Tim
Sento i miei già prima che arrivino. Le loro voci riempiono quei corridoi solitamente silenziosi, o meglio, così potrebbero sembrare a chi cammina senza ascoltare le preghiere dei padri che vorrebbero vedere i figli crescere, le grida dei bambini le cui mani vagano disordinate tentando di stringere i genitori staccati da loro prima che possano abituarsi al loro tocco. Quello che ti riscalda anche quando il sole non splende più, che ti dà la forza di affrontare persino la morte.
Prima che questi sussurri che solo la malattia mi permette di ascoltare, si azzittiscano smettendo di raccontare le loro storie di battaglie, cadute, perdite.
La gente li addita come malati, ma in realtà loro, noi siamo gemme nuove di questa vita.
Camminiamo al fianco della morte senza paura, viviamo la vita prima che sia troppo tardi e i timori di un tempo diventano cenere davanti a quelle lancette sempre più veloci.
Eppure fa incazzare.
Vedere i miei fratelli che sicuramente vivranno un'alba in più di me e non poter far capire loro la fortuna che hanno.
Loro possono cadere e rialzarsi mentre io rimarrò solo i miei errori, la mia malattia e questa storia di lacrime e gioventù bruciata finirà lontano dal mondo quando sembra così vicino da poterlo abbracciare con lo sguardo.
Mi siedo sul letto preparandomi alle solite, vuote, parole dei miei.
Non è che non tengono a me, anzi ci sono sempre stati nonostante tutto.
La malattia però ha cambiato, ha distrutto ogni cosa.
Quel " ti voglio bene" è diventata una formula per riempire la mia solitudine. Ma le parole non possono nulla contro la natura.
Nonostante il loro amore, il tramonto giungerà comunque senza che nulla sia cambiato.
" Ciao tesoro", la voce di mamma già riempie la stanza. Mi è sempre piaciuto il timbro che ha. Dolce, delicato quasi come un petalo di rosa che si adagia lentamente al suolo.
Ma prima c'era sereno mentre ora rimbomba tempesta e quel fragile fiore è solo una parentesi di felicità in un cielo che trema di tuoni e fulmini.
Perciò lo sguardo che le rivolgo non è né di affetto, né di odio. Semplicemente la fisso negli occhi per imprimere il loro colore così chiaro e luminoso e che spero possa essere la mia luce nell'oscurità che avanza. La fisso come un pappagallo chiuso in una gabbia fissa il gabbiano volare sopra di lui senza confini che lo trattengono.
Sono invidioso lo ammetto.
Non sanno che farsene di quei giorni, mesi, anni che li separano dalla fine mentre se fossero miei io girerei il mondo, tornerei indietro e riprenderei il viaggio.
Solo per essere sicuro di aver volato abbastanza lontana da sentire il calore del sole e per sorridere alle stelle del cielo.
E quegli occhi ormai spenti dicono questo.
Lasciano andare un desiderio che mai potrò vedere avverato e lo restituiscono alla persona che mi ha permesso di avere questa vita, non perfetta, non completa, ma almeno una vita.
Mia madre.
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