece? Quante tacche hai sul letto? - mi lancia di tanto in tanto occhiate e solo dopo qualche secondo mi accorgo di essermi irrigidita.

Troppe, credimi.

Gli tiro un colpo alla spalla e lui protesta divertito, facendomi ridere. - Non si fanno queste domande a una ragazza, sappilo - lo rimprovero con un sorriso e lui alza le sopracciglia, guardandomi stranito. - Be', che c'è? - chiedo, - sono una ragazza, in caso non te ne fossi accorto.

Batte le mani, - e io che pensavo fossi un trans.

Rido e gli tiro un altro colpo alla spalla, facendolo gemere, - davvero molto divertente.

- Sono il ragazzo più simpatico del campo.

Alzo un sopracciglio, guardandolo, - ed io la più carina.

Carter corruga la fronte e mi lancia sguardi di tanto in tanto mentre continua a guidare ad una velocità che avrebbe fatto perdere il parrucchino a mia zia Mary.

- Tu sei carina - mi dice poi, come se stesse parlando del tempo e corrugo la fronte anche io, guardandolo stranita, - perché tu sai di essere carina, vero? - mi domanda circospetto e porto lo sguardo sul finestrino perché nessuno mi ha mai detto una cosa del genere e io non credo a tutte queste stronzate.

Sono solo cazzate che gli uomini usano per addolcirti e portarti a letto, nessuno ci crede davvero e poi, parliamoci chiaro, io non sono carina per niente, anche se non mi sono mai lamentata. Voglio dire, nella vita ci si accontenta.

- Andiamo, Carter! - esclamo dando un colpo allo sportello e voltandomi di scatto verso di lui, - io non sono carina! Ho i capelli così lunghi perché non mi sono mai potuta permettere uno straccio di parrucchiere e ho talmente tante doppie punte che i ragazzi di Apollo potrebbero usarle come frecce! - Carter sorride ma rimane zitto, come se sapesse che, se anche solo dicesse "ma", io smetterei di parlare. - Non mi sono mai potuta permettere un eye-liner e dei jeans che non fossero di almeno di due taglie più grandi. Non sono carina, Carter, è inutile girarci attorno.

Incrocio le braccia sotto al seno e guardo la strada sotto di me perché, dopo confessioni del genere guardare gli occhi scuri di Carter mi metterebbe tremendamente a disagio.

- Ariel, sai quanto mi costa ammetterlo - esordisce Carter, - ma tu sei bella. - Spalanco gli occhi e solo in quel momento mi volto verso di lui. - Ci sono ragazze che passano anni e tremila confezioni di shampoo e balsamo prima di avere i capelli anche solo simili ai tuoi. Fidati, quando stai con le figlie di Afrodite te ne rendi conto - dice strappandomi un sorriso, - e hai gli occhi talmente particolari che io stesso ti impedirei di metterti.. - schiocca le dita un paio di volte, lanciandomi sguardi perché gli venga in aiuto.

- L'eye-liner?

- Esatto! Sei bella esattamente così come sei e ricordati di queste parole perchè sarà la prima e ultima volta che ti confesserò cose del genere, sappilo - dice in un tono che si avvicina molto alla minaccia, strappandomi una risata.

Mi sporgo verso di lui, lasciandogli un bacio sulla guancia e lui sussulta leggermente. - Sai essere umano, quando vuoi.

- Sono il migliore, lo so.

- Imbecille.

Credo di dormire per un po', con la testa scomodamente poggiata contro il finestrino freddo, e ringrazio il silenzio che c'è nell'abitacolo della macchina perché posso pensare un po', lasciare che il mio cervello vaghi senza meta e che i dubbi tornino a farsi sentire con forza.

Ho tante, troppe domande che hanno bisogno di una risposta ed è snervante non sapere così tante cose, almeno per me.

Vorrei sapere perché sono stata riconosciuta solo a sedici anni, perché Poseidone mi ha lasciato con mia zia. Perché mi ha lasciato e basta, perché non si è mai preso cura di me e perché Ade mi odia.

Nel sud troveranno risposte.

Sospiro mentre il verso della profezia mi rieccheggia nella mente per un paio di secondi.

Spero almeno che le riceva, queste cavolo di risposte.

***

Siamo in Kansas quando la fedele Porsche decide di abbandonarci.

Carter riesce a far procedere l'auto a singhiozzo per un altro paio di metri, ma poi ci fermiamo del tutto e il motore si spegne.

- Grandioso - borbotto scendendo dalla macchina e permettendo al freddo di filtrare sotto il golfo mentre stiro le braccia verso l'alto. - Come diavolo arriviamo in Arizona? - domando quando anche Carter scende, guardando la desolazione di case che sembrano esser costruite qui per sbaglio.

- Probabilmente ci sono stazioni di servizio - ipotizza passandosi una mano tra i capelli scuri e mi porto le mani sui fianchi guardandomi attorno.

- Seguiamo il sentiero dorato, Dorothy?

L'ipotetico sentiero dorato, che in realtà e una strada non battuta che ci sporca i jeans e le scarpe, ci porta a un Centro Informazioni e al cowboy mancato e ciccione che ci lavora dietro e che sembra la persona più svogliata del mese.

La camicia a quadri logora gli sta per esplodere sulla pancia, la barba è incolta e forse, nella sua testa, con quel cappello da cowboy sembra anche figo.

- Che volete? - domanda e Carter si passa una mano sul bracciale con una tranquillità che precede soltanto la furia.

Metto una mano sulla sua e guardo gli occhi spenti dell'uomo che ho davanti, sforzando un sorriso, - c'è una linea diretta da qui per l'Arizona? - domando e il tipo mi guarda strano, come se pensasse che abbia una paralisi facciale.

- Si - risponde dopo qualche secondo lanciando un'occhiata al vetro appannato per i nostri respiri. - Domani mattina e adesso vado in pausa pranzo - fa per infilarsi il cappotto ma la voce di Carter lo ferma prima che se ne possa andare. Si volta scocciato e gli stringo la mano.

- È troppo tempo. C'è una stazione di benzina? - domanda Carter e l'uomo grugnise infilandosi il cappotto che si era messo per metà.

- Si, a quattro miglia - e poi esce dalla porta dietro di lui facendo ringhiare Carter per la rabbia.

- Stronzo - mi limito a dire prima di infilare le mani nelle tasche della giacca, guardando la condensa che fuoriesce dalle mie labbra, - cerchiamo un McDonald?

Carter si sfrega le mani e mi guarda, - dopo aver incontrato il sosia mortale di Dionisio ci vuole.

Troviamo un fast food più fatiscente di quello di Detroit ma ci fiondiamo dentro, sorridendo per il caldo che non ci aspettavamo e che ci costringe a liberarci dei giubbotti.

Mangiamo quanto più possiamo e ho la mezza idea che mi toccherà rotolare fino al rifornitore.

Carter infila di nascosto un po' di patatine, hamburger e della coca-cola dentro la borsa e poi mi sorride malandrino prima di chiudersi il giaccone e uscire nel freddo del Kansas.

È ormai mezzora che camminiamo e ho le labbra screpolate per il freddo mentre la condensa si libera in volute dalla mia bocca.

- Sto per morire assiderata - dico affondando le mani nelle tasche nel tentativo di ripararmi dal freddo e Carter ride lanciandomi un'occhiata mentre superiamo l'ennesima casa di legno che, logicamente, è uguale alle altre cinquanta che abbiamo già sorpassato.

- Ti dimenticherai di tutto questo appena arriveremo in Arizona, fidati.

Lo guardo di sottecchi, alzando le sopracciglia. - Grandioso, ma adesso siamo qui e c'è un cavolo di freddo cane! - mi guardo attorno con una lieve sfumatura di terrore nello sguardo, - e poi siamo in Kansas, che cavolo! Mai sentito parlare di emergenza tornado? - strillo spingendo Carter a voltarsi verso di me.

Mi guarda come se fossi una bambina capricciosa, - ti hanno mai detto che un carciofo è più coraggioso di te?

- Va' alle ortiche.

Continuiamo a camminare in silenzio per un po', superiamo i binari di "The Katy", ed è questione di un'altra mezz'ora prima che possiamo arrivare alla stazione di benzina blu che sembra debba cadere in pezzi da un momento all'altro.

Acceleriamo il passo per arrivare alla pompa di benzina e Carter si batte una mano sulla fronte, lievemente seccato, - non abbiamo una tanica.

Guardo il negozio davanti a noi, - lì ne avranno una, no? - faccio spallucce prima di incamminarmi verso la porta che si apre con un cigolio quando la spingo leggermente. - Dei, ma è tutto fatiscente in questo posto?

- 'Sera - dice una voce un po' burbera e sposto lo sguardo verso sinistra, incontrando lo sguardo scuro di un uomo dietro alla cassa che non mi piace per nulla. Indossa una canottiera bianca e logora nonostante il freddo. La pancia straborda e sotto le ascelle ha un'acquapark niente male.

Mi sorride malizioso e trattengo una smorfia di disgusto perché, non solo è davvero brutto con solo due ciuffi di capelli che lo fanno somigliare a Homer Simpson, ma gli mancano anche un paio di denti.

- Ciao - dico guardandomi un'ultima volta intorno e avvicinandomi alla cassa, - avete delle taniche per la benzina? - domando senza appoggiare le mani al piano perché è talmente tanto sporco che se venisse un ispettore sanitario, morirebbe d'infarto.

- Quanto la vuoi grande? - chiede con il solito sorriso che probabilmente dovrebbe farmi cadere ai suoi piedi.

- La più grande che ha - rispondo tamburellando nervosa con un piede a terra perché voglio uscire da questo posto il prima possibile e mi sono già pentita di esserci entrata da sola.

Si inchina dietro la cassa e faccio un'altra smorfia notando la polvere sugli scaffali degli oli per la macchina e gli autoricambi.

La vetrina è talmente sporca che a malapena riesco a vedere le sagome all'esterno e quando l'uomo riemerge da dietro la cassa con una tanica grande dal tappo arancione, decido che voglio andarmene il prima possibile, ora più che mai.

- Cosa mi dai in cambio, dolcezza? - mi domanda e rabbrividisco, stringendo i pugni dentro le tasche.

Sollevo le sopracciglia e scandisco le parole dato che credo che la materia grigia di questo tipo sia stata mangiata dalle tarme, - soldi. In cambio le do soldi.

Lui ride come se sapesse più del dovuto e indietreggio d'istinto quando fa il giro della cassa per venirmi davanti. La sua mole quasi mi sovrasta e nella mia mente, mi vedo dargli una ginocchiata allo stomaco per poi prendere la tanica e fuggire il prima possibile.

Voglio andarmene di qui.

- Una così bella ragazza vuole davvero darmi solo soldi? - ride e tossisce pochi attimi dopo. Probabilmente le sigarette sono le donne della sua vita e non nascondo una smorfia quando l'alito cattivo mi arriva in pieno viso.

- Assolutamente si. Quanto le devo? - chiedo ancora guardandolo e osservando con la coda dell'occhio una mensola in legno che sta per crollare.

Mi prende per i fianchi prima che possa realmente rendermene conto e grido, più per la sorpresa che per lo spavento, allontanando il viso dal suo e cercando di resistere al fetore che emana.

- I rapporti con sua moglie non vanno bene? - domando e lui apre la bocca per rispodermi, facendomi male per quanto mi stringe. Afferro la tanica sulla cassa affianco a me e gliela sbatto in testa con sforza. È di plastica e so che non gli posso aver fatto abbastanza male ma questo è abbastanza per destabilizzarlo e quando la sua presa si allenta, sguscio via, scrocchiandomi i polsi e lasciando cadere la tanica a terra.

- Non fare la cattiva bambina - mi intima allargando le braccia. Mi viene incontro lentamente e io sorrido perché, contro un individuo del genere, so di aver già vinto.

Si lancia su di me più velocemente di quanto pensassi ma mi abbasso, scartando di lato e andando a farlo sbattere con forza contro la vetrinetta degli autoricambi. Già instabile, quella barcolla e cade a terra con un rumore di vetri infranti e attrezzi che si spargono sul pavimento.

- Mi stai facendo arrabbiare - dice scuotendo la testa come un cane e voltandosi verso di me.

La porta è dietro la sua schiena e io devo uscire di lì, in un modo o nell'altro.

- Anche tu.

E quando corre nuovamente verso di me, rompo la vetrina che ho alle spalle con una gomitata e stacco la mensola in legno, graffiandomi un po' la mano col vetro ma, adesso, è l'ultimo dei miei problemi.

Lo colpisco allo stomaco senza pensarci e quando lui si piega in due, gli spacco il legno sulla testa, facendolo cadere a terra con un tonfo e un gemito di dolore.

Lascio cadere i pezzi della mia arma improvvisata ai suoi piedi e mi passo una mano tra i capelli prendendo fiato.

- Ariel! - la voce di Carter mi fa sussultare e mi volto verso di lui che sta guardando quello che è successo con un po' di apprensione negli occhi scuri. Sposta l'attenzione su di me e fa un passo avanti, allargando le braccia, - sarei dovuto venire con te, mi dispiace, principessa - mormora e mi ritrovo contro il suo petto prima che possa realizzarlo davvero.

Mi piace, comunque.

Mi lascio stringere e chiudo i pugni sulla sua schiena, respirando il suo profumo e cullandomi con i movimenti leggeri del petto.

- Sei stata grande, tra parentesi - dice un secondo prima che ci possiamo staccare e gli sorrido, inchinandomi per prendere la tanica lì vicino.

- Ehi, riesco a sopportarti tutti i giorni. Un deficiente che mi vuole violentare non è nulla in confronto.

Dopo aver riempito la tanica fino all'orlo, torniamo verso la Porsche e il freddo pungente mi costringe a seppellire le mani nelle tasche della giacca. Nascondo il naso sotto al bavero del cappotto mentre il sole scompare lentamente dietro le nuvole lasciando spazio a un cielo bluastro che ci impedisce la visuale completa.

Io e Carter non parliamo molto durante il viaggio ma va bene così perché ogni tanto canticchio e, anche se raramente, lui mi segue e questo mi fa sorridere.

Cammino dietro Carter quando superiamo " The Katy" ma cado in avanti riuscendo a mettere le mani a terra prima di fare un frontale con la strada.

- Ma che.. - mi volto, solo per vedere il mio piede incastrato tra i binari.

Carter mi guarda e lo fulmino, assottigliando le palpebre, puntandogli un dito contro. - Non ti azzardare. Non ci provare neanche - sibilo, ma è questione di secondi prima che lui faccia cadere la tanica a terra per piegarsi in due e ridere come un deficiente. La sua risata è l'unica cosa che spezza il silenzio della notte e nonostante la situazione e nonostante le ginocchia che mi fanno male per come sono caduta, mi scappa un sorriso.

- Davvero maturo, dico sul serio - borbotto spazzolandomi i jeans appena sono in piedi, - mi aiuti, prima che ti spacchi il naso?

Lui viene verso di me, ma ride ancora, anche quando prova a tirarmi la gamba per liberarmi il piede. Smette solo quando grido di dolore.

Provo a muovere il piede e impreco a gran voce,facendolo ridere ancora.

- Ma che cavolo! - urlo, - sono sopravvissuta a una megera impazzita, a dei mercenari che avevano deciso di fare Wrestling, a dei giganti alti il doppio di Tyson, a una pazza che trasforma la gente in pietra, due tigri a prova di dio e una malata terminale che aveva una cavolo di Chimera come animale domestico - mi guardo il piede furiosa, - e mi ferma un piede dentro dei binari, in Kansas? Oooooh ma andate tutti al Tartaro, bastardi! - grido in protesta e Carter ride di nuovo prima di guardarsi attorno.

- Provo a cercare un bastone, magari così riusciamo a liberarti il piede - propone e annuisco un paio di volte, incrociando le braccia sotto al seno.

- Tanto da qui non mi muovo - brontolo e lui ride dandomi le spalle e allontanandosi di poco per cercare la fonte della mia salvezza.

Non fa molti passi prima che i binari comincini a tremare e il cuore mi sale in gola. Lo stomaco si contorce in una morsa e ho la gola talmente tanto secca che ci vogliono un paio di secondi prima che riesca a dire, - Carter, sta arrivando il treno.

Lui corre verso di me, incespicando sul terreno freddo e rischiando di cadere un paio di volte.

Le scosse dei binari mi percuotono tutto il corpo e la gamba continua a farmi male a furia di tentare di toglierla.

La luce del treno e il rumore del motore si stanno facendo sempre più vicino e trattengo le lacrime per l'ennesima volta, rendendomi conto che non c'è niente da fare.

Carter mi slaccia la scarpa con le dita congelate che non rispondono subito ai suoi comandi ma lo fermo, strizzando gli occhi per la luce dei fari che è sempre più vicina e per il rombo del motore che mi sta quasi assordando.

- È inutile - riesco a dire e ho la gola e la bocca talmente tanto secche che mi sembra di aver ingoiato sabbia. - Lascia stare, ok? Vai tu da Allison e dille che ci ho provato, va bene? - solo adesso mi permetto di lasciar scivolar le lacrime sulle mie guance e mi chiedo se sia così che ci si sente prima di morire.

Non mi sta passando tutta la mia vita davanti e il cuore non mi batte più forte forse perché va bene così. Perché sapevo che prima o poi sarebbe successo e va bene perché ora non devo più scappare, ma smetto soltando di soffrire.

E va bene, smettere di soffrire perché, solo adesso, mi sto rendendo conto di non esser mai stata forte abbastanza per sopportare tutto questo.

Va bene così perché a parte il sibilo del treno sui binari e la luce dei fari, non sento nient'altro e a me va bene così. Lo accetto perché adesso raggiungo mamma e piango, accorgendomi solo ora di quanto mi sia realmente mancata.

Mi sto arrendendo, lo so. Ma io sto finalmente bene. Va bene arrendersi dopo che sei stata tutta la vita a lottare. Va bene, mi sta bene. Son stanca di fare la guerriera. Sono davvero stanca.

La luce del treno mi acceca ma riesco a vederne comunque i contorni prima di sentire un grido. Mi sembra quasi di volare prima di sbattere il fianco alla terra dura e ghiacciata mentre due braccia forti mi stringono.

- Va tutto bene - mormora Carter e mi concentro sulla sua voce prima di aprire gli occhi e trovare il suo volto un po' spigoloso a pochissimi centimetri dal mio. - Va tutto bene, sei con me adesso - dice asciugandomi le lacrime mentre il treno passa dietro di noi a una velocità che ci scuote i cappotti. Si inumidisce le labbra e mi accorgo che stiamo entrambi ansimando per lo spavento. - Va tutto bene, principessa. Sei con me, adesso - e mi tira a sedere, avvolgendomi tra le sue braccia e permettendomi di piangere contro al suo petto mentre mi culla come nessuno ormai faceva da tempo.

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