Before sleeping

All rights reserved a midnite_ (EFP)

Cover by @herslaugh




BEFORE SLEEPING


Preferisco l'infarto a vederti piangere
Quando riparto, è come morire e sapere
Di averti guardato negli occhi una volta soltanto.
Questa è una trama che conosco già, lascio che mi deprima,
L'amore è un film in testa visto dall'ultima fila.
La gente qui ride, non sa chi c'è alla fine,
Ogni volta che ti guardo è come vestirmi di spine.
Dicono che non potrei,
Dicono che ho il cuore a metà,
Scriverti fottuti versi d'amore è dono dell'ubiquità,
Potrei vederti ovunque, negli angoli delle città:
Mi basta immaginarti per averti qua.
[Faraway_Salmo]




LOUIS' POV
«Ti amo. Ti amo, lo giuro, ti amo davvero. Non voglio stare senza di te. Non costringermi a vivere senza di te, ti prego»
La sua voce mi sembrava estremamente vicina, nonostante la luce forte e il nulla che mi avvolgevano. Dovevo essere morto, eppure la sentivo come se fossi vivo, come se lei fosse tra le mie braccia e mi stesse dicendo di amarmi proprio in quell'esatto momento. Mi sentivo estremamente leggero, il dolore era completamente svanito. Era così essere morto? L'avevo sempre immaginato un tantino diverso a dire la verità. Pensavo che sarebbe stato più come nei film. Mi aspettavo che un angelo o un diavolo sarebbe venuto a prendermi e mi avrebbe portato da qualche parte, in un posto che, a dirla tutta, in vita non avevo mai voluto immaginare. E invece ero lì, a fluttuare in quel nulla di luce, sospeso tra lei e il niente, con la sua voce a riecheggiare ovunque e da nessuna parte. Con la sua voce che mi teneva fermo e non mi permetteva di andarmene in nessun luogo preciso.
«Louis... Louis dio santo resta qui, cazzo. Io non sono niente senza di te. Ascoltami, ti prego, so che mi senti» Di nuovo la sua voce, ancora un richiamo a farsi vivo nella mia testa. Eccome se la sentivo, ma... non sapevo come risponderle, non sapevo come dirle che se la sarebbe cavata benissimo anche senza di me, perché lei era lei, così speciale, perfetta, forte, anche senza di me. Era la prima volta che arrivavo a quella conclusione, ed era curioso che ci arrivassi proprio mentre ero morto. Però era così. Ora che l'uomo nero non era più un problema, per lei, ero certo che sarebbe riuscita a sconfiggere chiunque, tranquillamente. Mi avrebbe vendicato ed era questo che importava, perché mi avrebbe amato fino all'ultimo. Mi avrebbe amato per tutta la sua vita e questo lo sapevo perfettamente. Ma non si sarebbe preclusa nulla. Era giovane e bellissima, era la ragazza più dolce del mondo ed ero certo che avrebbe trovato un altro ragazzo che come me avrebbe saputo amare e venerare tutto quello che lei aveva da dare. Ero certo che avrebbe trovato un altro ragazzo che l'avrebbe rispettata e che le avrebbe dato ciò di cui aveva bisogno e che l'avrebbe protetta. La sua tristezza non sarebbe mai svanita, io sarei sempre rimasto nel suo cuore, ma un giorno qualcuno le avrebbe disinfettato le ferite, avrebbe ricucito un po' il suo cuore spezzato. Ed io, guardandola sorridere da chissà dove, avrei ringraziato quel qualcuno che le aveva ridato un po' di vita. Ma sarebbe stato così. Non volevo che pensasse che senza di me non poteva farcela, perché era profondamente sbagliato. Lei aveva solo diciassette anni e una vita davanti a sé, un bellissimo mondo da scoprire. E doveva farlo anche senza di me. Sorrisi, o almeno credevo di star sorridendo, perché... lei aveva detto di amarmi! Finalmente ce l'aveva fatta e dovevo ammettere che, anche se era un po' triste saperlo così, quando non avrei nemmeno potuto dirle che ero felice e che l'amavo anch'io, era comunque un buon modo per andarsene.
«Te lo giuro, amore mio... ho paura senza di te» Se in quel momento il mio cuore avesse potuto battere, probabilmente si sarebbe fermato per un po' prima di riprendere. Capivo chiaramente che stava piangendo e desiderai ardentemente di poterla vedere almeno un'ultima volta, per dirle di lasciarmi andare perché sarebbe andato tutto bene. Non doveva avere paura. Io avrei vegliato su di lei da qualunque posto in cui fossi finito. Glielo avrei promesso, se solo avessi potuto parlare ancora. In quel momento capii che il problema vero dell'essere morto così era il fatto che non avevo potuto dirle un milione di cose che avrei voluto sapesse. Ma ero certo che le avrebbe capite da sola. Doveva solo smetterla di piangere e tirare fuori la forza che ero sicuro avesse.
«Louis» Mi voltai, come se ci fosse una direzione in cui guardare, quando sentii quella voce rimbombare nel vuoto assoluto. Non era la voce di Jordan, quella. La sua voce l'avrei riconosciuta ovunque e quella, per la prima volta dopo tante parole d'amore, non era la sua voce, non lo era per niente.
«A-Annabelle? Sei tu?» chiesi, incerto. Non sapevo da dove mi uscissero le parole, a dire la verità. Ce l'avevo ancora un corpo? Io non lo sentivo. Non percepivo più tutti i graffi e le bruciature, non sentivo più il buco profondo nella pancia che mi aveva fatto morire, non sentivo più niente.
«Sì, sono io»
«Ma... che ci fai qui?»
domandai, confuso. Dopo svariati secondi di silenzio, Annabelle comparve finalmente davanti a me.
«Ogni tanto ci vivo» mormorò, avvicinandosi a me. Senza rendermene conto, tentai di toccarla, come al solito, ma quella volta, a differenza delle altre, ce la feci. Vidi chiaramente la mia mano, o almeno quella che doveva essere la mia mano, fondersi perfettamente con la sua. Non erano altro che due nuvole di fumo bianco, due soffi di vita, due anime che si fondevo. Non ero più un corpo. Ero incorporeo, immateriale, ma... ero morto?
«Sono... decisamente confuso» sentenziai, sincero. Non capivo più nulla di quella storia. Avevo chiuso gli occhi con un gigantesco buco nel ventre che sgorgava sangue a fiotti come una fontanella e li avevo riaperti in luogo a me del tutto estraneo, di cui non avevo mai sentito parlare, senza un corpo. Com'era potuto succedere? Avevo estremamente bisogno di spiegazioni, come al solito.
«Vedi, Louis... questa è la zona di mezzo»
«Vuol dire che... che non sono davvero morto?»
chiesi, riluttante. Certo, ormai la risposta non mi avrebbe minimamento toccato, perché tanto me n'ero andato e l'avevo lasciata sola, ma giusto per soddisfare la mia curiosità di ragazzo morto, volevo saperlo. Annabelle ridacchiò, intrecciando le nostre dita di fumo.
«Lo sei e non lo sei, in sostanza. Il tuo corpo è morto, la tua anima no. Sta semplicemente cercando di andarsene come fanno tutte, in pratica. Sei qui perché la tua anima non si dà pace, sta ancora vagando, indecisa se andarsene definitivamente o se restare attaccata al suo corpo, solo che non ci riesce»
«E perché non ci riesce? Perché... non me ne vado definitivamente?»
domandai, sperando di capirci qualcosa. Perché non volevo morire?
«Perché lei ti tiene ancora in vita. O almeno... non in vita, ma qui. Nella zona di mezzo. Lei non vuole lasciarti andare e la tua anima si sente come se dovesse fare ancora qualcosa, come se non avesse ancora concluso il suo compito»
«Quindi... non muoio perché Jordan non vuole che io muoia?»
cercai di capire, facendo quella che doveva essere una smorfia confusa. Annabelle rise.
«Qualcosa del genere» sussurrò. Ora Annabelle non era più fredda, era calda, bollente, viva, anche se in fondo viva non lo era proprio per niente.
«Ma... lei può fare questo?»
«Oh, lei può fare questo e molto di più. Lei è un demone, lo sai. Lei collega un mondo all'altro, perciò può tenerti dove vuole»
spiegò, stringendo la mia mano. Improvvisamente mi sentii come se poco a poco mi stesse tornando un cuore. Cosa dovevo fare io per tornare indietro, allora?
«Quindi... io cosa dovrei fare per raggiungerla?» domandai, speranzoso. Si poteva ancora provare qualcosa anche da non-morto? Così avevo attraversato tutti gli stati della mia vita. Ero stato vivo, morto e... non morto. Al pensiero del mio corpo su cui probabilmente Jordan stava piangendo a dirotto, provai il forte desiderio di riaverlo solo per piangere anch'io. Ecco dove stava la sua forza. Lei restava lì, sopra di me che, fino a prova contraria, ero un cadavere, a piangere e a dirmi di amarmi, a chiamarmi come se sapesse che potevo tornare indietro. Era testarda, ostinata, non si rassegnava all'idea che io morissi. Lei mi voleva con sé. E riusciva a farmi sentire egoista anche mentre in teoria dovevo essere pacificamente morto in paradiso o all'inferno. Invece no. Invece mi faceva preoccupare e mi faceva sentire uno stronzo perché la lasciavo sola. Però tutto questo mi faceva sorridere, perché aveva su di me quel potere che nessuno aveva mai avuto. Lei poteva tutto. Ed io per lei potevo tutto, anche... non morire, per quanto fosse strano.
«Tu lo sai, sai cosa devi fare. Devi fare quello che hai sempre fatto» disse Annabelle. Stavo per ribattere, ma lei non me ne diede il tempo. «Addio, Louis» Addio? Che cosa? Mi stava davvero dicendo addio? Questo significava che... non mi avrebbe più aiutato, non mi avrebbe più guidato. E non era vero che io sapevo cosa fare, maledizione. Avevo bisogno di lei, sia che dovessi morire sia che dovessi definitivamente tornare indietro.


JORDAN'S POV
Louis non doveva morire. Non doveva perché io sapevo che lui non mi avrebbe mai lasciato, almeno non finché fossimo diventati vecchi, con un sacco di nipoti e se ne sarebbe andato felice e gli avremmo messo sulla tomba una bella foto di lui sorridente come quel vecchio del cimitero, quando ci eravamo andati la prima volta. Ma avrebbe avuto novanta o più anni, in quella foto, non ventuno. Ed io lo sapevo, lo sapevo perché Louis non voleva morire. Ed il mio non era puro egoismo: avevo tutto il diritto di pretendere che restasse in vita, che restasse con me, perché me lo aveva promesso e le promesse andavano mantenute, sempre.
«Lou... ti ricordi la prima volta che siamo andati al cimitero?» Mamma mi aveva detto che dovevo farlo vivere attraverso i miei ricordi, in quel sogno, ed era quello che avevo intenzione di fare, così continuai imperterrita il mio racconto, convinta che lui in qualche modo mi stesse sentendo. «Ecco... ti ricordi del vecchio Jakob, quello che abbiamo spacciato per nostro nonno? Jakob Scott, nato nel 1935 e morto nel 2010... io me lo ricordo come se fosse ieri. Tu hai sorriso e ti sei chiesto di cosa fosse morto quell'uomo ed io ti ho risposto che secondo me era un militare in congedo morto felice con tutti i suoi nipoti. È così che deve essere, Lou. Io voglio che tu muoia felice e vecchio, non ora che puoi ancora fare un sacco di cose. Hai detto che volevi ancora baciarmi contro il muro di cinta di un cimitero, ed è quello che voglio fare, Lou. Quando siamo andati da Annabelle, mi hai detto che una volta usciti dalla cripta mi avresti regalato il mio profumo preferito e io quel profumo ancora non l'ho visto... e cavolo, io lo pretendo!» Le lacrime ormai scendevano incontrollate lungo le mie guance, sembravo un fiume in piena, era l'uragano di emozioni che mi stava devastando. Il mio ragazzo era morto, ma io non volevo arrendermi all'idea che mi lasciasse. Sapevo che era dura, sapevo che le persone ne uscivano comunque, sapevo che forse ne sarei uscita anch'io, in un modo o nell'altro, ma era come se dentro di me sapessi che lui non se n'era andato davvero. Louis non mi avrebbe mai abbandonato così, non l'avrebbe fatto.
«Ti ricordi il nostro primo bacio? E non intendo quello che mi desti alla festa di Nathan, lo sai... intendo... quando avevo cinque anni e ti diedi un bacio sulla bocca per ringraziarti del regalo che mi avevi fatto per il mio compleanno. Tu mi abbracciasti come una sorella e mamma e Jay ci guardavano come se sapessero che non era affatto così, che tutto sarebbe andato diversamente. Mi hai detto che ti ricordi perfettamente quel giorno in cui mi spingesti perché ti avevo fatto arrabbiare... io caddi e mi sbucciai il ginocchio, scoppiai a piangere come una fontana e tu mi stringesti forte, chiedendomi scusa in continuazione, perché non volevi farmi male e ti eri spaventato tanto. Dicemmo a mamma che ero caduta giocando a palla. Te lo ricordi, vero? Io sì... io non ho dimenticato un solo secondo di quelli trascorsi con te, nemmeno uno» Continuavo a stringerlo tra le braccia, come se fosse vivo, perché per me lo era, era vivo nei miei ricordi e lo sarebbe sempre stato, lì e nel mio cuore. Forse era così che doveva finire... forse dovevo lasciarlo andare.
«Ricordi la prima volta che... che hai fatto l'amore con me? Lou... tu lo sai che io non amerò mai nessuno come ho amato e come amo te, non ce la farò. Se devi per forza andare via... beh, vai, ma sappi che resterai sempre dentro di me, perché io non dimentico, io non dimenticherò mai niente di quello che abbiamo fatto e credere che riuscirò a trovare qualcun altro, perché non sarà te e mai nessuno sarà te. Sei il mio unico e non voglio che questo cambi. Ricorderò quello che c'è stato e sarai l'unico per sempre. Quindi ora ascolta la mia voce, sentimi per l'ultima volta prima di andare via, tanto lo sai che io non sto mai zitta, me lo dicevi spesso... ti amo Louis. Ti amo tanto» E poi rimasi in silenzio, con la testa sul suo petto, le mie lacrime che bagnavano solo quello che restava di lui e mentre al piano di sotto stava scoppiando una guerra apocalittica, io me ne stavo lì, perché il resto non contava niente, senza di lui. E non sapevo davvero dove avrei trovato le forze per lasciarlo e combattere, ma dovevo farlo, in un modo o nell'altro... per chi ci voleva bene, per me e soprattutto per lui, perché non si fosse sacrificato invano. Raccolsi tutto il mio coraggio, mi sollevai leggermente e sfiorai le sue labbra con le mie. Era l'ultima volta quella, l'ultima per davvero. Era la fine di noi due.
«Addio amore mio» sussurrai, decisa più che mai ad andarmene.
«Ehi... amore... non v-vorrai mica... cacciarmi c-così, vero? Pensavo... p-pensavo che mi v-volessi...» Sgranai gli occhi, sobbalzando. Non era morto neanche da un quarto d'ora ed io avevo già le allucinazioni? Era possibile? Forse sarei diventata pazza prima del previsto, senza di lui. Scossi la testa, per far andare via la sua voce, ma poi sentii qualcosa di debole solleticarmi la schiena. Sobbalzai e un gemito di dolore mi fece tremare... quelle sulla mia schiena erano... erano le dita di Louis. E si muovevano.
«L-Lou? Lou ma che diavolo... sono morta anch'io?» esclamai, mentre indietreggiavo, strisciando per terra col sedere... ero spaventata. Che stava succedendo?
«J-Jo... non avere paura... sono io» mormorò, senza sollevarsi, con le labbra contratte per il dolore.
«N-No... non è possibile, tu sei morto, Lou! Non... non anche le allucinazioni, per favore... lasciami almeno provare a vivere una vita dignitosa anche senza di te, per favore!»
«Jo, piccola... non sono morto... sono ancora qui»
Lo guardai di sottecchi, decisamente terrorizzata. Cominciai a respirare a fatica, presa dal panico. Ero in iperventilazione e non riuscivo più a capire cosa stava succedendo. «V-vieni qui... toccami» aggiunse, in un flebile sussurro. Le mani e le gambe mi tremavano, non sapevo se sarei riuscita a reggermi in piedi. Non sapevo perché, ma quello che stava succedendo in quel momento mi terrorizzava più di quanto mi avessero spaventato tutte le altre vicende che erano successe nella mia vita. Appoggiai le mani e le ginocchia a terra e gattonai verso di lui esattamente come una bambina. Allungai titubante la mano e lo toccai timidamente, premendo poco l'indice sulla sua guancia. Louis si lasciò sfuggire un sussulto, un'espressione di dolore a dipingergli il viso.
«L-Lou... sei veramente tu? Ma come... com'è possibile?» Era incredibile... e davvero ancora non riuscivo a crederci. Mi accovacciai al suo fianco, guardandolo ancora un po' scettica. Io che non mi rassegnavo all'idea che fosse morto, ora non mi rassegnavo all'idea che fosse ancora vivo: ero davvero confusa. «T-tu... tu sei resuscitato?» chiesi, perplessa. Louis strizzò gli occhi, nell'evidente sforzo che gli costava parlare. Mi ripromisi che quella sarebbe stata l'ultima domanda che gli facevo. Se era vero che era vivo non volevo che si sforzasse.
«In realtà non sono mai morto... ho visto Annabelle nel mondo di mezzo... sai, in pratica la mia anima se ne stava lì, sospesa tra la vita e la morte, perché... perché sentiva di avere ancora qualcosa in sospeso in vita»
«C-Cosa? Ma che significa? Queste cose non succedono solo nei film?»
Ecco, un'altra domanda! Mi tappai la bocca, mortificata, finché sentii la mano di Louis scivolare sulla mia. Era freddo, incredibilmente freddo.
«Significa che... che tu mi tenevi legato qui, perché non volevi che me ne andassi... Annabelle ha detto che tu... tu puoi tenermi dove vuoi. Quindi se decidi di farmi morire io muoio, che sia chiaro» A quel punto decisi di stare zitta, perché in effetti non c'era più nulla da chiedere. Lui era... vivo. Era sopravvissuto davvero, non era mai morto veramente. Io lo avevo tenuto con me. Senza pensare mi chinai su di lui e lo strinsi tra le braccia, felice come mai ero stata nella mia vita. Lo avevo salvato, gli avevo dato la possibilità di fare tutto quello che non aveva ancora fatto nella vita e di stare con me.
«Perché mai dovrei volerti morto dopo che ho fatto tutta questa fatica per farti sopravvivere?» Louis portò le mani sulla mia schiena e mi accarezzò. Francamente non capivo dove trovasse tutta quella forza di volontà, nonostante tutto quello che stava superando.
«Ehi, tesoro... amo stare così, ma... magari lo facciamo in un altro momento, sai... mi stai facendo male...» mormorò, dispiaciuto. Lo lasciai andare, preoccupata e mortificata.
«Scusa... è solo che non so ancora come comportarmi» Lui si sforzò di annuire. Si portò la mano sulla pancia, sollevandosi lentamente, stringendo i denti per il dolore. Si guardò la mano e un sorriso forzato fece capolino sul suo viso.
«E quindi... dovevo davvero farmi uccidere per sentirmi dire da te che mi ami, eh?» mormorò. Sorrisi, mio malgrado. Come faceva a restare sempre così? Nemmeno la morte "apparente" era riuscita a scalfirlo.
«A quanto pare però ha funzionato» dissi, convinta. Lui annuì e solo a quel punto mi resi conto della sua mano completamente rossa, gocciolante di sangue. Giusto... anima e corpo, due enti ben distinti. L'anima era tornata nel suo corpo, ma il suo corpo, beh... quello non era decisamente nelle condizioni migliori. Istintivamente abbassai lo sguardo sul mio vestito, che, come ipotizzavo, a causa del nostro abbraccio era completamente imbrattato di sangue. Sentii lo stomaco contorcersi violentemente per quella vista, chiusi gli occhi, cercando di trattenere il senso di nausea e il primo conato di vomito. La testa prese a girarmi, tutto all'improvviso. L'avevo persino abbracciato, ma non mi ero accorta di quello. Ora che lo vedevo davvero era tutta un'altra storia.
«J-Jo... Jo non svenire ti prego, mi servi forte» si lamentò lui che, nonostante le sue condizioni, riusciva ad avere forza per entrambi, anche se doveva andare al contrario, in teoria, ed era quello che mi stava chiedendo. Annuii, presi un profondo respiro e aprii lentamente gli occhi. Pensai qualche secondo al da farsi... dovevo assolutamente fare in modo che Louis uscisse di lì ed andasse all'ospedale, alla bugia da rifilare a tutti quella volta ci avrei pensato più tardi, la necessità ora era quella di salvarlo. Raccolsi tutte le mie forze per aiutarlo a sollevarsi, assecondando i suoi tentativi. Louis però scoppiò a tossire, improvvisamente, più forte del previsto. Avevo davvero paura, anche se lo avevo già fatto tornare una volta.
«Louis... non voglio perderti di nuovo, che sia chiaro. Non ho intenzione di riportarti indietro un'altra volta, perciò ora reagisci... ti porto all'ospedale, avanti» dissi, sicura, dissimulando ad arte i conati di vomito e la sensazione di svenimento che ormai dominavano sul mio corpo.
«Cosa? Non... non puoi portarmi all'ospedale! Cosa dirai, poi?»
«Non me ne frega niente di quello che dirò. Sono anche disposta a confessare tutto! Pensi che mi crederebbero? Forse sì, se glielo dimostriamo, ma anche in quel caso... dubito fortemente che nel duemila qualcuno mi brucerebbe viva sulla pira se sapesse cosa sono! D'accordo... ora sto divagando e non è il momento, ma... quello che voglio dire è che...»
Pensai al da farsi, mentre esponevo il mio contorto giro di pensieri. Mi ricordai del vestito a fascia che indossavo e mi parve una buona idea mettere in pratica quelle nozioni che avevo accumulato negli anni guardando film, documentari e leggendo libri e sperando che servisse a qualcosa nonostante non fossi un'esperta di primo soccorso. Lo lasciai andare e poi sfilai la cintura nera del vestito sotto il seno. Presi ancora tutta l'aria che potevo accumulare con un solo respiro, per trattenere i conati di vomito e pensai che fosse una buona idea continuare a parlare mentre tentavo di bendargli la ferita in modo da distrarmi, per non pensare al sangue. Louis non disse nulla e mi lasciò fare, forse speranzoso che la mia idea funzionasse. «Quello che voglio dire è che l'unica cosa di cui m'importa davvero è la tua salute. Posso anche discutere con la santa inquisizione davanti a milioni di persone, davvero, posso farlo... basta che tu stia bene, che tu sia in forma e che tu possa fare ancora l'amore con me senza un'inquietante buco nello stomaco, ok?» dissi, sfoderando tutta la mia intraprendenza, prima di legare con forza la fascia sulla sua ferita. Louis gridò per il dolore, gli presi la mano, stringendola forte, fino a farlo calmare. Continuava a tossire e a tremare, probabilmente la febbre gli era già salita all'infinito e se era ancora vivo era solo perché gli avevo impedito di lasciare quel corpo martoriato che si ritrovava ora, ma... non poteva resistere a lungo in quelle condizioni. Presi il cellulare dalla tasca e composi il numero di Harry. Sapevo che sarebbe impazzito all'idea di tornare indietro, ma non gli avrei fatto correre dei rischi, sarei stata attenta, ma io dovevo restare lì ed Harry e i ragazzi erano le uniche persone di cui mi fidavo, che avrebbero potuto aiutarlo.
«Haz... sono Jordan» dissi concitata, non appena rispose.
«Jo! Oh, mio dio... dimmi che mi stai chiamando per dirmi che va tutto bene» Mi morsi il labbro, preoccupata. Capivo quanto fossero in apprensione per Louis e li capivo benissimo, ma, anche se era difficile, dovevo dir loro la verità.
«Harry, ascoltami bene... quello che sto per dirti è complicato, ok? Ma devi promettermi che resterai calmo e lucido, perché io e soprattutto Louis abbiamo molto bisogno di te» Sussurrò un "D'accordo" che sentii appena, incitandomi a continuare. «Va bene, sentimi... Louis... Louis è vivo, ma... non sta affatto bene, ok? È sopravvissuto per miracolo e ora ho bisogno che lo portiate il prima possibile via da qui. Lo porto fuori di qui il prima possibile, tu raggiungimi e segui le istruzioni di Camille, lei sa cosa fare d'accordo?»
«S-Sì... ma cos'ha di preciso?»
domandò, debolmente. Si sentiva benissimo che era turbato, ma non voleva lasciarlo intendere.
«Un'unghia della forma e delle dimensioni di una lama conficcata nella pancia, qualche ustione qua e là e parecchio fumo nei polmoni, credo...» dissi, cercando di fare una sintesi quanto più accurata delle sue condizioni, perché magari sarebbe servito.
«Oh... d-d'accordo... arriviamo presto»
«Ehi... sopravviverà, l'ha già fatto una volta»
lo rassicurai, prima di chiudere la chiamata. Mi voltai verso Louis che annuì.
«Bene... ora dobbiamo uscire di qui. Devi... resistere ancora un po'. Ti prometto che andrà tutto bene» Di solito era lui che mi prometteva certe cose, ma quella volta dovevo dirglielo io, perché ero io a dovermi assicurare che andasse tutto bene. «Sei pronto?»
«Sì»
Annuì e, prima che potesse accorgersene, passai una mano intorno alla sua vita e lo tirai su da terra, provando ad essere almeno un po' delicata. Louis si lasciò sfuggire un urletto di dolore, mordendosi il labbro per provare a trattenersi quanto più poteva. Ero certa che detestasse l'idea di mostrarsi debole di fronte a me, anche se era praticamente mezzo morto.
«Cazzo! Altro che disinfettante... questo sì che fa male» imprecò, nonostante tutto. Sorrisi, anche se in realtà tutto quello era problematico da sostenere. Insomma... odiavo vederlo soffrire e dovevo portarlo al piano di sotto e poi fuori sperando che nessuno mi fermasse e cercando di non fargli male continuamente. In più, solo in quel momento mi rendevo conto che, a dispetto del fisico asciutto, Lou non era per niente leggero, rispetto a me e poiché aveva poche forze per sostenersi da solo, dovevo reggerlo quasi completamente io. A coronare la situazione complicata... c'era la nausea. Davvero il fatto che Louis stesse così male faceva stare male anche me. Feci appello a tutte le mie forze sovrannaturali che avevo, se ne avevo, e lo trascinai verso la porta. Uscimmo dalla stanza tra i suoi lamenti sommessi e raggiungemmo le scale. Louis si attaccò al corrimano, l'altra mano intorno alla mia spalla. Facemmo un gradino per volta e dopo qualche minuto arrivammo all'ultimo scalino. Ero così presa da lui che solo a quel punto mi resi conto degli schiamazzi e delle grida che provenivano da quel piano. Spalancai gli occhi, quando davanti mi ritrovai una specie di apocalisse in formato ridotto. Ero stata via per così tanto tempo da aver abbandonato lì la mia famiglia a combattere e a... rischiare la vita.
«Avanti... a-andiamo... portami via e torna qui in fretta... loro hanno bisogno di te» sussurrò Louis, voltando il capo verso di me. Annuii, ma era difficile distogliere lo sguardo da quella carneficina. Noi eravamo tanti, ma loro non erano certamente da meno. La nausea aumentò in maniera esponenziale e credetti di svenire da un momento all'altro. Le gambe non mi cedevano solo ed esclusivamente perché rese forti dal pensiero che dovevo sostenere Louis. E quindi... era quella la guerra? Era odore di morte, sangue che schizzava a fiotti, corpi riversi a terra, dolore... troppo dolore. Dovevo cercare Camille, doveva aiutarmi a mettere in salvo Louis. Il problema era il fatto che quasi tutti i demoni ormai erano usciti dai loro corpi, ormai tristemente a terra. La battaglia si combatteva tra spiriti. E solo guardando i miei familiari, i miei parenti, quelli come me in quel momento, mi domandai in che modo nessuno avesse mai compreso la diversità tra le due famiglie. Com'era possibile che nessuno si fosse accorto della loro vera forma? O era diventata così solo con il tempo? Loro erano neri, scuri, informi, privi di luce, erano come il fumo di una ciminiera, portavano il male. Noi, o almeno... i miei parenti, erano esattamente l'opposto, erano anime belle, bianche, candide. Loro erano il bene. Pensai al mio ultimo sogno in cui mamma mi era apparsa e mi aveva fatto capire di essere rinata nel corpo di Camille, mi guardai intorno, perché ero certa che l'avrei riconosciuta anche tra milioni di anime così simili. Infatti, poco dopo la trovai nel bel mezzo di una battaglia.
«Mamma!» urlai, facendola voltare di scatto verso di me. Sapevo benissimo che era solo un'anima, ma una volta quell'anima era stata mia mamma e se era vero che per noi i corpi erano solo accessori, beh... allora lei lo sarebbe sempre stata. Venne verso di me, mi guardò, poi spostò lo sguardo verso Louis.
«D-Devi aiutarmi... devo portare Louis fuori di qui, prima che sia troppo tardi.» Non disse una parola, si limitò ad avvicinarsi velocemente al suo corpo e prima che potessi realizzare le sue intenzioni, entrò dentro di lui, esattamente come un fantasma che passa attraverso i muri. Louis sussultò e prese un respiro più forte degli altri. Giusto... poteva scegliere qualsiasi corpo in cui entrare. Louis mi lasciò andare e riuscì a reggersi da solo, come se lo spirito dentro di lui fosse una forza vitale che lo aveva rinvigorito. Gli sorrisi e accarezzai la sua guancia, annuendo, perché sapevo che sarebbe sopravvissuto, di nuovo, perché lui era indistruttibile. Mi prese le mani ed io sapevo che ad agire era ancora Louis, non lo spirito di mia madre, perché gli stava dando modo di agire con la sua volontà.
«Jo... promettimi che uscirai viva da qui, perché... là fuori abbiamo tutti bisogno di te, come qui dentro. Ti prego» Annuii.
«Te lo prometto» Gli strinsi la mano, per poterlo accompagnare verso l'uscita della casa. Dovevamo attraversare il salotto ed io in quel momento ero la loro unica fonte di protezione... l'unico problema era che nessuno mi aveva mai insegnato come si combattesse contro i miei simili. Anzi... loro non erano esattamente miei simili, loro erano di più, io ero solo la loro metà. «Guarda dentro di te» Fu l'ultimo suggerimento che sentii, prima di ritrovarmi travolta da qualcuno, o meglio... qualcosa o quel che era, ancora non lo avevo capito. Spirito o non spirito, era decisamente doloroso. Mi aveva avvolto nella sua oscurità e non riuscivo a respirare. L'aria mi mancava e respirare quel fumo nero non faceva bene.
«Louis!» urlai, perché era l'unica cosa che m'importava, non riuscivo più a vederlo e non sapevo se era uscito da quella maledetta casa. Chiusi gli occhi, reprimendo i movimenti violenti del mio stomaco che si contorceva. Guardai dentro di me, ci provai sul serio. Io ero speciale... mamma e papà me lo dicevano sempre, Annabelle me lo diceva sempre... Louis me lo diceva sempre. Dovevo solo capire in che cosa consisteva il mio "essere speciale". Sentivo le forze abbandonarmi a poco a poco, ma qualcosa mi dava ancora una strana sensazione di potenza e sapevo di preciso cosa fosse... era il fuoco che avevo dentro. Mi concentrai sulle immagini della mia infanzia, sui giochi con Louis e sulle giornate passate con mia madre e il ricordo infiammò ancora di più i miei sensi, facendomi bruciare. Ad un tratto l'oscurità intorno a me si dissolse, e tutto cominciò a brillare, illuminato dal fuoco. Ora era il mio momento. Non sapevo davvero cosa ci fosse di giusto in quella guerra, non sapevo perché quelle anime avevano deciso di eliminarsi tra di loro, non c'era nessun lato positivo nella guerra, nessuno, ma... se doveva andare così, se tutto quello era necessario, allora avrei impedito che riuscissero nel loro proposito di conquistare il mondo, avrei arginato il male il più possibile, avrei vendicato il dolore che avevano dato ad una ragazza innocente, all'amore ingenuo di una creatura candida che avevano trasformato in gelo. Se era necessario, avrei fatto vedere loro quello che stava scoppiando dentro di me.
«Questo è per avermi fatto vivere sedici anni della mia vita nella più completa ignoranza, schifosissimo demone!» sbottai, lasciando alle mie spalle quel demone che non sarebbe più stato tale. Lo avevo eliminato, avevo eliminato per sempre la sua possibilità di tornare tra gli uomini. E mi sentivo stranamente bene, oltre che stranamente male.
Nel giro di cinque minuti capii perfettamente come fare, era semplice. Bastava bruciarli un po' perché il demone uscisse dal corpo e poi bastava concentrarsi per dissolverlo. Era esattamente come scaldare l'acqua sul fuoco e farla evaporare. Alcuni di loro erano più complicati da sconfiggere, perché avevano poteri particolari. Molti riuscivano a concentrare tutte le loro energie su di me, fino ad indebolirmi, ma a tutti quelli mancava qualcosa che io invece avevo. Era una forza strana quella che mi mandava avanti, non sapevo davvero cosa fosse, ma il fatto che tutti mi avessero irritato così tanto fino a quel punto mi rendeva forte a sufficienza da menar anche calci e pugni dove servisse. Potevo fare un elenco numerosissimo di problemi e di dolori che quelle... cose mi avevano causato. Tanto per cominciare avevano ucciso i miei genitori, mi avevano fatto vivere nell'ignoranza per sedici anni, oltre ad avermi fatto crescere orfana, avevano quasi ammazzato il mio ragazzo e creato disagi ai miei amici. Quindi ero profondamente arrabbiata, forse era quello a spingermi.
«Oh, ma guarda un po' chi si vede» Ad un tratto una voce più irritante delle altre riuscì a distrarmi dai miei pensieri e a riportarmi alla realtà del momento. Ormai uccidevo senza nemmeno rendermi conto di quello che stavo facendo e questo un po' mi spaventava, se solo avessi potuto mi sarei tirata fuori da tutto quello, ma purtroppo la guerra tra le nostre famiglie mi coinvolgeva in prima persona. Così presi un profondo respiro e metabolizzai tutto il sangue che gocciolava dalle mie mani, l'odore di bruciato che mi lasciavo alle spalle e le fiamme che divampavano al mio passaggio. E stavo bene, in fin dei conti.
«Ora avrei paura, se fossi in te, hai fatto male i tuoi conti Carol... o come dovrei chiamarti» Lei rise.
«Oh davvero? Ragazzina... non puoi capire quanto io sia felice di essere finalmente alla resa dei conti. Tutti questi cadaveri non ti pesano un po' sulla coscienza? È solo colpa tua, dopotutto» Ecco, appunto... chissà perché non dubitavo che sarebbe anche riuscita a leggermi nel pensiero.
«Una volta una persona mi ha detto che i sacrifici sono necessari, a volte» fu tutto quello che riuscii a dire. Fu un attimo prima che quell'ombra scura mi avvolgesse completamente. Sentii le gambe tremare, cedetti inginocchiandomi sul pavimento caldo della casa. Lei era ovunque, intorno a me, forse anche dentro di me.
«E quindi credi che tutti questi demoni che vivono da milioni di anni abbiano deciso volentieri di sacrificarsi per te?»
«N-non... non l'hanno fatto per me. Si sono sacrificati per difendere la causa in cui credevano, esattamente come quelli della tua famiglia. Siamo in guerra, ognuno difende quello che crede un bene per sé... diventiamo tutti mostri, Carol. In questo momento sono esattamente dalla tua stessa parte»
Sentii un colpo allo stomaco, mi piegai su me stessa, mentre tentavo inutilmente di respirare. L'aria si era fatta più pesante, come il mio corpo e sapevo esattamente perché. Lei era decisamente più preparata di me nel campo della battaglia, quindi stava riuscendo a sopraffarmi senza troppi problemi.
«Allora per quale motivo ti ostini a combattere, piccola Jordan?» Mi sforzai di contrarre il viso in un sorrisino.
«Se forse... se tu avessi semplicemente dato subito fastidio a me, magari non si sarebbe scatenato tutto questo, se mi aveste uccisa subito, non avreste avuto problemi, ma... no! Voi dovevate rompere le scatole anche al mio ragazzo, al mio ragazzo che non c'entrava nulla in tutto questo, al mio ragazzo che aveva come unica colpa quella di amarmi... e sai una cosa? Io ora continuo... continuo a combattere perché sono incazzata! Sono incazzata nera!» urlai, alzandomi in piedi, trovando la forza non so dove. Non sentivo più un solo osso del corpo, a quel punto, sia per i colpi ricevuti durante i combattimenti, sia per quelli ricevuti in quel momento da Carol. Però ero forte, ero determinata, ero veramente furiosa. Avrebbero potuto fare qualsiasi cosa e invece se l'erano sempre presa con gente che era capace di amare, per tutti quei secoli non avevano fatto altro che portare il loro odio ovunque e questo non potevo accettarlo. Finalmente Carol si allontanò da me e potei vederla di nuovo. Il cuore mi batteva all'impazzata nel petto. Intorno a noi sembrava essere scomparsa qualsiasi cosa, ingoiata dalle fiamme. E per la prima volta ero seriamente convinta di non avere paura. Era ora di farla finita una volta per tutta.
«Io non farei l'eroe, se fossi in te» Mi sistemai il vestito, come se in quel momento l'aspetto fisico fosse il dettaglio più importante. Che poi in un certo senso lo era, perché ero l'unica ad avere ancora una forma umana in quella casa, e inoltre mi avevano rovinato la festa di compleanno e l'avrebbero pagata per questo, soprattutto lei.
«Oh, ma io non sto facendo l'eroe... sto semplicemente per farti vedere cosa ti aspetta per avermi rovinato la festa e il vestito, per avermi fatto restare orfana, per aver manipolato a tuo piacimento il mio migliore amico fino a farlo quasi morire, per aver messo in pericolo i miei amici, per averci provato con il mio ragazzo, stupida racchia senza speranza e soprattutto, per averlo praticamente ucciso. Mi sembrano ragioni sufficienti per essere arrabbiata con te, o vuoi che aggiunga altro?» sbottai, mentre sentivo le mani diventare calde più del dovuto. Fuoco, fuoco, fuoco. C'era sempre stato nella mia vita. E tutto sarebbe finito così, esattamente com'era finito per Annabelle e come era cominciato per me. Per un attimo mi dimenticai di avere un corpo, mentre mi lanciavo contro di lei. Ci volle poco perché ci fondessimo, sentivo la mia anima a contatto con la sua, mi sentivo legata a lei, in un certo senso, ed ebbi la certezza che tutto stava per finire. Lei non poteva nulla contro di me e in quel preciso istante sentii che quella era appena definitivamente diventata la mia guerra. Un rumore assordante mi confermò che ero appena riuscita a fare esplodere tutto, non c'era nient'altro che fuoco, intorno a noi. Le fiamme divamparono in una frazione di secondo. Respirai, accogliendo dentro di me tutto quel male. Vidi nuvole bianche e candide volare via, disperdendosi nell'aria e vidi nuvole nere e spaventose dissolversi tra le fiamme. Io ero in mezzo, tra le anime bianche e quelle nere, tra il bene e il male, tra il fuoco e l'aria, tra la vita e la morte. Avevo salvato e avevo ucciso. E ora toccava a me morire, di nuovo.


«Ciao Jordan, come stai? Io sono Louis... abito vicino a te. Quando sei grande ti faccio vedere il disegno che ti ho fatto» Quello era Louis, aveva cinque anni, le guance paffute e una scodella di capelli in testa, era chinato su una culla, la mia culla, quella che vedevo ero io. Ero appena nata. Mi guardai intorno e riconobbi la mia casa, ancora intera, esattamente come la ricordavo, la mia stanza che quando avevo cinque anni era ormai tappezzata da disegni orribili fatti da me e da pasticci realizzati direttamente sul muro con i pastelli a cera, per cui la mamma mi aveva tanto sgridato. Mi guardai intorno, sollevai una mano, ma non vidi nulla, solo aria. Non avevo più un corpo. Il mezzo demone che c'era in me aveva davvero lasciato la sua gabbia? La piccola me sollevò una manina e Louis la prese ridendo, mentre mia mamma e sua mamma lo controllavano per evitare che combinasse qualche disastro.
«È una bella bimba, vero Louis?» domandò Jay, dandogli un buffetto sulla guancia. Louis sorrise.
«Sì... ma è pelata!» si lamentò, facendo scoppiare a ridere mia mamma. Forse stavo ridendo anch'io. In effetti da piccola avevo pochi capelli, o forse non ne avevo affatto. Louis si chinò ancora per darmi un bacino sulla guancia.
«Louis... è ancora piccolina, attento a non farle male, capito?» lo ammonì sua mamma. Lui annuì.
«Sarò sempre un bravo bambino con lei, promesso» E lo era stato, lo era sempre stato.
«Ora sei libera, ce l'hai fatta» Una voce rimbombò intorno a me. Non era mia mamma e nemmeno la mamma di Louis. Era un'anima come me.
«Anche tu lo sei» mormorai, certa di chi si trattasse.
«Sì, ed è solo merito tuo. Ci hai salvati tutti, Jordan»
«Ma ora che ne sarà di me, di Louis, e di tutte quelle persone che... che non ce l'hanno fatta?»
domandai, tristemente. E io... perché non ero viva? Perché non avevo diciassette anni e non ero all'ospedale da Louis?
«Ogni guerra ha il suo prezzo, lo hai detto tu stessa... diventiamo tutti mostri, ma in fin dei conti tutto ha uno scopo preciso... il nostro destino era scritto così dall'alba dei tempi. Tu hai liberato tutti i demoni Jordan e ora finalmente saremo in grado di tornare a far del bene agli esseri umani, interagendo con loro e senza doverci nascondere» Annuii.
«Ora... ci accetteranno?» chiesi, titubante.
«Questo lo dirà solo il tempo... e forse ci vorrà ancora un evento importante perché tutti i tasselli tornino al loro posto, per ristabilire una convivenza pacifica»
«Quale evento?»
chiesi, perplessa. Non volevo combattere ancora, sempre se fossi ancora viva, ovviamente.
«Beh... sta a te scoprirlo, tutto dipende dalla tua scelta, se scegli di vivere o se scegli di liberarti dal tuo corpo una volta per tutte... ora puoi farlo» Guardai la scena sotto di me, guardai Louis che giocava con la piccola me, guardai la mia manina stringere il suo dito e le nostre mamme sorridere come se già sapessero quello che saremmo diventati. Mi avvicinai a me stessa, infagottata nelle coperte della culla, con il sorriso sdentato e la testa lucida, e decisi. Io sceglievo la vita, io sceglievo di essere almeno per metà umana, io sceglievo Louis, nonostante tutto.


Sentii l'aria entrarmi nei polmoni ad una velocità da record, e il mio corpo contrarsi, immediatamente bloccato dalla mano di qualcuno. Le mie orecchie scoppiavano di un fischio assordante. Tutto intorno a me era caos, confusione, sentivo solo voci sconnesse, ordini strani dettati a persone che non conoscevo, Sarah che piangeva disperata. Tossivo, continuavo a tossire e non riuscivo a respirare. Avevo la bocca coperta.
«Sta avendo una crisi respiratoria, dobbiamo portarla immediatamente in sala operatoria» Fu l'ultima cosa che sentii, prima di richiudere di nuovo gli occhi.


***


«Amore... sono qui, sono arrivato. Oggi mamma non voleva farmi venire, perché dice che ho bisogno di dormire, perché non chiudo gli occhi da giorni e forse ha ragione, ma io le ho detto che ogni giorno è importante, perché non posso sapere quando riaprirai gli occhi e quando succederà io voglio essere il primo a vedere i tuoi occhi aperti, quindi... sono qui» La voce di Louis scivolò piano nelle mie orecchie, era un suono dolce, meraviglioso. Lo cercai, ma non vedevo niente. Avevo gli occhi chiusi. Volevo aprirli, ma non ci riuscivo. Sentivo la mano di Louis sulla mia e volevo stringerla, ma non riuscivo a fare nemmeno quello. Era come se non riuscissi a controllare il mio corpo.
«Oggi sono andato a giocare a calcio con Harry, Zayn, Liam e Niall. C'erano anche Amanda e Luke. Devo dire che è un bravo ragazzo, in fin dei conti. Non so se lo sai, ma viene anche lui a trovarti quasi tutti i giorni. È un tipo a posto... anche lui come gli altri dice che dovrei distrarmi un po', è per questo che mi portano fuori tutti i giorni» Decisi di seguire la sua voce e sperai che continuasse a parlarmi di lui.
«Ah, a proposito... saresti fiera di me, ho preso un 9 nel compito di matematica... dicevo io che studiare matematica insieme ci fa bene! Comunque quest'anno non mi bocceranno, so che sei felice!» E lo ero, lo ero davvero, infatti provai a sorridere e forse ci riuscii anche, poi, con uno sforzo immenso verso la sua voce, aprii gli occhi e lo vidi, davanti a me, gli occhi lucidi per il sonno e forse per le lacrime, più azzurri del solito, spalancati in un moto di sorpresa, le labbra sottili dischiuse, le occhiaie leggermente marcate per la stanchezza e i capelli scompigliati, bello anche in quel momento.
«Jordan? Jordan... oh mio dio, Jo! Ti sei svegliata!» esultò, trattenendosi a malapena dall'abbracciarmi. Nonostante la confusione iniziale non mi ci volle molto perché realizzassi di trovarmi all'ospedale.
«Ciao Lou» mormorai, rendendomi immediatamente conto di far molta fatica a parlare.
«Ehi, ehi, non affaticarti, non parlare, va bene così... abbiamo tutta la vita per parlare, piccola» Sorrisi e in quel momento, mentre lui ricambiava, uno stuolo di dottori e infermieri si precipitò nella mia stanza.
«Oh la nostra piccola miracolata si è svegliata! Come ti senti, Charlie?» chiese uno di loro. Come stavo? Non sapevo nulla di quello che era successo dopo la grande esplosione, ecco come stavo. Non risposi, perché tanto il dottore sapeva che non lo avrei fatto. Nei giorni successivi mi fecero tutti i dovuti controlli e i miei genitori e i miei amici vennero a trovarmi, sempre insieme a Louis. Finalmente, il giorno in cui mi avrebbero dimesso, Louis portò con sé un giornale che recava la data di venti giorni prima, stando alla data che mi avevano detto essere. Lo guardai perplessa, ma lui mi fece leggere l'articolo in prima pagina del giornale del nostro paese.


"Coincidenza o forse destino? A distanza di dodici anni un nuovo incendio scoppia nella vecchia villa abbandonata di Doncaster. Nella casa, proprio quella sera, si stava svolgendo una festa e protagonista del tragico incidente è, questa volta più direttamente, il figlio dei vecchi proprietari della villa Louis Tomlinson, con la sua ragazza Charlie Parker. Ancora non sono note le cause che hanno scatenato l'incendio e i due ragazzi, miracolosamente salvati, sono ora ricoverati all'ospedale di Doncaster."


Strabuzzai gli occhi, incredula. Incendio. Era così che lo avevano definito? Forse non avrei dovuto accampare scuse, quella volta.
«Quanto... quanto sono...»
«Sedici giorni. Io mi sono ripreso dopo solo due giorni, ma tu avevi i polmoni pieni di fumo e ustioni più o meno estese...»
spiegò, sollevandomi un braccio. Mi resi conto che era bruciato e una grossa macchia violacea lo copriva per metà. Gli occhi mi pizzicarono al pensiero che forse anche il mio viso era così, non mi ero ancora guardata, in effetti, sollevai la mano per toccarlo, ma Louis me la prese, bloccandomi prontamente.
«Ehi... sei bellissima, capito?» disse, dolcemente. Io scossi la testa.
«Dimmelo» Lui sospirò.
«Sono solo un po' le braccia e le gambe e un segno leggero sulla guancia destra... lo sai, tu e il fuoco andate particolarmente d'accordo, è stato clemente con te. Il dottore ha detto che con il tempo potrebbero anche vedersi di meno» spiegò, sedendosi sul letto vicino a me. Io annuii, un po' più rilassata. Forse un giorno mi sarei abituata anche a questo.
«E tu, invece? I dottori cos'hanno detto della ferita?» Louis mi prese la mano e intrecciò le nostre dita.
«Beh... Camille non mi ha mai portato fuori dalla casa, in realtà. Mi ha curato la ferita con qualche suo strano potere e nel giro di quindici minuti la casa ha cominciato a prendere fuoco. I tuoi parenti ancora vivi sono riusciti a riprendersi il proprio corpo e ad uscire, altri non ce l'hanno fatta. Camille ha detto ad Harry di chiamare un'ambulanza e i pompieri e quando è scoppiato tutto ed è arrivata l'ambulanza, finalmente, beh... Harry ha detto che al momento dell'esplosione c'eravamo io e te e qualcun altro nella casa, perché gli altri erano già tutti andati via, ci hanno cercati e ci hanno portati d'urgenza all'ospedale, perché avevamo i polmoni pieni di fumo. Gli altri corpi rimasti non sono stati rinvenuti perché i tuoi parenti erano riusciti a sbarazzarsene prima. E per la mia ferita... beh, ovviamente hanno ipotizzato che fosse stata causata dal crollo di qualche pezzo di fondamento della casa. Mi dispiace per com'è andata» concluse. Beh... dopotutto era ovvio che sarebbe finita così, i sacrifici erano sempre necessari, giusto?
«Non importa, va tutto bene» Louis mi prese il viso e premette le labbra sulle mie.
«Ora siamo liberi, Jo» disse, ricordandomi Annabelle. Forse anche lui sapeva che finalmente l'avevamo salvata, che avevamo sciolto la maledizione.
«Ti amo, Louis» Lui sorrise, sospirando.
«Oh, ma pensa! Dammi un pizzicotto, altrimenti credo di essere ancora morto!» mi prese in giro, pizzicandosi la guancia.
«Quanto sei idiota!» dissi, gettandogli le braccia al collo. Mi baciò con dolcezza.
«Ti amo anch'io»




EPILOGO



LOUIS' POV
«Che strano... riesco a vederlo, ma... crea interferenze con i macchinari dell'ecografia» spiegò il dottore, guardando il monitor. Jordan mi prese la mano e scoppiò a ridere.
«Oh, perché lui è un bambino speciale!» esclamò. Jordan mi aveva spiegato che Annabelle prima di andarsene definitivamente le aveva parlato di un evento straordinario che avrebbe stravolto di nuovo le cose e avrebbe rimesso tutti i tasselli al loro posto. Non avevamo capito esattamente di cosa si trattasse, ma Annabelle aveva detto che ci sarebbe voluto tempo e infatti ci vollero ben nove anni perché accadesse, ma ora eravamo certi che l'evento di cui si parlava fosse proprio quello. Dopo quasi dieci anni di noi due insieme, sarebbe arrivato un terzo a sconvolgere piacevolmente il nostro equilibrio. E... beh, non potevo dire con certezza se fosse umano, semidemone, demone per intero o cosa accidenti fosse, l'unica cosa di cui ero certo era che si trattasse di mio figlio e che finalmente avevo un lavoro e dei soldi con cui mantenerlo. Insomma, io e Jordan eravamo cresciuti, eravamo stati entrambi promossi, lei era andata avanti con gli studi, io mi ero fermato e avevo cercato lavoro. Ma le cose tra noi andavano alla stragrande.




***


«E quindi... sarebbe demone solo per... un quarto?» chiesero gli zii di Jordan confusi, tra loro c'era anche Jasmine.
«Ma... cosa significa questo?» domandò una cugina. Strinsi Jordan contro il mio petto e sorrisi.
«Nessuno lo sa... però nostro figlio sarà il demone più vicino all'uomo che la storia abbia mai conosciuto... significa un nuovo inizio per tutti... significa che può riportare l'equilibrio» E fu proprio così, perché quando nacque nostra figlia, per la verità Annabelle Tomlinson, i demoni sopravvissuti alla guerra si riunirono solo per lei, quella volta non era figlia di un peccato, perché il vendicatore era stato sconfitto. Io e Jordan fummo la prima coppia mista a veder crescere il frutto del proprio amore senza nessuna ripercussione, dal suo sangue non era nato un vendicatore, ma era nata nuova speranza. Sul libro dei demoni fu scritto un nuovo capitolo, che annullò i precedenti. Finalmente il genere umano avrebbe vissuto in pace, con quelle creature così speciali, alcuni più simili a quelli che nell'immaginario comune erano angeli, altri più simili a veri e propri diavoli, che facevano da intermediari tra un mondo e l'altro. E a tutto questo, finalmente rilassato e appagato, ci pensavo quasi tutte le sere, dopo aver fatto l'amore con Jordan, appena prima di dormire.






THE END




Angolo darkryry

Ed eccoci arrivati alla conclusione della storia. Avreste mai pensato ad un finale simile?

Abbiamo visto colpi di scena, misteri, e chi più ne ha più ne metta, ma il vero amore nessuno può sconfiggerlo! Jordan e Louis erano destinati a stare insieme, e così è stato :)

Ringrazio ancora midnite_ per avermi concesso l'onore di postare la sua storia sul mio profilo Wattpad, e ringrazio voi lettori per aver saputo pazientare ed avermi seguita fino alla fine :)

Grazie davvero!!

Spero di rivedervi nelle altre storia sul mio profilo, ed anche su quelle che scrivo personalmente ;)

Un bacione e grazie ancora per essere giunti fino a qui!! :)

darkryry


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top