Capitolo 1
ELEONORE
«Signore e signori, stiamo raggiungendo la nostra destinazione, vi prego di accomodarvi e di allacciare le cinture di sicurezza».
Nella vita non ho preso molti voli. Ne ero terrorizzata, tanto è che da piccola piangevo disperatamente quando la grande aquila di ferro (papà lo chiamava così, illudendosi di farmi passare la paura) era pronta all'atterraggio e questo aveva portato la mia famiglia a intraprendere molti più viaggi on the road.
Crescendo sono riuscita ad affrontare questa mia fobia, per la prima volta ho preso un aereo da sola. Lo ricordo come se fosse ieri. Per un impegno di lavoro, i miei genitori non sarebbero potuti venire in Italia per trascorrere le nostre consuete vacanze estive a casa della zia, in Puglia. Così avevano deciso di mettermi nelle mani di un'assistente di volo caldamente raccomandata per tutta la durata del viaggio. Non scorderò mai il suo volto provato dopo nove ore trascorse a disposizione di una ragazzina con attacchi di panico e decisamente logorroica. Sicuramente il mio carattere troppo estroverso mi era stato di grande aiuto per dimenticare dove mi trovavo in quel momento, malgrado le turbolenze che, ovviamente, non potevano mai mancare.
«L'atterraggio al John Fitzgerald Kennedy International Airport è avvenuto con successo. Vi ringraziamo per aver scelto la nostra compagnia e speriamo di riavervi presto a bordo».
"Finalmente a casa!" Tirai un sospiro di sollievo e mi preparai a scendere. Airpods nelle orecchie ed ero pronta per toccare il suolo americano dopo due mesi lontana.
Ogni volta che tornavo dalle vacanze estive mi sentivo un po' triste e malinconica. Era tutto finito; il cristallino mare salentino, l'abbronzatura dorata (e le scottature), le amicizie, i falò sulla spiaggia, la classica cotta estiva... l'unica cosa che ancora non era terminata era il caldo, la newyorkese afa soffocante di fine agosto.
«Non vedo l'ora di arrivare alla villa! Ma dov'è papà?»
Dopo ogni viaggio era ormai tradizione che papà mi aspettasse agli arrivi con in mano un grande cartellone con scritto "bentornata principessina, mi sei mancata". A volte lo faceva anche se stavo via solo per qualche giorno e non ci importava se la gente vedendoci ci prendeva per matti. Questa volta però papà non c'era.
Al suo posto vedo Adele, la nostra governante, cuoca, domestica, autista, tata ... per me, una seconda mamma. La adoravo ed ero davvero contenta di rivederla, ma dal mio
sguardo capì subito che ero delusa dall'assenza di papà.
«Bentornata cariño. Purtroppo, tuo padre ha avuto un contrattempo e non è potuto venire. Gli è dispiaciuto molto però e ti manda questi flores muy hermosos».
Un classico di papà, quando deve scusarsi per qualcosa, rimedia sempre con dei fiori. Mamma ne ha una stanza piena!
«Si, capisco. Sono contenta che tu sia qui. Ho così tante cose da raccontare!»
Adele era diventata la mia confidente più fedele. Di amiche ne avevo, ma non so quante di loro potessero dire di conoscermi veramente. Per questo quando ero triste o volevo un consiglio, Adele era la mia scelta numero uno.
Il viale che conduce alla villa di famiglia fuori dalla frenetica città di New York sembra un mondo a parte, un luogo magico capace di ipnotizzare qualunque visitatore che percorre per la prima volta l'antico ingresso della dimora Tallish, immerso tra le fronde degli alberi secolari. L'ombra degli alberi danza delicatamente lungo la strada, creando giochi di luce e ombra. Il profumo delle rose gelosamente e ossessivamente ben curate da Adele si mescola all'aria, regalando un'atmosfera vivace e avvolgente.
Le grandi vetrate, imponenti e maestose, dominano la struttura, risplendendo come gioielli che riflettono il cielo azzurro e il sole scintillante di fine estate.
Appena varchiamo la soglia d'ingresso intravedo mamma, davanti al grande portone d'ingresso, chiaramente in agitazione, come dopo ogni mio viaggio intercontinentale.
Adele dovette frenare di colpo per non colpirla mentre si avvicinava di corsa sulle sue immancabili décolleté rosse in tinta con collana e rossetto nuovi. Indossava un classico tubino nero e dal passo sofferto si poteva facilmente intuire che fosse stata tutto il giorno fuori a spendere i soldi del marito con le amiche.
«Ciao mamma, il viaggio è andato bene. Qualche turbolenza, ma niente di che. Dove è papà? Doveva venire lui in aeroporto a prendermi».
«Lo so Eleonore, purtroppo tuo padre è stato chiamato d'urgenza in ospedale per un intervento e non c'era nessuno che potesse sostituirlo».
Papà era conosciuto in tutti gli Stati Uniti come il famoso cardio chirurgo Lewis Tallish. Capitava spesso che fosse richiesta la sua presenza in diversi ospedali del paese per delle operazioni d'urgenza. Non potevo dire nulla a riguardo, dopo tutto partiva per cercare di salvare la vita a dei genitori, figli o nonni di qualcuno che stava soffrendo. Nonostante ciò, non capivo perché non ci potesse mai essere nessuno a sostituire il suo lavoro, da costringerlo a partire anche nel giorno del mio compleanno o a Natale.
Nascondendo la delusione, presi la borsa, il cellulare e me ne andai dritta in camera, dimenticandomi di tutte le valige che mi ero portata dietro.
Attaccato in malo modo alla porta della camera da letto trovai un post-it e capii subito il suo mittente. "Bentornata signorina Tallish, spero abbia fatto buon viaggio. Abbiamo tutti sentito la sua mancanza alla villa. Le auguro un buon rientro e una buona notte. Oliver".
Oliver Martinez, giardiniere nonché figlio di Adele. Era più grande di me di tre anni e viveva nella dependance insieme a sua madre da tutta la vita. Da piccoli eravamo migliori amici e ogni pomeriggio dopo la scuola giocavamo insieme nell'enorme giardino curato in modo meticoloso dal signor Martinez. Per merenda sua madre ci preparava sempre dei biscotti d'avena buonissimi e stavamo insieme fino all'ora di cena, quando il divertimento terminava. Con il tempo però i nostri impegni ci divisero; lui dovette prendere presto il posto del padre come giardiniere, dopo che quest'ultimo lasciò la villa senza alcun apparente motivo, abbandonando moglie e figlio, mentre io iniziai a uscire con i miei nuovi amici delle scuole superiori. Per tutta la mia carriera scolastica sono state scelte per me scuole private e costosissime e i coetanei che mi circondavano erano molto diversi da Oliver, ma d'altronde appartenevamo a due mondi troppo diversi e il nostro legame non poteva durare in eterno. Crescendo ho dovuto imparare ad adattarmi a quello che era lo stile di vita della mia famiglia, o almeno quello che mia madre mi aveva imposto, e di conseguenza le persone che potevo e non potevo (secondo lei) frequentare.
Da quando ci siamo allontanati definitivamente, Oliver non mi parla più di sua spontanea volontà come una volta. Non viene più a cercarmi e l'unico contatto rimasto sono quei dannati post-it che mi lascia attaccati alla porta della camera da letto, scritti come se si stesse rivolgendo a una persona di un differente rango sociale (o almeno, così ci definiva mia madre) a cui dover portare particolar rispetto e non a quella che una volta chiamava la sua migliore amica.
Entrai in camera e mi lasciai andare nel letto enorme e morbido. Quanto mi era mancato!
Sentii vibrare il cellulare: "OMG! Vi aspetto domani al mio armadietto! Devo assolutamente raccontarvi cosa mi è successo quest'estate!" Anita, una delle mie due migliori amiche dal primo anno di liceo, follemente ed eternamente innamorata del capitano della squadra di nuoto della nostra scuola, Jackson Bevins. Ne avrà combinata un'altra delle sue per farsi notare dai ragazzi.
È tardi e non faccio neanche in tempo a togliermi le scarpe che crollo dal sonno.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top