Capitolo 12

OLIVER

Avevo atteso quell'incontro con Ellie da tutta la giornata, sembravo un bambino impaziente la Vigilia di Natale. Alle cinque e mezza ero già pronto a bordo piscina ad aspettarla. Sì, era presto, ma che potevo farci? Avevo lavorato anche durante le pause per paura di non riuscire a finire in tempo, dodici ore di fila, e mi ero svegliato presto la mattina, ma non sentivo la stanchezza addosso. Sapevo che quell'ora passata con Ellie mi avrebbe rigenerato subito.

Non era conosciuta per la puntualità, al contrario della madre, e quindi attesi pazientemente oltre le sei inoltrate. Decisi di farmi qualche vasca, giusto per ingannare il tempo.

"Mi aveva detto di aver avuto un contrattempo nel pomeriggio, sicuramente sarà imbottigliata nel traffico."

Ormai stava calando il sole e di Ellie ancora nessuna traccia. Comincia a preoccuparmi e le inviai un messaggio, provai a chiamarla, ma non rispose. Ci rinunciai, visibilmente amareggiato e deluso dalla cosa decisi di scriverle un post-it e tornare alla dependance.

Quando arrivai davanti alla porta della sua camera sentii dei passi dietro di me. Era lei, finalmente.

Mi voltai, preoccupato. Si era fatta del male? Qualcuno l'aveva importunata? Guardandola sembrava stare più che bene.

"Scusami per il ritardo, Bella aveva bis..."

In quel momento capii che si era solamente dimenticata del nostro impegno.

"Non dire altro, Eleonore".

Una lezione di nuoto non valeva un pomeriggio con le amiche e sicuramente non c'era paragone tra Aryn, Bella e il suo giardiniere. Feci per andarmene arrabbiato, ma lei cercò di impedirmelo.

Ellie sembrava dispiaciuta per l'accaduto, ma sentirle dire che aveva trascorso il pomeriggio a casa di Bella Brown mi fece andare su tutte le furie. Quella ragazza era la più superficiale e viziata ragazza di tutta New York, come potevano essere così amiche? Come poteva preferire lei a me? Cosa aveva di così importante da dirle da non poter essere rimandato o da non riuscire nemmeno ad avvisarmi?

Non volevo ascoltare una parola di più, me ne andai deluso, amareggiato e arrabbiato con me stesso per aver creduto ancora in lei e non essermi reso conto che ormai quella ragazzina che io conoscevo non esisteva più da tempo ormai. Più cresceva più assomigliava alla signora Tallish e questo mi fece rabbrividire.

Arrivai alla dependance e sbattei la porta in modo violento, facendo sussultare mia mamma che stanca per la pesante giornata si era appisolata. Si svegliò di soprassalto e mi sgridò.

"Non puoi capire mama. Pensavo che qualcosa stesse cambiando. Perché non riesco a lasciarla andare completamente? Perché non riesco a dimenticarla?"

Mi scese una lacrima che asciugai subito. Non potevo farmi vedere debole davanti a mia madre, aveva passato tutta la sua vita a prendersi cura di me. Da quando papà non c'era più, ho dovuto essere io l'uomo di casa e non potevo piangere davanti a lei.

"Mijo, ahora basta. Esci e incontra qualche bella ragazza con sani principi e valori, non stare qui amargado. Non vale la pena soffrire per Eleonore. Accetta il fatto che oramai lei è cambiata mi amor e vai avanti."

Il giorno seguente chiesi a mia madre di sostituirmi e di portare lei Ellie a scuola. Non volevo incontrarla alla villa e tantomeno dover passare del tempo da solo con lei. Purtroppo, il lavoro non mi aiutò nel mio disperato tentativo di dimenticarla. Continuavo a pensare a lei. Forse avevo esagerato, magari aveva davvero un impegno che non poteva rimandare. Dovevo almeno darle il beneficio del dubbio e lasciare che si spiegasse meglio. Decisi di scriverle un messaggio di scuse per la mia reazione troppo esagerata e di farlo scivolare sotto la sua porta.

"Scusami, forse la mia reazione è stata troppo eccessiva. Possiamo parlarne più tardi se vuoi o farci una nuotata".

Entrai in casa e, senza farmi vedere da nessuno, arrivai davanti alla sua camera. La porta era socchiusa e decisi di provare a entrare. Non entravo lì dentro da almeno tre anni ed era decisamente cambiata. Ognuna delle quattro mura della stanza era piena di coppe vinte alle gare di equitazione, foto di Ellie e i suoi amici alle feste e a scuola, poster di attori e cantanti famosi appesi alle pareti e vestiti costosissimi ovunque, sul letto e per terra. Non c'era niente che ricordasse noi e quelli che eravamo; come se avesse voluto dimenticare quella parte della sua vita. E allora cosa ci facevo lì? Stavo per andarmene, portando con me il bigliettino, ma l'occhio mi cadde su un post-it uguale ai miei, sulla scrivania. Era proprio uno degli ultimi che le avevo lasciato attaccato alla porta al rientro da un viaggio, l'aveva utilizzato per scriverci sopra un indirizzo. Conoscevo quel posto, ero stato lì qualche giorno prima per fare qualche ora extra dopo il lavoro alla villa. Il figlio del padrone di casa, un ragazzo spocchioso dell'Upper East Side, aveva ricevuto il cottage dai genitori per il suo diciottesimo compleanno e lui qualche giorno più tardi avrebbe dato una festa per inaugurare l'inizio dell'ultimo anno scolastico. A giudicare dalla quantità di birre e super alcolici presenti nella taverna, non si prediceva niente di buono. Il fatto che Eleonore fosse diretta lì quella sera non mi fece stare tranquillo.

Dopo cena mi sdraiai nel letto e rimasi a fissare l'orologio. Erano solo le nove e mezza, troppo presto per preoccuparsi, probabilmente Ellie era ancora a casa. Cercai di non pensarci e cominciai a leggere un libro. Mi resi presto conto che la mia mente non era concentrata sulla lettura, ma vagava altrove e decisi di chiudere tutto e uscire.

"Mama, vado a sistemare il capanno degli attrezzi, oggi pomeriggio non ho avuto tempo e l'ho lasciato tutto in disordine. Non aspettarmi sveglia, ci impiegherò un bel po'".

Mi diressi davvero al capanno. Quel posto era come un piccolo ufficio per me, un angolo per riflettere e stare da solo. Solo io avevo le chiavi di quel posto e in qualche modo questo mi faceva sentire importante, un posto alla villa tutto per me, dove potevo staccare da tutto e da tutti e rimanere da solo. Avevo costruito una piccola scrivania accanto alla finestra e una sedia di legno, per poter sedermi comodamente a leggere e soprattutto a scrivere.

Per il mio quindicesimo compleanno, la mamma mi aveva regalato un quaderno a righe per poter scrivere i miei pensieri e una vecchia penna Montblanc scartata dal signor Tallish, e da quel momento, ogni volta che ero triste, arrabbiato o succedeva qualcosa di particolare, sia bella che brutta, me la segnavo. Riflettevo sulla partenza improvvisa di mio padre, sui silenzi di mia madre, sul cambiamento e l'allontanamento di Ellie. Nessuno sapeva ciò che c'era scritto lì sopra e sarebbe sempre stato così. Ogni tanto rileggevo i pensieri del passato e rimanevo ore dopo il lavoro a riflettere su tutto ciò che era successo nella mia breve ma turbolenta vita.

Era oramai passata la mezzanotte, presi le chiavi della Jeep e uscì di casa nel modo più veloce possibile, in modo da non far notare a nessuno la mia assenza alla villa. Guidai per circa quaranta minuti e percorsi solamente dieci km. Odiavo il traffico di New York, soprattutto la sera. I turisti nei taxi facevano rallentare apposta gli autisti per poter ammirare i palazzi illuminati, i grandi schermi di Times Square e scattare foto alla città che non dorme mai. Il rumore assordante dei clacson mi fece venire mal di testa e feci un respiro di sollievo appena riuscii a lasciarmi alle spalle il centro della metropoli.

Arrivai all'indirizzo scritto sul post-it verso l'una del mattino. Il volume della musica che proveniva dalla villa era talmente alto che si riusciva a sentire bene anche a chilometri di distanza. Mi domandai cosa ne pensassero i vicini a riguardo.

Il portone di casa era aperto, un omone alto e robusto bloccava l'entrata a tre ragazzini evidentemente troppo piccoli per entrare e senza un invito. Non sarebbe stato facile neanche per me accedere senza un pass. Mi guardai intorno per cercare una soluzione al mio problema. Per terra c'erano bicchieri vuoti sparpagliati ovunque, ragazze ubriache che gridavano rendendosi ridicole e ragazzi incoscienti che se ne approfittavano in modo spudorato. Dovevo assolutamente trovare Ellie.

L'ultima volta che era tornata a casa da sola da una festa del genere ci aveva impiegato mezz'ora solo per inserire la chiave nella serratura del portone d'ingresso. Era così ubriaca che rideva in continuazione parlando da sola. Ero rimasto a guardarla, da lontano, mentre cercava invano di entrare in casa senza fare il minimo rumore. Mi chiesi come mai le amiche l'avessero lasciata al cancello della villa non curanti del fatto che una ragazza così malridotta avrebbe anche potuto mettersi nei guai se lasciata sola. A un certo punto aveva rinunciato ad aprire il portone e si era accucciata a terra per dormire, dimenticandosi della porta di servizio. La cosa mi fece tenerezza e pena allo stesso tempo, così mi avvicinai per aiutarla. La sollevai da terra, feci il giro sul retro ed entrai dalla cucina. Cercai di svegliarla piano piano affinché fosse abbastanza cosciente da raggiungere la sua stanza da sola.

"Eleonore, mi sente? È a casa ora. Riesce ad arrivare in camera sua da sola?"

Aveva borbottato qualcosa sottovoce inerente al fatto che non era una bambina e che riusciva benissimo a cavarsela da sola e se ne andò appoggiandosi al muro per restare in equilibrio. Il giorno dopo si era già dimenticata di quell'incontro, non me ne parlò e non mi ringraziò neanche, oppure fece finta di niente.

"Ehi tu, ragazzo. Ce l'hai l'invito? Non potete entrare senza, quante volte ve lo devo ripetere?"

Ero talmente preso dai ricordi che non mi ero neanche reso conto di trovarmi davanti all'entrata dopo aver provato a varcare la soglia.

"Mi scusi, devo aver lasciato il mio invito dentro, se mi lascia entrare glielo mostro".

"Mi credi così stupido? Tornatene a casa poveraccio, questa non è una festa per te".

Mi squadrò da capo a piedi, osservando i miei abiti aveva capito che non appartenevo alla cerchia di amici del proprietario di casa. Non avevo abiti firmati, né tanto meno una camicia bianca stirata e immacolata per ogni giorno della settimana. Mi guardai e me ne andai decisamente a disagio. Dovevo trovare il modo di entrare in quella casa.

Camminai per qualche isolato e sentii dei rumori strani provenire da dietro dei cespugli. Il respiro affannato di due ragazzi mi fece intuire che non stavano semplicemente parlando e mi allontanai disgustato. Qualche metro più in là intravidi dei vestiti a terra, dovevano appartenere sicuramente a loro. L'idea di indossare gli abiti di un adolescente in calore non mi entusiasmava molto, ma era l'unica alternativa che avevo per poter entrare. Senza farmi notare raccolsi i vestiti da terra e mi allontanai per cambiarmi. Misi la mano nella tasca e...bingo! Avevo il mio pass. Indossai un cappellino trovato per terra e degli occhiali scuri, chi porta degli occhiali da sole a una festa di notte? Chiunque fosse stato, mi aveva salvato la serata. Ero bravo a recitare la parte del ragazzo ricco e ubriaco, ne avevo visti parecchi a Villa Tallish negli ultimi anni. Riuscii ad entrare mescolandomi in un gruppo di adolescenti talmente ubriachi che mi scambiarono per uno di loro e cominciarono a parlarmi. Arrivati davanti al bodyguard alzammo tutti la mano mostrando i vari pass spiegazzati e lui ci fece passare, senza riconoscermi.

Una volta dentro cercai Eleonore ovunque. Un'impresa abbastanza complicata dal momento che ogni stanza era piena di persone che gridavano per sovrastare la musica e si muovevano a ritmo, facendo cadere metà del drink contenuto nei bicchieri di plastica.

Ad ogni angolo e su ogni poltrona della casa, delle coppiette senza neanche un po' di ritegno, si baciavano e si toccavano in modo quasi violento e ossessivo. Uno spettacolo che la metà di loro avrebbe voluto certamente dimenticare il giorno seguente. Chiesi in giro se qualcuno avesse visto Eleonore Tallish, ma l'unica persona che sembrava non essere ubriaca mi rispose di non conoscere nessuna Eleonore e di essersi imbucato alla festa. Fantastico, l'unico astemio doveva proprio essere uno sconosciuto ovviamente.

Stavo per arrendermi, magari se n'era andata con le sue amiche già da tempo. Non avevo visto né Bella né Aryn in giro e questo mi rassicurò. A un certo punto sentii dei rumori provenire dalla stanza a fianco. Due ragazzi, uno di loro visibilmente ubriaco e strafatto, si stavano picchiando. Non volevo dare troppa importanza alla cosa, quando sentii il nome di uno di loro, Travis. Era lo stesso Travis di cui mi aveva parlato Ellie? Forse lui sapeva dove si fosse cacciata, forse le aveva ancora fatto qualche dispetto o, peggio ancora, le aveva fatto del male. Cercai di avvicinarmi con l'idea di separarli e parlare con lui, quando per terra in un angolo notai una ragazza. Sembrava svenuta, forse Travis aveva abusato di lei e il biondino era arrivato in suo aiuto. Aveva il volto coperto dai capelli e non riuscivo a capire chi fosse. Spostai lo sguardo al polso, aveva un braccialetto dorato con inciso qualcosa sopra.

Eleonore.

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