Capitolo 2
OLIVER
Lavorare all'aria aperta in piena estate era una delle cose che più detestavo. Non capivo come mai proprio io ero stato così sfortunato da nascere povero e lavorare per una delle famiglie più ricche del quartiere. I ragazzi della mia età che vivevano nei paraggi trascorrevano le vacanze in spiaggia, in piscina, fuori città o addirittura all'estero, andavano alle feste più stravaganti...insomma erano sempre fuori a divertirsi con gli amici, mentre io lavoravo dieci ore al giorno per guadagnare meno di quello che spendevano loro in una sola serata.
Ero grato al signor Tallish per aver dato a me e a mia madre l'opportunità di vivere alla villa e lavorare per loro. Soprattutto dopo il litigio che aveva spezzato per sempre il legame tra mio nonno e il rinomato cardiochirurgo Richard Tallish, nonno paterno di Eleonore. I due erano diventati amici al liceo pubblico del quartiere residenziale di Greenwich Village e avevano un sogno in comune, diventare chirurgi e salvare vite. Avevano passato le vacanze estive a lavorare dall'alba al tramonto, risparmiando fino all'ultimo centesimo per poter permettersi l'iscrizione all'università dei loro sogni, niente di meno che Harvard, Massachusetts. L'ultimo anno di liceo mio nonno si innamorò di una giovane turista spagnola, Lola, che lo portò a compiere decisioni di vita totalmente diverse. L'ultimo giorno di scuola, appena dopo la cerimonia dei diplomi, saltò sul primo volo diretto a Madrid, rinunciando per amore a una ipotetica futura carriera lavorativa. Storia davvero commovente e romantica, se non fosse per un piccolo particolare. Qualche giorno dopo essere arrivato in una terra straniera di cui non conosceva neanche la lingua, mio nonno si ritrovò senza un soldo, né un tetto sopra la testa. Lola era scappata con un certo Juan, descritto come l'amore della sua vita, portandosi dietro i risparmi nel nonno.
Non avendo più nulla su cui fare affidamento era anche difficile per lui tornare negli Stati Uniti. Lavorò come lavapiatti, buttafuori, cameriere, concierge, ecc... tutto ciò che desiderava era riuscire a trionfare e non tornare in patria come perdente.
Dopo diversi anni incontrò mia nonna Adela, la quale morì dando alla luce mia madre, Adele unico prezioso ricordo della defunta moglie.
Fu per puro caso che trovò un articolo sul Times e riuscì a mettersi in contatto con il suo vecchio amico Richard, allora diventato il rinomato giovane cardio chirurgo che aveva salvato la vita di una giovane bambina cardiopatica quando ancora era uno specializzando.
Grazie alla sua tenacia aveva perseguito il suo, anzi il loro sogno, si era laureato in medicina con pieni voti, negli anni era riuscito a farsi un nome, si era sposato e divorziato e viveva da solo in una villa da poco ristrutturata appena fuori New York.
Non so dire se fosse per pietà nei confronti di un vecchio amico, per sopperire alla solitudine o per gonfiare il suo ego da benefattore e altruista, ma dopo un lungo scambio di lettere, arrivò all'improvviso un'ultima busta sigillata, proveniente dagli stati uniti, contente due biglietti di solo andata per New York. Padre e figlia iniziavano così una nuova vita al servizio del famoso dottor Richard Tallish. All'epoca, al nonno venne riservata un'ala della villa. Essendo il capo dei domestici, aveva la piena libertà di decisione su qualsiasi aspetto riguardante la casa e in assenza del proprietario, cosa assai frequente, ne assumeva quasi il ruolo a pieno titolo.
Con il tempo il signor Tallish si risposò quasi subito ed ebbe un figlio, Lewis, il quale seguì la carriera del padre intraprendendo l'arduo percorso di riuscire farsi strada nel campo della medicina uscendo dall'ombra possente del padre.
Quando Richard si ammalò e andò in pensione, la casa passò nelle mani del figlio che permise al nonno e mia madre di rimanere alla villa. Fu solo con l'arrivo di mio padre nella vita di mia madre e la mia nascita che qualcosa si ruppe. Il nonno ebbe una forte discussione con l'ormai anziano amico e se ne andò per sempre dalla villa, mentre la mia famiglia fu trasferita fuori dalle porte di casa, lontano da segreti e pettegolezzi, nella dependance.
Vedevo la mamma soffrire molto di questa decisione e per questo non sono mai riuscito ad ammettere quanto avere una casetta tutta nostra non mi dispiacesse. Soprattutto perché io e Eleonore potevamo facilmente nasconderci dentro e giocare per ore prima che sua madre ci trovasse.
Ellie, quanto mi era mancata in questi mesi! Non ci parliamo più come un tempo, da piccoli eravamo inseparabili! Crescendo però Emily Tallish ha cercato di tenermi a debita distanza dalla figlia, cominciando a invitare a casa tanti ragazzi, i suoi nuovi "migliori amici", per fare in modo che lei si potesse dimenticare di me. Per qualche strano motivo non le sono mai andato a genio. Eppure, come giardiniere diceva di non poter fare a ameno delle mie braccia agili e del mio occhio attento ai dettagli.
Tornando alla mia migliore e unica amica, con gli anni è cambiata drasticamente, sia nel modo di vestire, che nei modi di fare e di pensare. Ha cominciato a uscire di più la sera e rientrare dopo il coprifuoco (molte volte addirittura ubriaca), si vestiva sempre e solo con gli abiti più costosi che trovava e ogni volta che i suoi genitori erano via, organizzava feste a base di alcool che la lasciavano stordita per giorni.
Mi preoccupavo molto per lei, ma non sono mai riuscito a farle capire quanto le sue nuove amicizie la stessero cambiando, trascinandola in un mondo che non le apparteneva veramente e che aveva sempre criticato.
Mi ricordo di un giorno in particolare, dopo la scuola, quando ancora le faceva piacere venire a trovarmi e passare del tempo con me (anche se ormai capitava di rado per colpa del mio orario di lavoro pesante), nel quale discutemmo a lungo a causa del cattivo odore di fumo che emanava, non solo dai vestiti, ma perfino dalla pelle.
È dal giorno della litigata in piscina invece che non ci parliamo più. Per mesi ha cercato di riavvicinarsi a me, scusarsi per il suo comportamento e per le cose orribili che mi aveva detto, ma io non riuscivo neanche a guardarla in faccia.
Dopo quasi due anni decisi di provare a riavvicinarmi a lei. Cominciai a salutarla di nuovo, mantenendo sempre le distanze. Lei ricambiava con un sorriso che pareva sincero. Speravo di riuscire a riallacciare il rapporto perso, ma mi resi conto che purtroppo io non ero più abbastanza per lei, in confronto ai suoi nuovi amici ricchi. Lei si vergognava ancora se provavo a parlarle in loro presenza.
"Come posso io, un poveraccio che usa i vestiti smessi del padre la sera e una tuta da lavoro sempre sporca e maleodorante di giorno, confrontarmi con dei ragazzini viziati, ma altamente istruiti che possono permettersi di darle ciò che io non potrei mai neanche lavorando tutti i giorni della mia vita?!".
Essendo sola e dovendosi prendere cura di un figlio piccolo, mia madre decise di non mandarmi a scuola. Pensava lei a insegnarmi la lettura, la scrittura e un po' di matematica. Mi piaceva studiare e imparare cose nuove ogni giorno. Trascorrevo le mattine al lavoro con lei. Rifacevo i letti, aiutavo in cucina, piantavo i fiori in giardino, aiutavo a tagliare l'erba e ovviamente facevo i compiti.
Ma quando ormai si avvicinava l'ora del rientro da scuola di Eleonore, mi precipitavo davanti al grande cancello della villa per riceverla e poter giocare con lei.
Era la mia migliore amica, l'unica in realtà. Con lei parlavo di tutto e facevamo qualsiasi cosa insieme.
Ma quando lei cominciò le scuole superiori, anche la mia vita cambiò. Le mie giornate si riempirono di lavoro in giardino e le sue di studio e allenamenti con le cheerleaders. Finché poi arrivarono i primi ragazzi che entrarono e uscirono dalla villa e dalla vita di Ellie e io finì in ultimo piano.
Il rumore della Jeep mi distolse dai miei pensieri.
"Ellie è tornata!"
Avevo passato le ultime due ore a pensare al messaggio da lasciarle nel post-it, ma tutto ciò che mi veniva in mente era: "Ellie, mi sei mancata così tanto. Ti ho pensata spesso da quando sei partita. Non vedo l'ora di rivederti, anche solo da lontano, e di sapere che stai bene. Tuo Ollie".
Ma così avrebbe capito che non solo non riuscivo a dimenticarla come amica, ma che vederla ogni giorno alla villa e preoccuparmi per lei aveva fatto sì che il mio sentimento nei suoi confronti crescesse giorno dopo giorno.
Non potevo permettere che qualcuno scoprisse ciò che provavo per lei, soprattutto i suoi genitori.
"Oliver Martinez, sei proprio uno stupido. Dopo tutto il male che ti ha fatto, non sei ancora riuscito a dimenticarla!"
E così decisi di scriverle lo stesso messaggio che sceglievo per ogni rientro a casa da un viaggio, semplice e che non facesse trapelare niente di strano. Solo un gesto carino da parte di un vecchio amico e di tutto il personale della villa.
Dentro però morivo dalla voglia di poterla stringere nuovamente tra le mie braccia.
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