𝓐𝓵𝓮𝔁𝓪𝓷𝓭𝓮𝓻

Vergine. Era vergine. Non potevo crederci. Una ragazza che lavora qui, in un club del genere, e ancora vergine? Era quasi inconcepibile.

Quando si avvicinò per chiedere i soldi, il mio sguardo cercava di captare qualsiasi segno di debolezza o dolore. Speravo che non avesse pianto, che non fosse stata ferita dalle mie parole, ma notai la luce triste nei suoi occhi. Mi sentii un attimo in colpa, un'emozione rara per me. Era così giovane, così fragile.

Simon le infilò i soldi nel perizoma con la sua solita arroganza. Io feci lo stesso, ma con più delicatezza, infilando le banconote nel suo reggiseno, sentendo il calore della sua pelle sotto le dita. «Grazie,» disse, mantenendo una compostezza che ammirai.

Quando si allontanò, il mio sguardo la seguì. Tornò a ballare davanti al palo, le banconote ancora infilate nel perizoma e nel vestitino trasparente. Era perfetta, maledettamente perfetta. Ogni movimento era un richiamo, un invito a dimenticare la mia regola personale.

Il contrasto tra la sua innocenza e l'ambiente in cui si trovava era disarmante. Mi trovai a chiedermi cosa ci facesse davvero lì. La sua storia, il motivo per cui si trovava in quel posto, mi intrigava più di quanto avessi voluto ammettere. La guardardai, la mente in conflitto, mentre lei continuava a ballare, ignara del tumulto che aveva scatenato dentro di me.

Sentivo il mio pene duro sotto di me, un'erezione che non riuscivo a controllare. Simon, notando il mio stato, rise e disse: «Quella bambola è davvero una puttana.»

«Non è una puttana,» risposi, il mio tono tagliente. C'era qualcosa in Alexa che mi faceva ribollire il sangue, un misto di protezione e desiderio che non riuscivo a comprendere del tutto.

Simon rise di nuovo. «Come è stato prima, quando si è seduta sulle tue gambe?»

Il ricordo di lei, il calore del suo corpo contro il mio, mi colpì con forza. «È stata... diversa,» risposi evasivamente, non volendo condividere troppo con lui. La sua vicinanza, il modo in cui il suo corpo si era adattato al mio, era stato quasi magico.

«Non mi dire che ti sei innamorato di una stripper,» disse Simon, scuotendo la testa. «Sono tutte uguali, amico. Vogliono solo i tuoi soldi.»

Ignorai il commento di Simon e continuai a guardare Alexa mentre ballava. Ogni movimento era un richiamo, un invito a saperne di più su di lei. Era come un enigma che desideravo risolvere. Forse non era giusto, forse non avrei dovuto, ma qualcosa mi diceva che non potevo lasciarla andare così facilmente.

Mi distrassi dai miei pensieri quando i miei colleghi di lavoro, tutti professori universitari, si avvicinarono a me accompagnati da alcune delle ragazze dello strip club. Will, un ragazzo alto, biondo e con occhi verdi, si avvicinò con una torta in mano.

«Buon compleanno, amico mio!» esclamò, con un grande sorriso sul volto.

Abbracciò due ragazze, che gli si strinsero addosso. «Buon compleanno, Alexander!» dissero in coro. Una di loro era bionda, con occhi azzurri scintillanti, l'altra aveva capelli rossi e occhi altrettanto azzurri. Indossavano vestiti simili a quello di Alexa, ma di colori diversi: la ragazza dai capelli rossi era in bianco, mentre quella bionda indossava un vestito rosa.

L'atmosfera era festosa, ma la mia mente continuava a tornare su Alexa. Mi sentivo inquieto, diviso tra il dovere sociale e il desiderio di saperne di più su quella ragazza. Will si avvicinò ancora di più, tenendo la torta davanti a me.

«Dai, fai un desiderio,» disse, sorridendo.

Guardai la torta, poi le ragazze, e infine di nuovo Alexa che continuava a ballare. In quel momento, mi resi conto che il mio desiderio non riguardava né il lavoro né il successo, ma quella misteriosa ragazza che sembrava impossibile da ignorare.

Soffiai sulle candeline, facendo un desiderio silenzioso. Le ragazze applaudirono e cantarono una canzoncina di compleanno. Mi sforzai di sorridere e partecipare, ma una parte di me rimase distaccata, concentrata su Alexa e su ciò che avrebbe significato per me il conoscerla meglio.

La ragazza dai capelli rossi si avvicinò e iniziò a ballarmi addosso, muovendo i fianchi in modo sensuale. La presi per i fianchi e feci scontrare i nostri sessi, sentendo la sua eccitazione contro di me. «Oh, Alexander, sei perfetto,» disse, con un sorriso lascivo.

Si girò, continuando a muoversi contro di me. Will rise e disse, «Divertiti, rossa. È il compleanno del festeggiato!» Poi si allontanò, seguito da Simon, lasciandomi solo con la ragazza.

La rossa iniziò a strusciarsi addosso a me, i suoi gemiti falsi riempivano l'aria. Le sue mani scorrevano sul mio petto, mentre io cercavo di mantenere la mia attenzione su di lei. Ma la mia mente continuava a tornare ad Alexa, a come mi aveva fatto sentire, alla sua innocenza nascosta dietro a un velo di sensualità.

Anche se la ragazza rossa faceva del suo meglio per attirare la mia attenzione, non riuscivo a togliermi dalla testa l'immagine di Alexa. C'era qualcosa in lei che mi attirava in un modo che nessun'altra ragazza aveva mai fatto prima. Mi resi conto che non era solo il desiderio fisico, ma qualcosa di più profondo. Volevo conoscerla, scoprire i suoi segreti, proteggerla.

La rossa continuava a muoversi, aumentando il ritmo, i suoi gemiti diventavano sempre più intensi.

La rossa continuava a strusciarsi contro di me, i suoi gemiti falsi riempivano l'aria. Poi mi guardò con occhi scintillanti e disse: «Andiamo di là.»

«Va bene,» risposi, prendendola per mano. Mi lasciò guidare attraverso il locale, portandomi nello stesso posto dove ero stato con Alexa. Mentre passavamo accanto al suo palo, i nostri sguardi si incrociarono per un istante. I suoi occhi neri erano pieni di una tristezza che mi colpì nel profondo. Era un richiamo muto, una richiesta di aiuto che non potevo ignorare.

Entrammo nella stanza privata, la musica soffusa creando un'atmosfera intima. La rossa si avvicinò di nuovo, iniziando a ballare sensualmente, ma il mio pensiero era ancora su Alexa. Non riuscivo a togliermela dalla testa. La sua innocenza, il suo dolore, tutto di lei mi attirava in un modo che non riuscivo a spiegare.

La rossa si mosse più vicino, cercando di catturare la mia attenzione. «Sei troppo distratto, Alexander,» sussurrò, le sue labbra quasi toccando il mio orecchio.

«Sì, scusami,» risposi automaticamente, ma la mia mente era altrove. La guardai muoversi.

La presi e la strinsi a me, cercando di allontanare i pensieri su Alexa. La sollevai in braccio e la posai sul divano. Lei rise, un suono melodioso che riempiva la stanza. Mi posizionai sulle sue gambe, sentendo chiaramente la sua eccitazione bagnata contro di me.

Le baciai il collo, cercando di concentrarmi sul momento presente. Le sue mani si spostarono sul mio petto, sfiorando la stoffa della mia camicia. I suoi gemiti si fecero più intensi, e sentii il suo corpo rispondere ai miei tocchi.

«Sei incredibile,» sussurrò, mentre continuavo a baciarle il collo, lasciando una traccia di baci lungo la sua pelle. Il suo profumo dolce riempiva l'aria, ma la mia mente continuava a vagare, tornando sempre a Alexa.

Cercai di immergermi completamente in quello che stavo facendo, ma una parte di me rimaneva distaccata. I miei baci si fecero più intensi, mentre le mie mani esploravano il suo corpo, ma la mia mente non riusciva a liberarsi del pensiero di Alexa, di quello sguardo triste e disperato.

La ragazza si mosse sotto di me, cercando di attirare la mia attenzione. «Mi piace quando mi tocchi così,» sussurrò, cercando di stringermi di più.

Continuai a baciarla, cercando di ignorare i miei pensieri contrastanti.

«Oh Alexander, sei perfetto,» sussurrò la rossa, la sua voce piena di desiderio.

«Anche tu, rossa,» risposi, cercando di mettere passione nelle mie parole. Continuai a baciarle il collo, scendendo lentamente lungo la sua pelle. Le sue mani si muovevano con impazienza sul mio corpo, cercando di avvicinarmi di più.

Mi staccai leggermente, guardandola negli occhi. Vedevo il desiderio nei suoi occhi, ma sentivo che mancava qualcosa. Non riuscivo a smettere di pensare ad Alexa, al modo in cui mi aveva guardato quando ero passato vicino al palo.

La rossa si mosse sotto di me, cercando di attirare la mia attenzione. «Voglio di più, Alexander,» sussurrò, le sue labbra sfiorando le mie.

Cercai di concentrarmi su di lei, sulle sue richieste, ma la mia mente continuava a tornare ad Alexa. Mi sforzai di spostare il focus sul momento presente, aumentando l'intensità dei miei baci.

«Sei davvero incredibile,» le dissi, cercando di convincere me stesso tanto quanto lei.

Gli baciai il petto e lei ansimò, sorridendo e mordendosi il labbro. «Ho bisogno di scopare,» disse, cambiando posizione e iniziando a toccarmi il pene. «Cazzo,» mormorò, ma le spostai le mani e la feci alzare da sopra di me.

Mi alzai e la guardai negli occhi. «Non scopo con le puttane come te,» dissi con fermezza.

Lei mi guardò incredula. «Ma allora perché sei venuto qui?»

Non risposi, mi girai e tornai dentro al club. I miei colleghi mi aspettavano, sembravano tutti ubriachi, le risate e i commenti ad alta voce riempivano l'aria. Will mi vide avvicinarmi e mi lanciò un sorriso beffardo.

«Come è andata con la rossa?» chiese, sollevando il suo bicchiere per brindare.

«Non è andata,» risposi seccamente, prendendo un bicchiere di whisky dal tavolo. Lo bevvi tutto d'un fiato, cercando di placare la frustrazione che mi ribolliva dentro.

«Che ti prende, Alexander?» chiese Simon, visibilmente sorpreso dalla mia reazione.

«Solo stanco,» mentii, cercando di non pensare ad Alexa. La musica, le luci, le risate dei miei colleghi ubriachi, tutto sembrava un lontano brusio mentre i miei pensieri continuavano a tornare a lei.

Mi guardai intorno e vidi alcune ragazze ballare tra i pali. Mi sedetti su una poltrona e rividi Alexa parlare con una ragazza di colore. Non sapevo chi fosse, ma non mi interessava. La mia attenzione era tutta su Alexa, non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso.

Simon mi mise una mano sulla spalla. «L'hai scopata e non la scorderai?» disse con un sorrisetto.

Mi girai verso di lui, fissandolo negli occhi. «Non l'ho scopata,» risposi seccamente, togliendogli il braccio dalla mia spalla. Vidi la sorpresa sul suo viso, ma non mi importava. Presi il telefonino dalla tasca e vidi dieci chiamate perse della mia ex moglie. Ero stufo di lei e dei suoi tentativi di riconciliarsi.

Le luci del club continuavano a lampeggiare, e la musica riempiva l'aria. I miei colleghi ridevano e scherzavano, ma io ero completamente assorbito dai miei pensieri.

Mi alzai dalla poltrona e mi avviai verso di lei, ma un'altra ragazza mi bloccò la strada. Era la stessa ragazza di prima, quella quando Alexa era seduta nella poltrona con me e Simon. «Alexander, buon compleanno,» disse, porgendomi un bicchiere di whisky. «Andiamo da qualche altra parte.»

Gettai un'occhiata verso Alexa che ballava davanti a un palo, circondata da uomini che le tiravano soldi. Sospirai internamente. «Va bene,» risposi alla ragazza, lasciandomi condurre verso un'altra poltrona.

Ci sedemmo e lei si avvicinò subito a me, con il suo corpo che si strusciava contro il mio. Cercai di concentrarmi, ma la mia mente continuava a tornare ad Alexa.

«Bevi un sorso,» disse, indicando il bicchiere di whisky che mi aveva dato. Obbedii, sperando che l'alcool aiutasse a calmare i miei pensieri.

«Che c'è che non va, Alexander? Non ti sto piacendo?» chiese, notando la mia distrazione.

«Non è quello,» risposi vagamente, cercando di non sembrare troppo distante.

La ragazza mi guardò negli occhi, sorridendo. «Mi chiamo Addison. Ho diciotto anni, non preoccuparti.»

«Muoviti un po' di più, Addison,» dissi, cercando di concentrarmi su di lei.

Addison sorrise e iniziò a muoversi più velocemente, i suoi fianchi oscillavano contro di me. La guardai negli occhi, ansimante. Almeno lei non fingeva. C'era una sincerità nei suoi movimenti, una genuinità che apprezzavo in quel momento.

«Ti piace così?» chiese, il respiro corto mentre continuava a muoversi.

Annuii, cercando di sembrare coinvolto. I suoi movimenti diventavano sempre più intensi, il suo respiro sempre più forte.

Guardai di nuovo verso Alexa, ma non c'era più. Feci alzare Addison bruscamente. «Ma che cazzo?» borbottai, confuso.

La rossa, che adesso era con un altro uomo, alzò lo sguardo e disse: «Sì, lui fa così.»

Mi alzai dalla poltrona, irritato, e andai verso Simon e Will, ormai ubriachi. «Io vado a casa, non mi sento tanto bene,» dissi, cercando di mantenere la calma.

Simon mi lanciò un'occhiata stupita, ma non disse nulla. Will alzò il bicchiere in un brindisi traballante. «Buona notte, amico!»

Mi diressi verso la porta, passando tra le luci lampeggianti e la musica assordante. Sentivo il cuore battere forte nel petto, confuso da ciò che avevo provato quella sera. Presi le chiavi della mia Tesla dal taschino, uscii dal club e la accesi.

La macchina si illuminò al mio comando, e mi sedetti al volante, cercando di calmare i miei pensieri.

Sentii il mio telefonino suonare. Era Marie, quella rompicoglioni. Sospirai e risposi: «Che cazzo vuoi, Marie?»

«Dove sei, Alex?» chiese lei, con la solita voce insistente.

«E che ti importa?» risposi irritato.

«Siamo sposati,» disse lei, come se fosse una giustificazione sufficiente per il suo comportamento.

Chiusi la chiamata senza rispondere e gettai il telefonino lontano da me. Era insopportabile. Tutto ciò che volevo era un po' di pace, ma anche questo sembrava impossibile da ottenere.

Guardai fuori dal finestrino della mia Tesla, cercando di calmarmi. La notte era fresca e silenziosa, un contrasto netto rispetto al caos del club. Respirai profondamente, cercando di liberare la mente dai pensieri tumultuosi.

Da quando io e Marie ci eravamo lasciati, lei non riusciva a dimenticarmi. Io non la volevo più, era troppo possessiva nei miei confronti. Anche prima era lo stesso, ma adesso che ci eravamo separati, non del tutto divorziati, la situazione era diventata insostenibile. I suoi genitori ancora non lo sapevano, e neanche i miei. Speravo che almeno questa notte non fosse ritornata a casa.

Guidavo attraverso le strade silenziose della città, il mio cervello un vortice di pensieri. Marie aveva sempre avuto questo potere su di me, un mix di amore e odio che non riuscivo a scuotere. Ma ormai ero stanco. Volevo liberarmi di lei una volta per tutte.

Arrivai al cancello di casa mia, una maestosa villa in stile neoclassico. Le colonne imponenti e le intricate decorazioni sulla facciata riflettevano la ricchezza e il gusto di mio padre. Il giardino ben curato con una fontana centrale aggiungeva un tocco di eleganza e tranquillità. Posteggiai la mia Tesla e notai immediatamente Marie davanti alla porta. Indossava un vestito nero aderente, una pelliccia nera sulle spalle e tacchi alti. I suoi capelli biondi erano acconciati in morbidi boccoli che le incorniciavano il viso, e i suoi occhi castani mi fissavano con un misto di rabbia e desiderio.

Scendendo dall'auto, dissi: «Che ci fai qui?»

Marie mi saltò addosso e disse: «Ciao, amore.» La tolsi delicatamente da me e presi le chiavi della casa, aprendo la porta. Questa casa era mia, non sua. Era stata comprata da mio padre, e anche se avevo pensato di toglierle le chiavi, non volevo lasciarla senza un posto dove stare.

Entrai e andai verso il tavolino dell'ingresso dove c'erano delle bottiglie di whisky. Marie mi seguì, appoggiandosi al muro e guardandomi intensamente. «Dove sei stato? Ti ho aspettato fuori,» disse.

«Non sono un bambino, so badare a me stesso,» risposi, versandomi un bicchiere di whisky.

«Dove sei stato?» ripeté, la sua voce carica di tensione.

«A uno strip club,» risposi con nonchalance.

«Un regalo dei tuoi colleghi, vero?» disse, con un sorriso amaro. Ridendo, portai il bicchiere alle labbra, ma prima che potessi bere, lei lo fece cadere dalle mie mani. Il bicchiere si frantumò a terra.

«Cazzo, Marie!» urlai, la rabbia che ribolliva dentro di me.

Lei mi guardò, le lacrime che le riempivano gli occhi.

Marie mi guardò, il viso una maschera di dolore e rabbia. «Te le sei scopate, vero? Mi hai tradito,» accusò, la voce tremante.

«Marie, io e te non siamo più sposati,» risposi, cercando di mantenere la calma. Lei abbassò lo sguardo verso la mia mano, notando l'assenza dell'anello nuziale.

«Ti sei tolto il nostro segno d'amore,» disse, con un tono di incredulità che si trasformava rapidamente in collera. «Sei proprio uno stronzo, Alexander.»

«Non è così semplice,» cercai di spiegare, ma le parole sembravano vane. «Non possiamo continuare a vivere in questo modo. Non siamo felici, nessuno dei due.»

Lei scosse la testa, i suoi occhi castani che mi trafissero con uno sguardo accusatore. «Tu non sai cosa significa amore. Sei egoista, pensi solo a te stesso.»

«Marie,» sospirai, «questo non ci porterà da nessuna parte. Non voglio continuare a ferirti, e non voglio che tu continui a ferire me.»

Si avvicinò, il viso arrossato dalla rabbia e dalle lacrime. Marie mi fissò con uno sguardo che trasudava rabbia e disperazione. Le sue parole mi colpirono come un pugno nello stomaco.

«Se un giorno ti fidanzerai, credimi, io ti rovinerò la vita. A te e a quella puttana che vuoi scoparti,» disse con voce serrata, il viso contorto dall'ira. «Nessuno ti avrà mai, perché tu sei mio.»

Le sue minacce riecheggiarono nella stanza, riempiendo l'aria di un senso di oppressione. Sentivo il suo dolore trasformarsi in una determinazione oscura, pronta a consumarmi come un fuoco divorante. Era difficile vedere Marie così, lei che un tempo aveva condiviso con me gioie e dolori, ora era diventata un'ombra di sé stessa, carica di risentimento.

«Marie, non puoi parlare così,» tentai di rimanere calmo, anche se il panico cresceva dentro di me. «Non possiamo più andare avanti così, lo sai.»

Lei rise, un suono privo di gioia. «Non puoi scappare da me, Alexander. Non puoi scappare dal nostro passato.»

Guardai il pavimento, sentendomi intrappolato tra il desiderio di liberarmi da quel legame tossico e la paura delle sue minacce. Non potevo ignorare il fatto che Marie fosse capace di fare qualsiasi cosa per tenermi legato a lei, anche se ciò significava distruggere qualsiasi possibilità di futuro per entrambi.

Marie si mise a raccogliere i frammenti di vetro sparsi sul pavimento, le mani tremanti per l'emozione e la rabbia. Il vetro scintillava alla luce soffusa della stanza, creando un contrasto doloroso con l'atmosfera tesa tra noi.

«Marie, così ti farai del male,» dissi con preoccupazione, avvicinandomi a lei. «Non farlo, ti taglierai.»

Lei alzò lo sguardo verso di me, gli occhi ancora colmi di lacrime. «Non preoccuparti per me,» rispose con amarezza. «Sono due anni che non te ne occupi.»

La sua risposta mi colpì come un pugno nello stomaco. La verità delle sue parole era innegabile, e mi sentii sopraffatto dalla colpa. «Non è vero, Marie. So che ho sbagliato, ma non è che non mi sia preoccupato per te.»

«Sì, certo,» replicò con sarcasmo, continuando a raccogliere i pezzi di vetro. «Se ti fossi preoccupato davvero, non saremmo a questo punto.»

Il silenzio cadde tra noi, interrotto solo dal rumore dei frammenti di vetro che cadevano in un mucchio. Non sapevo cosa dire per riparare il danno, come aggiustare ciò che era stato rotto tra noi.

Alla fine, presi un respiro profondo.
Marie si alzò, stringendo le mani conserte davanti al petto. Mi guardava con una miscela di rabbia e tristezza nei suoi occhi castani.

«Quante studentesse ti sei scopato quando eravamo insieme?» chiese con la voce incrinata dall'emozione.

Sospirai di nuovo, cercando di trovare le parole giuste. Mi passai una mano tra i capelli, sentendo il peso della confessione che stava per uscire. «Una soltanto,» risposi infine.

Lei scosse la testa, incredula. «Eravamo sposati, Alexander. Come si chiamava?»

Esitai un momento, poi dissi il nome che sapevo avrebbe fatto ancora più male. «Theodora.»

Marie chiuse gli occhi, come se cercasse di assorbire il colpo. «Theodora... Quella ragazza dai capelli rossi e gli occhi verdi? La tua studentessa preferita?»

Annuii, incapace di guardarla negli occhi. «Sì, era lei.»

Lei aprì gli occhi, e la tristezza sembrava aver preso il sopravvento sulla rabbia. «E perché, Alex? Perché hai fatto una cosa del genere? Eravamo felici, o almeno pensavo che lo fossimo.»

«Marie, io non ti ho mai amato,» dissi con voce ferma, ma sentendo il peso delle parole che uscivano dalla mia bocca. «Eri tu quella che era innamorata. Ora, sbrigati e vattene.»

Presi la bottiglia di whisky dal tavolino e mi avviai verso le scale, diretto alla mia camera. Ogni passo risuonava nell'ampio ingresso, un'eco di decisioni e distanze che ormai ci separavano. Mi sentivo esausto, come se ogni fibra del mio essere fosse tesa fino al limite.

Marie mi seguì con lo sguardo, la sua espressione un misto di dolore e incredulità. «Ti ricordo che è ancora casa nostra questa,» gridò, la voce incrinata dall'emozione.

Mi fermai a metà della scala, girandomi lentamente verso di lei. «Questa casa è stata comprata da mio padre. È mia, non tua. E te lo ripeto, vattene.»

«Questa notte dormirò qui,» disse Marie con un tono deciso, poi corse su per le scale verso la sua camera. «Che testa di cazzo,» mormorai a me stesso, sorseggiando il whisky dalla bottiglia mentre la osservavo scomparire nel corridoio.

Bevvi un lungo sorso, sentendo il calore dell'alcol scendere per la gola, poi mi avvicinai alla mia camera. L'aprii lentamente, lasciando che la penombra della stanza mi avvolgesse. Mi sedetti sul bordo del letto, la bottiglia ancora in mano, e fissai il soffitto.

La mia mente vagava tra i ricordi del passato e le incertezze del futuro. Mi chiedevo se avessi mai trovato la pace che cercavo, o se sarei rimasto intrappolato in questo ciclo infinito di rimpianti e relazioni fallite.

Sentii il peso della solitudine crescere dentro di me. L'unica cosa che sembrava alleviarlo era il pensiero di Alexa, quella giovane ragazza che avevo incontrato quella sera. C'era qualcosa in lei, un'innocenza e una determinazione che mi avevano colpito profondamente. Ma sapevo che era una strada pericolosa da percorrere.

Con un sospiro, mi alzai dal letto e mi avvicinai alla finestra. Guardai fuori verso il giardino, la luce della luna illuminava i contorni degli alberi e dei cespugli. Tutto sembrava così calmo e tranquillo, un contrasto netto con il tumulto dentro di me.

Posai la bottiglia sul comodino e mi tolsi la camicia, gettandola distrattamente su una sedia. Mi sdraiai sul letto, cercando di trovare una posizione comoda. Ma il sonno non veniva. Ogni volta che chiudevo gli occhi, vedevo il volto di Marie, il suo sguardo pieno di rimprovero e tristezza.

Poi, quasi contro la mia volontà, i miei pensieri tornarono ad Alexa. Mi chiedevo cosa stesse facendo in quel momento, se fosse ancora al club a ballare o se fosse già tornata a casa. C'era qualcosa in lei che non riuscivo a togliermi dalla testa.

Mi girai su un fianco, cercando di scacciare quei pensieri. Ma era inutile. Alexa aveva lasciato un segno in me, uno che non potevo ignorare. E mentre cercavo di trovare un po' di pace nel sonno, sapevo che il giorno dopo avrei dovuto affrontare molte decisioni difficili.

Con un ultimo sguardo al soffitto, chiusi gli occhi e sperai che il sonno mi portasse finalmente un po' di sollievo.

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