Capitolo 19

ELEONORE

Erano le otto ormai, Travis sarebbe arrivato a prendermi tra meno di mezz'ora e io non avevo ancora deciso cosa mettermi. Bella mi aveva suggerito di trovare qualcosa non troppo elegante, non troppo casual.

«Qualcosa che lo faccia rimanere senza fiato, ma senza essere provocante. Dopotutto ha detto che è una semplice uscita tra amici, no?».

Grazie Bella, ora sì che so cosa indossare!

L'ora e mezza passata al telefono con la mia migliore amica mi aveva reso eccessivamente nervosa per un non-appuntamento con un ragazzo e più di una volta ero stata tentata di chiamarlo e disdire la serata.

Mi guardai allo specchio e decisi di cominciare con una bella doccia, avrei pensato all'outfit più tardi. L'acqua calda che bagnava il mio corpo e la schiuma del sapone erano da sempre la combinazione perfetta contro l'ansia e l'agitazione e anche quella sera funzionò alla perfezione.

Indossai un soffice accappatoio in cotone comprato in Italia. Dalla fretta pre-partenza avevo dimenticato di controllare per bene la valigia e scoprii di aver dimenticato metà delle cose sulla mia lista solo una volta atterrata sul suolo italiano.

Optai per dei pantaloni cropped a vita alta di colore nero, da abbinare a una camicetta di raso rosa con delle paiettes e degli stivaletti neri con il tacco basso, semplici ma comodissimi. Ventinove minuti più tardi ero pronta. Mi ero truccata, arricciata i capelli e inviato una foto del look finale a Bella, che aveva risposto pochi secondi più tardi con un emoji a forma di cuore.

Scesi le scale con lo sguardo fisso sul cellulare e salutai i miei genitori mandandogli un bacio con la mano.

«Divertiti cara. Ma non fate troppo tardi, domani devi andare a scuola, non vogliamo finire di nuovo in punizione, vero?».

«Sì, a più tardi. Non aspettatemi svegli».

Mia madre non era proprio capace di augurarmi una buona serata e dimenticarsi del resto per una sola volta. Sospirai e mi diressi verso la porta d'ingresso per uscire.

Travis mi aveva mandato un messaggio, diceva di essere già partito e che sarebbe stato lì fuori ad aspettarmi entro pochi minuti. Mi avviai verso il grande cancello d'ingresso di Villa Tallish, quando a un tratto sentii dei passi dietro di me. Mi voltai di scatto, convinta fosse la mamma, che, come al solito, ci teneva a mettermi in imbarazzo di fronte a qualche ragazzo che veniva a casa.

«Ciao. Stai uscendo?»

Oliver. Di fronte a me, mentre aspettavo Travis, il ragazzo che qualche settimana prima aveva picchiato. Ottimo.

«Ehi – risposi visibilmente in imbarazzo – cosa ci fai qui? È sabato, normalmente non lavori oggi».

«Lo so. La mamma non si è sentita molto bene oggi e quindi ho aiutato io la signora Tallish con il solito rinfresco del sabato pomeriggio con le amiche. Sfortunatamente, oggi si è prolungato un po' più del previsto e sono rimasto in cucina a pulire finora. Tu invece che fai qui fuori tutta sola?».

Avevo provato a passare oltre, interessandomi della sua giornata. Ma quando voleva sapere qualcosa non si faceva scrupoli nel chiederlo più volte, fino a ricevere una risposta.

«Sto uscendo. Vado in centro a mangiare qualcosa, ma credo che tonerò a casa presto, niente di che».

Moriva dalla voglia di chiedermi con chi, si vedeva. Non lo fece e si offrì di aspettare lì fuori insieme a me. Gli sorrisi timidamente e cercai di dissuaderlo, ripetendo che non era necessario. Non volevo mentire a Oliver, ma sapevo che non l'avrebbe presa bene se gli avessi detto che sarei uscita con Travis. Da quando ne avevamo parlato l'ultima volta e ci eravamo chiariti, nessuno dei due aveva più tirato fuori l'argomento, un po' per paura di una sua reazione, un po' per la sua gelosia. Dopo qualche minuto, l'auto di Travis entrò dal vialetto e io pregai affinché il buio della sera mascherasse abbastanza il viso del conducente, affinché Oliver non lo riconoscesse. Invano avevo sperato, perché lui conosceva perfettamente quella berlina rossa.

«Oh...» Fu tutto quello che riuscì a dire.

«Ollie io...non te l'ho detto perché...»

«Perché avevi paura di una mia reazione esagerata? Eleonore, non è un mistero che io tutt'ora non mi fidi di quel ragazzo, ma non posso decidere chi tu possa o non possa frequentare. Spero solo che tu sappia ciò che stai facendo...e che tu non soffra».

Non sembrava affatto arrabbiato, ma la sua voce tremante e soffocata tradì quel suo sorriso amichevole forzatamente stampato sul volto. C'era rimasto visibilmente male, ma stava facendo un passo indietro. Apprezzai lo sforzo, anche se mi sentivo in colpa.

«È solo un'uscita tra amici, niente di che».

Travis suonò il clacson per attirare su di sé la mia attenzione e salutò Oliver con un cenno del capo e uno sguardo severo.

«Devo andare ora, divertitevi». Oliver si dileguò più veloce che mai, senza aspettare una mia risposta.

«Hey, è tutto a posto?»

«Sì, certamente».

«Non sembrava dai vostri sguardi, sei sicura?»

«Sì, non preoccuparti».

Travis mi scrutò dal momento in cui mi sedetti sul sedile del passeggero a quando finalmente riuscii a legare la cintura difettosa della sua auto. Mi sentivo visibilmente in imbarazzo, ma cercai di dissimulare le mie sensazioni con un timido sorriso.

La sua decappottabile emanava un forte profumo aromatico e intenso, di quelli persistenti e che durano a lungo sulla pelle.

«Non credo che il giardiniere la pensi allo stesso modo». Riprese lui volendo continuare da dove ci eravamo interrotti e riportandomi con la mente al presente.

«Il giardiniere si chiama Oliver ed è mio amico. Per favore, puoi smetterla di chiamarlo così?

«Ok, pesciolino - disse lui alzando le mani in segno di resa- comunque sei davvero carina questa sera». Accese la macchina e partì.

Non mi ero resa conto di come fosse vestito lui. Lanciai una furtiva occhiata al suo look. A giudicare dalla camicia bianca nascosta sotto la giacca di seta nera con pantaloni abbinati, quella di stasera non sarebbe stata una serata così casual come l'avevo immaginata io.

«Non preoccuparti – gli scappò una risata – non stiamo andando in uno di quei ristoranti di lusso sulla quinta strada. Ho dovuto indossare quest'abito per un'asta di beneficenza tenutasi nel pomeriggio dall'azienda di mio padre. Ho fatto tardi per questo motivo e sono venuto subito a prenderti senza passare a cambiarmi».

«Oh, potevi avvisarmi e rimandavamo la serata senza problemi».

«Scherzi? Non vedevo l'ora di andarmene da là dentro. Passare il mio tempo a fingere di essere interessato alla politica estera britannica o alle teorie complottiste sulla politica americana tra le pause al buffet non sono proprio la mia attività preferita».

«Ah sì? E qual è la sua attività preferita signor Miller? Nuotare, forse?»

«Quello è ciò che la gente pensa di me. Ciò che i miei genitori pensano di me. La verità è che in pochi sanno veramente quello che più di tutto mi appassiona realmente».

Ci fermammo al primo di una lunga serie di semafori e lo sguardo di Travis non si posò mai su di me. Pareva triste e pensieroso. Cosa intendeva dire? Si era forse obbligato a vivere una vita che non voleva, solo per soddisfare le aspettative altrui? Tutto ciò risuonava famigliare.

«Cosa è che ti appassiona veramente?»

«Prometti di... non ridere?» Non sapeva se fidarsi.

Appoggiai una mano sulla sua e l'altra sul cuore.

«Lo prometto».

«Da qualche anno ormai ho capito che la mia vera vocazione è l'insegnamento. Stare con i bambini mi riempie il cuore di gioia. La loro spensieratezza e ingenuità, la capacità di litigare e dimenticarsene in pochi minuti. Dovremmo tornare tutti un po' bambini, secondo me. Questo mondo apparerebbe ai nostri occhi come un posto meno malato. E so che normalmente un ragazzo dovrebbe essere attratto da altro, ma è qualcosa più forte di me».

Scattò la luce verde, Travis accelerò. Lo sguardo fisso davanti a sé.

«Qualche anno fa, dopo la scuola, mi occupavo di un bambino di sette anni. Si chiamava Adon, era il figlio dei nostri vicini. Un tipetto molto timido, non parlava mai. Aveva avuto un incidente stradale e da quel momento aveva smesso di parlare. Gli volevo talmente bene che mi deluse sapere che tutti i suoi amici lo avevano abbandonato. Così decisi di andarlo a trovare ogni volta che potevo, finiti gli allenamenti in piscina. Ascoltava meravigliato tutte le storie che inventavo per lui e anche se non emetteva alcun suono, sono sicuro che fosse felice di avere qualcuno con cui trascorrere il tempo. Il giorno in cui traslocammo dovetti comunicare ai genitori che non sarei più potuto passare a casa loro come prima e lo sentì pronunciare le sue prime parole dopo tanto tempo: "non te ne andare, per favore!" Mi spezzò il cuore. Fu in quel momento che mi resi conto di quanto bene avessi fatto a quel bambino. Mio padre aveva trovato lavoro presso una grande impresa di telecomunicazioni a Los Angeles. Era l'inizio di una rapida ascesa al successo lavorativo per il signor Miller, la cui carriera costrinse in seguito la famiglia a trasferirsi innumerevoli volte».

Mi resi conto di sapere ben poco del passato di Travis. Nonostante le ore passate insieme in detenzione, non mi aveva mai parlato della sua vita prima di Los Angeles. Raccontava sempre degli interminabili allenamenti in piscina, le faticose vittorie ottenute in giro per gli Stati Uniti. Le innumerevoli ragazze che gli giravano intorno, l'allontanamento di sua madre e la chiusura emotiva scaturita in seguito.

Stasera stavo scoprendo l'altro lato della medaglia, il Travis più umano ed empatico. E mi piaceva.

«Penso che non ci sia niente di cui vergognarsi nel voler prendersi cura dei più piccoli. Anzi è un lavoro onesto e con grande responsabilità. È della formazione degli uomini del domani che stiamo parlando. Tu aiuti i genitori a seminare le fondamenta del loro comportamento. Lo apprezzo molto».

«Mi fa piacere che la pensi così. Non sai cosa darei per convincere anche i miei genitori a cambiare idea. Ho litigato con loro troppe volte riguardo al mio promettente futuro nel mondo sportivo. L'unica alternativa? Andare a lavorare per mio padre».

«Se è una cosa che ti sta così a cuore, non dovresti demordere. Prima o poi capiranno. E...per quello che vale, io sono dalla tua parte».

Per la prima volta da quando aveva cominciato ad aprirsi con me, mi guardò sorpreso e abbozzò un sorriso carico di gratitudine.

Qualche minuto più tardi, l'auto entrò in una strada secondaria del Queens e si fermò davanti a un piccolo locale colmo di gente, sull'angolo di una vecchia palazzina smaltata. Non era esattamente il classico quartiere illuminato del centro e a giudicare dagli sguardi della gente in fila fuori dal ristorante, non si vedeva spesso un'auto come la nostra nei paraggi.

«Ma dove siamo? Sei sicuro che possiamo fidarci di questa gente?»

«Colpa mia, di solito non è questo il bolide che mi accompagna fino a qui. Tu fidati di me, andiamo». Salutò due ragazzi con un cenno del capo e uscì dall'auto.

Respirai profondamente, strinsi forte a me la borsa e raggiunsi Travis.

Senza farmi vedere digitai velocemente il numero di telefono della dependance. Qualsiasi cosa sarebbe potuta accadere quella sera, sapevo che Oliver sarebbe venuto immediatamente in mio aiuto.

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