8. Esposto
Mi agitai sotto il suo sguardo, a disagio.
«Gli hai parlato di me?» domandai, titubante.
Lei si strinse nelle spalle. «Qui non si sono visti. Ma l'aitante straniero che aiuta la vecchia Elvira è sulla bocca di tutti.»
«Capisco.»
Lasciai aleggiare il silenzio.
«Ascolta, Mainard. Io non ti ho mai fatto domande: arrivati alla mia età, si capisce come tutti gli uomini abbiano un lato di sé di cui non vogliono parlare. La vita è come un fiume: lungo il percorso, si raccolgono polvere e sporcizia, che ne intorbidano l'acqua.»
La fissai, colpito dalla profondità delle sue parole.
Sfruttavamo i balzi spazio-temporali per far trascorrere rapidamente il tempo, nei pianeti soggetti a coltura. Qui, però, qualcosa era andato storto, e la conseguenza imprevista era stata una specie intelligente.
Cosa avrebbero dato gli scienziati, per poter studiare l'evoluzione di questi esseri?
Eppure ero certo che, nel momento in cui l'Accademia avesse scoperto cosa fosse accaduto, avrebbe preso provvedimenti drastici.
Il Regolamento ci vincolava a rispettare la vita autoctona, nei pianeti in cui essa era già presente. Ma questo popolo non era altro che un "errore di sistema".
I batteri avrebbero avuto la precedenza.
I microrganismi sono denaro, il denaro è potere, gli interessi prevalgono sempre su tutto.
Elvira e i suoi simili sarebbero stati sventrati, per raccogliere il prezioso contenuto dei loro apparati digerenti.
«Non ti chiederò di spiegarmi in che situazione ti sei cacciato.» proseguì la mia ospite. «Ma non posso aiutarti, se non ti apri con me.»
«Non potresti in ogni caso.» replicai, scuotendo la testa.
Per tutta risposta, l'anziana rise. Un suono aspro, sprezzante. «Spesso ci sembra che le cose stiano così. Ad ogni modo, non aspettarti che io ti implori di vuotare il sacco. Non accadrà.»
Si alzò, recuperò le tazze della colazione e andò al lavello.
Il rumore dell'acqua che scorreva fu l'unico suono finché non ebbe finito di lavare le stoviglie.
«Vorrei che tu raccogliessi il fieno, oggi.» dispose infine, come se niente fosse successo. «Sta rannuvolando, non vorrei che si bagnasse.»
«Io non appartengo a questo mondo.» cacciai fuori, in un soffio.
«Avevo capito che sei un cittadino.»
«Intendo che vengo da un altro pianeta.»
Per alcuni respiri, il suo volto rimase inespressivo. Poi la bocca si incurvò di disgusto represso, il sopracciglio destro che tremava.
«Non mi prendere per i fondelli, Mainard. Ti ho raccolto dalla strada senza farti domande: credo di meritare il tuo rispetto, e lo pretendo.»
Mi resi conto d'averla offesa. La raggiunsi all'esterno, sul portico profumato di fiori selvatici. «Non sto scherzando!»
Lei fremette, le narici ingrossate dall'emozione. «Pensi di poterti prendere gioco di me, solo perché sono vecchia? Che sia una credulona, solo perché sono una campagnola?»
«No, affatto!»
«Silenzio.» mi interruppe, con voce imperiosa. «Vattene. Ora! Non tollererò oltre questo circo.»
Logico che non mi credesse.
Mi mossi, ma non per obbedirle. Con un gesto teatrale, spensi la mimetica ottica, mostrandomi per la prima volta con il mio vero aspetto.
Lei arretrò, spaventata. Spalancò la bocca, quindi la coprì con entrambe le mani, come per impedirle di emettere alcun suono.
La osservai percorrere il mio corpo con gli occhi. Come doveva apparirle strano!
Del resto, a me il suo appariva così banale e inadatto alla sopravvivenza: mi ero chiesto spesso come la sua razza avesse mai potuto raggiungere il vertice del suo ecosistema.
Possedeva soltanto cinque dita ai piedi, e nessuno sperone velenoso. Due soli arti superiori al posto dei miei quattro. Le nostre mani, però, si assomigliavano. Aveva membra glabre, non coperte da squame protettive. Il viso era piatto, la bocca non sporgeva, e gli occhi, seppur simili ai miei, erano ampi la metà. Ma soprattutto, non aveva la coda!
Avrei preferito rinunciare a un arto, piuttosto che alla mia coda.
Attesi pazientemente che metabolizzasse la cosa.
«Allora... è vero.» sospirò infine. Era a corto di fiato come se avesse corso una maratona.
«Te l'ho detto.»
«Perché sei qui?»
Mi strinsi nelle spalle. «Una...» esitai. Spiegarle cosa fosse una IA era troppo complesso. «Una ragazzina capricciosa mi ha spedito quaggiù perché l'ho fatta arrabbiare. Continua a fare l'offesa e mi impedisce di tornare indietro.»
Ridacchiò. «A quanto pare, tutto il mondo è paese.» Si avvicinò, sfiorandomi la guancia con la mano tremante. «Sembra impossibile...» mormorò.
Sorrisi, cercando di non scoprire le zanne. «Guarda gli occhi: quelli non dovrebbero essere molto diversi. Sono sempre io. Sono la persona che ha lavorato per te, che ti ha tenuto compagnia. Ho celato il mio aspetto, ma non ti ho mai mentito su niente altro.»
Elvira espirò, ora più rilassata.
Poi, come consapevoli della presenza di qualcun altro, ci voltammo di colpo verso la fattoria dei Grinweld. Il vicino ci indicava. Due uomini vestiti di nero guardavano verso di noi, uno dei due puntando un binocolo.
Forse, togliere la mimetica ottica fuori casa non era stata una grande idea.
Chi aveva capito che il protagonista era un alieno e non un umano, e il mondo alieno era in realtà il nostro di qualche decennio fa, alzi una mano! :)
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