Hope

Mia madre.

Urlo il suo nome non appena metto piede nel triage nella speranza che lei mi venga incontro e mi dica che è tutto un brutto sogno.

Che sta bene e che possiamo tornare a casa.

Ma i sogni non sono mai veri in questo mondo in cui mi sento più sola che mai.

Ieri avrei saputo farvi almeno una lista di sette pagine su cosa mi rende felice, cosa mi piace della mia vita.

Il college, la mia compagna di stanza Helen, le Golden Hills al tramonto e le feste a casa di Pal.

Ma solo ora mi rendo conto di quanto questa equazione di felicità diventi impossibile se togliessi mia madre.

Un semplice numero cancella quelle sette pagine di vita come se non fossero nulla.

E questo mi chiedo mentre fermo ogni persona con il camice che mi viene incontro.

Che senso hanno il potere, l'ambizione, la voglia di noi giovani di diventare forti per saperci rialzare dalle batoste di questo casino, quelle notti trascorse nel letto di sconosciuti a fissare l'universo riflesso sul soffitto ?

Che senso ha crescere se poi basta così poco per farci tornare esseri fragili e minuscoli bisognosi di amore, di una mano da stringere, da poter bagnare di lacrime, da baciare per tornare a vivere.

Come io in questo momento.

Io che corro, chiedo, cerco di avvicinarmi a quella parte di me sepolta in una di queste stanze.

Ma per ogni inferno, c'è un angelo che ti indica la strada da seguire. Il mio è un signore dall'aria gentile, il camice gli cade disordinato su un corpo magro e affaticato.

Un corpo costretto a vedere la morte ogni giorno e non c'è nessuna salvezza che potesse accettare perchè gli occhi avrebbero portato sempre con se quei deboli rantolii che annunciano un nuovo addio.

È un pensiero veloce che mi attraversa la mente in quei pochi secondi in cui la mia vita incontra la sua.

Ma svanisce subito e quello spazio viene riempito da altre paure.

Cerco di zittirle dicendomi che andrà tutto bene, aggrappandomi a quei ricordi che ho di quando piangevo la notte e l'unica persona che riusciva ad asciugare le mie lacrime era mia mamma.

Canticchio quella canzoncina che fino a ieri non avrei esitato a definire qualcosa di vecchio e infantile, ma ora sento che è il legame più forte che ho con lei in questo momento.

Nel frattempo cammino senza pensare. Imbocco corridoio che sembrano tutti uguali, salgo e scendo scale e leggo i nomi dei reparti come se fossero la cosa più importante al mondo.

E, in effetti, lo sono.

In questa mia fretta, sento il cellulare vibrare, ma mi basta un'occhiata per spegnere le mie speranze. Juliet, la mia compagna di stanza. Lascio squillare senza pensarci anche perchè, finalmente, arrivo a destinazione.

E quello che vedo non è molto diverso dagli altri corridoi.

Ma la differenza chi c'è dentro quella bianca porta.

Lì dove mia mamma sta combattendo la sua battaglia tra la vita e la morte, l'amore e il dolore, l'arcobaleno e la tempesta.

E il mio posto è accanto a lei.

Dove sempre sarà.

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