Facing Demons
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Cover by @herslaugh
Facing Demons
JORDAN'S POV
Uscii da scuola con lo zaino a pesarmi sulle spalle e un macigno a stringermi lo stomaco. Avevo mandato decine di messaggi a Louis. I primi solo per chiedergli come mai non fosse a scuola, poi un paio di squilli a vuoto, dopodichè avevo cominciato a preoccuparmi seriamente. I seguenti messaggi erano stati per chiedergli dove fosse, cosa stesse facendo e soprattutto se stesse bene. Non aveva mai risposto. Schioccai le dita nervosamente, mentre Amanda mi teneva stretta a sé. Non appena misi piede fuori dall'entrata dell'edificio, Louis mi corse incontro. Sussultai, lasciando immediatamente andare Amanda.
«Jo, piccola... io... dobbiamo parlare» disse, il respiro affannato. Lo fissai allibita. La sua espressione tradiva una certa preoccupazione che notai subito. I suoi occhi erano più scuri del solito e mi ero accorta che diventavano così solo quando era particolarmente nervoso o agitato. Però non poteva presentarsi così fuori da scuola, senza nemmeno salutarmi, dopo non aver risposto ai miei messaggi e alle mie chiamate e avermi fatta stare in pensiero per una mattina intera. Non avevo pensato che volesse lasciarmi, non solo perché ero certa che non lo avrebbe fatto così facilmente, ma anche perché mi aveva chiamata piccola. Era dolce come sempre, ma il mio primo impulso in quel momento non fu decisamente quello di baciarlo. Alzai la mano e sotto lo sguardo allibito di tutti, le mie dita si spalmarono con un sonoro rimbombo sulla guancia di Louis, che spalancò immediatamente gli occhi e la bocca, scioccato dal mio gesto.
«Fo-fottiti, Louis» balbettai, guardandolo mentre si massaggiava la guancia. Notai con la coda dell'occhio Amanda allontanarsi per lasciarci soli ed apprezzai la sua decisione, ringraziandola mentalmente. Louis mi prese il polso, in modo da farmi alzare gli occhi su di lui.
«Jordan... ma che... perché l'hai fatto?» domandò, la voce piatta ma non alta. Gli occhi cominciarono a pizzicarmi, però m'imposi di non fare la femminuccia davanti a lui, per un motivo ridicolo, poi.
«Mi... mi hai terrorizzata, ero preoccupatissima»
«È... è solo per questo?» chiese, prendendo ad accarezzare il mio polso con dolcezza. Mi lasciai leggermente andare sotto il suo tocco. Sospirai.
«Mi hai promesso che saresti venuto a scuola, mi hai promesso che ti saresti impegnato... mi hai detto che stamattina ci saremmo visti! Io... ti ho mandato decine di messaggi, ti ho chiamato! Ero terrorizzata e tu... tu te ne sei stato in giro a farti i cazzi tuoi senza nemmeno dirmi se stavi bene! Poi ti presenti qui e mi urli che dobbiamo parlare senza nemmeno salutarmi! Cazzo, Louis! Io... non voglio che ti comporti così!» gridai, senza preoccuparmi minimamente delle persone che ci stavano intorno. Louis scosse la testa e strinse maggiormente la presa sul mio polso, prima di trascinarmi verso la strada, lontano da occhi indiscreti.
«Senti... tutto quello che ho fatto... l'ho fatto per te... sono stato da Carol!»
«Cosa? Sei andato da quella stronza? E a fare cosa?» domandai, sentendo la voce alzarsi di diverse ottave. Cos'era andato a fare da Carol?
«No è che... volevo vedere Jasmine, ma lei non...» Louis non riuscì a finire la frase, perché il mio cellulare prese a squillare insistentemente. Sospirai e lo estrassi dalla tasca. Sbuffai non appena lessi il nome di Luke sul display. «Chi è?» chiese Louis, cercando di vedere lo schermo del mio cellulare. Rifiutai la chiamata e riposi il cellulare nei jeans.
«Ne-nessuno» mormorai, imbarazzata. Cercavo di non guardarlo, ma sentivo il suo sguardo bruciare su di me.
«Ora mi nascondi anche le cose?» sbottò, la sua voce si era notevolmente alzata.
«Oh, ma senti chi parla! Proprio tu? E poi io non ti nascondo niente, Louis! Un bel niente! Devo... devo uscire con Luke e mi sta aspettando! Voleva solo sapere dove fossi finita!» Louis alzò gli occhi, incatenandoli ai miei. Sussultai. Era visibilmente irritato e mi preoccupava.
«Cosa? I-io... io ora ho bisogno di te e tu... tu preferisci uscire con quello?» domandò, alzando le braccia. Mi morsi il labbro, nervosa. Scossi la testa, pensando a come replicare. Presi un profondo respiro e gli diedi un colpo sul petto con la mano, poi un altro, facendolo indietreggiare.
«Hai... hai bisogno di me? Ora mi dici che hai bisogno di me... e quando io avevo bisogno di te stamattina? Dov'eri? Dov'eri, eh? Tu non c'eri... c'era Luke, però! Lui... mi ha fatta sorridere mentre tu mi facevi stare in pena per te! Quindi sì, se non ti dispiace ora preferisco uscire con... con 'quello'» Louis rimase fermo, gli occhi sbarrati. Mi prese le mani, ancora sul suo petto.
«Mi dispiace... io non pensavo che...»
«Lo so, lo so Louis... va tutto bene» mormorai, abbassando gli occhi sulle mie scarpe.
«Scusa, so che non avrei dovuto farlo, ma...» Lo interruppi, sfiorando le sue labbra con le mie.
«D'accordo, ma... ora lasciami uscire con Luke. Ho... ho voglia di uscire un po' e di non vederti ancora per qualche ora, scusa» Louis annuì semplicemente.
«V-va bene, ho capito... però appena ti è passata vieni da me, ok? Mi... mi dispiace, davvero. Io non volevo farti stare male... non volevo fare il geloso e... non volevo litigare» sussurrò, prendendomi la mano. Sorrisi e annuii.
«Ci... ci sentiamo, Lou»
LOUIS'POV
«Cazzo!» urlai, non appena entrai in camera mia.
«Lou, calmati per favore! Non ti ha lasciato!» mi ricordò Harry dall'altra parte della mia porta. Diede un paio di colpetti, ma io non risposi e affondai la testa nel cuscino.
«Vattene Haz! L'ho trattata malissimo, ha ragione!» mormorai, soffocando le parole nell'imbottitura del cuscino.
«D'accordo, sì, ma... ha capito, non è successo niente, davvero! Sono cose che capitano nelle coppie!» tentò di farmi capire. Ma il punto era che ora la mia ragazza era fuori con un altro ragazzo, che l'aveva consolata e fatta ridere mentre io... ero in giro! Non avevo sbagliato ad andarmene, ma avevo sbagliato a non dirle nulla. E ora ero preoccupato che quello scemo potesse provarci, o peggio ancora toccarla o... non sapevo nemmeno io cosa pensare. Persino un sorriso da parte di Luke per me sarebbe stato catastrofico. E se lei gli avesse rivolto uno di quei sorrisi che faceva solo a me? Cos'avrei fatto, io?
«Harry?» lo richiamai, sollevandomi. Non ricevetti alcuna risposta, così ci riprovai. Di nuovo nulla. Pensai che fosse a fare una doccia, ma era trascorso troppo tempo e poi sapevo che Harry non era tipo da rassegnarsi facilmente. Deglutii, preoccupato. In casa dovevano esserci solo Harry e Liam, così provai a chiamare Liam. Ma per un secondo, tutto quello che sentii fu un silenzio agghiacciante. Ci riprovai. Tutto quello che ottenni fu un urlo agghiacciante e poi un rumore sordo, come se qualcuno fosse caduto. L'urlo era stato sicuramente di Liam.
«Liam» gridai, precipitandomi fuori dalla mia camera.
«Ciao, ti sono mancato?» Sussultai, sbattendo contro il muro non appena vidi l'uomo nero. Scossi la testa. Mi guardai intorno, per cercare Harry e Liam, preoccupato. L'uomo nero ridacchiò, alzò una mano ed io sobbalzai, temendo che mi avrebbe ucciso all'istante. Volevo almeno sapere se i miei amici stavano bene. Lui però non mi toccò, si limitò a togliere il cappuccio nero che lo copriva. Sgranai gli occhi e repressi una smorfia disgustata. L'avevo già visto una volta, ma così era ancora più traumatico. Il suo viso era un agglomerato di sangue, la sua bocca era appena un taglio sul volto da cui spuntava una fila di denti affilati. Si erano proprio impegnati per farlo brutto, pensai. Ma mi resi immediatamente conto che stavo per morire, quindi non era il momento giusto per fare del sarcasmo, anche se ormai mi ero messo il cuore in pace da un pezzo. Lo aspettavo quasi tutte le notti ormai, ma lui non arrivava mai, da quando io e Jordan stavamo insieme. Sussultai, colpito da un pensiero che si fece prepotentemente strada nella mia mente: io e Jordan avevamo appena litigato.
«Non preoccuparti, i tuoi amici stanno bene, li ho solo... colpiti un po'. Sono svenuti, ma si riprenderanno... solo che al loro risveglio tu non ci sarai» disse, affilandosi le unghie. Deglutii, ma mi accorsi di avere la gola secca. Le mani mi tremavano e le gambe erano diventate due macigni, non volevano staccarsi dal punto in cui le avevo piantate. La paura era davvero bastarda, non ti permetteva nemmeno di muoverti. Con uno sforzo immenso, alzai il viso per guardarlo. I ragazzi non lo avevano mai visto prima di allora. Era sempre comparso solo nei miei sogni... «No, questo non è un sogno, Louis. Questa è la realtà e io vi ho finalmente trovati. Ma non preoccuparti, tu morirai per primo, così non vedrai morire la tua amata ragazzina» Jordan... mentre l'uomo nero mi prendeva per l'ennesima volta, graffiandomi con le sue unghie, l'unico pensiero che riuscivo ad avere era lei, era lei e tutto l'amore che provavo per lei. Mi rendeva forte, mi rendeva preparato. Sarei morto con orgoglio, almeno. Sarei morto e il suo nome sarebbe morto sulle mie labbra, sarei morto sussurrandole di amarla, come se potesse sentirmi. Ma almeno non mi sarei tenuto dentro tutto quello che sentivo.
«Mi hai già sconfitto una volta, non ti lascerò vincere la guerra»
JORDAN'S POV
Sentivo un senso di vuoto ed incompletezza. Lasciare Louis così mi aveva riempito di veleno. Mi sentivo un verme schifoso, perché ora ero lì con Luke, mentre lui diceva di aver bisogno di me. Ma in fondo era così... continuavo a ripetermi che in una relazione ogni tanto si doveva pur litigare. Che poi la nostra non era stata nemmeno una litigata vera e propria. Dopotutto avevamo anche fatto pace. E poi... in una relazione c'era anche bisogno dei propri spazi, nessuno m'impediva di uscire con un amico. Mentre tentavo in tutti i modi possibili ed immaginabili di giustificarmi, Luke mi sventolò un cono gelato sotto il naso e si sedette sulla panchina dove mi aveva lasciato qualche minuto prima.
«Tutto bene?» chiese, leccando un po' del cono gelato che aveva in mano. Io guardai il mio titubante, all'improvviso non avevo più molta fame. Scossi la testa e mi decisi a gustarmi quel gelato com'era giusto che fosse. Io non avevo torto, o almeno... lo avevo solo in parte.
«Sì... tutto bene» mentii. Ero logorata dai sensi di colpa.
«Dai... vedrai che risolverai con quel coglione del tuo ragazzo!» Ridacchiai e gli diedi un colpetto con il gomito.
«Louis non è un coglione!» protestai, facendogli una linguaccia. Luke rise e mi circondò le spalle con un braccio attirandomi maggiormente a sé.
«Beh... ti ha lasciata sola... e questo fa di lui un coglione, scusa!» Alzai lo sguardo e notai che mi stava fissando. Il suo sguardo m'infastidì un po', a dirla tutta. Era come se con una sola occhiata stesse cercando di scoprire i miei segreti più profondi. Non era uno sguardo come quelli di Louis, quelli erano caldi, possessivi, dolci... un sacco di cose messi insieme. Ma non m'infastidivano, non m'infastidivano mai. Distolsi i miei occhi dai suoi, imbarazzata.
«Comunque... ora abbiamo già risolto, non preoccuparti» dissi, sperando di poter cambiare argomento. Lui annuì, con uno strano sorrisetto sulle labbra, come se la cosa lo infastidisse.
«Mi preoccupo, invece. Mi preoccupo eccome... non voglio che tu stia male. E onestamente... credo che tu ti meriti di meglio di uno come Tomlinson. Insomma... lo hai visto: non viene a scuola la mattina, ha un rendimento scolastico che rasenta a malapena il 3... nemmeno io sono arrivato tanto in basso e lui è già stato bocciato due volte. Esce sempre il sabato sera e metà della popolazione femminile della nostra scuola è stata con lui!» L'ultima frase mi fece, se possibile, più effetto delle altre. Mi sforzai di sorridere, ma era ovvio che lo sapessi, solo che non volevo pensarci. Pensavo che con me Louis fosse diverso. Per questo motivo quella mattina mi aveva fatto arrabbiare più del dovuto. Ma, in fondo, chi ero io per pretendere che fosse cambiato? Sospirai.
«Louis è quello che è... e io... io mi sono innamorata di lui per quello che è. Non voglio che cambi... perciò, so io che cosa è giusto per me. Louis è la persona che più mi merita al mondo se pensi che il problema sia questo. E comunque... non sono venuta qui per parlare di Louis» aggiunsi, leggermente irritata. Luke annuì e si chinò a darmi un bacio sulla guancia.
«D'accordo... ma se dovessi avere qualche problema fammelo sapere, ok?» disse, gentilmente. Annuii. Volevo molto bene a Luke, ma non ero così ingenua e stupida da non capire cosa stesse facendo, ed io non volevo certo illuderlo. Cambiammo argomento e iniziammo finalmente a parlare del più e del meno. Solo che la mia mente era costantemente occupata dal pensiero di Louis.
«Prendo un altro gelato... ti va?» domandò ad un tratto Luke, alzandosi dalla panchina. Scossi la testa sorridendo e gli dissi che ero già piena così. Luke mi fece cenno di aspettarlo e corse a comprare un altro regalo. Non appena si fu allontanato di qualche metro dalla panchina, il primo impulso fu quello di prendere il cellulare dalla tasca. Non c'erano chiamata di Louis, non c'erano messaggi. Nulla, il vuoto più totale. Aveva fatto come gli avevo chiesto. Sospirai e come spinta da un istinto più forte di me, composi il suo numero che ormai conoscevo a memoria. Il telefono squillò a vuoto. Possibile che non volesse nemmeno parlarmi? Eppure aveva detto che doveva dirmi una cosa importante, finita la mia uscita con Luke. Incrociai le gambe, agitata. Non sapevo perché, ma una paura ingiustificata invase tutto il mio corpo, facendomi rabbrividire. Provai a chiamare anche Harry, che doveva essere a casa con lui, ma nemmeno quest'ultimo mi rispose. Sentivo qualcosa di strano. Magari era semplicemente sotto la doccia o non poteva o non voleva rispondere. Eppure mi sentivo come se gli fosse successo qualcosa. Per qualche strano motivo il mio cuore prese a battere così forte che riuscivo a sentirlo martellarmi contro il petto. Nel giro di un secondo il mio sorriso svanì del tutto, lasciando spazio alla consapevolezza che Louis era in pericolo. E non sapevo perché lo credessi, ma... lo sapevo, lo sapevo e basta. Non c'era un motivo preciso per saperlo, ma io lo sapevo. E volevo e doveva andare da lui, subito. Mi alzai di scatto dalla panchina e raggiunsi di corsa Luke.
«Luke... devo... devo andare a casa, subito!» gridai, strattonandolo per la spalla.
«C-che... che succede?» domandò, preoccupato dalla mia reazione. Aprii la bocca per parlare, ma mi resi conto che non potevo dirgli la verità, non potevo dirgli che volevo andare da Louis perché avevo la forte sensazione che gli stesse succedendo qualcosa.
«Ehm... mia... mia mamma ha detto che ha bisogno di me a casa» spiegai, concitata. Mi resi conto che il mio respiro era irregolare e che gesticolavo in modo sconnesso. Non era credibile come scusa, perché era impossibile essere così agitati per un ordine materno, ma lui parve berla.
«Oh... d-d'accordo... allora ti riporto a casa» mormorò, ancora confuso. Raggiungemmo in fretta e furia il suo motorino, con cui eravamo arrivati, mi porse il casco che teneva nel sotto sella e in men che non si dica mise in moto, velocizzato dalla mia agitazione. Per fortuna Luke non era mai stato a casa mia, perciò potevo tranquillamente mentirgli sulla via della mia abitazione e indirizzarlo il più vicino possibile a casa di Louis. Gli diedi le indicazioni e mi feci lasciare all'edificio di fronte a quello dei ragazzi. Scesi dal motorino e gli porsi il casco, poi, giusto per essere credibile, gli stampai un bacio sulla guancia e lo ringraziai per il bel pomeriggio passato insieme. Luke ricambiò, poi senza aggiungere altro scomparve in fondo alla via. Presi un respiro profondo. Non sapevo perché fossi così agitata. In fondo non era detto che gli stesse succedendo qualcosa, vero? Magari era solo uno stupido presentimento. Eppure... mi tremavano le mani, sentivo il cuore battere all'impazzata e avevo... paura. Non era la prima volta che mi succedeva. Era successo nel mio sogno, la prima volta che avevo scoperto che l'uomo nero lo aveva trovato e ridotto uno straccio. Mi avviai di corsa verso la porta d'ingresso e bussai più volte. Ovviamente era chiusa a chiave e nessuno voleva aprirmi. Spinsi più volte sulla porta, ma non l'avrei forzata neanche volendo.
«Louis» urlai, per sapere se stava bene.
«Jo-Jordan...» il suo grido parve strozzato e sorpreso allo stesso tempo. Ma almeno sapevo che era lì e sapevo che stava davvero succedendo qualcosa.
«Louis... sto arrivando» dissi, certa, anche se ancora non sapevo come avrei aperto quella porta. Eppure sentire la sua voce mi aveva messo una strana forza addosso, mi sentivo energica come non lo ero mai stata.
«Jordan, piccola... vattene via» gridò di nuovo, questa volta in tono più alto. Sentii una risata metallica e spaventosa, quella tipica dell'uomo nero. Poi un rumore assordante e un urlo di dolore... di Louis. Gli occhi mi pizzicavano e le lacrime minacciavano di uscire da un momento all'altro, ma ero determinata, volevo salvarlo come lui aveva fatto con me. E l'avrei fatto. Mi concentrai sul suo sorriso, sui suoi occhi azzurri come il cielo, sui suoi sussurri mentre facevamo l'amore, sul suo corpo unito al mio. Diedi un colpo fortissimo alla porta e in men che non si dica le fiamme divamparono nel punto che avevo toccato. La porta si bruciò quel tanto che mi bastava per aprirla, finalmente. Lo vidi in piedi davanti a Louis, rannicchiato per terra, con le ginocchia sul petto, sanguinante. Mi sentii improvvisamente mancare, ma poi mi resi conto che avevo appena dato fuoco alla porta. Ero stata io. L'avevo fatto io. E non appena avevo tolto le mani il fuoco si era spento. Fissai Louis con gli occhi sgranati e l'aria cominciò di nuovo a scorrere nei miei polmoni. Il suo sguardo spaventato... non appena i suoi occhi incontrarono i miei mi resi conto che Louis non aveva paura per sé, non aveva paura di morire. Aveva paura di soffrire e aveva paura che io restassi lì, perché non voleva vedere me soffrire. Ma io non lo avrei lasciato. Gli dovevo la mia vita, ed era ora di ricambiare il favore. L'uomo nero si voltò verso di me, ghignando. Sussultai, spaventata. Quella era la prima volta che vedevo l'assassino dei miei genitori in faccia.
«Bastardo... lascialo stare» sibilai, prima di ritrovare una forza che non credevo di avere. Mi buttai su di lui, rendendomi immediatamente conto di quanto quel gesto fosse ridicolo. Gli strinsi le braccia intorno al collo e avvinghiai le gambe in modo da sorreggermi, aggrappata alla sua schiena. In meno di un attimo sentii le sue unghie sulla mia schiena. Gridai, sopraffatta dal dolore intenso e bruciante. Louis si contrasse per terra.
«Jordan... Jordan vattene ti prego» L'uomo nero mi prese e mi lanciò per terra, di fianco a lui. Louis mi sfiorò appena, per cercare un contatto. «Ti prego...» mormorò. Non lo ascoltai, mentre l'uomo nero si chinava su di me.
«Perfetto... mi risparmierete il compito di uccidervi uno per volta!» esclamò l'uomo nero, con la sua voce fredda. Trattenni le lacrime a stento. L'uomo nero appoggiò il dito contro il mio ventre. Lo guardai con tutto il coraggio che avevo, ma poi mi voltai verso Louis, era l'ultima visione che volevo avere prima di morire. Volevo parlare, ma la voce non usciva. Prima che potessi rendermene conto, Louis sollevò con fatica una mano e mi accarezzò dolcemente il viso, scostandomi i capelli. Fece una smorfia che riuscì a trasformare in un sorriso. Sentii il cuore perdere un battito per quel sorriso. Poi la sua mano scivolò sulla mia, proprio mentre l'uomo nero cominciava a muovere il dito, finché non raggiunse il mio petto, esattamente dove c'era il cuore. Louis mi strinse la mano. All'improvviso sentii il cuore accelerare, sotto la sua unghia. Mi concentrai di nuovo su Louis e sollevai le mani fino a raggiungere le gambe dell'uomo nero. Lo strinsi con tutta la forza che mi restava. Non ci volle molto perché le fiamme divampassero dal punto in cui lo avevo toccato. L'uomo nero gridò, mentre le fiamme lo facevano diventare velocemente cenere. Io potevo fare tutto quello. Io ero forte... ed ero più forte perché avevo Louis. L'uomo nero scomparve, ma solo per quella volta. Sarebbe tornato.
«Jo-Jordan...» La voce di Louis mi richiamò alla realtà. Strisciai verso di lui con le forze che mi rimanevano.
«Louis... mio dio... io non... mi dispiace» mormorai, mentre sentivo le lacrime prendere finalmente il sopravvento. Scoppiai a piangere sopra di lui.
«Jordan... non piangere, per favore. Mi hai salvato, ancora... co-come facevi a...»
«Non... non lo so, ho sentito che avevi bisogno di me» sussurrai, sforzandomi di sorridere. Gli accarezzai il viso, poi i capelli. Mi chinai e gli sfiorai le labbra con le mie. Louis chiuse gli occhi e poi svenne, sussurrando il mio nome.
LOUIS'POV
Mi svegliai con un forte mal di testa. Aprii gli occhi e cercai di mettere a fuoco. Non ero a casa mia. Le pareti bianche, un lettino scomodo, mia madre... mia madre?
«M-mamma? Ma che...»
«Oh, Louis... amore mio, come ti senti?» esclamò, affrettandosi a stringermi tra le braccia. Un forte dolore al petto e alle braccia mi costrinse a sussultare.
«Mamma... piano, per favore» mi lamentai. Lei annuì.
«Scusami tesoro»
«Cos'è successo?» domandai, stranito. L'ultima cosa che ricordavo era l'uomo nero che tentava di uccidere Jordan. Jordan! Dov'era? Come stava? Avevo bisogno di trovarla.
«Oh... ehm... un barbone ubriaco, mentre tornavi a casa... beh... ti ha aggredito per rapinarti. Aveva una bottiglia rotta, ecco perché tutti quei graffi... hai appena fatto in tempo a fuggire e ad arrivare a casa... ma io credo che sia tutto merito di una signorina coraggiosa se ora tu stai bene!» spiegò mia madre. Jordan si era inventata la palla più grossa del secolo e ci erano cascati tutti... era possibile? Non indagai oltre e sentii le guance arrossarsi leggermente mentre mia madre mi sorrideva ammiccante.
«E... l-lei come sta?» domandai, ansioso. Il cuore mi batteva a mille, in attesa di quella risposta.
«Lei sta bene! Era con te, mentre venivate a casa. Ha detto che tu l'hai difesa, per questo non si è fatta molto male. I medici l'hanno controllata, ma ha solo qualche graffio. Alcuni dei tuoi invece erano più profondi... hanno dovuto riempirti di punti... mi dispiace» mormorò, abbassando poi la voce.
«Oh... beh... le cicatrici piacciono alle ragazze, giusto?» domandai, per sdrammatizzare. Mia madre ridacchiò.
«A proposito di ragazze... c'è qualcosa che vuoi dirmi?» domandò, punzecchiandomi. Ero arrivato in ospedale svenuto e pieno di graffi e mia madre mi domandava della mia ragazza! Era incredibile! Sorrisi.
«Beh... stiamo insieme da quasi due mesi, ormai... cioè io e...» mi fermai. Dovevo dirle che era Jordan?
«È una ragazza molto carina... mi ricorda... hai presente quella bimba che giocava sempre con te quando eri piccolo?» Mia madre non aveva mai parlato di quell'argomento, dopo l'incendio, avevamo sempre evitato. Era la prima volta. Sospirai, abbassando lo sguardo. «Solo che... non sarà un po' troppo piccola per te?» domandò, rigirando il coltello nella ferita aperta. Boccheggiai, cercando qualcosa da dire, ma tutto quello che uscì dalle mie labbra fu una confessione, e non una bugia.
«Mamma... è... è lei! La ragazza con cui sto è Jordan Davis, la figlia dei domestici, i Davis» Mia madre spalancò gli occhi e mi fissò come scioccata.
«Cosa?» chiese, incredula.
«Già... è sopravvissuta all'incendio e poi l'hanno data in adozione. I suoi genitori l'hanno portata a Manchester, ma di recente sono tornati qui, perché lei soffriva di disturbi psicologici legati al suo luogo di nascita e al giorno dell'incendio... insomma... lo psicologo ha detto loro di riportarla a Doncaster» spiegai, cercando di sembrare convincente. Beh, non era andata proprio così, ma non era nemmeno tutto falso.
«Oh... ma... chi l'ha salvata?» domandò. Scossi la testa. Nemmeno io lo sapevo. Nessuno lo sapeva.
«Non... non lo so. E lei non lo ricorda...»
«E tu e lei...»
«Io sono innamorato di lei» dissi sincero. Mia madre sorrise, uno di quei sorrisi che non le vedevo da tanto, come se finalmente fosse soddisfatta di qualcosa che avevo fatto.
«In questo caso... lei è qua fuori che sta aspettando di vederti!» disse mia madre, abbracciandomi quella volta con più delicatezza. Annuii e mamma uscì, per fare entrare Jordan. Le sorrise, mentre si scambiavano i ruoli, e la ringraziò di nuovo per quello che aveva fatto.
«Lou... come stai?» chiese timidamente, sedendosi sulla sedia di fianco al mio letto.
«Ora meglio! Tu come ti senti?» Jordan scosse la testa rassegnata e cercò la mia mano sul materasso.
«A me non ha fatto niente, scemo! Solo qualche graffietto! Sei tu l'eroe» sorrise, facendomi un occhiolino. Allungai la mano verso di lei e le accarezzai la guancia, ridacchiando.
«Un barbone ubriaco alle sei e mezza di sera? Ma come ti è venuto in mente?» chiesi, divertito. Jordan alzò le spalle.
«Preferivi che dicessi: "È stato aggredito dal vendicatore: un demone alto due metri con la faccia che gocciola sangue e che ammazza per lavoro i figli mezzosangue nati dall'unione di un demone con un umano"?» esclamò, facendo la voce profonda da trailer dei film. Risi di gusto, anche se mi faceva male persino ridere.
«Sei geniale! E mi hai salvato la vita, piccola»
«I-io... ho capito che eri in pericolo...» Annuii. Non sapevo come avesse fatto a sentirlo, ma il suo intuito aveva funzionato. Forse era per quello che aveva detto la zia Jasmine. I mezzosangue avevano sensi più sviluppati, sotto questo punto di vista.
«Ehi... mi dispiace per come mi sono comportato stamattina, avrei dovuto dirtelo dove stavo andando!» dissi, sincero. Lei annuì e gettò le braccia intorno al mio collo.
«Già... avresti dovuto! Hai visto che faccio bene ad essere preoccupata?» Sorrisi, stringendola, poi l'allontanai di poco, per baciarla. Jordan non se lo fece ripetere due volte e si sedette sul letto, schiudendo le labbra per permettermi di cercare la sua lingua con la mia. Ansimò, non appena portai le mani sotto la sua maglietta.
«Lou... ma non ti faceva male tutto?» domandò, retorica.
«Beh... non mi fa male proprio tutto tutto» risposi, facendole un occhiolino. Jordan rise e mi diede un bacio sulla fronte.
«Ora dovremmo parlare... quella stronza ci ha provato con te vero?» domandò, stizzita. Ridacchiai e le presi la mano, portandola sulle mie labbra.
«Ha solo fatto un po' la gallina! E... Luke ci ha provato?» chiesi, cercando di usare un tono scherzoso, ma la verità era che... ero infastidito.
«Solo un pochino, ma... io sono scappata per venire da te!» disse, prima di cercare di nuovo le mie labbra. Sorrisi compiaciuto per la risposta, poi le pizzicai il labbro coi denti. «Comunque non è di questo che dovremmo parlare» aggiunse, separandosi da me. Annuii.
«Carol... Carol mi ha detto che Annabelle è un'antenata dei Sanchez... gli antenati degli Edwards erano molto più intransigenti, circa queste cose, perciò quando scoprirono che era una mezzosangue la consegnarono alla chiesa perché la uccidessero come eretica e strega. E sai perché Carol odia i mezzosangue?»
«N-no... perché?»
«Perché... lei è un demone a tutti gli effetti! È una Edwards» spiegai. Jordan spalancò gli occhi e sembrò non respirare per qualche secondo.
«Puttana!» sibilò a denti stretti. Risi e le pizzicai la guancia.
«E tutta questa audacia da dove arriva?» domandai, divertito. Lei alzò le spalle ed io mi decisi a continuare. «Comunque... ora sappiamo che... che tu sei una piromane e possiamo sconfiggere l'uomo nero!»
«Come mi hai chiamata scusa?» chiese, stranita.
«Piromane, no? Fai prendere fuoco a qualsiasi cosa! Ora devo anche far cambiare la porta di casa!» Lei ridacchiò.
«A proposito... Liam ed Harry sono sotto shock, ma stanno bene! Dovremo spiegare loro un po' di cose!» Annuii.
«Comunque... sei stata tu a far scoppiare l'incendio quella volta, lo sai vero?» chiesi, sollevandole il viso. Lei annuì, cercando i miei occhi.
«Lo faccio pensando a te» mormorò. Lo sapevo, perché tra di noi c'era la famosa connessione di cui mi aveva parlato Annabelle. E ora sapevo anche perché.
«Allora... non è che farai prendere fuoco al mio letto la prossima volta che faremo l'amore vero?» domandai per sdrammatizzare. Jordan mi fissò accigliata.
«Louis!» esclamò, stizzita.
«Scusa... è che mi è venuta una gran voglia... non so, forse perché stavo per morire e mi hai salvato la vita!» Lei sorrise e mi abbracciò, facendomi un po' male, ma non le dissi nulla.
«Comunque ora viene la parte più importante, piccola» aggiunsi subito, tornando all'argomento serio.
«Ossia?» domandò, guardandomi perplessa.
«Ascoltami bene... Carol mi ha detto che odia Annabelle non solo perché era una mezzosangue, ma anche perché quando era ormai sulla pira, mentre le fiamme la stavano divorando, maledisse la famiglia Edwards!»
«Oh... e in cosa consiste la maledizione?»
«Annabelle disse loro che il primo mezzosangue discendente dalla sua famiglia, avrebbe vendicato il suo nome... facendo pagare il prezzo alla famiglia Edwards»
«Quindi... un altro motivo per cui fu creato il vendicatore è proprio questo!» esclamò, sussultando. Annuii.
«I Sanchez e gli Edwards cercarono di ristabilire la pace tra loro, questo per impedire che nascessero altri mezzosangue, sia per non fare torto alla chiesa, sia per mantenere l'equilibrio tra famiglie, e diedero vita al vendicatore» continuai, riportando quello che mi aveva detto Carol.
«Ma quindi...» Io annuii, prima ancora di sentire cosa aveva da dire. La strinsi tra le braccia, con tutta la forza che avevo, nonostante il dolore.
«Sì, Jordan... la discendente di Annabelle di cui parla la maledizione... sei tu»
Angolo darkryry
Tataratan! Ecco che ricompare l'uomo nero, e cosa scopriamo? Jordan può dare fuoco alle cose? Ed ha sconfitto temporaneamente l'uomo nero per salvare Louis! Ditemi se questo non è amore?!
E finalmente scopriamo anche cosa consiste la maledizione di Annabelle verso gli Edwards! Ecco a voi Jordan, la discendente di Annabelle e colei che vendicherà il suo nome! E poi ecco spiegato il vero motivo della creazione del vendicatore. Ora come proseguiranno le cose?
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