Capitolo 17
ELEONORE
Qualche anno fa.
Non amavo per niente il giorno del mio compleanno. Essere nata il 31 ottobre era davvero demoralizzante, soprattutto per una ragazzina di dodici anni costretta a portare l'apparecchio. I bambini che mi vedevano per strada il giorno di Halloween rimanevano sbalorditi ogni volta che parlavo o ridevo, pensando che avessi interpretato benissimo la mia maschera per la festa. Per quelli che mi vedevano a scuola tutti i giorni invece era una continua presa in giro. A quanto pareva, nessuno in quella scuola a parte me aveva mai portato un apparecchio prima d'allora e, si sa, l'adolescenza non viene mai vissuta a pieno se non si è un bullo o una vittima.
Durante il mio primo anno alle scuole medie presi una gran cotta per un mio compagno di classe. Era un bambino un po' grassottello e paffuto, occhi verdi color smeraldo e così penetranti da non riuscire a distogliere lo sguardo, il viso ricoperto da lentiggini e capelli color cioccolato. Era stranamente alto per la sua età e, a causa del suo aspetto fisico, non aveva molti amici. Si chiamava Jackie e passava le giornate intere a inseguire i gruppi di ragazzi della sua età per farsi accettare dagli altri, fallendo sempre miseramente.
Un pomeriggio, giocando in cortile con le mie amiche, lo avevo notato seduto su un gradino, con il suo pranzo ancora dentro la valigetta. Non capivo come mai se lo fosse portato lì fuori e non l'avesse consumato in mensa durante la pausa. Mi avvicinai a lui, gli sorrisi timidamente e cercai di fare conversazione.
"Ciao Jackie, come mai porti con te la tua valigetta del pranzo? Non hai fame?"
Lui mi scrutò in silenzio, cercando di capire se fossi una delle tante ragazzine che si approcciavano a lui solo per prenderlo in giro davanti a tutti gli altri e rubargli la merendina. Strinse il pugno con il quale teneva la valigetta e abbassò lo sguardo.
"Vattene via, Eleonore. Non c'è più niente che potete prendermi ormai".
Stava per alzarsi e andarsene via, ma riuscii comunque a togliergli il porta pranzo dalle mani e ad aprirlo. Non avevo capito la sua risposta prima, ma ora era tutto chiaro. Qualcuno gli aveva chiaramente rubato il pranzo lasciandolo a digiuno. C'era anche una scritta sul fondo della valigetta, marcata con un pennarello indelebile: con tutta quella ciccia non ti serve il pranzo.
Corsi subito dentro e arrivai al mio armadietto. Lasciavo sempre delle merendine di scorta, nel caso il cibo cucinato da Adele quel giorno non mi piacesse e ne presi alcune, una al cioccolato e dei cracker salati. Tornai da Jackie che si era nuovamente seduto sullo stesso gradino e quando mi vide scattò in piedi.
"Cosa vuoi ancora? Ti ho già detto che non ho niente. Mi lasci in pace?"
Non lo ascoltai e gli porsi il sacchetto con le due merendine all'interno. Non si aspettava un'azione del genere da parte mia e rimase immobile per qualche secondo prima di prendere il sacchetto, un po' titubante. Io gli sorrisi, facendogli capire che non doveva avere paura, non volevo fargli niente di male.
"Sono per te. Così non stai male."
"Grazie Eleonore. Grazie mille." Jackie mi rivolse un sorriso sincero e commosso e mi abbracciò forte. Da quel giorno ero diventata la protettrice del suo pranzo, non lo perdevo di vista neanche un secondo. Durante le attività comuni del pomeriggio stavo sempre con lui, non lo lasciavo mai solo. Diventammo presto buoni amici. Ci volevamo bene, io forse un po' di più. Ridevamo e scherzavamo continuamente, era diverso da tutte le mie amiche e mi piaceva per questo.
Le cose cambiarono quando dovetti portare l'apparecchio per tutto il secondo anno. I miei denti avevano bisogno di una varietà molto visibile chiamata TEO, cioè trazione extra-orale. Una tipologia di apparecchio ortodontico esterno che aiuta la correzione di alcune mal occlusioni. Mamma diceva che era meglio averlo ora che andavo alle scuole medie piuttosto che un domani alle superiori, dove tutti avrebbero dato più importanza all'immagine di una ragazza, piuttosto che al suo carattere. Forse si era dimenticata di come le scuole medie non fossero così diverse dalle superiori.
Fin dal primo giorno i ragazzi cominciarono a ridere di me alle mie spalle e le ragazze si allontanarono, non volendo più avermi come amica. L'unica mia speranza era Jackie, ma fin dal primo giorno di rientro a scuola notai qualche cosa di diverso in lui. Ero così contenta di rivederlo, avevo fatto venire un forte mal di testa a Ollie con tutte le storie che gli avevo raccontato su di noi a scuola. A quanto pare, lui era riuscito a legare con alcuni ragazzi del terzo anno durante l'estate, mentre noi ci eravamo un po' persi di vista. Aveva perso molti chili, il suo viso era dimagrito in modo impressionante e tutte le ragazze ora gli giravano in torno per ricevere le sue attenzioni., ignorando il trattamento riservatogli fino a pochi mesi prima.
Il giorno di Halloween, all'uscita della scuola, alcuni compagni di scuola mi aspettarono con un regalo incartato frettolosamente. C'era anche Jackie insieme a loro e mi guardava con occhi seri, quasi come se mi volesse avvertire di qualcosa con lo sguardo. Non feci molto caso al suo comportamento e presi il pacchetto. Tutti cominciarono a soffocare risatine divertite tra i denti. Scartai la confezione della piccola scatolina e trovai dentro una foto modificata di una strega con la mia faccia. Con la penna qualcuno aveva disegnato un apparecchio e mi aveva aggiunto dei brufoli enormi sul viso che non avevo neanche. Sul retro della foto c'era una dedica firmata accuratamente da tutti loro, Jackie incluso, con scritto: Auguri alla strega più brutta di tutti gli Halloween.
Mi vergognai tantissimo, non avevo il coraggio di dire nulla. Era vero, anch'io mi sentivo brutta, ma sentirselo dire e venire derisi davanti a tutti era decisamente peggio. Più sentivo le loro risate, maggiore era la rabbia che cresceva dentro di me. Strinsi i pugni e accartoccia la foto.
Guardai Jackie ridere con gli amici, mi avvicinai a lui e gli lanciai la scatolina addosso.
"Come hai potuto farmi questo? Tu che hai trascorso l'interno anno scolastico su quel maledetto gradino. Dovresti essere l'unico dalla mia parte in questo momento, invece mi sbagliavo, sei come tutti gli altri ragazzini viziati ed egoisti. Ti odio."
"Dai Ellie, è solo uno scherzo. Non te la sarai presa?" Jackie cercò di scusarsi, ma non riusciva neanche a rimanere serio mentre parlava.
Per fortuna vidi la Jeep con Adele da lontano e la raggiunsi velocemente. Aveva assistito a tutta la scena e sicuramente avrebbe parlato con la mamma a riguardo. Cercò di tranquillizzarmi per tutto il tragitto verso casa, ma io non riuscivo nemmeno a fermare le lacrime. Ero stata presa in giro davanti a tutta la scuola solo per essere nata nel giorno più brutto dell'anno e per portare uno stupido apparecchio. Ma la cosa che più mi aveva ferito era vedere il mio amico tradirmi in quel modo.
Per tutto il resto del giorno non volli vedere nessuno. Papà si era preso il giorno libero per stare con me, capitava di rado e solitamente ne ero così felice. Ma non quel giorno. Sentivo la stanchezza del pianto, la pesantezza e il bruciore degli occhi gonfi e volevo solo starmene da sola nella mia camera.
"Quei ragazzini non la passeranno liscia. Parlerò io stesso con il preside O'Malley e li farò espellere tutti."
Papà era così indignato da quanto accaduto da non voler perdere un secondo di più. Così passò l'intera serata al telefono con la scuola. Da quel momento, la mamma decise di entrare a far parte del comitato genitori, per poter essere sempre aggiornata in tempo su ciò che poteva accadere. Nonostante la preoccupazione dei miei genitori e tutto ciò che fecero per me quella sera, io non riuscii a sentirmi meglio. Non volevo tornare in quella scuola. Le parole di papà non avrebbero avuto alcun effetto il giorno dopo, se non quello di far diventare i miei compagni ancora più cattivi con me.
Quella sera, in camera da letto, sentii un rumore strano fuori la mia finestra. Mi avvicinai piano piano, non ero sicura che fosse un semplice uccellino in cerca di un po' di calore. Alzai lo scorrevole e vidi cinque piccoli sassolini sul davanzale. Su ognuno di questi c'era una lettera. Cercai di formare una parola di senso compiuto: L-I-O-E-L, no. E-L-I-L-O.. Cosa poteva mai significare?
"Ellie, sono io Oliver. Ti ho portato una cosa, guarda." Parlava sottovoce dal giardino, per non farsi sentire dai miei genitori.
O-L-L-I-E.
Non ero andata a cercarlo. Avevo paura che se gli avessi raccontato cosa era successo a scuola anche lui avrebbe riso di me come Jackie. Mi sporsi ulteriormente dal davanzale e notai una corda su di un ramo molto alto, che Oliver stava utilizzando per far arrivare un cestino da picnic fino alla mia finestra.
"Cosa c'è dentro, Ollie?"
"Aprilo e vedrai. Io devo andare ora. Ah, quasi dimenticavo, tanti auguri Ellie."
Afferrai il cesto e lo portai dentro la mia stanza. Ero esattamente nella stessa situazione di questa mattina, davanti a un regalo di cui ignoravo il contenuto. Mi era stato dato da una persona di cui mi fidavo, ma avevo paura ad aprirlo. Mi feci coraggio, dopotutto ero sola ora. Avrei potuto buttare via tutto subito se non mi fosse piaciuto e nessuno avrebbe visto la mia reazione.
"Ok Ollie. Mi fido di te. Tu non mi faresti mai del male, giusto?"
Sbirciai il contenuto del cesto e vidi dodici cupcake ricoperti di glassa al cioccolato. C'era anche un piccolo biglietto in una busta che diceva Anche quando piangi sei sempre la più bella. Ti voglio bene e te ne vorrò per sempre. Buon compleanno. Il tuo Ollie.
In un attimo tutta la mia tristezza era svanita. Oliver aveva passato tutto il pomeriggio in cucina con sua madre solo per cucinarmi quei buonissimi dolci, i miei preferiti. Se solo fosse stato lì con me in quel momento, lo avrei abbracciato così forte da fargli mancare il respiro.
Non potevo mangiare tutto quello zucchero, la mamma mi avrebbe sicuramente scoperto e messo in punizione per un mese. Ma ero così felice di quel pensiero che ne assaggiai uno. Inutile dire che mi pentii subito dopo quando feci fatica a ripulire l'apparecchio. Ma non mi importava, ero così contenta che il ancora avevo un sorriso gigante stampato sul viso.
Il giorno dopo a scuola fu terribile, così come quello dopo ancora. Ma non avevo paura di affrontare i miei compagni, perché sapevo che al mio rientro a casa avrei avuto una persona davvero speciale ad attendermi. L'unico ragazzo che ci teneva veramente a me, nonostante le apparenze.
Al contrario di ciò che credevo allora, il giudizio degli altri aveva un effetto negativo su di me e alle superiori scelsi una delle scuole più prestigiose e costose dove nessuno dei miei vecchi compagni sarebbe potuto entrare. Per mia sfortuna, non feci correttamente i conti e ci fu un solo compagno che mi seguii fino alle superiori. Jackie, che ora si faceva chiamare con il suo nome completo Jackson...o meglio, Jackson Bevins. Nessuno dei due era intenzionato a far sapere in giro la propria storia. Entrambi sapevamo come ferire l'altro e decidemmo di comune accordo di non dire niente a nessuno, quasi come fossimo due sconosciuti. Mi costruii un passato e una personalità diversa, grazie anche all' aiuto di mia madre, e diventai una ragazza con la quale tutti in quella scuola avrebbero voluto avere a che fare.
Tutti, tranne Oliver.
... ... ... ... ... ... ... ... . ... ... ... ... ... ... ... ... . ... ... ... ...
Anche quando piangi sei sempre la più bella per me. Grazie per avermi difeso con tua madre prima e perdonami per essermi sbagliato su Travis.
Sorrisi e una lacrima rigò il mio viso fino a cadere sul bigliettino di Oliver, bagnandolo. Si era ricordato e ancora una volta aveva impiegato parte del suo tempo libero dopo il lavoro per fare qualcosa che poteva rendere felice me. Pensava a me in continuazione, mi salvava da tutte le pessime situazioni in cui mi trovavo e io, invece, mi arrabbiavo con lui e litigavo in continuazione. Ero proprio una pessima amica. Mi aveva baciata e detto che provava qualcosa per me e io non ero riuscita a dirgli di averlo sentito. Avevo paura di affrontare l'argomento. Io non l'amavo, o almeno così credevo. Non potevo amarlo, l'avrei fatto soffrire. Eravamo così felici da piccoli, eravamo migliori amici, perché non potevamo continuare a essere tali?
Guardai l'orologio. Era ormai troppo tardi per uscire di casa senza far rumore. Papà sarebbe tornato da un momento all'altro e sarebbe venuto in camera a salutarmi. Decisi quindi di scendere in cucina e usare il telefono di servizio per chiamare Oliver alla dependance.
"Per Natale gli regalerò un cellulare. Cosa fa durante il giorno quando non lavora?"
Il telefono suonò per pochi secondi, finché non rispose Adele, tutta allarmata per aver ricevuto una chiamata dalla villa a quell'ora. Non avevo riflettuto abbastanza sulla possibilità di svegliarli all'improvviso e spaventarli.
"Ciao Adele, sono Eleonore. Scusami per l'orario e tranquilla non è successo niente di grave, avrei solo bisogno di parlare con Oliver. Lo potresti chiamare, per favore?"
Adele disse qualcosa in spagnolo rivolto al figlio e poco più tardi lui si avvicinò alla cornetta del telefono.
"Pronto. Ellie, è successo qualcosa? Stai male?"
"No, tranquillo. Volevo solo ringraziarti per i cupcake che hai fatto per me, sono davvero buoni. Grazie davvero, l'ho apprezzato molto, e poi...volevo anche chiederti scusa per tutte le volte che ti ho ferito in passato o che non sono stata abbastanza riconoscente nei tuoi confronti. Mi dispiace davvero tanto Oliver, soprattutto per quella volta in piscina, io non..."
"È tutto risolto Ellie, davvero. Sto bene. Non preoccuparti, non sono più arrabbiato con te."
Oliver mi interruppe in tempo per non sentire la mia voce tremare e cominciare a piangere.
"Amici?" Fu l'unica cosa che riuscii a dirgli. Lui rimase in silenzio per quelli che a me parvero minuti. Ci stava riflettendo, forse non era stato del tutto sincero e ci stava ripensando. Dove avevo sbagliato?
"Amici. Ora torna a letto o tua madre sgriderà entrambi per questo. Buonanotte... Ellie."
"Buonanotte... Ollie."
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