Bring me to life

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Cover by @herslaugh




BRING ME TO LIFE


Frozen inside without your touch
Without your love darling
Only you are the life among the dead
All this time I can't believe I couldn't see
Kept in the dark but you were there in front of me
I've been sleeping a thousand years it seems
Got to open my eyes to everything
Without a thought without a voice without a soul
Don't let me die here
There must be something more
Bring me to life
Wake me up
Wake me up inside
I can't wake up
Wake me up inside
Save me
Call my name and save me from the dark
[Bring me to life_Evanescence]


JORDAN'S POV
«E... Matt Carson, di Londra. Questo è l'ultimo»
dissi, euforica.
«Famiglia poco numerosa, insomma!» ridacchiò Louis, sollevando la montagna di lettere sul suo letto. Erano tutte scritte a computer, ma sigillate come delle lettere antiche, con lo stemma della mia famiglia, in modo che si capisse l'importanza e l'urgenza della situazione. Avevamo trovato alcuni dei miei parenti persino su Facebook e alcuni anche su Twitter, quelli più giovani. Ci era parsa una buona idea contattarli anche lì, ma spedire comunque la lettera, per rendere il tutto un po' più formale. Ora, a distanza di due settimane, tutti avevano risposto.
«Ho fatto tutto io, Lou. Non lamentarti!» sbuffai, ricontrollando che per l'ennesima volta l'elenco fosse completo. Non volevo tralasciare nessuno. Avevo chiesto a tutti di vederci il prima possibile, ossia entro quindici giorni, in modo che potessero arrivare anche i miei parenti più lontani. Il giorno stabilito era quel fine settimana e alla riunione dovevano esserci tutti, secondo le risposte. Della parte avversaria non sapevamo nulla, ma il fatto che l'uomo nero non si fosse ancora presentato, significava che non erano ancora pronti a combattere.
«Non dire cazzate... ho i crampi alle dita, a furia di scrivere e leggere lettere» si lamentò per l'ennesima volta.
«Oh, povero il mio cucciolo! Cosa posso fare per farti sentire meglio?» domandai sarcastica, prendendolo in giro. Louis sollevò un sopracciglio in modo allusivo e mise le dita davanti alla mia faccia.
«Un bacino!» esclamò, come un bambino di cinque anni che vuole il bacino dalla mamma quando si fa male. Risi di gusto e scossi la testa rassegnata, poi sfiorai le sue dita con le labbra, una ad una.
«Va un po' meglio?» chiesi, mettendomi a cavalcioni su di lui, sdraiato sul suo letto. Louis annuì, ma mi sorrise con quell'aria piena di malizia che solo lui sapeva usare.
«Sì, però sai... le lettere erano molte, quindi ho letto moltissimo e mi fa un po' male la bocca, anche» mormorò, indicandosi le labbra. Ridacchiai e mi chinai fino a baciarlo. Lui non si fece ripetere l'invito due volte ed infilò le mani tra i miei capelli, per tenere i nostri visi vicini.
«Ho l'impressione che oggi tu sia tutto dolorante, vero?»
«Sì, infatti... per fare avanti indietro a consegnare le lettere ho fatto molta attività fisica, quindi mi fa male tutto... mi merito la medicina, giusto?»
chiese, guardandomi. Sorrisi e gli sollevai la maglietta, poi baciai il suo petto e scesi sempre più giù.
«Va meglio ora?»
«Uhm... mi fa male anche un po' più giù»
mormorò, allusivo.
«Louis!» Lui scoppiò a ridere per la mia reazione e si mosse impaziente sotto di me, lasciandomi intendere che si stava eccitando. Raggiunsi il bordo dei suoi jeans e slacciai la zip e il bottone. «E come lo giustifichi che ti fa male anche qui?» chiesi, sarcastica. Lui alzò le spalle imbarazzato e mise su un finto sorriso innocente.
«No è che... lui non voleva sentirsi trascurato rispetto al resto di me» Lo guardai impassibile, cercando di capire se fosse serio e se stesse davvero dicendo sul serio. Dopo qualche secondo scoppiò a ridere anche lui.
«Sei un vero idiota!» Louis si sollevò e con una mossa sola ribaltò le posizioni, facendomi finire sotto di lui.
«Ma tu mi ami anche per questo, vero?» Amarlo... certo che lo amavo, incondizionatamente, ma... non riuscivo a dirglielo. Perché non ce la facevo? Perché ancora non mi sentivo pronta? I miei occhi incrociarono i suoi e mi sentii in imbarazzo come non mai.
«I-Io...»
«Ragazzi... vi do cinque secondi per rivestirvi, poi entro. Vi prego non voglio vedere cose che mi bloccheranno la crescita, perciò fate in fretta... non volevo rovinarvi le feste, ma qui c'è qualcuno che chiede di voi»
urlò Harry, dall'altra parte della porta, facendomi sobbalzare. Non sapevo se essere felice perché mi aveva interrotto o estremamente triste. Probabilmente la prima, perché mi aveva risparmiato l'imbarazzo di non riuscire stupidamente a dire una cosa che pensavo già da tutta la mia vita, praticamente. Louis sospirò, infastidito, e si alzò scocciato. Mi tese la mano e mi aiutò a tirarmi su dal letto. Lo guardai dispiaciuta, ma lui non fece una piega, come se non gli importasse. Non sapeva minimamente quanto volessi farcela, quanto volessi renderlo felice. Harry spalancò la porta, con una mano sugli occhi. Sbirciò un poco tra le dita e poi tirò un sospiro di sollievo.
«Bene... allora... ehm... sono arrivati due ragazzi. Dicono di essere tuoi cugini o qualcosa del genere, Jordan» spiegò. Io e Louis ci scambiammo un'occhiata d'intesa e corsi in salotto, senza nemmeno rispondere ad Harry. Sul nostro divano, insieme a Liam e Zayn visbilmente in imbarazzo, erano seduti un uomo, una donna e due ragazzi, uno leggermente più grande di me e l'altra, la ragazza, leggermente più piccola di me. Fu proprio lei a sorridermi come se mi conoscesse da sempre eppure non mi vedesse da una vita. Quel sorriso mi trasmise un senso di intenso affetto, calore, una familiarità che non avevo mai provato. Era strano, ma m'immobilizzai a fissarla, come se effettivamente finalmente l'avessi rivista dopo tanto tempo, ma... io non sapevo nemmeno chi fosse.
«Ciao Jordan. Siamo venuti appena saputo. Siamo i tuoi parenti da Londra. Come stai?» Mi tremavano le gambe. Ecco come stavo. Persone che non avevo mai visto mi stavano parlando come se ci fossimo visti per una pizza la domenica sera tutte le settimane della loro vita. Possibile che mi avessero sempre tagliato fuori così tanto dalla mia vera realtà? O forse... non avevano fatto in tempo a spiegarmi niente del mio mondo, nonostante io fossi quella "eletta" secondo loro. Scossi la testa e avvertii il bisogno di sedermi, per riprendermi dalle troppe informazioni acquisite. Stavo per muovere un passo, incerta, quando sentii una presa stretta sul mio polso e ringraziai il cielo che Louis mi avesse tenuta anche quella volta. Louis mi teneva sempre in piedi, Louis m'impediva di cadere, in tutti i sensi.
«Buongiorno signori, sono Louis, Louis Tomlinson... sono certo che i miei coinquilini vi abbiano accolto nel migliore dei modi, o almeno lo spero, ma... in qualunque caso... volete qualcosa da bere o se avete bisogno di qualsiasi cosa per riprendervi dal viaggio...»
«Grazie mille, Louis, sei molto gentile, ma i tuoi amici hanno già fatto tutto, non preoccuparti»
disse la donna bionda. Doveva avere all'incirca una quarantina d'anni o giù di lì, come il marito. E Louis come al solito si era dimostrato un ragazzo perfetto. Mi prese per mano e mi condusse sul divano, dove mi sedetti, di fianco a quella che era solo una minima parte della mia strana e folle famiglia.
«Allora... ehm...» tentai di dire qualcosa, ma nell'esatto momento in cui Louis mi stritolò le dita tra le sue, capii che non era il caso di parlare e che era meglio far parlare loro.
«Noi siamo Joseph e Melanie e loro sono i nostri figli, Kyle e Camille» spiegò l'uomo. La genealogia della mia famiglia era estremamente complicata, ma quello che avevo capito io studiandola un po' era che c'erano i due nuclei più potenti di demoni che erano appunto quelli che si stavano dando la caccia l'uno con l'altro e milioni di altri demoni intorno a loro. Dal momento che era proibito avere rapporti con gli esseri umani, era logico che loro fossero entrambi demoni da generazioni e i loro figli anche, perché appunto i demoni erano solo anime che sceglievano un corpo come mezzo per vivere sulla terra, nulla di più.
«Quindi... siete tutti demoni?» chiese Liam, ingenuamente. La ragazzina gli sorrise timidamente e annuì.
«Era... inevitabile arrivare a questo punto, penso» eslcamò Melanie. Annuii.
«Sapete come combatterli?» domandai, speranzosa. Loro annuirono.
«Sì... ognuno di noi ha le sue armi. Siamo esseri sovrannaturali, Jordan, possiamo controllare i corpi che ci appartengono, lasciarli e riprenderli quando vogliamo, impossessarci di altri corpi. Siamo qui sulla terra da milioni di anni, abbiamo passato tutte le guerre della storia, quindi... sappiamo esattamente come si fa a combattere. Ma... se ci uccidiamo a vicenda possiamo eliminarci definitivamente una volta per tutte»
«Significa che... se un demone uccide un altro demone lo elimina per sempre?»
domandò Louis, confuso.
«Solo se eliminiamo il demone. Se uccidiamo solo il corpo non serve a niente, una volta abbandonato lo cambiamo» spiegò quello che doveva chiamarsi Kyle. Aveva nello sguardo la stessa luce che animava anche Louis, quella strana voglia di combattere per i propri ideali.
«Questo significa che c'è un modo specifico per farlo?»
«Significa solo che prima di uccidere bisogna fare in modo che l'anima esca dal corpo e assicurarsi di ammazare l'anima stessa, tutto qui... però... solo un demone può uccidere un altro demone»
«E l'unica che può uccidere il vendicatore... sei tu, Jordan»
aggiunse Kyle. Annuii, ormai consapevole di quella realtà. Decidemmo di rimandare quel discorso alla data stabilita, quando sarebbero arrivati anche gli altri familiari. Louis si propose per educazione di ospitarli, ma loro rifiutarono prontamente, dicendo di aver già prenotato un albergo non troppo lontano, con grande sollievo dei ragazzi, che non sarebbero stati molto felice di ospitare un'intera famiglia di demoni, in uno spazio piuttosto ristretto, per altro. Salutai tutti e poi decisi che era ora di tornare a casa. Per tutto il resto della serata cercai di riflettere su quello che avremmo dovuto fare, ma... l'unica cosa che mi ronzava in testa era l'ultima che avevano detto: se io ero l'unica a poter uccidere l'uomo nero, Louis che ruolo aveva in tutto questo?


***


«M-mamma?» domandai, allugando le mani verso il fantasma che mi fluttuava davanti. Era molto simile ad Annabelle, ma... ero certa che fosse mia madre. Era la prima volta che la vedevo in un sogno da undici lunghissimi anni. Avevo paura... perché a volte non riuscivo a ricordare il suo viso, anche se era solo il suo viso umano, ma io non volevo dimenticarlo. E infondo non avevo mai dimenticato la sua anima.
«Jordan, piccola... sei cresciuta davvero tanto. Mi dispiace di non averti mai cercata, ma... non potevo farlo, per il tuo bene, tesoro mio. Se lo avessi fatto lui ti avrebbe trovata» Sapevo perfettamente a cosa alludeva e lo capivo, ma l'importante era che ora fosse lì. Ora che avevo così bisogno di lei.
«Mi sei mancata, mamma... sono felice che tu sia qui. So che mi puoi aiutare... io devo salvarlo... devo salvare Louis. Ti prego, dimmi che posso ancora tirarlo fuori da questa storia. Per favore... non voglio che muioia» fu tutto quello che riuscii a dire. Non c'era tempo per parlare di me, per dirle com'era diventata la mia vita da quando mi aveva lasciata. Potevo svegliarmi da un momento all'altro e per questo non c'era bisogno di raccontarle niente, perché l'unica cosa che importava era che... senza Louis non c'era niente da dire, non c'era un continuo. Non c'era Jordan. Mia madre mi si avvicinò e sfiorò la mia fronte con le labbra, anche se era solo un fantasma, nulla più. Io la sentii lo stesso e il calore che mi pervase il corpo fu bellissimo, intimo, sconosciuto. Eppure... simile a quello che avevo sentito guardando Camille quel pomeriggio.
«Senti quello che hai dentro, ricorda. Fallo vivere attraverso i ricordi, fallo vivere attraverso di te, dagli la vita» Cercai di toccarla, ma ogni mio tentativo fu impossibile, era intangibile, così vicina, eppure così lontana.
«Ma come faccio, mamma? Io...»
«Lo capirai quando sarà il momento, cara. Lo capirai»
Volevo salutarla, dirle che mi mancava, qualsiasi cosa, ma... non feci in tempo, perché lei stava già scomparendo. L'ultima cosa che vidi prima di aprire gli occhi e di svegliarmi, fu Camille, non mamma. Mi alzai di scatto dal letto, respirando lentamente. Se l'uomo nero non aveva ucciso il demone, ma solo il corpo che ospitava... questo poteva voler dire solo una cosa: mia mamma, il demone, lo spirito, erano nel corpo di quella ragazza.



***


«Quindi... voi vi occuperete di seguire le mosse della famiglia Edwards e di cercare di scoprire il loro piano e tutti i loro componenti» aggiunsi quindi, concludendo con gli ultimi tre membri della mia famiglia. Erano solo dei ragazzini, ragazzini che come Louis non vedevano l'ora di giocare alla guerra, convinti che fosse il modo migliore per risolvere tutto. Io ero quasi la causa scatenante di tutto ed ero anche l'unica a non volere una battaglia. Perché contavano tutti su di me in questo modo? Perché avevo dovuto essere proprio io la discendente di Annabelle di cui parlava la profezia? Non volevo assolutamente dire che mio padre non si sarebbe dovuto innamorare di mia madre, ma... era logico che se non fossi nata io... beh, nessuno avrebbe avuto questi problemi, Louis non avrebbe mai rischiato la sua vita. Mi sentivo maledettamente in colpa ed ero spaventata. Volevo risolvere la cosa una volta per tutte, da sola, se proprio era necessario.
«D'accordo... però possiamo combattere?» domandò uno dei tre ragazzi. Sospirai, esasperata. Ma... se erano reincarnazioni ed era da secoli che si trovavano sulla terra... perché avevano ancora voglia di farsi la guerra? Dannazione!
«Solo se mi assicurate di essere pronti» Il problema in quel caso non era il demone, quanto il corpo che lo ospitava. A dover essere allenato, in un certo senso, era il rapporto tra di loro e il corpo che avevano scelto. Il corpo doveva tener duro il più possibile e loro dovevano sforzarsi di non abbandonarlo prima del tempo, per non farsi uccidere definitivamente.
«Non preoccuparti, capo!» ci scherzò su un altro. Louis rise per la mia faccia, che in quel momento doveva esprimere tutto il mio disappunto. In quel momento arrivò Camille, mi prese per mano e mi trascinò lontano da lì. Mi sorrise, ma prima che potessi parlare mi diede una fotografia tutta stropicciata. Volevo parlarle, ma lei non me ne lasciò il tempo. Sapeva che avevo capito tutto e quella foto era l'ultimo modo di mia madre per farmi uscire da quella situazione. Una volta che se ne fu andata spiegai la foto. Erano due bambini. O meglio... eravamo io e Louis. Lui aveva più o meno sei anni, era seduto sul divano di casa sua, io avevo più o meno un anno, lui mi teneva in braccio. Era la nostra prima foto insieme. Lui sorrideva. Notai Louis avvicinarsi così piegai la foto e la misi nella tasca dei jeans.
«Stai facendo un ottimo lavoro, piccola» disse, appoggiando le mani sulle mie spalle.
«Oh... non dire così... io credo che mi odino perché... senza di me non ci sarebbe stato tutto questo» mormorai sincera, abbassando lo sguardo. Louis lasciò scivolare le mani sulle mie spalle, accarezzandomi dolcemente e sospirò. Era concentrato, nel tentativo di trovare le parole giusta da dire.
«Ehi... amore guardami. Guardami» disse, abbassandosi sulle ginocchia fino ad incontrare i miei occhi fissi sul pavimento. Se io non volevo cercare lui... era lui che cercava me. «Questo non lo devi mai pensare! Tu... tu non sei quella che ha causato tutto questo. Questo lo ha causato l'odio, la violenza, il desiderio di potere. Tu... tu invece sei una speranza per tutte queste persone, hai portato l'amore nelle loro vite e nella mia. Sei la cosa più bella che potesse capitare a loro e soprattutto a me. Hai dato a tutti noi qualcosa in cui credere e un motivo per cui combattere, per essere finalmente liberi. Tu hai fatto questo, Jordan. E senza di te non ci sarebbe stato questo. Sarebbe rimasto solo l'odio, si sarebbero fatti la guerra per nulla, senza potersi liberare. Sei il mio demonietto ed io non ho mai desiderato nient'altro, ok? Nient'altro che non fossi tu, perciò... credimi, tu sei quello che stavamo aspettando e di cui tutti avevamo bisogno» A quel punto m'inginocchiai anch'io. Lo raggiunsi, lo presi per mano. Perché, in fin dei conti, se io c'ero era solo merito suo. Perché, se tutto quello che aveva detto era vero, non c'era Jordan senza Louis. Gli presi il viso e lo baciai. Quel bacio era il mio grazie, era il mio "ti amo", era tutto quello che non riuscivo mai a dirgli.


***


LOUIS' POV
«Lou! Idiota! Ma che stai facendo? Dai, scemo!» Jordan continuava a protestare, mentre io continuavo a controllare che non sbirciasse e non si levasse la benda. La stavo portando a casa, la casa vera, quella casa dove tutto era cominciato, quella in cui eravamo cresciuti, quella dove eravamo morti per la prima volta, pur non essendo morti davvero, quella da cui dovevamo ripartire. Ma lei non lo sapeva. Lì ci stavano aspettando tutti i nostri amici e i suoi parenti. Gli Edwards avevano fatto perdere le loro tracce da settimane, ormai. Li avevamo cercati in tutti i luoghi in cui Annabelle sapeva che potevano nascondersi, ma loro non si erano mai fatti trovare. Li stavamo ancora cercando, ma era comprensibile che sarebbero stati loro a trovare noi. Tuttavia noi non eravamo impreparati.
«Sta zitta e rilassati. Hai diciassette anni, ti rendi conto? Ormai sei vecchia!» esclamai, dandole un pizzicotto sulla coscia. Lei si ritrasse ridendo.
«Devo ricordarti che tu ormai vai per i trenta?»
«Stronza!»
Jordan mi fece una linguaccia e si rilassò sullo schienale della mia auto. Parcheggiai l'auto e andai ad aprirle la portiera. Le presi la mano e la aiutai a scendere dalla macchina.
«Dove mi porti di bello a festeggiare?»
«Ma riesci a stare zitta per due fottuti secondi?»
chiesi, stringendole la mano. Lei sbuffò divertita e si strinse al mio braccio.
«Sei pronta?» chiesi, non appena fummo sulla soglia della mia vecchia villa. Mi faceva sempre un certo effetto stare lì, ma era stato inevitabile, perché oltre ad essere l'unico posto grande a sufficienza che conoscevo, era anche il posto dove ero sicuro che Jordan volesse stare, sapevo che voleva tornare lì.
«S-sì... credo. Penso che non mi abituerò mai alle tue sorprese, comunque» Sorrisi e la presi per le spalle, poi le sfiorai la guancia con un bacio e slacciai lentamente il nodo della benda. I ragazzi e tutti gli altri stavano in un silenzio tombale, cercando di non farsi scoprire. Le liberai gli occhi e non appena potè vedere, tutti i nostri amici urlarono in coro "Sorpresa". Jordan trattenne il fiato per un secondo, sobbalzando. La guardai, curioso di vedere come avrebbe reagito e lei scoppiò a ridere, mentre gli occhi le si riempivano lentamente di lacrime.
«Lou... ragazzi... oh mio dio... è la prima volta che qualcuno fa qualcosa del genere per me. Non so come... ringraziarvi, non so cosa dire, davvero» Ad uno ad uno i ragazzi ed i suoi amici la abbracciarono e la baciarono.
«Di' solo che sei contenta di averci conosciuto e che ci vuoi un mondo di bene!» le suggerì Harry, sollevandola da terra. In quei mesi lei e i ragazzi avevano legato molto ed ero felice di questo, perché Jordan, Harry, Liam, Zayn e Niall erano la mia seconda famiglia, quella che avevo scelto.
«Ma questo è ovvio, ragazzi!» esclamò lei, euforica. Non riusciva ancora a crederci, probabilmente. Era felice e questo rendeva felice anche me. Cominciammo la festa, con musica, cose da bere e da mangiare. Avevo chiesto a Zayn d'improvvisarsi dj per una sera visto che lui aveva un po' di esperienza e lui aveva accettato volentieri. Se la stava cavando bene e sembrava che tutti si stessero divertendo, anche i parenti di Jordan.
«Come hai fatto ad organizzare tutto questo, Lou?» mi chiese Jordan, mentre ballavamo insieme.
«Uhm... trucchi del mestiere. Per il mio demonietto preferito faccio questo ed altro!» Lei rise ed appoggiò il viso contro la mia spalla.
«Ho anche un regalo da darti... più tardi»
«Uhm... a casa?»
chiese, maliziosa. Ridacchiai e le diedi un bacio sulla fronte.
«A casa ti darò anche quel regalo» dissi, divertito.
«Dai, Lou... non dovevi nemmeno organizzare tutto questo... non c'era bisogno! E poi... addirittura un regalo!»
«Guarda che non è un diamante, calmati. Quello non me lo posso ancora permettere... e poi sono sicuro che se te ne regalassi uno lo perderesti, perciò non ne varrebbe la pena»
la presi in giro. Lei mi fece l'ennesima linguaccia della serata e mi stampò un bacio sulle labbra.
«Sono contenta che tu mi abbia portata qui... erano undici anni che non vedevo questo posto a parte... a parte nei sogni» Annuii e le accarezzai la guancia.
«Risolveremo tutto, vedrai» Jordan sospirò e scosse la testa, poco convinta. Mi sembrava rassegnata e questa tristezza mi dava fastidio. Io volevo vederla di nuovo felice.


JORDAN'S POV
Louis aveva fatto tutto quello solo per me. Il problema era che... io non riuscivo a divertirmi davvero finché sapevo quello che stava per succedere. La nostra foto, la nostra vecchia casa, tutti i miei parenti. Avevo paura che da un momento all'altro sarebbe peggiorato tutto. E volevo tenerlo stretto. Dovevo dirgli di amarlo prima che fosse troppo tardi per noi.
«Louis... io... devo dirti una cosa» mormorai, richiamando la sua attenzione.
«Che cosa? Dimmi, ti ascolto...»
«Louis... io...»
Un rumore sordo m'interruppe, facendomi sobbalzare. Louis mi guardò allarmato. L'aria si era come fermata, tutto intorno, persino il tempo sembrava non scorrere più.
«Jordan... Jordan stanno arrivando» sussurrò Camille, venendomi vicino in modo cauto. Annuii, consapevole. Si sentiva la loro presenza tutto intorno. Era come se tutto si fosse riempito di silenzio, di paura. Loro erano lì, se ne sentiva la presenza. Louis mi prese il viso. Lo guardavo, ma non lo vedevo. Avevo paura di dimenticare anche il suo viso.
«Sta tranquilla. Io devo andare da Harry, tu sta tranquilla e resta qui, arrivo subito» disse, poi mi diede un bacio a fior di labbra. Stava per allontanarsi, ma lo trattenni, perché avevo paura di non ricordare... di non ricordare il suo sorriso e il sapore delle sue labbra. «Andrà tutto bene, te lo prometto» sussurrò. Fu l'ultima cosa che riuscii a sentire, intorno a me. Louis si allontanò per andare da Harry. Doveva spiegarli cosa fare. Avevamo preparato quel piano nei minimi dettagli e Louis doveva rassicurare i ragazzi e dar loro le ultime direttive per farli scappare. Loro non avrebbero preso i miei amici. Non prima di aver avuto noi. Sarebbero scappati con alcuni dei miei parenti, per sicurezza, ma in fondo sapevamo che non li avrebbero toccati. Prima dovevano passare su di noi. Al piano di sopra c'era lui, l'uomo nero, era nella vecchia stanza di Louis. Riuscivo a dedurlo dai passi pesanti. Avevo paura. Il cuore batteva così forte da farmi star male. L'uomo nero lo avrebbe sentito. Cercai di recuperare il respiro, mentre pensavo a cosa fare. L'uomo nero voleva me, solo me. All'improvviso mi fu chiaro quello che dovevo fare, l'unica cosa giusta. Aspettai che si alzassero tutti per andarsene, così approfittando della confusione e delle urla dei miei amici terrorizzati, corsi verso le scale. Le salii a due a due, sperando che Louis non mi vedesse. Fu solo quando raggiunsi la cima che mi fermai per un secondo.
«Jordan» mi richiamò lui, sentivo che era spaventato. Ma quello non fece altro che spingermi ad andare avanti. Aprii la porta della sua stanza ed entrai. La richiusi alle mie spalle, facendo tutti i giri di chiave. E quando mi voltai... l'uomo nero era lì.
«Ciao Jordan. Finalmente siamo alla fine» Lo era, lo era davvero. Louis non avrebbe mai scoperto quanto lo amavo, ma andava bene così. Se io ero l'unica a poter cambiare quella situazione, Louis doveva tenersene alla larga.
«Già. Prendimi, avanti» L'uomo nero rise e mi si avvicinò.
«Ti sto inseguendo da tutta la vita... non puoi capire quanto io abbia voglia di ucciderti» sibilò. Non si era nemmeno preoccupato di coprirsi, quella volta. Almeno ora sapevo che faccia aveva la morte.


LOUIS' POV
Testarda. Me l'aveva detto anche Annabelle che era così, ma... speravo che stesse scherzando. Invece lei lo aveva fatto davvero. Era andata da lui senza di me. Aveva provato a prendermi in giro, ma non ero così stupido da non capire cosa le aveva detto Annabelle. Sapevo che le aveva detto che sarei morto, ma lei si ostinava ancora a tenermi alla larga. Ci provava in continuazione. Ci provava in tutti i modi. Dovevo intervenire prima che fosse troppo tardi. Se lei fosse morta... io non me lo sarei perdonato... anche perché, se fosse morta lei, chi avrebbe risolto tutta quella situazione? Chi avrebbe salvato la sua famiglia? Lei era la loro unica speranza. Corsi al piano di sopra e mi avventai letteralmente contro la porta, che, come immaginavo, era chiusa.
«Jordan» gridai. Probabilmente ora si sarebbe incazzata, perché così l'uomo nero avrebbe preso anche me.
«Cazzo vattene Lou!» gridò lei, dall'altra parte. La voce le tremava, sentivo chiaramente le sue lacrime.
«Apri immediatamente la porta, Jordan»
«Avanti, ragazzina... lo ucciderei comunque... vedervi morire insieme sarà più divertente»
si aggiunse anche l'uomo nero. Jordan urlò un secco"No" che mi fece tremare. Presi la rincorsa e feci l'unica cosa che mi restava da fare. Quella porta non era mai stata molto pesante. Diedi una spallata al legno duro e la porta uscii leggermente dai cardini, così che potessi aprirla del tutto.
«Ehi, grumo di sangue! Ti sono mancato?» Ecco Louis Tomlinson e la sua proverbiale intelligenza! Stavo per morire e facevo del sarcasmo!
«Sì, inutile esserino, non vedo l'ora di ucciderti» mi assecondò. D'accordo, era ora. Mi buttai direttamente contro di lui, senza nemmeno aspettare la sua prossima volta. L'urlo di Jordan squarciò il silenzio. Caddi a terra con l'uomo nero sopra di me. Il suo sangue era già su tutto il mio corpo, tra poco ci sarebbe stato anche il mio. Pesava il triplo di me, non c'era modo di sconfiggerlo. In mezzo secondo tirò fuori i suoi artigli affilati e me li mostrò con aria di superiorità.
«Questa volta non vi salverete. Mentre voi siete qui, al piano di sotto è già scoppiata una guerra e non potete fare niente per fermarla» Stavo per ribattere, ma quella volta non ne ebbi il tempo. Un grido strozzato abbandonò le mie labbra. Jordan urlò il mio nome, così forte da far rimbombare tutta la casa. Il respiro mi venne lentamente meno, mentre un dolore lancinante prendeva ogni singolo centimetro del mio corpo. Sentii il sangue cominciare a sgorgare dalla ferita. Non sapevo nemmeno cosa aveva toccato, ma sapevo che nella mia pancia c'era uno dei suoi schifosi artigli. Quella volta non mi aveva solo graffiato, quella volta aveva infilato senza troppi complimenti uno dei suoi artigli nella mia pancia. Mi stavo letteralmente piegando in due dal dolore e non era affatto un modo di dire. Volevo contorcermi lì, in quell'istante. E volevo bere, perché il sapore di sangue nella mia bocca era disgustoso. Sapeva di ferro arrugginito e non mi aiutava a pensare. E io dovevo pensare, perché... perché l'uomo nero non aveva più quel ghigno soddisfatto stampato in viso. Sembrava... spaventato, inquieto.
«Qua-qualche... qualche... pro-problema?» mi sforzai di dire. Parlare era quasi impossibile. Non sentivo più nessuna parte del corpo. Sentii l'uomo nero irrigidirsi sopra di me, come se all'improvviso fosse più debole. Gli circondai le spalle con le braccia e lo spinsi sopra di me. Gridai per il dolore, visto che la sua unghia ora era scesa ancora più in profondità. Tutto quello che si sentì, poi, fu il rumore del mio cuore.
«Ora... ora lo senti... lo senti questo? Questo... batte per lei, stupido essere schifoso» dissi. Jordan cadde a terra in ginocchio. Fissava il vuoto, non parlava, era immobile. Sentivo il suo respiro pesante e irregolare.
«Jordan... devi farlo. Ora» Ero certo che sapesse benissimo di cosa stavo parlando. L'uomo nero era più debole, ora. Io lo tenevo in trappola. Il nostro amore aveva vinto di nuovo. Ora... ora Jordan doveva solo ucciderlo. Così facendo però avrebbe inevitabilmente ucciso anche me.
«N-no... Lou... io non... non posso» mormorò, semplicemente. Alzò lo sguardo su di me, mi guardava, ma era come se non mi vedesse. Tutto quello che riuscivo a leggere nei suoi occhi era... terrore. Aveva paura di non fare la cosa giusta, ma... era così che doveva andare, giusto? Fin dall'inizio.
«Cazzo Jordan, ammazzalo! Mi... mi incazzo s-se... se non lo fai» e la voce mi uscì persino più forte quella volta, come se incazzarsi fosse possibile davvero. Le lacrime cominciarono a scorrere incontrollate lungo il suo viso. Ormai Jordan non riusciva più a trattenersi e questo non faceva che giocare a mio favore. In un istante davanti ai miei occhi passò tutta la mia vita insieme a lei, da quando l'avevo vista per la prima volta in quella culla all'ospedale. Aveva aperto gli occhi e in quell'istante avevo capito che lei sarebbe stata sempre nella mia vita. E ora non dovevo fare altro che ricordarle quanto l'amavo e quanto l'avrei sempre amata, anche se non ci fossi stato. Dovevo farla pensare a me. Le presi la mano e la strinsi nella mia, sopra la schiena dell'uomo nero. Non sapevo perché lui ora non si muovesse, ma credevo che fosse il mio sangue. L'avevo allontanato una volta, era inevitabile che lo facessi di nuovo.
«Jordan... Jordan ascoltami bene... io... mi piace guardarti negli occhi quando facciamo l'amore perché... perché così vedo quello che provi e che non riesci a dirmi. M-mi... mi piace respirare il tuo profumo e... e accarezzarti i capelli. Mi piace... mi piace quando sussurri il mio nome, perché mi fa sentire importante. E anche se non me lo dici... io lo so, ok? Lo so. Mi piace quando mi spieghi cose di scuola che io dovrei sapere meglio di te. Mi piace quando... quando sfasi e ti arrabbi per ogni singola cazzata. Mi piaci perché non sai mai quello che devi fare, ma ti sforzi di farlo lo stesso e d'imparare per me e... ti giuro che ti amo e che lo farei a qualsiasi condizione, Jo» Sentii la sua mano diventare improvvisamente calda nella mia. Stava funzionando. Stava pensando a me e si stava arrabbiando con il resto del mondo. «Jordan... baciami per favore» conclusi. Lei scosse la testa, mentre le lacrime le annebiavano completamente la vista. Non voleva rassegnarsi.
«Non voglio lasciarti andare»
«Non te lo sto chiedendo, Jordan. Baciami»
dissi, con le ultime energie che avevo in corpo. Singhiozzò e strinse la mia mano, mentre si chinava. Mi beai del sapore delle sue labbra, per l'ultima volta. La tenni impegnata il più possibile nel bacio. Sentii le sue lacrime sulle guance e cercai di sorridere. Un forte calore si sollevò nella stanza, seguito immediatamente dalla puzza di bruciato. Quella volta non era come le altre. Lui non stava diventando cenere, lui stava bruciando, stava morendo.
«Ti amo» sussurrai, mentre il vendicatore agonizzava per l'ultima volta. Jordan lo spinse con tutte le sue forze. Gridai quando la sua unghia uscì dal mio corpo e mi resi conto che il sangue veniva fuori come una fontana. Mi venne la nausea, l'odore di fumo e il sangue mi fecero contorcere lo stomaco. Mi sollevai, piegandomi in due come da interi minuti desideravo di fare. Presi un respiro profondo, nell'esatto momento in cui sentivo la vita abbandonarmi.
«Lou... non lasciarmi, per favore... Lou...» disse, guardandomi negli occhi. Quella volta il fuoco non si spegneva. Tutto continuava a bruciare.. Le accarezzai i capelli, poi la guancia e le labbra.
«Andrà... andrà tutto bene» sussurrai, poi chiusi gli occhi.


JORDAN'S POV
«Louis... Louis... svegliati per favore... non mi lasciare, ti prego. Non voglio stare senza di te. Ti prego»
mi chinai sul suo viso e lo baciai, ma lui non riapriva gli occhi. Era successo quello che non volevo succedesse. Come potevo... farlo vivere attraverso di me? Come facevo a non farlo morire davvero? Chiusi gli occhi e cercai di ricordare i bei momenti passati con lui e per la prima volta ricordai la mia infanzia, riuscii a rivedere il viso di mia madre, della sua, di mio padre, del suo. La mia casa. E allora non c'era nient'altro da dire.
«Louis... io ti amo. Ti amo Louis. Ti amo»





Angolo darkryry

Sembra proprio che la storia sia giunta al termine. Ok, manca ancora un capitolo... ma avremo un lieto fine?

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