Experience

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Cover by @herslaugh




EXPERIENCE


JORDAN'S POV
Jay rientrò poco dopo nella sala dell'ospedale, accompagnata dalle sorelle di Louis. Mi dispiaceva davvero tanto non avere più ricordi del suo viso sorridente, quando era più giovane. Tuttavia anche così, nonostante i segni del tempo, la mamma di Louis era davvero bellissima. Somigliava a Lou, sotto certi aspetti, avevano lo stesso sorriso contagioso e pieno di vita, quello che mi piaceva tanto. Louis mi strinse la mano, come se fosse nervoso di farmi conoscere la sua famiglia. Mi aveva parlato molto di loro, di sua madre e delle sue sorelle. Lottie era già nata, quando io ero piccola, ma non me la ricordavo perché era piccola come me. Per quanto mi costasse ammetterlo, di quella famiglia io ricordavo solo Louis. Avevo rimosso quasi tutto della mia infanzia, tutto tranne lui ovviamente. Louis sospirò sonoramente e appoggiò la testa contro il cuscino del letto, con fare stanco.
«Mamma... quando potrò tornare a casa?» domandò, fissando sua madre. Lei sorrise.
«Il dottore ha detto che stai bene e che tra un paio d'ore ti dimetteranno. Ti sei solo spaventato molto, amore» Notai Louis arrossire leggermente per la dolcezza della madre e sorrisi. Spesso mi diceva quanto gli mancassero le sue donne e mi dispiaceva vederlo così, ma io non potevo certo costringerlo a tornare a vivere con loro. Louis voleva essere indipendente, lo sapevo fin troppo bene.
«D'accordo... ehm... Jordan loro sono le mie sorelline: Phoebe, Fizzy, Daisy e Charlotte» disse quindi, indicandomele una ad una. Le ragazze mi salutarono cordialmente e mi sorrisero, cosa che apprezzai molto. Magari sarei piaciuta alla sua famiglia.
«Louis mi ha detto che... che sei la figlia dei Davis... quando sei tornata?» domandò ad un tratto Jay. Alzai lo sguardo su Louis, interdetta. Speravo che non avrebbe detto niente a nessuno, ma evidentemente mi ero sbagliata. Il primo impulso fu quello di tirargli uno schiaffo e Louis lo capì, perché si ritrasse imbarazzato sul letto. Poi però mi contenni e decisi che non mi avrebbe ucciso dire alla mamma del mio ragazzo chi ero veramente... o almeno lo speravo.
«S-Sì... sono tornata qui quando è cominciata la scuola, per non perdere l'inizio. I miei genitori adottivi hanno deciso di riportarmi a Doncaster perché... soffrivo di disturbi legati ai ricordi di quello che successe undici anni fa» spiegai sincera, anche se ormai io e Louis sapevamo quale fosse la verità. Lui si limitò a stringermi ulteriormente la mano, infondendomi quella forza che solo lui sapeva darmi, quella di cui avevo tanto bisogno in certi momenti.
«Louis... ma lei è la tua fidanzata?» chiese una delle sue sorelle, quella che doveva essere Phoebe, se non ricordavo male. Improvvisamente sentii le guance andare in fiamme per quella domanda innocente. Mi voltai verso Louis, che sorrise alla sorella, poi a me. Mi accarezzò il dorso della mano con il pollice.
«Sì, pulce, lei è la mia fidanzata» sussurrò, scompigliandole leggermente i capelli. Il cuore perse un battito, come se sentire quelle parole fosse la rivelazione del secolo. Lo sapevo già da un pezzo di essere la sua ragazza, eppure... mi sentivo una dodicenne con gli ormoni sballati. Non poteva farmi quell'effetto solo... solo così.
«Sei davvero bella! Sei sicura di volere davvero mio fratello?» domandò ancora, additando la spalla di Louis. Io risi divertita e feci una linguaccia a Louis, che invece storse le labbra in una smorfia.
«Sì, sono sicura! E poi devo ammettere che anche tuo fratello è molto bello!» Louis fece il verso alla sorellina, per prenderla in giro, e lei mise il broncio, offesa.
«Però sei piccola!» esclamò quindi Daisy, riportandoci alla realtà. Louis sospirò.
«Jordan non è piccola... ha solo qualche anno in meno di me» disse rassegnato. Johannah lo guardò in modo eloquente, quasi a volergli dire di stare attento, e forse era proprio quello che intese Louis, dato che annuì in direzione della madre.
«Oh, giusto... a proposito: quando sono stata adottata i miei genitori mi hanno cambiato il nome. Quindi io ora, in teoria, sarei Charlie Parker. Louis è l'unica persona che ancora si ostina a chiamarmi Jordan!» Louis si passò una mano tra i capelli, imbarazzato, mentre sua madre ridacchiava compiaciuta.
«D'accordo! Scusa... hai detto... Charlie?» intervenne Jay, guardandomi perplessa.
«S-Sì... perché?»
«Che strano... Louis ti regalò un orsacchiotto di pezza per il tuo quarto compleanno e tu volesti a tutti i costi chiamarlo Charlie, perché tu e Louis guardavate sempre Charlie Brown insieme e a te piaceva da morire! Che coincidenza!»
esclamò, alzando le spalle. Sentii la presa di Louis farsi più stretta sulla mia mano, in un segno che solo io e lui capimmo. Nessuno avrebbe mai capito il rapporto che c'era tra me e lui, nessuno poteva farlo. Solo io e lui avevamo capito che non si trattava affatto di una coincidenza. Il mio nome era scritto nel destino di Louis, il suo nel mio. In quel momento avevamo ottenuto una prova in più del fatto che tra noi due doveva andare così. Pensai al mio orsacchiotto Charlie e solo a quel punto mi resi conto della realtà dei fatti. Per undici anni non mi ero mai accorta di nulla.
«Beh... Charlie l'orsacchiotto esiste ancora... gli manca un braccio, una gamba, ed è senza un occhio... è spelacchiato perché è tutto carbonizzato, ma... è ancora vivo. Sarah, mia madre, dice sempre che quella sera lui uscì dall'incendio con me» mormorai, sconvolta io stessa da quelle parole. Louis sobbalzò, attirando l'attenzione di tutti, soprattutto la mia. Charlie, il mio orsacchiotto Charlie, forse sapeva più cose di quante ne sapessimo io e Louis. In qualche modo dovevo farlo parlare, anche se un pupazzo non poteva parlare.
«Ce lo fai vedere un giorno?» chiese Daisy, entusiasta. Annuii, ma poi riportai lo sguardo su Louis, che sembrava ancora turbato. Proprio in quel momento arrivò anche mia madre, che aveva corso come una matta per tutto l'ospedale, come ci disse l'infermiera. Era arrivata con la macchina dall'altro capo della città, dove lavorava, non appena era stata avvisata di quello che era successo.
«Oh... tesoro, amore mio... stai bene, piccola? Scusa se ho fatto tardi!» sussurrò, abbracciandomi così forte da far dolere ancora un po' i segni che l'uomo nero aveva lasciato. C'era una certa disperazione nel suo tono e capivo anche il perché d'altronde. Sarah e Jacson non potevano avere figli. Sarah mi ripeteva in continuazione quanto io fossi stata una benedizione per loro. A volte mi chiamava addirittura il suo piccolo miracolo. Io sapevo che mi amavano esattamente come se fossi stata una figlia biologica, come se avessi avuto il loro stesso sangue. Ecco perché aveva deciso di dirmi tutta la verità sulla mia infanzia e perché io l'avevo accettata.
«Sì, mamma. Sto benissimo. Non c'era bisogno che...»
«Certo che c'era bisogno! Sono tua madre! Giuro che se trovo chi ti ha fatto questo ci faccio finire lui all'ospedale, dannazione! Sarei dovuta arrivare molto prima, tesoro, perdonami!»
L'iperprotettività di Sarah era quasi divertente. Sarah sciolse il nostro abbraccio e si guardò intorno, accorgendosi finalmente di essere osservata. E così tutte le mie paure divennero reali. Sarah capì che ero con Louis. Lo sguardo che gli lanciò fu spaventoso e agghiacciante, tanto che anche Louis fu costretto ad abbassare gli occhi, mortificato. Sarah sicuramente avrebbe pensato che fosse colpa sua.
«Mamma... Louis ha cercato di proteggermi, non è colpa sua. Lui... è svenuto e finito qui perché... perché mi ha protetta» mormorai, sperando che bastasse. Sarah sembrò rilassarsi un po' e si avvicinò a Louis.
«S-Sì, lo so... solo che... io...»
«Lo so, non si preoccupi»
sussurrò Louis, interrompendola. Aveva capito. Aveva capito che Sarah era diffidente nei suoi confronti perché era più grande, perché era stato bocciato, perché secondo lei mi faceva prendere una brutta strada. Ma Louis era tutto il contrario e forse in quel momento se ne accorse anche Sarah, che annuì.
«Mi dispiace davvero. Ora stai bene?» chiese. Lui sorrise.
«Sì, grazie, ma... l'importante è che stia bene sua figlia» disse, guardandomi. Louis avrebbe dato la sua vita, per salvarmi. Ed io avrei dato la mia per salvare Louis. Sarah si voltò per parlare con le altre persone presenti in sala e si presentò alla mamma di Louis e alle sue sorelle, poi decise che era ora di tornare a casa, mentre Louis sarebbe stato dimesso a breve. Salutai tutti, poi mi avvicinai imbarazzata a Louis, per salutarlo. Volevo baciarlo, ma ci stavano guardando tutti. Arrossii vistosamente quando fu lui a sollevarsi dal letto ed a stamparmi un bacio sulle labbra.
«Ehi... sta attenta, mi raccomando. Non mi va che resti sola» sussurrò, cercando di non farsi sentire. Io annuii semplicemente e lo salutai, prima di uscire dalla stanza.
«Mamma?» domandai ad un tratto, spezzando il silenzio che si era creato tra me e Sarah in macchina. Lei mi guardò di sottecchi e mi esortò a parlare. «P-Perché... perché tu e papà avete deciso di chiamarmi Charlie?» chiesi, titubante. Sarah rimase impassibile, lo sguardo fisso sulla strada di fronte a sé, poi però sorrise.
«Non lo so... quando ti trovammo all'orfanatrofio, nessuno sapeva il tuo nome, tu non parlavi e non dicevi a nessuno nemmeno come ti chiamavi. Nessuno sapeva niente di te, però... avevi un pupazzo. Lo tenevi sempre in mano, ci dormivi insieme, non lo lasciavi mai. Era quel pupazzo che hai ancora oggi, appoggiato alla testiera del letto. Io dico sempre che è il tuo angelo custode e ti protegge. Nessuno sapeva perché fossi tanto affezionata a quel pupazzo, tanto da non volertene liberare nemmeno se era mezzo rotto e carbonizzato. Quel peluche è un miracolo come te, perché è uscito da quell'incendio. Così, quando decidemmo di adottarti, prendemmo anche lui. Stavamo ancora cercando di scoprire il tuo nome, o comunque stavamo pensando ad uno nuovo che ti si addicesse, quando, un giorno, mentre sistemavo la tua stanza mi accorsi che per la prima volta non avevi in mano il peluche, così lo raccolsi e notai una targhetta bruciacchiata. Non si capiva bene cosa ci fosse scritto, ma poi io e Jacson riuscimmo a decifrarlo e scoprimmo che il nome dell'orsacchiotto era Charlie Brown. Dopo aver constatato che Charlie era un nome sia da donna che da uomo, beh... pensammo che non ci fosse nome più adatto e quindi ti chiamammo così!» Sorrise ed io ricambiai. Pensai che non ci fosse niente di più bello, niente di più giusto.
«È stupendo, grazie!» dissi semplicemente, allungandomi verso di lei e schioccandole un bacio sulla guancia. Per mia fortuna non parlammo di Louis, ma ero certa che prima o poi qualcuno, a cena, lo avrebbe nominato. Una volta arrivata a casa corsi in camera mia e mi fiondai su Charlie, intenta a sapere cosa nascondeva quel pupazzo. Lo presi e lo rigirai tra le mani, ma non trovai niente di interessante, finché non notai la targhetta di cui parlava anche Sarah. Mi resi conto che non solo era bruciata, ma che le mancava anche un pezzo. Sembrava perfettamente divisa in due parti, non rotta, ma divisa così di proposito.
«D'accordo, Charlie. Ora mi dirai cosa nascondi!» dissi al mio pupazzo, guardandolo in quel profondo, lucido e unico occhio che gli era rimasto. Charlie non disse una parola, come era giusto che fosse. «Bene, chi tace acconsente!» dissi allora, come se gli avessi fatto una domanda e lui non avesse risposto perché non voleva farlo. Stavo impazzendo, probabilmente. Sfilai la targhetta bruciacchiata dal collo di Charlie e osservai meglio tutte le sfaccettature. Probabilmente doveva essere completata con qualcosa per essere perfetta.


LOUIS' POV
Era ufficiale: odiavo Luke Dillon. Odiavo tutto di lui. Odiavo il suo atteggiamento da finto bulletto, odiavo la sua faccia da schiaffi, che di schiaffi ne meritava parecchi, odiavo i suoi occhi e i suoi capelli così scuri, odiavo la sua voce profonda ed irritante e odiavo il suo stare sempre e costantemente appiccicato a Jordan. La mia Jordan. Amici, certo! A chi voleva darla a bere quello gnomo con uno scopettone in testa? Amici! Se solo avesse potuto, lui se la sarebbe portata a letto al primo colpo. Ma per sua sfortuna c'ero io. Ed io lo odiavo. E io, se solo non ci fossero stati i ragazzi a trattenermi, avrei già spaccato quel bel nasino che si ritrovava e gonfiato come due palloni i suoi stupidi occhi. Idiota. Fallito, piccolo, gnomo, insignificante ed idiota. Ecco, quello per me era Luke Dillon. E sapere che sarebbe stato nello stesso campeggio della mia ragazza per cinque lunghi ed interminabili giorni... mi mandava in bestia, proprio non riuscivo a sopportarlo. Il problema non era la gelosia. Anche volendo non sarei riuscito ad essere geloso di Jordan. Sapevo che mi amava. Ero solo... terrorizzato. C'era un'immagine che continuava a ronzare nella mia testolina. Quella di una ragazza di sedici anni che mangia lo stesso gusto di gelato per tutta la sua vita e poi improvvisamente si stanca perché vuole provarne altri nuovi. Ecco a cosa pensavo. Metaforizzavo la mia paura con uno stupido gelato. Io avevo quasi ventidue anni, di "gusti di gelato" ne avevo provati tanti nella mia vita, ed ora avevo trovato il mio preferito, ma lei? Lei di anni ne aveva solo sedici, io ero stato il suo primo gusto di gelato. Come poteva decidere che fossi anche il suo preferito senza aver assaggiato gli altri? A Jordan mancava l'esperienza e avevo paura che avesse voluto "provare" Luke. Solo il pensiero mi faceva schifo, ma... se lei avesse ceduto?
«Giuro che se allunga le mani gli spacco la faccia» sibilai, fissando, con gli occhi assottigliati a due fessure Luke che parlava con la mia ragazza, mentre venivano verso di noi. In realtà doveva essere solo un pensiero, ma mi resi conto di averlo espresso ad alta voce quando Harry mi abbassò i pugni.
«Ti stai rincoglionendo per caso? Quello è un pivello! Non farà niente! Avanti, Louis! Lui non sa nemmeno come far entrare il proprio pene nella vagina di una ragazza, figurati se riesce a fotterti Charlie!» disse serio. Lo guardai accigliato. Come faceva Harry Styles a dire certe cose e rimanere serio come se fossero constatazioni intelligenti?
«Beh... e tu che ne sai che non lo sa fare, eh?» ribadii, cercando di fare la voce grossa, ma i miei tentativi erano inutili. Mi zittii non appena Jordan e Luke furono davanti a noi.
«Tomlinson» disse quello, guardandomi con aria di sfida.
«Dillon» sibilai, ricambiando il suo sguardo e facendogli notare che ero molto più alto di lui. Sogghignò e alzò una mano in segno di saluto, prima di andarsene. Il prurito alle mani mi passò lentamente e la violenza inaudita che avevo accumulato nei suoi confronti si dissolse pian piano, solo perché Jordan mi stava per baciare. Lasciai che premesse le labbra sulle mie, mentre Harry ci guardava divertito, poi, senza riuscire a trattenermi, diedi sfogo ai miei pensieri.
«Lo fa apposta, vero?» chiesi, irritato.
«Che cosa?» replicò ingenuamente Jordan.
«Accompagnarti da me! Ti sei mai chiesta perché vuole sempre accompagnarti da me?» Jordan alzò gli occhi al cielo, cosa che mi fece innervosire, poi sbuffò sonoramente.
«Gli ho già spiegato che ho te, voglio te, e non desidero nessun altro all'infuori di te!» ribatté, contrariata. Mi sciolsi un po', prendendo un respiro. Poi presi Jordan per mano e quasi strattonandola la accompagnai alla mia macchina, seguiti da Harry, Liam e Zayn. Quel giorno doveva venire da me per parlarmi di una cosa e siccome Niall, tanto per cambiare, usciva con Amanda, c'era un posto libero in macchina. Restammo in silenzio per il resto del viaggio, silenzio che veniva interrotto solo ogni tanto da qualche linguaccia di Jordan che si divertiva a prendermi in giro per la mia gelosia. Entrammo nel nostro appartamento e prima che Jordan potesse anche solo pensare di fare altro, la condussi in camera mia. Entrammo entrambi ed io chiusi la porta a chiave. Lei voleva parlare di demoni, io volevo parlare della gita. Prima le cose importanti.
«Quindi andrai cinque giorni in campeggio con la classe di Dillon» sbraitai, buttandomi pesantemente sul mio letto. Jordan alzò di nuovo gli occhi al cielo. Sbuffai, infastidito. Per me era una cosa seria!
«Si chiama Luke» replicò calma. E quella calma stuzzicò ancora di più i miei nervi. Non sapevo perché fossi così agitato quel giorno.
«Dovresti stare via con la tua classe per cinque giorni, da sola?» dissi, parlando dell'altro problema che quella gita comportava. Non era colpa sua, d'accordo, ma... no, dannazione! Non poteva stare tanto lontana da Doncaster, da me, da sola.
«Lou... calmati per favore! È solo una gita scolastica!» cercò di tranquillizzarmi, ma non potevo lasciare che andasse. Io morivo dentro al pensiero che restasse da sola, senza di me. Non poteva allontanarsi da me. Anche se avevamo necessariamente bisogno dei nostri spazi, io e lei ce li concedevamo uscendo con i nostri amici, restando spesso per conto nostro, ma mai lontani per così tanto tempo, soprattutto perché lontani eravamo stranamente più deboli. Se le fosse successo qualcosa mentre io non c'ero... non me lo sarei mai perdonato, mai.
«Jo, piccola... tu non capisci! Non me ne frega niente della gita! Ho solo paura che ti succeda qualcosa mentre io non ci sono!» spiegai, prendendole le mani. Jordan sorrise, facendomi rilassare leggermente. Si accomodò sulle mie gambe, circondandomi la vita con le sue e mi prese il viso.
«Sei sempre il solito! Andrà tutto bene! Non devi pensare sempre in negativo e poi... hai visto che posso cavarmela anche da sola» Per qualche strano motivo quell'affermazione mi fece sentire un po' inutile. Non ero certo che fosse così... insomma, che fine aveva fatto la storia che insieme ci proteggevamo a vicenda e da soli... Le presi la mano e accarezzai un graffio lasciato dall'uomo nero. Lei sussultò leggermente.
«Se ti succedesse qualcosa...»
«Non succederà»
Mi limitai a guardarla, scuotendo leggermente la testa, mentre abbozzavo un sorriso.
«D'accordo, niente uomo nero! Ma... c'è sempre Dillon! E giuro che se lui ti tocca...» Non riuscii a terminare la frase, perché Jordan mi spinse con forza sul materasso del mio letto.
«In quel caso... picchierò anche lui!» sussurrò, chinandosi per baciarmi. Le toccai le labbra con la lingua, per chiederle il permesso di approfondire il bacio.
«Sei una ragazza intraprendente» mormorai, ribaltando le posizioni e infilando una mano sotto la sua maglietta. Le accarezzai il fianco, mentre la baciavo con foga, come era da troppo che non facevo. Avevo voglia di lei. Immediatamente.
«E questo ti piace?» chiese, avvinghiando le gambe alle mie. Mi feci strada con la mano e arrivai fino al suo seno, che strinsi alleviando il mio desiderio.
«Mi fa impazzire» Stavo per sfilarle la maglietta, quando lei mi bloccò, premendo con forza le mani sul mio petto.
«Ci sono i ragazzi» disse in un sussurro. Abbassò lo sguardo, ma io le risollevai il viso, ridendo.
«Ehi... loro... loro sono... ehm... abituati e... poi, beh... basta che non fai troppo rumore, tra poco se ne andranno, tranquilla. Sono abituati a certe situazioni» Jordan mi fissò accigliata e storse le labbra in una smorfia.
«Ah. Quindi...»
«Sì, dai... lo sai...»
Non volevo parlare delle mie ex con lei, ma d'altronde era la realtà dei fatti.
«Oh» Le presi il viso e la guardai perché capisse.
«Jordan... ora ci sei tu. Tu e basta. Tu sei importante, tu e basta» Era incredibile che, nonostante le avessi dimostrato che sarei morto per lei, avesse ancora dubbi sul mio amore. Eppure... solo in quel momento mi resi conto che erano gli stessi dubbi e paranoie che mi facevo anch'io.
«L-Louis...?» mi richiamò. Le sorrisi.
«Dimmi» Jordan si sistemò i capelli, stranamente imbarazzata. Si morse le labbra in un gesto involontario, poi si sollevò a sfiorarmi l'orecchio, con l'intento di non farsi sentire da nessuno.
«I-Io... io voglio darti piacere» mormorò, come se quello fosse il nostro piccolo segreto. Cercai i suoi occhi, velati dal desiderio, luminosi come sempre. Un sorriso mi si dipinse automaticamente sul viso.
«Jo, tesoro... tu lo fai già, lo sai!» Lei scosse la testa. Sentii la sua mano correre lungo il mio petto, fino a scendere al cavallo dei miei pantaloni. Un nodo mi si formò in gola, come a impedirmi di respirare.
«Voglio... voglio darti piacere, voglio farti provare piacere... come... come nessun altro ha mai fatto prima di me» Solo in quel momento capii: lei voleva sentirsi speciale per me. Non era stata la mia prima volta, ma voleva che mi restasse impressa come quella. Le presi la mano, sopra i miei pantaloni, che sentivo poco a poco diventare stretti. Sospirai, preoccupato, indeciso, insicuro, spaventato. Lei voleva, io non volevo. Non volevo lasciarglielo fare. Però... l'esperienza. La faccenda dell'esperienza affiorò di nuovo nella mia mente. Jordan voleva provare. Io ne avevo bisogno. Forse era meglio che facesse esperienza con me, piuttosto che con qualcun altro.
«Jordan... voglio sapere che sei sicura» dissi, stringendo la sua mano.
«Lou! Ho quasi diciassette anni, so quello che voglio! E voglio te!» Il suo compleanno, me n'ero quasi dimenticato! Annuii semplicemente. D'accordo, era ora di cominciare a farsene una ragione: la mia piccola Jordan stava crescendo. Mossi la sua mano sul cavallo dei miei pantaloni, ormai gonfio. Jordan slacciò piano il bottone e insinuò le mani sotto il bordo dei jeans, senza oltrepassare i boxer. Massaggiò la mia erezione che al contatto con la sua mano venne fuori del tutto. Ero fin troppo eccitato e me ne resi conto quando ansimai rumorosamente, benché lei ancora non avesse fatto nulla. Jordan mi guardò con le guance arrossate, ma un briciolo di soddisfazione nello sguardo.
«Devi fare piano, Lou... ci sono i tuoi amici!» mi prese in giro, avvicinando le labbra alle mie.
«C-credo... credo che siano usciti, ormai» Eravamo piuttosto complici, in questo campo. Se capivamo che le cose con le ragazze andavano per le lunghe e che uno di noi avevamo bisogno della casa libera, facevamo in modo di lasciargliela. Cercai di baciarla, ma lei si ritrasse e infilò la mano libera sotto la mia maglietta. La aiutai a sfilarmela. Posò le labbra sul mio petto e baciò piano il tatuaggio che avevo tra le spalle.
«È quello che è» mormorò, come soprappensiero, in un mondo tutto suo. Le piaceva tanto quel tatuaggio, senza un motivo preciso. Lo percorse con le labbra con una cura quasi maniacale, mentre io, quasi involontariamente, presi a canticchiare la canzone. Jordan la adorava, così spesso la ascoltavamo insieme. Jordan sorrise e completò il ritornello insieme a me, mentre mi liberava lentamente dei jeans.


«Too long we've been denying
Now we're both tired of trying
We hit a wall and we can't get over it
Nothing to relive
It's water under the bridge
You said it, I get it
I guess it is what it is»


«Jo?» la richiamai quindi. Lei annuì, per esortarmi a continuare. «Prometti che noi... noi non ci fermeremo davanti a nessun muro, d'accordo? Non voglio che sia... così. Non voglio che ci arrendiamo» Jordan ridacchiò e mi baciò sulle labbra, prima di torturare il mio labbro inferiore coi denti.
«Louis... qui l'unico che ha paura di tutto e che io soffra e che ha paura di farmi sempre e costantemente del male... sei tu!» mi ricordò. Seguii il movimento delle sue labbra e sorrisi.
«Stronza!» sibilai, mentre lei abbandonava il mio petto per scendere più giù con le labbra. Mi distesi sul letto, abbandonandomi al piacere che già mi stava procurando. Tirò l'elastico dei miei boxer con i denti. Jordan stava migliorando notevolmente, non sembrava più la ragazzina impacciata che voleva perdere la verginità. Ora era... più donna. Aveva quasi diciassette anni. Non riuscivo ancora a crederci. Pensavo che il tempo si sarebbe fermato a quell'anno, quando l'avevo ritrovata. E invece no, andava avanti. Mi sfilò i boxer, facendoli scivolare lungo le mie gambe e liberando la mia erezione. Mi guardò riluttante, poi prese il mio membro con la mano, deglutendo, preoccupata.
«Lou...» sussurrò, senza guardarmi. Non sapevo se volesse chiamarmi o che altro. Mi limitai a mormorare qualcosa d'incomprensibile, ma lei non aggiunse nulla. Cominciò a muovere la mano su e giù. Era ancora insicura, si vedeva che non lo aveva mai fatto. Ma a me non importava. «Lou te l'ho mai detto che... che sei stupendo?» chiese, incerta. Non alzava mai lo sguardo su di me. Io mi mordevo il labbro, ma... la verità era che volevo farle sentire quanto mi piacesse quello che mi stava facendo. Portò il pollice sulla punta e io ansimai senza riuscire più a darmi un contegno. Jordan arrossì ancora di più, ma comprese che quello che aveva fatto mi era piaciuto.
«F-forse... forse me l'hai detto, ma... mi piace che... che tu me lo dica» gemetti. Trovare l'aria in quel momento delicato era davvero un'impresa. Lei sorrise, finalmente. Continuò il suo lavoro, velocizzando leggermente i movimenti.
«Sei stupendo» ripeté. «E voglio fare tutto... con te» aggiunse, sollevando per la prima volta lo sguardo. Annuii. Non dovevo avere paura di farle del male, continuavo a ripetermi. Lei sapeva quello che faceva. Mi sedetti sul bordo del letto, mentre lei indietreggiava, fino a inginocchiarsi di fronte a me.
«Sento che mi farai impazzire, prima o poi» mormorai. Mi sentivo male all'idea di quello che stava per succedere, ma era stata lei a chiedermelo. Non avevo mai rinnegato un lavoro di bocca in tutta la mia vita, ma con lei... con lei mi sentivo pronto ad implorarla di non farlo. «Non farlo, ti prego» la supplicai infatti. Jordan sbuffò.
«Louis! Te lo sto chiedendo io! Non ti piaccio abbastanza, per caso?» Quella domanda mi ferì, come se lei dubitasse di nuovo di tutto quello che provavo nei suoi confronti, compresi il desiderio e l'attrazione.
«Cosa? Tu mi piaci da morire!» esclamai, con un urletto acuto. Jordan rise.
«Mi aiuti, per favore?» chiese, aumentando la mia ormai nota eccitazione e compromettendo ulteriormente il mio fragile equilibrio emotivo. Infilai la mano tra i suoi capelli e avvicini il suo viso al mio corpo, certo che non sarei riuscito a fermarla.
«Copri i denti con le labbra» dissi, prima che potesse farmi male. Lei annuì ed eseguì i miei ordini. Sfiorò la mia erezione con la bocca, ancora incerta. Morivo dentro, per il biasimo verso me stesso e per il piacere che mi stava scoppiando in corpo. Sarei venuto in pochissimo tempo e questo era imbarazzante. Sentii la sua lingua muoversi delicata su di me e ansimai, involontariamente. Preso dal momento, feci pressione sul suo capo e le spinsi il viso verso di me. Jordan prese in bocca il mio membro, facendomi gemere. Non sapevo cosa aspettarmi, ma già ai primi movimenti capii che, solo per il semplice fatto che quella era lei, che io ero nella sua bocca, che quelli che si alzavano di tanto in tanto per guardarmi erano i suoi occhi, beh... capii che sarebbe stato epico.
Faceva piano, maledettamente piano, probabilmente perché non lo aveva mai fatto. E quella lentezza mi uccideva ancora di più.
«Oh, dio...» mi lasciai sfuggire, eccitato. Jordan alzò leggermente il viso, ma io le dettai di nuovo il movimento, con la mano. Fu quando riuscii a sentire il suo palato completamente che capii che non potevo più contenere il piacere.
«Jo, piccola... sto p-per... sto per venire» dissi. Jordan non fece una piega. Ma quello no, non lo avrei sopportato, non ancora, non per lei. La scostai e lei si staccò prontamente da me. Mi lasciai sfuggire un lungo gemito appagante e venni sulla coperta e sulla sua maglietta, che lei si fermò a fissare, incerta.
«I-io... ehm... come... com'era?» chiese, preoccupata, mentre si puliva le labbra. Sorrisi. Era così bella, rossa in viso per l'imbarazzo, preoccupata di aver sbagliato qualcosa.
«Sei la mia ragazza preferita, lo sai?» dissi, prendendole il viso. I suoi occhi s'illuminarono. «È stato perfetto» continuai. Lei si sciolse in un sorriso e gettò le braccia intorno al mio collo, per abbracciarmi. Era perfetto, era tutto perfetto con lei. Mi rivestii, poi ci stendemmo sul mio letto, per parlare, come avremmo dovuto fare non appena entrati in casa. Jordan stava per aprir bocca, ma si bloccò, perché la sua attenzione fu attirata da qualcosa nella mia stanza.
«Lou? Che cos'è quello?» chiese, indicando il pupazzo che mi aveva lasciato Annabelle nel primo sogno in cui l'avevo incontrata.
«Beh... me l'ha lasciato Annabelle in un sogno» spiegai, prendendolo. Jordan me lo strappò e cominciò a rigirarselo tra le mani.
«Lou! Era di questo che volevo parlarti!» Si alzò dal letto e prese il suo zaino, che aveva lasciato in un angolo della mia stanza. Ne estrasse qualcosa di piccolo e opaco, che mi mostrò con orgoglio.
«Questa è la targhetta di Charlie, la mise mia madre, cioè... la mia vera madre, quando tu me lo regalasti anni fa... vedi?» La presi in mano, ma non notai nulla di particolare se non il nome "Charlie Brown" leggermente carbonizzato.
«E questo cosa...» Jordan m'interruppe, prendendo di nuovo il mio pupazzo, che avevo deciso di chiamare Boo, come mi chiamava Harry.
«Sono sicura che Annabelle ha lasciato qualcosa, dev'essere così! Alla targhetta di Charlie manca un pezzo e sono certa che...» Girò Boo sottosopra, aprì la cucitura sul retro prima che potessi fermarla, e ne estrasse qualcosa, guardandomi trionfante. «Che questo completerà tutto!» concluse felice. Mi porse il pezzo di metallo, che provai ad accostare all'altro.
«Wow... è perfetto!» esclamai, confuso e allo stesso tempo euforico per la rivelazione. Si incastravano perfettamente.
«Già, ma... che cos'è?» chiese lei allora, spegnendo il mio entusiasmo. Ci ragionai su per qualche secondo, poi le feci cenno di sedersi comoda ed esposi la mia teoria.
«Allora... noi per il momento sappiamo solo che tu sei un mezzo demone, che fai prendere fuoco alle cose, che sei stata salvata per miracolo dall'incendio, e che uno schifoso vendicatore ti sta cercando. Sappiamo della rivalità tra le due famiglie di demoni e sappiamo che tu sei la discendente dei Sanchez destinata a vendicare Annabelle. Ora dobbiamo solo scoprire come sconfiggere quel coso... perciò io credo che... che tua madre ci abbia lasciato una serie di "indizi", o chiamali come preferisci... per arrivare alla soluzione! Quindi questa probabilmente è... ehm... una chiave?» ipotizzai, dicendo la prima cosa che mi passava per la testa.
«Bene... ora dobbiamo solo scoprire cosa apre!» ironizzò, buttandosi pesantemente sul mio letto.
«Non fare così! Ci sono io, la soluzione la troviamo di sicuro!» Jordan mi fece una linguaccia, poi si sdraiò sbuffando.



***



«Ehi, Tomlinson!» mi richiamò una voce irritante fin troppo nota. Mi voltai verso il corridoio, ormai deserto dato che tutti erano usciti da scuola. Io avevo accompagnato Jordan in biblioteca per le ripetizioni con Liam, prima di tornare a casa. Sarei uscito felicemente da quel lager se qualcuno non avesse deciso di piantar grane anche quel giorno.
«Che vuoi Dillon?» sbraitai, oltremodo irritato dalla sua sola presenza. Luke ridacchiò spavaldo e mi fece cenno di avvicinarmi.
«Che voglio? Uhm, vediamo... voglio i tuoi soldi, la tua macchina, la tua fama, e il tuo fascino, ma soprattutto... voglio la tua ragazza!» esclamò, con strafottenza. Sentii le mani cominciare a prudere per il desiderio che avevo di colpirlo, ma mi limitai a stringere i denti e a fulminarlo con lo sguardo. No, Jordan no! Jordan non la doveva nemmeno nominare. E c'erano una serie di motivi per cui non avrebbe dovuto farlo. Non era solo gelosia, la mia. Non era solo stupida gelosia. Guardando Luke avevo paura, perché se Jordan mi avesse lasciato per lui... lui sarebbe stato in grado di proteggerla anche a costo di farsi male? Lui... lui avrebbe dato la sua vita per lei? Ed io non lo pensavo solo per sentirmi romantico, grande o importante, io lo pensavo perché ne ero certo, sapevo che io per lei l'avrei fatto. C'era qualcosa di strano nel nostro legame che mi spingeva a qualunque cosa. Difendevo con orgoglio il mio titolo di "uomo della sua vita", perché io ero nato per avere quel ruolo. E quel ruolo nessuno lo avrebbe mai fatto come me, al posto mio.
«Stalle lontano!» sibilai, riconoscendo la mia voce appena udibile.
«Altrimenti che mi fai?» mi provocò, avvicinandosi a me. «Lasciala a me, Tomlinson. Sappiamo entrambi che con te starà solo male. Qui dentro sappiamo tutti come sei fatto! Sappiamo tutti che prima o poi ti stancherai di lei come ti sei stancato di tutte le altre!» A quel punto lo presi per le spalle, tirando leggermente la sua felpa. Lo spinsi contro la parete e la botta fece rimbombare il corridoio deserto. Mi guardò con una smorfia.
«Non sai contro chi ti sei messo, Tomlinson!» disse, sicuro. Mi prese il polso, stringendomi con una forza che non credevo potesse avere, poi mi spinse via con decisione. Notai che c'era qualcosa di strano in lui. Non lo avevo mai visto così... duro. Ma io non ero nuovo di quelle situazioni. Avevo preso parte a troppe risse per non sapere come si facesse, ero molto più esperto di lui. Così, con una mossa veloce, lo presi di nuovo per la t-shirt e lo costrinsi ad indietreggiare di poco.
«Ti farò vedere chi comanda in questa scuola, Dillon!» In quel momento mi feci quasi paura, perché io raramente ero stato così. Non avevo mai fatto il superiore con nessuno fino a quel momento. Evidentemente Luke Dillon mi irritava più di qualsiasi altro essere sulla faccia della terra. Lui però non fece una piega e, anziché spaventarsi, mi sferrò un pugno sulla spalla, che mi fece sobbalzare per il dolore. Era... forte. E di certo non me lo aspettavo da un moscerino come lui. Preso dal momento e dalla voglia di fare a botte con qualcuno come non facevo da troppo tempo, risposi a tono al pugno e lo colpii così forte da farlo urlare. A quel punto, mi costava ammetterlo, cominciavo anche a divertirmi. Si spinse contro di me e mi fece cadera a terra. Non mi feci ripetere l'invito e dopo un sonoro pugno sullo zigomo, che mi fece perdere il respiro, io replicai con uno dritto sull'occhio, realizzando uno dei miei sogni ricorrenti. Stavo per colpirlo ancora, quando il pensiero di Jordan mi riportò finalmente alla realtà. Lei non avrebbe voluto che conciassi uno dei suoi migliori amici per le feste. Mi fermai con la mano a mezz'aria e sospirai, prima di spingerlo sul pavimento e immobilizzarlo.
«Ehi, Dillon, sappi che non è finita qui!» lo minacciai. Lui rise.
«Lo so, Tomlinson. Tu non potrai proteggerla in eterno» Fu quella frase che mi colpì più delle altre. Intendeva dire che mi avrebbe ucciso, per caso? O che avrebbe semplicemente preso il mio posto? Lo fissai negli occhi, cercando di cavarne qualcosa, ma tutto ciò che ottenni fu gelo. Era impassibile, quasi come se non fosse umano. C'era qualcosa di strano in lui. E ne ebbi la conferma quando, mentre lo stavo lasciando, notai uno strano segno sul suo polso, una specie di bruciatura che non riuscii a mettere a fuoco per bene.
«D'accordo... hai vinto questo round... ma ricordati che starò per ben cinque giorni in un campeggio con la tua ragazza, sola soletta, senza di te. Che gran peccato che tu non ci sarai, Tomlinson!» esclamò sarcastico, prima di voltarmi le spalle e andarsene. Bene, Luke nascondeva qualcosa, come tutti quelli che ci stavano intorno del resto. E oltre a nascondere qualcosa era anche un pericolo per i miei nervi e la mia sanità mentale, perciò non mi restava altro che fare una cosa.


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«Tomlinson! Louis Tomlinson! Che piacere averti nel mio ufficio di tua spontanea iniziativa! Era da un po' che non ti vedevo! Cominciavi quasi a mancarmi!» mi prese in giro la preside, anche se era stupita e confusa per la mia presenza nel suo ufficio.
«Immaginavo, manco sempre a tutti!» Io e la preside ormai avevamo un bel rapporto a furia di punizioni e sgridate che mi ero preso da lei.
«Beh? Sei solo passato a salutarmi o... vuoi dirmi qualcosa?» Ecco la parte difficile. Mi passai una mano tra i capelli e presi un profondo respiro.
«Vorrei chiederle se la mia sezione potesse partecipare alla gita con la terza B e la terza C»
«E per quale motivo voi di quinta dovreste andare in campeggio con loro?»

Oh, ecco... a questo non avevo pensato. Dovevo inventarmi qualcosa al più presto.





Angolo darkryry

Ora ci si mette anche Luke. Cosa nasconderà quel ragazzo?

E cosa ne pensate del nuovo piano di Louis di andare in campeggio con le terze? La preside accetterà la sua richiesta?

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