Make me stronger

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Cover by @herslaugh




MAKE ME STRONGER


«Il pericolo è reale, la paura è una scelta»

[After Earth]


Sometimes I can't believe

That you are with me
There's nobody lucky as me

So I get on my knees
To make sure that he
Knows that I'm grateful for what he gave me
I will survive
I will survive, as long as it's you by my side

I will survive, as long as it's you by my side

I'm stronger
[Stronger_Mary J. Blige]


LOUIS' POV

Un rumore assordante al piano di sotto mi fece aprire gli occhi di scatto. Il mio cuore saltò, accelerando il battito. Per poco non urlai, spaventato da quel colpo così forte. Mi guardai intorno, chiedendomi se stessi dormendo. Sentii Jordan tremare, sotto il mio braccio, che era ancora avvolto intorno alla sua vita.
«Che... che è successo?» domandò, preoccupata, cercando di alzarsi. La spinsi delicatamente contro il materasso e le intimai di stare in silenzio. Cercai di sentire qualche voce al piano di sotto, ma nessuno parlava. Solo la musica era ancora in play e andava per conto suo ormai dalle 3 di notte. Mi voltai appena e la piccola sveglia sul comodino di Nate mi indicò che erano le 6.30 del mattino. All'improvviso la mano di Jordan cercò la mia. La strinsi e lei fece scivolare le dita tra le mie. «È lui, vero?» sussurrò, evidentemente terrorizzata. Come sapeva che anch'io lo vedevo?
«Non lo so...» mormorai, scuotendo la testa. La voltai tra le mie braccia e lei affondò il viso contro il mio petto, cercando di tranquillizzarsi. «Tu... sai chi è?» chiesi, accarezzandole i capelli.
«N-No... l'ho sempre chiamato "uomo nero"» Annuii. Il rumore di passi si fece più acuto, il pavimento prese a tremare. Era lui, non c'erano dubbi. La sollevai, facendola sedere sul letto, poi presi il suo viso tra le mani.
«Devi nasconderti» dissi, guardandola. Lei scosse la testa con forza.
«N-No... lui mi troverebbe comunque... non ti lascio da solo, Louis» disse, prendendo le mie mani. Le sorrisi.
«Jordan... quel coso... vuole tutti e due!» ripetei, cercando di convincerla. Mi alzai dal letto e la tirai su con tutta la forza che potevo avere. «Ti ho appena ritrovata, non andartene di nuovo» dissi, sperando che bastasse a convincerla. Sentii un colpo rimbombare contro la parete, facendo tremare i muri. Fissai Jordan in modo supplichevole. Lei si morse il labbro, chiudendo gli occhi e annuì. Ci avrebbe trovati comunque. Sapevo che il mio atto di coraggio era insensato, stupido e ingiustificato, ma qualcosa mi diceva che dovevo proteggerla e che alla fine sarebbe andato tutto bene. Dovevo darle sicurezza e l'unico modo che avevo per farlo era dimostrarle che ero più forte di quanto si aspettasse. E non lo ero, non lo ero per niente. Aver fatto il bullo in qualche occasione non contava ora che mi ritrovavo davanti un mostro di due metri con artigli affilati al posto delle unghie, un viso sanguinante che non avevo mai visto e largo quanto una portaerei. Cercavo di sdrammatizzare, ma ero terrorizzato. Jordan mi diede un veloce bacio sulle labbra, annuendo, magari convinta che sarebbe andato tutto bene, poi s'intrufolò nell'armadio. Non era certo il nascondiglio migliore, ma non ce n'erano altri. Sensi di colpa, solo sensi di colpa, mi dissi. Sì, quello era solo un incubo, perché avevo lasciato morire Jordan una volta e ora volevo salvarla a tutti i costi. Quello che più mi spaventava era che il mio improvviso eroismo non avrebbe portato a nulla, perché io sarei morto, forse di paura prima ancora che per qualcos'altro e poi anche Jordan. La porta si spalancò in quell'istante. L'uomo nero fece il suo trionfale ingresso nella stanza. Strinsi i pugni, cercando di non guardare in direzione di Jordan. Deglutii, mentre lui mi si avvicinava. Chiusi gli occhi, poi sentii le sue mani affilate prendere una volta ancora il mio viso. Stringeva così forte da farmi mancare l'aria e le sue unghie lasciavano il segno ovunque toccassero. Per la prima volta in tutta la mia vita riuscii a sentire l'odore di sangue. Del mio e forse anche del suo. Il viso cominciò a bruciarmi, mentre il liquido rosso e denso cadeva a terra dalla sua faccia.
«Ti ho trovato, finalmente! Pensi che fare l'eroe ti salverà? Piccolo, inutile esserino!»
«Chi... chi sei?» sputai fuori dai denti, cercando di sembrare convincentemente coraggioso. Non ero un piccolo e inutile esserino. E volevo sapere. L'uomo nero rise.
«Sono stato creato per colpa della tua amichetta! Sono nato dal suo sangue contaminato, per vendicare il peccato dei suoi genitori» disse, fornendomi per la prima volta un'informazione, per quanto confusa. Sangue contaminato, peccato. Erano le uniche cose che sapevo, che sapevamo. Anche leggendo il diario della signora Davis. Ma cosa voleva dire tutto quello? La sua mano si spostò sul mio collo, che strinse fino a farmi boccheggiare per la mancanza d'aria. Istintivamente agitai le gambe, rendendomi conto di non avere più nulla sotto i piedi: mi aveva sollevato di circa mezzo metro da terra e mi teneva in pugno. Perfetto, ora stavo davvero per morire. A volte, sognando, mi ero domandato come sarebbe stato morire. Avrei voluto farlo con un colpo secco, ucciso o con qualche cosa di fulminante, senza sofferenze. E invece ora me ne stavo lì con i piedi a penzoloni, con le terrificanti unghie di un pazzo conficcate nella carne e senz'aria. Pensavo che sarei morto vecchio, con dei figli, dei nipoti, una moglie. Invece ero un coglione di vent'anni che non aveva mai fatto nulla nella sua vita se non farsi bocciare e dare dispiaceri ai propri genitori e non avevo mai nemmeno imparato cosa volesse dire amare. Stavo soffrendo ed era quello che mi faceva più paura. Avrei persino potuto pensare di urlargli di farla finita e di ammazzarmi una volta per tutte, ma non riuscivo a parlare. Riuscivo solo a pensare, a pensare a quello che si poteva pensare morendo. E io pensavo a Jordan, nascosta dietro le ante di quell'armadio, probabilmente terrorizzata, almeno quanto me. Pensavo a lei e a quello che avrei potuto condividere con lei e che invece non c'era stato e che non ci sarebbe mai stato. Pensavo, pensavo e basta.
«Hai perso la lingua, sorriso dritto?» Sussultai alle sue parole. Solo Jordan mi chiamava così, solo quando era bambina. Non risposi e lui mi spinse con violenza contro la parete, facendola tremare per il colpo. Presi la sua mano stretta intorno al mio collo, con il disperato bisogno di allentare la presa per prendere aria. Ma ero decisamente molto più debole di lui. Rassegnati, stai per morire, mi dissi. L'uomo nero scoppiò in una fragorosa risata, poi mi mostrò una delle sue unghie deformi, prima di premerla leggermente sulla mia pancia. Sentii una lacrima rigarmi il viso, non per la paura, ma per il dolore. Non riuscii nemmeno a gridare.

«Bene, allora se non l'hai persa, la lingua te la strapperò io, prima di strapparti il cuore» disse, con la stessa voce acuta e metallica. Fece risalire il dito sul mio corpo, stracciando la mia maglietta e graffiandomi. Chiusi gli occhi e mi preparai a vedere cosa ci sarebbe stato dopo, ma... il suo grido interruppe tutto. L'uomo nero si bloccò di scatto non appena Jordan urlò terrorizzata dietro l'armadio. Allentò la presa su di me e per la prima volta alzò il viso, lasciandomelo vedere. Era bianco, non bianco come una persona pallida, decisamente bianco come la neve. I suoi occhi erano due oscure pozze di petrolio scavate nel suo viso. Bianco e rosso, rigato dal sangue. E trasmetteva rabbia... rabbia e... paura.
«Cosa... cosa diavolo sei tu?» balbettai, incomprensibilmente affascinato. Jordan uscì dall'armadio e cadde in ginocchio davanti a noi, urlando il mio nome. Aveva paura per me. Stava gridando il mio nome, non voleva che mi succedesse nulla di brutto. In meno di un secondo intravidi le fiamme divampare dai piedi dell'uomo nero, che mi guardò un'ultima volta, lasciandomi intendere che ora sapeva che eravamo insieme e che sarebbe tornato. Poi il nulla. Puzza di bruciato, fiamme e cenere, lui che era diventato un mucchietto di cenere. Caddi a terra, privo di forze e raggiunsi Jordan strisciando. Si teneva il viso tra le mani e piangeva, in modo disperato. Allungai le braccia verso di lei e cercai di stringerla.
«Jordan... sono qui... sono io, Louis. È tutto finito...» mormorai, toccando i suoi capelli morbidi e sporchi di cenere. Lei non aprì gli occhi e non smise di piangere. «Jordan! Jordan guardami per favore... Jordan!»


«Jordan!» Mi svegliai al suo fianco, gridandolo. Sollevai la schiena dal materasso e mi guardai intorno. Lei non aveva gridato. Lei se ne stava seduta con lo sguardo vuoto e fisso in un punto davanti a sé. Era uno sguardo spento e inquieto. Le circondai le spalle con il braccio e la tirai contro di me. Le sue lacrime, prima trattenute, presero a scendere violentemente. Mi morsi il labbro, per trattenere un gemito di dolore, quando mi ricordai della ferita. Le sue lacrime salate al contatto con il graffio sanguinante sul mio petto mi fecero tremare, ma non dissi nulla. Fu lei a staccarsi da me e a guardare scioccata la mia ferita.
«Oh... Louis... io... mi dispiace...» sussurrò, asciugandosi le lacrime.
«Non è colpa tua, Jordan» mormorai, toccandomi la ferita.
«Sì! Sì, invece! Lo è! È colpa mia perché... non so che cosa sono! Cosa sono io, Louis?» domandò, lasciandosi cadere sul letto, sfinita.
«Io... non lo so... ma, credimi... se potessi fare qualcosa per scoprirlo...»
«No! Non voglio coinvolgerti in questa storia! Lo scoprirò da sola e non ti permetterò mai più di proteggermi, chiaro?»
Mi stesi sul letto e voltai il viso verso il suo.
«Sono già coinvolto, Jordan! Quel coso... una volta mi ha detto che voleva anche me... ci sta cercando entrambi, Jordan, lo capisci?»
«Non voglio più che ti faccia del male»
sussurrò, baciandomi delicatamente il petto, sopra la maglietta rovinata.
«Non lo farà se lo fermeremo in tempo...» proposi, anche se non sapevo come.
«Ma come? Io non so nulla di lui!»
«Beh... sappiamo che il fuoco è il suo punto debole. Prende sempre fuoco, alla fine dei sogni»
le feci notare, portando la mano tra i suoi capelli. Cominciai ad accarezzarla dolcemente, perché si calmasse.
«Sì, hai ragione, ma... lui non vuole parlare...» Fissai il soffitto per qualche secondo, in silenzio. Alla fine, quasi come un'illuminazione, mi resi conto di quale fosse il vero problema.
«Jordan... il problema non è da dove arriva lui, ma... da dove arrivi tu! Perché continua a ripetere che il tuo sangue è contaminato e sporco? Ho letto il diario di tua madre e lì ripeteva le stesse cose»
«Louis... i miei non sono morti nell'incendio... quella è stata l'estrema conseguenza... i miei genitori sono stati uccisi dall'uomo nero, che stava cercando me. Non ricordo nulla. Ho solo immagini confuse dei miei genitori che gridano e che vengono ammazzati e di mia madre che mi copre col suo corpo e mi sussurra che io sono destinata a salvarli. L'uomo nero ha detto anche quella sera che il mio sangue avrebbe pagato il loro peccato e poi... poi è scoppiato l'incendio e lui è bruciato insieme a tutto il resto. Io... non so come sono uscita viva da lì»
spiegò, senza prendere aria. Era come se per la prima volta avesse realizzato che tutto quello aveva un filo conduttore.
«Dobbiamo risalire alle origini della tua famiglia, Jordan... è l'unico modo che abbiamo... o almeno l'unico che mi viene in mente... faremo finire questi incubi, vedrai!»
«Il problema è che... non so più fino a che punto si tratti di incubi... non riesco più a distinguere i sogni dalla realtà...»
mormorò, abbassando lo sguardo sulla mia ferita. Per fortuna il graffio non era molto profondo e inguaribile, ma lo sarebbe diventato se lei non avesse gridato. In qualche inspiegabile modo era stata lei a far scoppiare l'incendio e mi aveva salvato la vita. «Devo curarti almeno un po' prima di uscire di qui...» disse, portando le mani sulla mia camicia. Annuii, mentre lei la apriva lentamente, un bottone per volta. Mi sorpresi di quanto, nonostante il dolore che provassi, quel gesto fosse estremamente appagante, anche se lento. Persino quel semplice e appena accennato contatto con le sue dita stava avendo uno straordinario effetto benefico su di me. Jordan fece scivolare la camicia sporca di sangue lungo le mie braccia e la lasciò in un angolo del letto. I suoi occhi caddero sul mio petto per un attimo che parve eterno, sembrava imbarazzata e dispiaciuta allo stesso tempo. Scosse la testa e si alzò in piedi.
«Se è stato solo un incubo significa che gli altri stanno ancora dormendo, spero... vado a vedere se in bagno riesco a trovare qualcosa...» propose, prima di sgusciare velocemente fuori dalla stanza. Rimasi solo, ma cercai di non pensare. Lei ritornò qualche minuto dopo, con il disinfettante tra le mani. S'inginocchiò davanti a me sul letto e cercò i miei occhi, preoccupata. «Non sono riuscita a trovare granché, ma è meglio di niente... solo che... farà un po' male...» bisbigliò. Io sorrisi in modo rassicurante.
«Andrà tutto bene, finché sarai tu a farmi da infermiera» dissi, ammiccando per provare a sdrammatizzare. Jordan cercò di sorridere e fece roteare gli occhi in segno di esasperazione, poi cominciò a disinfettarmi la ferita. Mi morsi il labbro con tutta la forza che avevo, perché il bruciore era insopportabile. «Cazzo!» imprecai. Jordan rise e fece scivolare la mano sulla mia pancia, fino al bordo dei jeans.
«Affronti l'uomo nero tutto da solo e hai paura di un po' di disinfettante?» domandò, prendendomi in giro. Mi sforzai di ridere, ma non ci riuscivo.
«M-Ma... questo brucia» balbettai, sollevandomi sui gomiti. Jordan ridacchiò di nuovo e passò ancora un po' di disinfettante sulla ferita, facendomi strizzare gli occhi per il dolore. Le presi le mani e le strinsi. «Lasciami abituare all'idea! Nemmeno da piccolo mi aveva mai bruciato così tanto» dissi, supplichevole.
«Ricordo che una volta sei caduto in bicicletta, ti sei sbucciato tutte le ginocchia e piangevi come un bambino! Il dolore non fa proprio per te, Louis, vero?» esclamò, ridacchiando.
«Quando cado sul campo non mi lamento così, ma nessuno mi cura mai così bene come te ora!» Jordan sorrise e quello fu il sorriso più bello che mi aveva regalato in una sera.
«Oh allora il piccolo Tomlinson ce l'ha fatta a diventare un calciatore!»
«No, no... non credo che mi porterà da qualche parte, però me la cavo!»
«Beh... io sono sempre stata più brava di te!»
disse, divertita. Giocavamo sempre a calcio da bambini, ma lei non sapeva nemmeno tenere la palla sui piedi e passava più tempo per terra che a giocare. Risi. Il silenzio fece capolino nella stanza, riempiendo d'imbarazzo l'atmosfera tra noi due. Jordan distolse lo sguardo dal mio corpo e improvvisò un colpetto di tosse. «Dovremmo andare...»
«S-Sì... cerco una maglietta di Nate... non vorrei dare nell'occhio in caso qualcuno ci vedesse uscire»
risposi, prima di alzarmi, molto lentamente. Le passai la mia camicia ancora sporca di sangue, che Jordan piegò e mise nella sua borsa, poi aprì le ante dell'armadio e ne estrasse una t-shirt che doveva andarmi bene.
«Questa?» domandò, mostrandomela.
«Sì, va bene... senti, Jordan... sono le 7 del mattino, non posso riportarti a casa, ora... i tuoi sospetterebbero qualcosa!» Lei mi guardò confusa per qualche secondo.
«Ti prego... non voglio dover dare spiegazioni a nessuno... non stamattina! Portami ovunque, ma via da qui... per favore...» mi supplicò, alzando lo sguardo verso di me.
«D'accordo...» Scendemmo al piano di sotto e, avendo cura di non farci vedere dai miei amici che ancora dormivano, sgattaiolammo fuori dalla casa di Nate, fino alla mia macchina. Scrissi ad Harry un messaggio per informarlo che stavo tornando a casa. Percorremmo il tratto di strada completamente in silenzio.
«Questa è... è casa tua?» domandò, indicando l'edificio.
«Casa nostra, mia e dei ragazzi» precisai. Lei annuì e scese dall'auto. L'accompagnai dentro casa e le versai un bicchiere d'acqua, mentre lei si accomodava e si guardava intorno.


JORDAN'S POV
Quella notte era successo tutto troppo in fretta. Louis aveva scoperto tutto e... mi aveva baciata. Mi era piaciuto, mi era piaciuto da morire sentire le sue labbra sulle mie. Era stato esattamente come lo avevo sognato, ma... avevo paura. Non volevo che Louis si facesse del male e non volevo che ne facesse a me. Mi avevano sempre detto di tenermi lontana dai ragazzi tanto più grandi, perché alla fine cercavano tutti la stessa cosa. Eppure Louis era stato così dolce con me. Mi aveva fatta sentire la ragazza più bella e desiderata del mondo ed io avevo bisogno di quelle attenzioni. Avevo bisogno della sua protezione, per quanto avessi provato a negarlo. Non volevo scoprire la verità da sola, avevo bisogno di lui al mio fianco. E quando mi sfiorava... mi sentivo maledettamente strana, come se avessi aspettato il suo tocco per tutta una vita, inconsciamente. Ogni volta che mi toccava... volevo che lo facesse di nuovo. E ora mi ritrovavo a pensare ancora alle sue labbra, a quanto era stato bello baciarlo, a quanto... volessi farlo di nuovo. D'accordo, stavamo parlando di una situazione pericolosa e più grande di noi, ma... non riuscivo a smettere di pensare a quanto fosse sexy. Nella mia mente di bambina non avrei mai pensato che potesse diventare così, un giorno. Lo osservai, mentre lui pensava al da farsi. Era magro, ma non troppo, al punto giusto. La t-shirt grigia leggermente scollata lasciava immaginare le forme ancora imperfette del suo corpo, che avevo visto. E poi, dopo la vita stretta, beh... c'era il fondoschiena più tondo e sodo che avessi mai visto nella mia misera vita. Era così... perfetto!
«Io... in realtà ti ho portata qui perché avrei un'idea» disse, sedendosi di fronte a me e riportandomi alla realtà.
«Di... di che si tratta?»
«Dobbiamo... scoprire la storia della tua famiglia, Jordan... è indispensabile!»
Annuii. Quando l'uomo nero aveva preso Louis avevo avuto paura, più di quanta ne avessi avuta nel resto della mia vita, da quel giorno. Paura di perderlo e paura di vederlo soffrire.
«Io... non ho mai conosciuto molti dei miei parenti... non so nemmeno i loro nomi» spiegai, bevendo un sorso d'acqua. Louis si alzò, per tornare qualche secondo dopo con un quaderno tra le mani.
«Questo... è il diario di tua madre» disse, porgendomelo. Lo guardai perplessa, prima di prenderlo e rigirarmelo tra le mani. Il viso di mia madre si fece spazio nella mia mente dopo tanto tempo. La prima cosa che ricordai fu il suo profumo. «Ehi... stai bene?» domandò Louis, sollevandomi il viso. Annuii, sforzandomi di sorridere.
«Pensi che... troveremo qualche informazione utile, qui?» chiesi. Lui scosse le spalle. Era adorabile quando lo faceva. Ringraziai dio per averlo ritrovato, forse senza di lui non avrei nemmeno avuto la forza di aprirlo, quel quaderno.
«Non lo so... però un tentativo vale la pena di farlo» Si sedette sulla sedia di fianco alla mia e mi si avvicinò. Mi circondò le spalle con un braccio e sorrise, voltando il viso verso il mio. «Avanti... credo in te, so che ce la puoi fare» disse, prima di aprire il quaderno. Annuii, restituendogli il sorriso, poi cominciammo a sfogliare le pagine, leggendo i ricordi e i momenti più intimi di mia madre. Condivideva tutto con quel diario: gioie, dolori e momenti felici. Ogni pagina parlava di me. Mi pizzicavano gli occhi, ma non era propriamente tristezza. Era solo un po' di nostalgia e la consapevolezza di non aver potuto passare la vita al suo fianco. Louis mi teneva stretta, quasi a non volermi lasciare piangere. E in un certo senso mi sentivo più forte. Ad un tratto il mio sguardo cadde su un nome, scarabocchiato frettolosamente sul foglio di carta.
«La zia! La zia Jasmine!» esclamai, alzandomi in piedi euforica. Louis mi guardò perplesso, ma con uno strano luccichio negli occhi.
«Ovvero?» domandò, confuso.
«La zia di mia madre... l'ho vista solo una volta in tutta la mia vita... deve avere circa un'ottantina d'anni, ma se è ancora viva e abita ancora qui... la troveremo a Doncaster!» spiegai. Louis annuì, passandosi una mano tra i capelli.
«Quindi... è solo un'ipotesi...»
«Veramente è solo una ragionevole speranza»
precisai, mentre cercavo di ricordare dove abitasse la zia.
«Beh... meglio che niente... allora sei pronta per andare a cercare la zia?»
«C-Che... cosa? Subito?»
boccheggiai, preoccupata. Louis mi prese le mani e mi tirò su dalla sedia. Barcollai per il suo gesto inaspettato e mi appoggiai a lui. Louis sorrise e mi stampò un veloce bacio sulle labbra.
«Io dico che non c'è tempo da perdere!» esclamò. Scoppiai a ridere e uscimmo di casa insieme. La prima tappa fu il comune, perché se la zia abitava ancora lì, sicuramente avrebbero saputo fornirci indicazioni.
«Potrei... sapere dove abita Jasmine Sanchez?» domandai all'impiegato. L'uomo mi osservò in modo torvo per qualche secondo, probabilmente domandandosi perché una ragazza della mia età volesse saperlo. «È mia zia e non la vedo da tempo» spiegai, cercando di dare un tono patetico alla faccenda. Lui annuì e si mise a controllare gli archivi al computer. Mi porse un foglio con un indirizzo scarabocchiato.
«Mi dispiace» disse, congedandoci. Non capii per quale strana ragione si stesse dispiacendo, finché io e Louis non raggiungemmo la destinazione: la zia era stata chiusa in una specie di casa di riposo. Fantastico!
«Temo che abbiamo perso anche questa speranza!» mormorai. Louis scosse la testa e prese la mia mano, lasciando scivolare le dita tra le mie.
«Non dire stupidaggini! È in casa di riposo, non è morta... il che è un passo avanti!» Ma come faceva ad essere sempre così positivo? Chiesi alla donna dietro al bancone dell'entrata dove potessi trovare Jasmine, ripetendo alla perfezione la storia della zia che non vedevo da tempo. Nemmeno quella era una bugia, dopotutto. Raggiungemmo la stanza che ci era stata indicata, ma nessuno di noi due aveva voglia di entrare. Non sapevamo esattamente come affrontare quella situazione. Presi un profondo respiro e misi la mano sulla maniglia, ma proprio in quel momento qualcuno ci interruppe.
«E voi sareste? Se posso saperlo...» Mi voltai e una ragazza mi guardò in modo accigliato. Aveva circa 22 o 23 anni e indossava un camice da infermiera.
«Io sono Jordan... sono la figlia della nipote di Jasmine... e lui è Louis...» spiegai, senza dare troppe informazioni. La ragazza rise e si appoggiò alla parete, sostenendo un mazzo di fiori colorati.
«Jordan eh? La famosa Jordan Davis! La signora Sanchez parla sempre di te!» disse, ma senza guardarmi. Il suo sguardo era solo ed esclusivamente addosso a Louis.
«Famosa?» cercai di richiamare la sua attenzione, ma mi resi conto che prima di dirmi qualsiasi altra cosa voleva finire la minuziosa e attenta osservazione di Louis in ogni dettaglio. E Louis non era da meno, la fissava in modo incuriosito. Dovevo ammettere che era una bella ragazza, ma...
«Sì... lei e chi è venuto a trovarla negli ultimi tempi hanno detto un sacco di cose su di te! Non tutte belle, devo ammetterlo...» esclamò lei, degnandosi finalmente di parlare e interrompendo il filo contorto dei miei pensieri. La situazione si faceva sempre più confusa.
«P-Posso vederla?» domandai, titubante. La ragazza si staccò dalla parete e aprì la porta della stanza al posto mio.
«Se ci tieni» disse, facendomi cenno di entrare. Non mi ero sbagliata: la zia Jasmine aveva circa 80 anni suonati ed era rugosa e pallida come un cencio, stancamente accasciata sul letto con la televisione accesa. «L'abbiamo portata qui perché a casa da sola non poteva più stare. Io lavoro qui come infermiera, ma sono stata con lei a casa per più di due mesi, come badante. Poi la situazione ha cominciato a degenerare, aveva le allucinazioni, delirava e diceva cose senza senso, perciò hanno creduto che stesse diventando pazza... anche se io non credo che fosse tutto frutto della sua immaginazione» spiegò la ragazza, poi si rivolse alla donna:
«Buongiorno Jasmine, sono io, Carol... come sta oggi?» domandò, appoggiando i fiori sul comodino e sistemandole il cuscino sotto la testa. La zia in tutta risposta tossicchiò e ci indicò con la mano. «Sì, ci sono ospiti per te, oggi! La ragazza è Jordan, la figlia di tua nipote, ricordi?» La zia spalancò gli occhi, fissandomi.
«Oh... piccola Jordan, fatti guardare...» mormorò, facendomi cenno di avvicinarmi. Feci come mi aveva chiesto e mi sedetti sulla sedia di fianco al suo letto.
«Mi dispiace di non essere mai venuta a trovarti, ma sono stata adottata e i miei genitori adottivi mi hanno portata a Manchester» spiegai. Jasmine mi accarezzò la mano, appoggiandola sul letto.
«Non preoccuparti, cara... piuttosto... dimmi come stai...» faceva fatica a parlare, ma a me sembrava fin troppo lucida per una casa di riposo.
«Bene, all'incirca... a parte in quest'ultimo periodo...» La zia annuì e chiese a Carol di allontanarsi. La ragazza mi schioccò un'occhiataccia gelida, che mi fece subito intuire che non avesse molta simpatia nei miei confronti, poi uscì, dopo aver dato un ultimo sguardo anche a Louis. Ovviamente non freddo quanto quello per me, anzi...
«Sei qui per sapere di tua madre, vero?» domandò, come se avesse già capito tutto. Io non feci altro che annuire. «Vedi, tesoro... l'unica colpa di tua madre è stata quella di essersi innamorata di tuo padre...» cominciò. Sobbalzai, cercando Louis con lo sguardo. Qual era il problema con mio padre, ora?
«Che... che c'entra papà adesso?» chiesi, preoccupata. Louis si avvicinò al letto e mise una mano sulla mia spalla.
«Chi è questo ragazzo, cara?» chiese, cambiando argomento.
«Lui è Louis... Louis Tomlinson, te lo ricordi? Se sei venuta a trovarci qualche volta dovresti averlo visto» risposi. La zia alle mie parole sgranò gli occhi e cominciò a respirare più velocemente.
«Lascialo stare, tesoro... allontanalo finché sei in tempo... non fare lo stesso errore di tua madre...» balbettò, prima di scoppiare a tossire. La sua crisi di tosse si fece più forte e Carol entrò immediatamente nella stanza. Mi guardò furiosa, come se fossi stata io a farle del male. Stavo per andarmene, ma la zia mi strinse di nuovo la mano e lasciò scivolare qualcosa tra le mie dita. Lo presi e uscii di corsa dalla stanza, seguita da Louis. Abbassai lo sguardo, non appena lui cercò di guardarmi.
«No, no, no! Assolutamente no! Non lo devi pensare nemmeno, hai capito? Io non ti lascio affrontare questa cosa da sola! Non voglio nemmeno che ti sfiori l'idea di lasciarmi perdere, d'accordo?» esclamò, alzando il tono. In men che non si dica mi ritrovai con la faccia contro il suo petto, circondata dalle sue braccia.
«D-D'accordo» balbettai.
«Promettimelo!» No, non gli avrei dato quella soddisfazione. Stavo per ribattere, quando Carol uscì dalla stanza e mi strappò dall'abbraccio di Louis, infuriata.
«Hai visto cos'hai fatto? Per colpa tua ha avuto un'altra crisi!» mi accusò.
«Che cosa? Io non le ho detto nulla!»
«Ma proprio non ci arrivi, tesoro? Tuo padre era un umano, le razze mischiate non vanno mai bene insieme!»
urlò. Credevo che il mio cervello non connettesse più, probabilmente stavo ancora sognando. Umano? Perché... mia madre che cos'era, allora? Louis spalancò la bocca, sorpreso e confuso quanto me.
«Io non... non capisco... ma tu come...» Carol sospirò.
«Ho vissuto più tempo io con tua zia che chiunque altro! So tutto di lei, o quasi almeno... mi ha parlato tante volte! Ti ha dato il ciondolo, vero?» disse, spiegandomi la situazione. Io annuii. Non mi stava affatto simpatica, ma era l'unico modo per arrivare alla verità. «Perfetto... allora ti darò indicazioni per arrivare nel luogo dove sono custoditi i segreti della tua famiglia... ah, per tua informazione: tu sei conosciuta da tutti come Jordan mezzo sangue.» Mezzo sangue? Mia madre non era umana. Mio padre lo era. Io lo ero solo per... metà. Questo era tutto quello che avevo capito. Mi diede un pezzo di carta con un indirizzo, prima di salutarci con un ultimo consiglio.
«Se fossi in te... lui lo lascerei fuori da tutta questa faccenda!» disse, indicando Louis. La ringraziai e ce ne andammo.
«Hai visto? Tornatene a casa, Louis!» mormorai, incamminandomi a piedi lungo la strada. Sentii Louis rincorrermi, poi la sua mano stretta intorno al mio braccio, fino quasi a farmi male.
«No! Ti ho già detto che voglio arrivare in fondo a questa faccenda! Non m'interessa di quello che ha detto tua zia o quell'altra pazza dell'infermiera! Voglio sapere! Ho il diritto di sapere chi è l'uomo nero e perché non riesco più a dormire la notte! Non farmi questo, Jordan! Non mi lasciare di nuovo quando ho più bisogno di te...» Allentò la presa sul mio braccio, prima di accarezzarlo con le dita, consapevole dei segni che aveva lasciato. Non risposi. Non sapevo cosa fare. «Ti prego» mormorò, supplicandomi. Sospirai e annuii. In fondo, se voleva sapere era un suo diritto. Poi però lo avrei lasciato in pace. Dopotutto cominciavo a capire: mio padre era umano, mia mamma non lo era. Questo faceva di me un qualcosa non del tutto umano, mentre Louis... Louis era umano a tutti gli effetti. E "le razze mischiate non vanno mai bene insieme" aveva detto Carol. Guardai l'indirizzo sul foglio e sospirai. Sapevamo entrambi dov'era quel posto. Eravamo diretti al vecchio cimitero di Doncaster.





Angolo darkryry

L'uomo nero chi sarà? Ormai nemmeno Louis e Jordan riescono a capire se si tratta davvero di incubi o altro.

Ed in questo capitolo abbiamo anche scoperto qualcosa che riguarda la famiglia di Jordan. Cosa li aspetterà al vecchio cimitero?

Lo scoprirete solo continuando a leggere ;)


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