𝓐𝓵𝓮𝔁𝓪𝓷𝓭𝓮𝓻
Ero lì, a camminare nervosamente avanti e indietro nel soggiorno, i pensieri in tumulto da settimane. Avevo fatto la mia scelta. Alexa. Come potevo non scegliere lei? Era inevitabile. Ogni fibra del mio corpo gridava verso di lei, attirato da una forza che non avevo mai sperimentato prima. Eppure, mentre lo facevo, sapevo che non avevo abbandonato del tutto Marie. Avevo scelto Alexa, sì, ma sapevo che non potevo voltare le spalle completamente a ciò che Marie portava dentro di sé: mio figlio. Non avevo mai desiderato dei figli, non lo avevo mai sognato. Eppure ora, il pensiero di quel bambino che non avrei visto crescere, che sarebbe stato lontano da me, mi colpiva più di quanto volessi ammettere.
Alexa era seduta sul divano, rannicchiata su se stessa, le ginocchia piegate contro il suo petto, il suo piccolo corpo fragile e delicato. Non parlava, non diceva nulla da ore. Ogni tanto, emetteva qualche suono distratto, random, senza un vero senso. Dopo aver fatto l'amore – o meglio, dopo aver scopato – si era chiusa in quel silenzio. Mi mancava un po' vederla attiva, in cucina o a sistemare le cose in giro per casa. Lei puliva spesso, con un’energia nervosa, e ovviamente io cercavo di aiutarla. Era il minimo che potessi fare.
Eppure, tutto sembrava così... forzato. Passeggiavo avanti e indietro, nervoso, senza una meta. Il nostro rapporto si era trasformato in qualcosa di strano, qualcosa che non riuscivo del tutto a definire. Erano passate due settimane da quando avevo fatto quella scelta, da quando avevo deciso che Alexa sarebbe stata la mia priorità. Ma la verità era che, per quanto mi sforzassi, qualcosa non quadrava.
Non avrei cambiato la mia decisione, no. Alexa era la mia scelta, ma tra di noi non c'era amore. Era solo attrazione, pura chimica fisica che ci aveva spinto l'uno verso l'altro fin dal primo momento. Il suo corpo, i suoi movimenti, la sua voce… tutto di lei mi attraeva in modo primordiale. Ma non c'era amore. E spero che anche lei lo avesse capito, perché non potevo darle altro. Non potevo offrirle quel tipo di legame che lei forse cercava. Non potevo riempire il vuoto emotivo con il quale sembrava convivere.
Alexa rimase immobile, persa nei suoi pensieri, ed io continuai a camminare, sempre più distante da ciò che avremmo potuto essere, sempre più vicino a ciò che, in fondo, sapevo di non poter mai diventare per lei.
Alexa sospirò piano, il suono quasi impercettibile nella stanza silenziosa. La sentii prima ancora di vederla muoversi. Il suo sguardo si posò su di me, dolce e preoccupato, e la sua voce si fece lieve, quasi esitante: «Alex, che ti prende?»
Stavo già camminando avanti e indietro, cercando di contenere l'agitazione che montava dentro di me. Le sue parole, seppur calme, mi provocarono un'immediata reazione di fastidio. Non era colpa sua, ma in quel momento non riuscivo a controllare il tumulto che mi ribolliva dentro. Mi fermai di colpo, passando una mano tra i capelli, e con voce stanca e tesa, dissi: «Ti prego, Alexa... sta zitta.»
Sapevo che era crudele, ma non riuscivo a fermarmi. Le parole uscirono più dure di quanto volessi. Non guardai nemmeno il suo viso mentre le pronunciavo, temendo di vedere delusione o dolore riflessi nei suoi occhi.
Mi voltai verso il divano e, con un respiro pesante, mi sedetti accanto a lei. Non troppo vicino, ma nemmeno distante. Il cuscino affondò leggermente sotto il mio peso, e in quel momento il silenzio tra noi divenne quasi assordante. Sentivo il battito del mio cuore martellare nelle orecchie, mentre cercavo di calmarmi.
Alexa mi guardava. Potevo sentire il suo sguardo su di me, quei suoi occhi grandi e dolci che avevano sempre la capacità di disarmarmi. Non parlava, ma il suo silenzio era più eloquente di qualsiasi parola. Sapevo che voleva capire cosa stesse succedendo, che voleva aiutarmi in qualche modo, ma non c’era nulla che potesse fare. Non in quel momento.
Le presi la mano, ma non per conforto, più per ancorarmi a qualcosa, per non perdere il controllo. Le sue dita erano morbide e delicate, e io le stringevo più forte di quanto avrei dovuto. Non sapevo come spiegare cosa mi stesse succedendo. Non sapevo nemmeno se ci riuscivo io stesso. Mi sentivo diviso, intrappolato tra ciò che desideravo e ciò che avrei dovuto fare, tra la passione per lei e il peso delle conseguenze delle mie scelte.
Alexa non disse nulla. Continuava a guardarmi, aspettando che io trovassi le parole. Le sue labbra leggermente socchiuse, il suo viso così calmo, eppure pieno di emozioni trattenute.
Alexa mi toccò il braccio, il suo tocco leggero e delicato, come se temesse di invadere il mio spazio, ma allo stesso tempo cercava di farmi sentire che era lì, accanto a me. Il calore della sua mano mi fece voltare lentamente verso di lei. I suoi occhi erano profondi, pieni di comprensione, ma anche di una preoccupazione che cercava di mascherare.
«Alexander...» iniziò a dire con voce sottile, quasi timorosa di spezzare quel fragile silenzio che ci circondava, «se non vuoi che io stia qui... se ti do disturbo, posso anche andare. Tuo figlio è più importante.»
Quelle parole mi colpirono come un pugno nello stomaco. La sua voce, così quieta e sincera, mi fece sentire ancora peggio per tutto ciò che era accaduto. Alexa stava davvero pensando di andarsene per lasciare spazio a quella parte della mia vita che ormai sembrava troppo ingarbugliata. La presi per mano, stringendola tra le mie, e la guardai intensamente negli occhi.
«No, Alexa. Io voglio che tu stia qui,» dissi con fermezza, ma con una dolcezza che non riuscivo più a trattenere. Le portai la mano alle labbra e le baciai con delicatezza. Poi, con la mano libera, le accarezzai il viso morbido, percorrendo con i polpastrelli la linea della sua mascella fino alla guancia, sentendo la sua pelle setosa sotto il mio tocco. «Grazie a te io non bevo più,» confessai. «È grazie a te, non a Marie. Lei... lei mi ha fatto ricominciare a bere.»
Alexa mi guardò in silenzio per un istante, come se stesse processando le mie parole. Sentivo il suo respiro regolare, ma il suo sguardo era carico di pensieri, domande non espresse. Poi prese la mia mano, quella che avevo posato sul suo viso, e la strinse dolcemente tra le sue.
«Alexander...» disse con una nota di tristezza nella voce, «il tuo bambino è più importante. Dovresti stare con lui.»
Quelle parole mi trafissero. Sapevo che in parte aveva ragione, ma allo stesso tempo non potevo immaginare la mia vita senza di lei. Alexa era diventata la mia ancora, la mia ragione per continuare a lottare. Ma come potevo spiegarle che, nonostante tutto, ero disposto a fare questa scelta per lei? Come potevo farle capire che la mia vita con Marie era già finita da tempo, che l’unica cosa che mi legava a lei ormai era quel bambino che non avevo mai voluto veramente, ma che ora dovevo assumermi la responsabilità di crescere?
Le accarezzai di nuovo il viso, i miei occhi cercando i suoi, sperando che in qualche modo potesse capire senza che io dovessi mettere a parole tutto quel caos che sentivo dentro.
Alexa mi guardò con quegli occhi dolci, la sorpresa e la gioia che brillavano nel suo sguardo. «Mettiti il costume, Alexa, andiamo al mare,» dissi, il mio tono più calmo di quanto mi sentissi in realtà. Volevo solo staccare da tutto, trovare un momento di pace con lei lontano da tutto il caos che ci circondava.
Lei sorrise, un sorriso che illuminò il suo viso, e disse: «Davvero?»
Annuii. «Sì, davvero.»
In un attimo, Alexa si avvicinò, mi abbracciò forte, stringendomi contro di sé. Le sue braccia intorno al mio collo, il suo corpo premette contro il mio, e il calore del suo contatto mi fece sentire di nuovo vivo. Ogni fibra del mio essere reagiva a quel contatto, e cercai di mantenere la calma anche se sentivo il mio desiderio crescere velocemente. Il suo corpo era morbido e leggero contro il mio, e il mio respiro si fece più pesante mentre cercavo di non perdermi in quel momento.
Poi mi abbassò il viso, posando le labbra contro la mia guancia in un bacio leggero e delicato, quasi infantile, ma carico di una dolcezza inaspettata. Il suo corpo, così vicino al mio, rendeva tutto più intenso. Sapeva cosa stava facendo, anche se lo faceva con quella sua innocenza disarmante.
Lei si mise a cavalcioni sulle mie ginocchia, il suo peso leggero ma sufficiente a farmi perdere il controllo per un istante. Sentivo il mio corpo reagire, il sangue pulsare mentre il mio cazzo cominciava a gonfiarsi sotto di lei. Alexa sembrava non accorgersene, o forse lo faceva di proposito, ma continuò a sorridermi con quella dolcezza.
«Grazie, Alexander,» sussurrò, avvicinando il viso al mio, così vicino che potevo sentire il suo respiro caldo contro la mia pelle.
«Alexa...» risposi, la mia voce rauca.
Lei si mosse leggermente sulle mie ginocchia, il suo corpo leggero e delicato contro il mio. Sentii un leggero fremito attraversarmi quando si spostò. Alexa mi guardò con un sorriso malizioso e innocente allo stesso tempo, come se sapesse esattamente cosa stava provocando, ma senza ammetterlo apertamente.
«Sono pesante?» disse con un leggero tono di preoccupazione, come se il suo corpo potesse davvero darmi fastidio. Sorrisi, cercando di mantenere il controllo, ma la tensione tra noi era palpabile. Le sue mani ancora mi sfioravano il viso, i suoi occhi profondi fissavano i miei.
«No, Alexa,» risposi con un tono basso, quasi soffocato dal desiderio crescente. «Non sei affatto pesante. Anzi, è perfetto che tu sia sopra di me.» Mi fermai un attimo, la mia mano scivolò delicatamente lungo la sua schiena, fino a posarsi sul fianco. «Sai... che mi fai impazzire quando sei così vicino.»
Lei sorrise di nuovo, quel sorriso dolce e tentatore. Sapeva esattamente cosa intendevo, e il suo viso si fece più vicino al mio, così vicino che potevo quasi sentire il calore delle sue labbra contro le mie, anche se ancora non ci toccavamo. Le sue mani scesero dal mio viso, scivolando lungo il mio petto, quasi esplorandomi. Il suo respiro si fece più veloce, e anche il mio cuore cominciò a battere forte.
Alexa si mosse ancora una volta, un leggero movimento delle sue gambe contro di me che mi fece trattenere il fiato. Sentivo il mio corpo rispondere a ogni piccolo contatto, il desiderio crescere dentro di me. Non c'era più solo attrazione fisica tra noi; c'era qualcosa di più profondo, più complesso, e forse anche pericoloso. Mi abbassai leggermente, cercando il contatto delle sue labbra, ma lei si tirò indietro, sorridendo, giocando.
«Che succede?» mi chiese con un tono di voce dolce, come se non sapesse esattamente cosa stesse facendo.
La guardai negli occhi, senza parole per un momento, e poi risposi con un sussurro. «Sai esattamente cosa succede, Alexa.»
Lei rise leggermente, il suono era melodioso e rilassante, ma al tempo stesso aumentava la tensione tra noi. Sentivo che ogni fibra del mio corpo era tesa, pronta a reagire, mentre lei si godeva quel momento di potere su di me.
Alexa sorrise in modo malizioso, avvicinandosi ancora di più, le sue labbra a pochi centimetri dalle mie. Sentii il suo respiro caldo contro il mio viso mentre i suoi occhi brillavano di una luce giocosa e sfidante.
«Voglio solo farti provocare, Signor Blake,» sussurrò, usando il mio cognome in un modo che fece scorrere un brivido lungo la mia schiena.
Blake... ogni volta che pronunciava il mio cognome in quel tono, sapevo che stava giocando con me, provocandomi intenzionalmente. Il modo in cui lo disse, dolce ma audace, mi fece sentire il desiderio crescere ancora di più. Alexa era brava a giocare con le parole, a stuzzicarmi, a spingermi al limite.
La guardai negli occhi, il mio respiro si era fatto più pesante. «Provocarmi, eh?»dissi con voce bassa, cercando di mantenere il controllo. Ma la verità era che lo stava già facendo, e lo sapeva bene.
Alexa fece un piccolo movimento con i fianchi, facendomi sentire ancora più intensamente la sua presenza sopra di me. Il mio corpo reagì immediatamente, e lei sorrise, sapendo esattamente l’effetto che aveva su di me.
Mi alzai di scatto, tirando su Alexa con decisione e spingendola delicatamente nel divano sotto di me. I suoi occhi erano ancora carichi di desiderio, ma c’era anche una sfumatura di sorpresa. La mia voce uscì roca mentre le dicevo: «Vai in camera e mettiti il costume, o non andremo al mare se continuiamo così.»
Alexa sorrise, quel sorriso malizioso che solo lei sapeva fare, mentre si mordeva leggermente il labbro inferiore. Era diventata irresistibile per me, una piccola tentazione a cui non potevo dire di no, ma non ero pronto a lasciare che tutto si riducesse solo a questo.
«Muoviti,» aggiunsi, cercando di mantenere il controllo, anche se il mio corpo gridava per il contrario.
Lei si alzò dal divano lentamente, con uno sguardo che mi sfidava, e poi si avviò verso le scale. Ogni passo che faceva sembrava una provocazione studiata. Riuscivo a vedere il modo in cui muoveva i fianchi, il modo in cui il suo corpo rispondeva ai miei comandi, e dentro di me cresceva un misto di frustrazione e desiderio.
Non potevo permettere che il nostro tempo insieme si trasformasse in una serie di fughe senza senso. Volevo di più, ma allo stesso tempo, ogni volta che eravamo vicini, il confine tra desiderio e realtà si sfumava sempre di più.
Non parlavamo molto, e forse era per questo che ci comportavamo così. Dopo quella notte in cui avevamo scopato, tutto sembrava cambiato, eppure non l'avevamo più rifatto. Dentro di me c’era la convinzione che se l'avessimo rifatto, mi sarei innamorato di lei sul serio, e questo mi spaventava. Non avevo mai pensato di lasciarmi andare completamente con qualcuno come lei. Tuttavia, c'era un'altra questione in sospeso, una che non potevo ignorare: Theodora, la studentessa con cui avevo avuto una relazione in passato. Cosa avrebbe detto se avesse scoperto di me e Alexa? Dovevo gestire quella situazione prima che sfuggisse di mano.
Mi alzai dal divano, lasciando dietro di me i pensieri confusi, e salii le scale per andare a prendere il mio costume. Entrai nella mia stanza e mi spogliai, avviandomi verso l'armadio. Fu allora che la vidi: Alexa era nell'armadio di Marie, frugando tra i suoi vestiti.
Mi bloccai per un momento, sorpreso. Marie le aveva regalato i suoi vestiti. Non mi aspettavo una cosa del genere. Mi avvicinai lentamente, osservando Alexa mentre si provava alcuni degli abiti. Sembrava persa nei suoi pensieri, quasi come se cercasse di capire chi fosse in quel momento, tra i vestiti di un'altra donna.
Alexa si accorse di me e disse con una nota di curiosità e un po' di ironia, «Tua moglie aveva solo questi tipi di costumi.» Mi mostrò un bikini brasiliano, leopardato, che lasciava poco all'immaginazione. Il costume, con il suo taglio audace e il tessuto che copriva appena il necessario, era decisamente provocante. II perizoma che formava, con i lati sottili, avrebbe lasciato gran parte del suo culo scoperto.
Lo presi dalle sue mani, sentendo il tessuto morbido e caldo sotto le dita. «Sì, è esattamente questo,» dissi, cercando di mantenere un tono neutro mentre lo guardavo. «Mettiti questo, nessuno ti guarderà al mare se ci sono io.»
Alexa lo guardò e lo prese tra le mani, accarezzando il tessuto. «Va bene,» disse, con un sorriso malizioso, «Puoi uscire.»
Lasciai la stanza, sentendo il suo sguardo su di me mentre chiudevo la porta alle mie spalle. Mi diressi verso il mio grande armadio, il pensiero del mare che già mi faceva sentire più leggero. Presi il costume che avevo già scelto mentalmente: un classico, semplice, ma perfetto per l'occasione.
Mi spogliai rapidamente, lasciando cadere i pantaloncini neri che indossavo. Il costume era lì, pronto, e lo infilai con la stessa rapidità con cui mi ero svestito, adattandolo al corpo con qualche rapido gesto.
Uscì dalla stanza e vidi Alexa stava di fronte allo specchio, sistemando i suoi capelli con un gesto naturale ma pieno di grazia. Aveva indossato il costume leopardato che le avevo passato, ma sopra di esso aveva aggiunto un copricostume fatto di una maglia leggera e traforata. Il copricostume era beige chiaro, una tonalità che contrastava magnificamente con la sua pelle abbronzata, e il tessuto leggermente trasparente lasciava intravedere le curve del suo corpo sottolineate dal bikini sottostante.
La maglia, lavorata in un motivo crochet, creava un effetto vedo-non-vedo, soprattutto sui fianchi, dove si apriva leggermente con uno spacco che lasciava intravedere le sue gambe. La parte superiore del copricostume si stringeva intorno al collo con delle spalline sottili, mentre il taglio aderente in vita metteva in risalto la sua figura esile ma sinuosa.
Mi fermai a osservarla per un momento, senza dire nulla, lasciandomi semplicemente rapire dalla visione di lei così perfetta e rilassata. Alexa, notando il mio sguardo nello specchio, si voltò sorridendo, e io le restituii un sorriso prima di dire: «Sei pronta?»
«Sì, sono pronta,» disse con voce dolce, mentre la osservavo velocemente sistemarsi i capelli.
Mi girai verso il corridoio, dove avevo preparato tutto in anticipo. Presi le tovaglie da mare, piegate ordinatamente sul mobile vicino alla porta. Una la passai a lei, facendo un cenno col capo. «Ecco, prendi questa,» dissi. Lei la afferrò con delicatezza.
«Quando ci metteremo per andare al mare?» chiese con curiosità, giocando con l'orlo della tovaglia, come se l'impazienza la stesse lentamente consumando.
«Un'ora, e saremo già lì,» risposi deciso. Poi ci dirigemmo verso le scale, il suono dei nostri passi che rimbombava nel silenzio della casa.
Mentre scendevamo, notai che Alexa stava per infilare la mano nella sua borsa e prendere il telefono. Rapidamente, allungai il braccio e la fermai delicatamente, le dita che si posarono morbide sul suo polso. «Senza telefonino, signorina,» dissi con un sorriso malizioso ma fermo. Volevo che fosse una giornata lontana da tutto, solo noi due, senza distrazioni.
Lei alzò lo sguardo su di me, sorpresa per un momento, ma poi sorrise divertita, come se avesse capito subito le mie intenzioni.
Alexa mi guardò con curiosità mentre mi chiedeva: «Dove andiamo?»
«Siamo diretti a Orchard Beach,» risposi, guardandola di sfuggita per cogliere la sua reazione.
«Sarà bello, vero?» disse lei, con un tono che rivelava tutta la sua eccitazione e un pizzico di anticipazione.
«Molto bello,» confermai con un sorriso sottile mentre aprivo la porta di casa.
Uscimmo fuori e il sole pomeridiano ci accolse con i suoi raggi caldi e dorati. Tirai fuori le chiavi dalla tasca e, con un semplice clic, la mia Tesla si aprì automaticamente, illuminandosi leggermente mentre le portiere si sbloccavano. L'aria era densa di aspettative, e la brezza leggera sembrava portare con sé il profumo salato dell'oceano, anche se eravamo ancora lontani dal mare.
Alexa mi guardò con quel suo sorrisetto che ormai conoscevo bene, una combinazione di eccitazione e tranquillità. Salì in macchina con un movimento fluido, sempre così leggera e piena di energia, e io la seguii subito dopo, chiudendo la portiera dietro di me. Accesi il motore, e il leggero ronzio della Tesla riempì il silenzio dell'abitacolo.
Guardai Alexa mentre si sistemava, con quel sorriso felice che non sembrava volerla abbandonare. Sembrava davvero entusiasta della nostra piccola fuga al mare, e per un attimo mi sentii sollevato. Il mare era sempre stato un rifugio per me, un posto dove potevo rilassarmi e staccare dalla realtà. Speravo che anche per lei sarebbe stato lo stesso, un luogo dove poter lasciare alle spalle tutto il caos degli ultimi tempi.
Misi la macchina in moto e ci incamminammo verso Orchard Beach.
***
Arrivammo al mare dopo un'ora di viaggio, come avevo previsto. La sabbia bianca si estendeva all'infinito davanti a noi, e il suono delle onde che si infrangevano sulla riva creava una melodia rilassante. Appena scesi dalla macchina, Alexa si guardò intorno, stringendo la tovaglia che avevo messo nel corridoio prima di partire.
«La mia tovaglia è tutta aggrovigliata,» disse con un tono leggermente agitato, mentre cercava di sistemarla.
Sorrisi, cercando di rassicurarla. «Mi avevi detto che sarebbe stato bello,» continuò, quasi come se fosse delusa.
«Non ti piace?» le chiesi, mentre cercavo il suo sguardo dietro gli occhiali da sole che avevamo comprato durante il viaggio. Anche io li indossavo, per proteggerci dal sole pomeridiano che ora brillava forte nel cielo.
Lei fece spallucce, senza rispondere immediatamente. Guardandosi intorno, notò alcuni ragazzi non lontano da noi, che ridevano e si divertivano. Sembrava che la loro presenza l'avesse resa inquieta.
«Ci sono dei ragazzi,» mi disse, la sua voce bassa, quasi timorosa.
Non potei fare a meno di notare la preoccupazione nel suo tono. Alexa aveva sviluppato una costante paura nei confronti dei ragazzi ultimamente, forse a causa del trauma che il suo cazzo di padre le aveva inflitto. Il pensiero mi fece rabbia, ma la tenni per me.
«Non preoccuparti,» dissi cercando di suonare calmo e rassicurante, «fai finta che siano come Jaden.» Provai a farla ridere, ricordandole quel ragazzo della festa con cui aveva ballato senza alcuna paura. Sembrava averle fatto bene quella sera, ma adesso la sua insicurezza sembrava tornare a galla.
Alexa mi guardò intensamente per qualche secondo, e poi disse con un tono quasi provocatorio: «Si chiamava Xavier.»
Alzai un sopracciglio, facendo finta di non dar peso a quella rivelazione. «Non mi interessa,» dissi, scrollando le spalle. «Non è importante quanto lo sono io, quindi per me non ha nessuna importanza.»
Alexa scoppiò in una piccola risata, quel suo sorrisetto che mi faceva sempre capire che, in qualche modo, la mia battuta l'aveva colpita. «Sei un narcisista,» disse, divertita.
La guardai con un misto di finta indignazione e complicità. «Forse,» risposi, inclinando leggermente la testa, «ma almeno sei qui con me e non con Xavier, giusto?»
Alexa scosse la testa, il sorriso non si era mai davvero spento. «Sì, ma solo perché mi hai portata tu,» disse, scherzando.
«Esatto, quindi immagino che il mio narcisismo stia funzionando, no?» risposi con tono giocoso, mentre prendevo la sua mano e la tiravo delicatamente verso di me.
«Ti preoccupi troppo di quello che pensano gli altri, Alexa,» continuai, abbassando la voce leggermente, cercando di farle capire che non c'era nulla da temere. «Siamo qui, al mare, in un posto splendido. Dimentica il resto per un po' e rilassati. Non c'è nessun Xavier, nessun altro, solo noi due.»
Lei sembrava riflettere sulle mie parole, mentre il suo sorriso si faceva meno sarcastico e più genuino. Poi, con un sospiro leggero, annuì, come se volesse davvero lasciarsi andare e godersi il momento.
Alexa sorrise mentre camminava nella sabbia bianca, i suoi piedi affondavano leggermente a ogni passo, creando piccoli solchi dietro di lei. Il sole illuminava la sua pelle, facendola sembrare quasi dorata sotto i raggi caldi del pomeriggio. Mi guardò di sfuggita, con quel sorriso enigmatico che usava quando sapeva di starmi stuzzicando.
«Per me Xavier non è un problema,» disse con una voce rilassata, ma c'era una punta di sfida dietro quelle parole. «É un problema per te.»
Alzai le sopracciglia, cercando di mantenere il controllo. «No,» risposi semplicemente, ma sapevo che lei avrebbe continuato a provocarmi.
Alexa ridacchiò, fermandosi per un momento e girandosi verso di me. «Sei geloso di me, vero Alex?» disse, le sue parole taglienti ma con un tono divertito. Stava chiaramente cercando una reazione da me.
Mi fermai anche io, fissandola negli occhi, ma non le diedi la soddisfazione di ammettere nulla. «Non sono geloso di te per Jaden,» ribattei, mantenendo un tono calmo ma deciso. «Non c'è niente di cui essere geloso.»
Alexa si avvicinò, il sorriso ancora dipinto sul viso, e mise una mano sul mio petto. «No?» chiese dolcemente, ma potevo vedere nei suoi occhi che non aveva finito di giocare con me. «Allora perché ti infastidisce così tanto?»
Presi un respiro profondo, cercando di non lasciarmi influenzare dal suo tocco e dalla vicinanza del suo corpo. «Non è gelosia, Alexa. È che non mi interessa parlare di qualcuno che non ha importanza.»
Lei scosse la testa, ridacchiando di nuovo, e abbassò lo sguardo per un momento, come se riflettesse su quello che avevo appena detto. Poi, con un gesto rapido, mi diede un leggero colpetto sul braccio. «Sei sempre così serio, Alex. Dovresti rilassarti di più.»
Non risposi subito, ma lanciai un’occhiata veloce intorno a noi. La spiaggia era abbastanza vuota, tranne per qualche gruppo di ragazzi più in là che giocava a pallavolo. Il suono delle onde che si infrangevano contro la riva creava una sorta di ritmo costante e rilassante.
«Se vuoi che mi rilassi,» dissi finalmente, «allora smetti di parlarmi di ragazzi che non contano nulla.» Le strinsi la mano e la tirai verso di me. «Siamo qui per divertirci, no? Allora dimentica tutto il resto.»
Alexa mi guardò per un attimo, poi annuì lentamente. «Va bene,» disse con un mezzo sorriso. «Hai ragione, Alex. Godiamoci il mare.»
Tolsi delicatamente la mano di Alexa dal mio petto, cercando di mantenere un tono calmo e rassicurante. Mentre mi chinavo per sistemare la tovaglia sulla sabbia, il sole rifletteva sugli occhiali da sole che avevamo entrambi preso durante il viaggio. Sentii il calore del pomeriggio riscaldare la sabbia sotto i piedi e decisi di togliermi le ciabatte, lasciando che la sabbia fine e calda accarezzasse la pianta dei miei piedi. Alexa fece lo stesso, sedendosi con grazia sulla sua tovaglia, ma c’era una tensione evidente nei suoi movimenti.
«Vieni a mare,» le dissi, cercando di convincerla a rilassarsi e godersi il momento. Lei, però, distolse lo sguardo dai miei occhi, fissando invece un gruppo di ragazzi che giocava a qualche metro di distanza. Potevo percepire la sua inquietudine anche senza che dicesse nulla.
Alexa abbassò la voce, quasi sussurrando, «Ho paura che quei ragazzi dicano qualcosa...» La sua insicurezza trapelava dal tono, e capii immediatamente che il costume che indossava la metteva a disagio, anche se non lo aveva detto esplicitamente. Era un costume leopardato, uno di quelli che esaltava ogni curva, e nonostante le stesse perfettamente, capivo perché si sentisse esposta.
Mi sedetti accanto a lei, le braccia appoggiate alle ginocchia mentre guardavo anche io nella direzione di quei ragazzi. Sorrisi lievemente, cercando di rassicurarla senza minimizzare i suoi sentimenti. «Alexa, ascoltami. Tutti lo indossano. Non c'è niente di strano o sbagliato. E anche se qualcuno dovesse guardare, a me non importa. Non permetterò a nessuno di farti sentire a disagio.» Parlai con calma, ma con fermezza, facendo in modo che capisse che ero lì per proteggerla, per farla sentire sicura.
Lei sospirò e abbassò lo sguardo sulle sue mani, giocherellando con l'orlo della tovaglia, visibilmente combattuta. Potevo vedere la lotta interna tra il voler godersi la giornata e la paura di essere giudicata. Le misi una mano sul braccio, sfiorandole la pelle con delicatezza. «Alexa, sei bellissima. Non devi nasconderti o preoccuparti di quello che gli altri potrebbero pensare. Se non ti piace il costume, possiamo cambiarlo. Ma voglio che tu sappia che non hai niente di cui vergognarti.»
Lei alzò lo sguardo verso di me, i suoi occhi incontrarono i miei per un momento. C’era ancora un po' di esitazione, ma anche gratitudine. «Non è solo il costume,» ammise, finalmente rompendo il silenzio interiore che sembrava trattenerla. «È solo... non mi sento a mio agio con tutti che mi guardano.»
La capivo, e non volevo forzarla. «Possiamo fare quello che vuoi,» dissi, stringendole la mano in segno di supporto. «Se preferisci restare qui, lo faremo. »
«Andiamo al mare» Mi si allargò un sorriso sulle labbra quando Alexa disse quelle parole. Era come se quelle poche frasi fossero riuscite a rompere quel muro di insicurezze che la trattenevano. Mi fece piacere sentire il suo tono più deciso, come se finalmente si fosse convinta di poter godersi la giornata senza pensare troppo a quello che le persone intorno avrebbero potuto dire o pensare.
«Va bene, allora,» risposi, cercando di mantenere la voce leggera ma ferma, «andiamo al mare.» Mi alzai dalla tovaglia, tendendole una mano per aiutarla ad alzarsi. Lei mi guardò per un momento, i suoi occhi brillavano leggermente dietro gli occhiali da sole, poi afferrò la mia mano con un leggero sorriso.
Camminammo verso l’acqua, la sabbia calda si attaccava ai nostri piedi mentre ci avvicinavamo alla riva. Il rumore delle onde che si infrangevano dolcemente sulla spiaggia riempiva l'aria, creando una sorta di sottofondo rilassante. Il sole del tardo pomeriggio era meno intenso ora, e una leggera brezza marina rendeva tutto più piacevole.
Alexa stringeva la mia mano mentre ci avvicinavamo all’acqua. Sentii la sua presa leggermente più forte del normale, come se cercasse sicurezza, ma non dissi nulla. Le lasciai quel piccolo gesto, come un modo per farle sapere che ero lì con lei, pronto a proteggerla da qualsiasi cosa la preoccupasse.
Quando arrivammo alla battigia, l'acqua salata lambì i nostri piedi. Era fresca, piacevole contro il calore della sabbia. Alexa si fermò un momento, guardando il mare davanti a noi. Potevo vedere che stava ancora cercando di convincersi a lasciarsi andare, ma il fatto che fosse lì, in quel costume che la metteva a disagio, era già un passo enorme.
«Non è così male, vero?» dissi con un tono leggero, cercando di spezzare un po’ la tensione.
Lei mi guardò e sorrise debolmente, poi fece un respiro profondo e annuì. «No, non è male,» rispose. Si guardò intorno, forse ancora consapevole della presenza dei ragazzi sulla spiaggia, ma sembrava più tranquilla ora, più a suo agio.
Feci un passo avanti, entrando un po’ più nell’acqua, e lei mi seguì. Le onde ci sfioravano le caviglie mentre avanzavamo lentamente. «Vedi? Nessuno ti guarda. Stanno tutti facendo le loro cose,» le dissi, cercando di rassicurarla.
Alexa annuì di nuovo, ma questa volta con più convinzione. «Hai ragione,» disse, lasciando finalmente andare un respiro profondo come se stesse liberandosi di quel peso che portava con sé. «Grazie, Alex. Davvero.»
Sorrisi e, senza pensarci troppo, le presi la mano e la tirai un po’ più avanti, finché l'acqua non ci arrivò quasi alle ginocchia. «Vieni, immergiamoci un po’,» dissi con un tono giocoso, cercando di renderla più rilassata. Lei rise, una risata leggera che mi fece capire che finalmente si stava sciogliendo.
Con un movimento rapido, la spruzzai con un po' d'acqua, e lei mi guardò con finta indignazione, ma il sorriso sulle sue labbra mi fece capire che stava apprezzando il momento. «Oh, così è come vuoi giocare, eh?» disse, alzando un po’ d’acqua con le mani e restituendomi lo scherzo.
Presi Alexa con un movimento rapido, sollevandola sulle mie spalle con facilità, mentre lei gridava tra risate nervose. «Alex, lasciami!» disse ridendo, ma sapevo che, nonostante le parole, stava godendo del momento. Il suo corpo era leggero sopra di me, e riuscivo a sentire la sua risata vibrare nel petto mentre cercava di bilanciarsi.
Le onde del mare ci circondavano, facendoci oscillare leggermente. La brezza marina ci avvolgeva, e per un attimo, tutto sembrava perfetto. Mi girai lentamente su me stesso, aumentando l’attesa. «Sei pronta?» dissi con un tono malizioso, sapendo già la risposta.
«No! Alex, ti prego, lasciami stare!» disse, fingendo un tono disperato, ma il suo sorriso la tradiva.
Senza preavviso, la gettai nell'acqua con un movimento deciso. Il suo corpo colpì l'acqua con un tonfo leggero, mentre l'onda successiva la coprì quasi completamente. Alexa riemerse immediatamente, sputando un po' d'acqua e scrollando i capelli bagnati dalla faccia, fissandomi con uno sguardo di finta rabbia.
«Sei uno stronzo, Alexander!» gridò tra le risate, l'acqua le scivolava sulla pelle abbronzata mentre cercava di alzarsi. Le sue parole non erano serie, lo sapevo. C'era qualcosa di liberatorio in quel momento, qualcosa che aveva cancellato tutte le sue insicurezze di poco prima.
Risi anch'io, guardandola mentre si asciugava il viso con le mani. «Te lo sei meritato!» risposi con un tono provocatorio, cercando di mantenere l'atmosfera giocosa. Mi avvicinai a lei, le onde ci cullavano leggermente, e allungai una mano per aiutarla ad alzarsi di nuovo.
Alexa mi guardò con occhi pieni di sfida, ma accettò la mia mano. «Lo vedremo,» disse, tirandomi verso di lei con un gesto improvviso. Persi l'equilibrio per un secondo e caddi nell'acqua accanto a lei. Sentii l'acqua fredda avvolgermi mentre l’onda mi sollevava per un attimo, facendomi sprofondare.
Quando riemersi, Alexa era già lì, ridendo di me. «Ecco, ora siamo pari,» disse soddisfatta.
Scrollai l'acqua dai capelli e la guardai con un sorrisetto. «Okay, mi hai fregato,» ammisi, alzando le mani in segno di resa. Ma c'era un'intesa tra noi, una sorta di complicità silenziosa che rendeva tutto così naturale, come se non ci fosse bisogno di parole per godere di quel momento insieme.
Le onde continuavano a lambire le nostre gambe, mentre il sole calava lentamente all’orizzonte, tingendo il cielo di sfumature dorate e rosa. L’atmosfera era perfetta, e per un attimo tutto sembrava tranquillo. Alexa si avvicinò a me, questa volta con un sorriso più dolce, senza sfida. Mi prese la mano, e io la strinsi delicatamente.
Mi accorsi del cambio di atteggiamento di Alexa non appena quei ragazzi entrarono in acqua. Si avvicinò a me, quasi impercettibilmente, ma abbastanza da far capire che si sentiva a disagio. I suoi occhi si spostavano rapidamente dai ragazzi a me, come se cercasse rassicurazione.
Senza pensarci troppo, le passai un braccio intorno alla vita, stringendola leggermente a me. «Sta tranquilla,» le dissi con un tono rassicurante. «Ci sono io. Penseranno che siamo fidanzati.» Le sorrisi, cercando di alleggerire l'atmosfera e farla sentire protetta.
Alexa mi guardò e sorrise, ma questa volta il suo sorriso era un po' più incerto, come se stesse cercando di capire se stessi scherzando o parlando sul serio. «Vorresti una come me come fidanzata?» mi chiese, con una nota di curiosità nella voce, ma anche una leggera insicurezza che tradiva i suoi veri pensieri.
La sua domanda mi colse un po' di sorpresa, ma non lasciai che lo notasse. La guardai per un attimo, osservando i suoi occhi dolci, che cercavano una risposta sincera. Senza rispondere subito a parole, la presi in braccio, sollevandola con facilità, le sue gambe che si stringevano attorno alla mia vita per mantenere l'equilibrio.
«No,» risposi con un sorrisetto malizioso, osservando la sua espressione cambiare per un attimo, sorpresa dalla mia risposta. Ma prima che potesse dire qualcosa, aggiunsi: «Non come fidanzata. Perché una come te è troppo per essere solo questo.»
Alexa rise, ma questa volta il suo sorriso era genuino, rilassato. Capì che stavo scherzando e che non c'era malizia nelle mie parole. «Sei proprio uno stronzo, Alexander,» disse, scuotendo la testa, ma senza nascondere il fatto che la mia risposta l'aveva rassicurata.
La tenni ancora sollevata, le onde del mare ci cullavano dolcemente mentre il sole iniziava a calare sempre più, e l'acqua brillava di riflessi dorati. Non c'era bisogno di aggiungere altro. In quel momento, bastava il gesto, il contatto fisico, la vicinanza tra di noi. Era un modo semplice di dire «ci sono io», senza dover usare troppe parole.
Alexa mi guardò negli occhi, e poi, con un gesto improvviso, si sporse in avanti e mi baciò sulla guancia. «Grazie,» disse con un filo di voce, e poi aggiunse scherzando, «Anche se mi hai appena detto che non mi vuoi come fidanzata.»
Sorrisi a quel gesto, lasciandola scivolare lentamente giù dalle mie braccia fino a quando i suoi piedi toccarono di nuovo il fondo sabbioso del mare. «Non ho detto questo,» le risposi, «Ho solo detto che una come te merita più di un titolo così banale.»
Alexa mi guardò con curiosità, inclinando leggermente la testa, mentre il suo sguardo cercava di decifrare le mie parole. «Cosa significa un titolo banale?» mi chiese con un tono serio, ma senza perdere quella dolcezza che la caratterizzava. Il suo viso rifletteva una sincera perplessità.
Mi presi un momento per rispondere, osservando le onde che si infrangevano delicatamente sulla riva e poi tornavano indietro. «Alexa,» iniziai, voltandomi verso di lei, «Non sono l'uomo perfetto con cui stare.» Le mie parole uscirono lentamente, con un misto di sincerità e rassegnazione. Non volevo darle false speranze o costruire castelli di sabbia che il tempo avrebbe sicuramente distrutto.
Alexa mi fissava, e potevo percepire la tensione crescere nei suoi occhi. «Che cosa intendi dire?» chiese, la sua voce tremante di insicurezza.
Sospirai leggermente, cercando di trovare il modo giusto per spiegarmi senza ferirla. «Significa che un titolo come 'fidanzati' è banale per ciò che siamo e per ciò che potremmo diventare,» risposi, fissando lo sguardo dritto nel suo. «Non è solo questione di essere una coppia. È che io non so se sono fatto per stare con qualcuno a lungo termine... con nessuno.»
Le mie parole sembravano pesare nell'aria tra di noi. Alexa abbassò lo sguardo per un attimo, fissando la sabbia bagnata sotto i suoi piedi, prima di sollevarlo di nuovo verso di me. «Quindi... pensi che quello che c'è tra noi non sia importante?» domandò, la voce appena sussurrata, come se stesse lottando contro le sue stesse paure.
Scossi la testa immediatamente. Non è questo. Non fraintendermi. «Quello che c'è tra noi è... è reale. Ma non voglio mentirti, non voglio che tu pensi che io sia l'uomo che sogni.» Feci una pausa, cercando di trovare il modo giusto per continuare. «Non sono perfetto, Alexa. Ho un sacco di problemi, ho fatto degli errori, e... non so se potrei mai darti quello che desideri davvero.»
Usciamo dall'acqua ma Alexa rimase in silenzio per un po', osservandomi con una strana miscela di comprensione e tristezza nei suoi occhi. Poi sorrise, ma era un sorriso debole, quasi stanco. «Alexander... nessuno è perfetto,» disse con dolcezza. «Neanche io. E non ti sto chiedendo di essere l'uomo perfetto, ti sto solo chiedendo di essere qui. Con me. Adesso.»
«Alexa» iniziai con voce calma, ma carica di un peso che non riuscivo a scrollarmi di dosso, «ho ferito Marie. E... posso farlo anche con te.»
Sentii il suo sguardo su di me, penetrante, mentre le parole uscivano lentamente. Non era facile ammettere quello che stavo dicendo, ma dovevo essere onesto, dovevo mettere in chiaro i miei limiti. Alexa aveva il diritto di sapere con chi stava. Mi girai verso di lei, i nostri sguardi si incrociarono, e vidi nei suoi occhi una domanda che non aveva bisogno di essere pronunciata.
Lei non disse nulla all’inizio, come se stesse elaborando ciò che avevo appena detto. Le sue labbra si mossero leggermente, come se stesse per parlare, ma poi si fermò. Sapevo che stava cercando di comprendere, di trovare una risposta dentro di sé prima di rivolgerla a me.
Le mie mani erano ancora bagnate dall’acqua del mare, e le infilai nelle tasche dei pantaloncini, cercando di calmare il battito irregolare del cuore. Non ero bravo con le parole quando si trattava di emozioni, e questo momento non faceva eccezione.
«Non sto dicendo che lo voglio fare,» continuai, abbassando lo sguardo. «Ma il fatto è che l’ho già fatto con Marie. Ho fatto promesse che non ho mantenuto, l'ho ferita in modi che nemmeno immaginavo. E... ho paura che possa succedere di nuovo. Con te.»
Alexa mi fissava ancora, ma questa volta notai una sfumatura diversa nel suo sguardo. Non c'era rabbia, non c’era delusione, solo una sorta di comprensione. «Alexander,» disse piano, la sua voce era quasi un sussurro. «Non sono Marie.»
Quelle parole mi colpirono come un pugno nello stomaco, perché erano così semplici, ma così vere. Alexa non era Marie. Lei era diversa, la nostra relazione era diversa, e forse era proprio quello il punto che mi spaventava di più. Mi stavo mettendo in gioco di nuovo, e la possibilità di fare un altro errore mi terrorizzava.
Le sue mani si alzarono lentamente e mi toccarono il viso con delicatezza. Era un gesto così semplice, ma così rassicurante. «Non sono Marie,» ripeté, questa volta con un tono più deciso. «E so che anche tu hai paura, ma... non puoi lasciare che ciò che è successo tra te e lei influenzi quello che potrebbe essere tra noi.»
Cercai di rispondere, ma lei mi zittì con un dito sulle labbra. «Alexander, so che hai fatto degli errori. Tutti ne facciamo. Ma non puoi vivere nella paura di farne altri. Se continui così... non ci sarà mai spazio per qualcosa di vero. Per noi.»
Quelle ultime parole mi rimasero impresse nella mente, come un'eco. «Per noi.» Era come se stesse cercando di costruire qualcosa, qualcosa di reale, mentre io continuavo a distruggerlo prima ancora che potesse nascere.
«Alexa...» iniziai, ma lei mi interruppe di nuovo, questa volta con un leggero sorriso. «Io sono qui, adesso. E voglio stare qui. Con te. Ma devi permettermelo. Devi lasciarmi entrare.»
La guardai per un lungo momento, cercando di capire se avessi davvero il coraggio di lasciarla entrare. Avevo passato così tanto tempo a proteggermi, a costruire muri, che ora sembrava impossibile abbassarli. Ma forse, solo forse, Alexa era diversa. Forse con lei potevo provarci.
Sospirai, abbassando lo sguardo per un attimo, prima di tornare a guardarla negli occhi.
Mi guardava con quegli occhi pieni di delusione, e sapevo che ogni parola che stavo per dire l'avrebbe ferita ancora di più. Ma dovevo dirlo, dovevo mettere fine a questa situazione prima che peggiorasse, prima che le facessi ancora più male. Respirai profondamente, cercando di trovare il coraggio per essere brutale, per essere onesto.
«Hai ragione,» iniziai, mantenendo lo sguardo fisso sul suo. «Non sei Marie. E forse... dovrei smetterla di trattarti come se fossi mia moglie.» Le parole uscirono dure, fredde, quasi taglienti, ma dovevo continuare. «Io e te... siamo soltanto amici. Va bene che abitiamo nella stessa casa, che ci baciamo all'improvviso... ma quella volta, quando abbiamo scopato... non è significato niente tra di noi.» Sentii un peso schiacciarmi lo stomaco mentre parlavo, ma dovevo dirlo. Dovevo farle capire. «È successo perché avevo bisogno di scopare con qualcuno, e tu... tu eri l'unica alternativa.»
Le parole risuonarono nell'aria, pesanti, opprimenti. Vidi il suo viso cambiare lentamente, come se cercasse di processare quello che le avevo appena detto. Il suo sguardo si abbassò per un istante, come se non riuscisse a guardarmi, e poi tornò a incontrare il mio, ma questa volta era diverso. Non c'era più quel calore nei suoi occhi, solo una fredda consapevolezza. Sapevo di aver oltrepassato un limite.
Quelle parole pesavano nell'aria, più di quanto avessi previsto. Anche se le avevo dette con l'intenzione di stabilire dei confini, sapevo che avrebbero fatto male. Mi guardava, Alexa, con quegli occhi grandi, pieni di una tristezza che non riusciva a mascherare, e per un attimo mi sentii un bastardo. Le avevo detto che la nostra notte insieme non significava nulla, e l'avevo detto come se fosse la verità. Ma sapevo, nel profondo, che non era così semplice.
Alexa abbassò lo sguardo, mormorando appena un «sì», come se stesse cercando di convincere se stessa tanto quanto me. La sua mano scivolò lungo il mio petto, leggera, quasi tremante, e mi accarezzò con un gesto che sembrava più di conforto per lei stessa che per me. Potevo sentire il suo respiro irregolare, il modo in cui cercava di mantenere il controllo delle sue emozioni, ma era evidente che stava lottando. La conoscevo abbastanza da sapere quando qualcosa la colpiva davvero.
Rimasi in silenzio, osservando i suoi movimenti, cercando di capire cosa stesse pensando, ma non riuscivo a trovare le parole giuste per aggiustare la situazione. Forse, in realtà, non c’erano parole giuste. Avevo già fatto abbastanza danni.
«Mi dispiace,» dissi infine, sapendo che quelle scuse erano vuote, insufficienti. «Non volevo... ferirti.»
Alexa sorrise debolmente, ma era un sorriso amaro, un sorriso che diceva tutto ciò che le parole non potevano esprimere. «Va bene,» rispose lei, ma sapevo che non era affatto così. «Siamo solo amici, giusto? Succede... a volte, tra amici. Non significa niente.»
Quelle parole le uscivano dalla bocca con difficoltà, come se forzarle fuori la stesse distruggendo poco a poco. Voleva apparire forte, ma io vedevo la vulnerabilità dietro quella maschera. Era ferita, e per quanto volessi fare qualcosa per rimediare, non sapevo come. Forse era già troppo tardi.
Ci fu un lungo silenzio tra noi, mentre le onde del mare si infrangevano a pochi passi di distanza. Il sole, che fino a poco prima aveva scaldato la sabbia, cominciava a calare, e il cielo si colorava di sfumature rosate. Un tramonto perfetto, ma noi eravamo lì, immersi in un'atmosfera tesa, senza sapere davvero come uscirne.
Alexa si girò verso il mare, il vento le scompigliava leggermente i capelli, e io la osservai per un momento, cercando di immaginare cosa stesse provando davvero. «È solo che...» cominciò a dire, ma poi si fermò, mordendosi il labbro come faceva sempre quando era nervosa. «Non importa.»
«Di' quello che vuoi dire, Alexa,» le dissi, cercando di non sembrare troppo brusco, ma sapevo che il tono delle mie parole era più duro di quanto avrei voluto.
Lei si girò verso di me, finalmente incontrando il mio sguardo, e vidi nei suoi occhi qualcosa che mi colpì più di qualsiasi parola. C'era una sorta di rassegnazione, come se si fosse già preparata a perdermi, anche se in realtà non mi aveva mai avuto davvero. «Non voglio essere solo qualcuno con cui hai bisogno di scopare,» disse, la sua voce quasi un sussurro. «Non voglio essere una di quelle persone che usi e poi dimentichi. E lo so... lo so che tu non vuoi ferirmi. Ma lo stai facendo comunque.»
Quelle parole mi colpirono come un pugno nello stomaco. Non era arrabbiata, non stava urlando o accusandomi di niente. Era solo... delusa. Delusa da me, da noi, da tutto ciò che potevamo essere ma che non eravamo. E quella delusione era peggiore di qualsiasi rabbia.
Non sapevo cosa dire. Ogni parola che mi veniva in mente sembrava sbagliata, inadeguata. Così restai in silenzio, incapace di trovare una via d'uscita da quel vortice di emozioni che avevo creato.
Alexa si alzò lentamente, scrollandosi via la sabbia dai piedi, e fece un passo indietro, come se volesse allontanarsi da me e da tutto ciò che rappresentavo in quel momento. «Penso che dovremmo tornare a casa,» disse infine, il tono della sua voce calmo, ma carico di una tristezza che non riusciva a nascondere. «Non ha senso restare qui.»
La guardai, incapace di muovermi, incapace di fermarla. Non avevo niente da dire, perché in quel momento, sapevo che aveva ragione. Non aveva senso restare lì, non aveva senso continuare a fingere che tutto fosse a posto. Niente era a posto.
«Okay,» risposi piano, alzandomi anch'io. Raccolsi le nostre cose in silenzio, e insieme ci avviammo verso la macchina, lasciando dietro di noi quel breve momento di illusione che avevamo condiviso.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top