𝓐𝓵𝓮𝔁𝓪

Il mio primo giorno di università, e già sentivo l'ansia schiacciarmi il petto. Ero nell'armadio di Marie, che usavo da quando mi ero trasferita con Alexander, cercando freneticamente qualcosa da mettermi. Vestiti ovunque, ma nessuno che sembrasse adatto. Niente sembrava "giusto" per l'occasione, e il nervosismo non aiutava.

Alexander entrò nella stanza proprio in quel momento. Indossava un paio di pantaloni blu che gli stavano incredibilmente bene, aderenti ma eleganti, e la camicia bianca che gli modellava perfettamente le spalle larghe. Sembrava sempre perfetto, come se fosse nato per comandare qualsiasi situazione. Mi guardò con quel suo sguardo che mescolava divertimento e desiderio.

«Piccola, non sai cosa metterti?» disse, avvicinandosi a me. La sua voce bassa e profonda vibrava nell'aria, come se fosse l'unica cosa reale nella stanza.

Mi toccai i capelli disordinati, cercando di sistemarli con un gesto nervoso, ma senza successo. «Sì,» risposi, con un sospiro esasperato, aprendo un vasetto di crema e passandomelo tra le dita, ma il gesto era distratto. Non riuscivo proprio a concentrarmi.

In un attimo, Alexander mi prese in braccio con quella facilità che mi faceva sempre sentire piccola e fragile tra le sue braccia. Mi baciò, un bacio profondo che mi fece dimenticare per un momento tutta l’ansia che avevo. Le sue labbra contro le mie erano familiari e sicure, come un rifugio dove tutto il resto non contava.

«Metti un vestito bianco, non troppo corto,» sussurrò contro la mia bocca, lasciandomi scivolare giù, ma tenendomi sempre vicina. «Così vedrò i tuoi capezzoli irrigidirsi,» aggiunse con un sorriso malizioso, la sua mano che sfiorava il tessuto sottile della mia maglietta, quasi come una promessa.

Mi fece sorridere, nonostante tutto. Alexander aveva sempre quella capacità di trasformare anche i momenti più banali in qualcosa di elettrizzante. «Sarà il mio professore a notarlo?» dissi con un tono sfidante, ma il mio cuore batteva forte.

«Solo io posso notare certi dettagli,» rispose, il suo sguardo che brillava di una possessività che mi faceva sentire desiderata, ma anche al sicuro. Mi baciò di nuovo, stavolta più lentamente, come se volesse prolungare il momento.

Un vestito bianco sarebbe stato perfetto: semplice, ma con quel tocco di eleganza che mi avrebbe fatto sentire sicura di me. Lo presi, il tessuto morbido tra le mani, e sorrisi tra me e me. Era davvero il primo giorno di una nuova avventura, sapere che Alexander era al mio fianco mi dava quella sicurezza che cercavo.

Alexander mi baciò ancora una volta sulla fronte, con un sorriso malizioso che gli giocava sulle labbra. «Vestiti, o faremo tardi al tuo primo giorno di università,» disse, allontanandosi finalmente, anche se sembrava riluttante. Lo guardai uscire dalla stanza, i suoi passi pesanti che rimbombavano nel corridoio, mentre io restavo lì, con il cuore che batteva ancora forte.

Sospirai, sapendo che aveva ragione. Dovevo sbrigarmi, ma il suo modo di farmi sentire così desiderata mi lasciava sempre un po’ disorientata, come se la mia mente fosse ancora avvolta in quella nebbia di passione.

Presi il vestito bianco dal letto e lo infilai lentamente, lasciando che il tessuto leggero mi accarezzasse la pelle. Era semplice, ma allo stesso tempo elegante, e si adattava perfettamente al mio corpo. Alexander aveva un certo gusto per queste cose. A ogni piccolo gesto, mi immaginavo i suoi occhi scuri che mi osservavano, come se fosse sempre presente anche quando non c'era.

Una volta indossato il vestito, mi avvicinai allo specchio e iniziai a sistemarmi i capelli. Li pettinai con calma, lasciando che le ciocche si distendessero in morbide onde, e poi presi una molletta semplice, argentata, per fermare alcuni capelli sul lato. Era un piccolo tocco che aggiungeva un po' di delicatezza al mio look.

Mi guardai un'ultima volta allo specchio. Il riflesso mostrava una versione di me che stava cercando di nascondere l'ansia dietro un velo di sicurezza. "Ce la farò," mi dissi tra me e me. Anche se Alexander era sempre lì per sostenermi, questo era un passo che dovevo affrontare da sola.

Respirai profondamente e, dopo aver sistemato tutto, presi la mia borsa e mi diressi verso la porta. Ero pronta. O, almeno, ci stavo provando.

Alexander mi aspettava di sotto, il suo profumo familiare che riempiva l'aria non appena scesi le scale. Lo trovai vicino alla porta, impeccabile nei suoi pantaloni blu e camicia bianca, con quel sorriso di chi sa di avere sempre il controllo della situazione. Mi guardò con quei suoi occhi scuri e intensi, e il suo sguardo percorse il mio corpo, fermandosi per un attimo sul vestito che indossavo.

«Pronta?» chiese con un tono divertito, ma con un sottile senso di tensione nascosta dietro.

Annuii, aggiustandomi la borsa sulla spalla. «Sì, pronta... anche se un po' nervosa,» confessai. Lui sorrise, facendo un passo avanti e avvolgendomi in un abbraccio caldo, la sua mano che mi accarezzava dolcemente la schiena.

«Non dovresti esserlo,» sussurrò, inclinando leggermente la testa per guardarmi meglio. «Sarò il tuo professore, ricordi?» Il tono delle sue parole era un misto di scherzo e verità, e non potei fare a meno di sorridere.

«Me lo hai fatto notare già ieri sera, amore,» replicai, stringendomi a lui, il cuore che batteva più forte al ricordo di come mi aveva fatto sua poche ore prima. Era come se i nostri momenti di intimità si mescolassero continuamente con la nostra quotidianità, un gioco di potere e desiderio che non finiva mai.

Alexander mi prese per il mento, costringendomi a guardarlo negli occhi, con quel suo sguardo serio ma affettuoso. «Non dimenticare quello che ho detto,» disse, accarezzandomi dolcemente il viso. «Alla gente abbiamo detto che siamo cugini, niente di più. Voglio che tu sia al sicuro, Alexa.»

«Lo so,» risposi, cercando di nascondere l'agitazione che mi saliva dentro. Fingere di essere solo una cugina di Alexander davanti agli altri non era facile, soprattutto perché la tensione tra di noi era palpabile in ogni momento. Ma lui voleva proteggerci, e capivo che il nostro segreto doveva rimanere tale.

Lui mi baciò rapidamente, sfiorando le mie labbra con le sue, e poi si allontanò, lasciandomi un po' di desiderio insoddisfatto. «Andiamo, altrimenti faremo tardi.»

Lo seguii fuori di casa, sentendo ancora il sapore delle sue labbra sul mio viso.

Come il giorno prima, Simon era venuto a prenderci. La macchina di Alexander era ancora dal meccanico, e il pensiero di noi tre insieme in quel piccolo spazio mi metteva un po' a disagio. Soprattutto per come Simon mi guardava ogni tanto. Cercavo di non farci caso, ma era impossibile ignorare la tensione che si era creata tra di noi.

Simon fermò la macchina davanti a casa, e Alexander aprì la porta per farmi salire prima. «Vai avanti tu,» mi disse, con quel suo tono autoritario che non ammetteva repliche. Sapevo che voleva sempre controllare tutto, perfino dove mi sedevo. Non gli piaceva che stessi troppo vicina a Simon, anche se cercava di non farlo notare apertamente.

Mi sedetti accanto a Simon, che mi salutò con un sorriso accennato, ma non troppo caloroso. Alexander entrò subito dopo e si sedette dietro di me, la sua presenza imponente che riempiva lo spazio in macchina. Mi voltai leggermente per guardarlo: aveva già gli occhi fissi fuori dal finestrino, lo sguardo pensieroso. Non disse nulla, ma potevo sentire la sua tensione.

La macchina si mise in moto, e il rumore del motore ruppe il silenzio. Guardai Simon da vicino, notando il suo sguardo concentrato sulla strada. «Allora, pronta per il grande giorno?» chiese senza distogliere lo sguardo dalla strada.

«Più o meno,» risposi, cercando di sembrare rilassata. In realtà, il cuore mi batteva ancora forte. L'idea di iniziare l'università, di fingere di essere semplicemente una studentessa qualunque, mentre in realtà la mia vita era intrecciata a quella di Alexander in modo così profondo, mi faceva venire i brividi.

Simon rise, un suono basso e profondo, mentre accelerava leggermente, portandoci più vicini alla destinazione. «Non preoccuparti, andrà tutto bene.»

Dietro di me, sentivo la presenza silenziosa di Alexander. Non parlava, ma ogni tanto lo sguardo riflesso nel finestrino si spostava su di me, quasi a controllare ogni mio movimento. Il suo silenzio parlava più di mille parole.

Io guardai fuori dal finestrino, cercando di concentrarmi su qualcos'altro. Gli alberi che scorrevano veloci, le persone che camminavano per strada, il sole che filtrava tra i rami. Ma non riuscivo a staccarmi dai pensieri che mi tormentavano: l'università, la nostra relazione segreta, e quella strana sensazione che non tutto fosse come sembrava tra noi tre.

Arrivammo al campus dopo qualche minuto, e Simon parcheggiò proprio davanti all'ingresso. «Eccoci,» disse, spegnendo il motore. Si girò verso di me con un sorriso incoraggiante, mentre Alexander scese dalla macchina senza dire nulla.

Prima di uscire, Simon si chinò leggermente verso di me e sussurrò, «Buona fortuna, Alexa.»

Annuii, senza sapere bene come rispondere. Alexander era già fuori, e lo vidi mentre ci guardava con uno sguardo che non riuscivo a interpretare del tutto.

«Siamo cugini,» ribadì Alexander, con quel suo tono sicuro che non ammetteva obiezioni. Io annuii, accennando un sorriso. «Ho capito, professore Blake.» Era strano chiamarlo così, ma sapevo che era necessario per mantenere le apparenze. Lui mi guardò con quegli occhi intensi che sembravano scrutarmi dentro, poi mi fece un cenno con la testa, segno che dovevamo andare.

Entrammo tutti e tre nell'università, e l'ambiente familiare e anonimo mi avvolse. Le pareti erano fredde, i corridoi affollati di studenti che chiacchieravano tra loro, ognuno immerso nei propri mondi. Camminammo insieme, ma mantenendo una distanza sufficiente da non destare sospetti. Alexander si fermò davanti a una porta e mi guardò. «Questa è la tua prima lezione,» disse con un tono neutro, aprendo la porta con un gesto deciso.

Entrai nella stanza, e subito il brusio della classe mi travolse. Era una classe piuttosto piccola, ma c’erano abbastanza studenti da farmi sentire leggermente a disagio. Mi guardai attorno, cercando un posto vuoto. Alexander rimase fuori, probabilmente per non attirare troppa attenzione su di noi. Mi sedetti in un banco vicino alla finestra, cercando di calmare il battito del mio cuore.

Stavo sistemando i miei appunti quando sentii una mano leggera toccarmi la spalla. Mi voltai e mi trovai faccia a faccia con Xaviar, che mi guardava con il solito sorriso sornione. Indossava una tuta grigia, casual e rilassato, come se non avesse un pensiero al mondo.

«Buongiorno, Afrodite,» disse con quel tono un po’ provocatorio che lo contraddistingueva sempre.

Sorrisi, cercando di non far vedere il leggero imbarazzo che provavo. «Ciao, Xaviar,» risposi, incrociando le braccia per cercare di proteggermi da quella familiarità che aveva nei miei confronti.

«Sei venuta prima del previsto,» continuò, sporgendosi leggermente verso di me. Il suo sguardo curioso esplorava il mio viso, come se stesse cercando di leggermi dentro.

« Già,» risposi, cercando di mantenere un tono disinvolto. «Non volevo perdere tempo.»

Lui si accigliò leggermente, come se non fosse del tutto convinto. «È solo che non ti aspettavo qui, oggi. Sembra tutto così... improvviso.»

Mi irrigidii un po' al suo commento. Certo, non sapeva nulla della mia situazione con Alexander, e non poteva capire che c’era molto di più dietro la mia iscrizione. «La vita è piena di sorprese, Xaviar,» dissi con un sorriso forzato, cercando di chiudere la conversazione.

Lui sorrise di nuovo, ma c'era qualcosa nel suo sguardo che mi metteva a disagio. Come se sapesse qualcosa che io non sapevo, o come se ci fosse un gioco in corso di cui non ero al corrente. Si alzò senza aggiungere altro, tornando al suo posto dall'altra parte della stanza.

Mi voltai verso la finestra, cercando di respirare profondamente. Il campus fuori sembrava così sereno, in contrasto con la tempesta di emozioni che mi stava travolgendo. Sapevo che Alexander sarebbe stato da qualche parte, probabilmente a guardarmi, e la sua presenza, anche se invisibile, mi dava un certo conforto. Ma allo stesso tempo, mi sentivo come se fossi sull’orlo di qualcosa di molto più grande di me, qualcosa che non potevo controllare.

La lezione iniziò poco dopo, e cercai di concentrarmi, ma la mia mente continuava a vagare. Pensavo a Xaviar, al suo modo di guardarmi, e poi a Simon, che era sempre così presente ma allo stesso tempo distante. E poi, ovviamente, c’era Alexander, l’unica persona che veramente riusciva a farmi sentire viva e al sicuro, ma che sembrava essere sempre più lontano, immerso nei suoi segreti e nei suoi silenzi.

Mi persi nei miei pensieri mentre il professore parlava, cercando di capire cosa mi riservava quel giorno.

La lezione sembrava non finire mai. Le parole del professore diventavano un rumore di fondo, mentre i miei pensieri vagavano tra le mura della classe, lontano da quello che stava succedendo lì dentro. Guardavo fuori dalla finestra di tanto in tanto, osservando il viavai degli studenti nel campus. Alexander era da qualche parte, lo sapevo, forse in un’altra ala dell’università, immerso nei suoi compiti da professore. Mi chiesi se stesse pensando a me, se sentisse quello stesso filo di tensione che mi attraversava.

Finalmente, dopo due interminabili ore, la lezione finì. Il suono dei quaderni che si chiudevano e delle sedie che venivano spostate riempì la stanza. Raccolsi lentamente le mie cose, cercando di evitare lo sguardo di Xaviar, che già si era alzato e mi aspettava vicino alla porta. Sapevo che avrebbe voluto parlarmi, e non ero sicura di voler avere quella conversazione.

Uscimmo insieme dalla classe, il corridoio era affollato di studenti che andavano da una parte all’altra. Xaviar mi seguiva da vicino, il suo respiro sembrava più vicino di quanto avrei voluto.

«Fate finta di essere cugini, quindi?» mi chiese, con quel tono sornione che sembrava sempre nascondere qualcosa di più. Il suo sguardo era fisso su di me, e nonostante cercassi di ignorarlo, sentivo il suo interesse pungente come una spina.

Feci un cenno di assenso, cercando di sembrare più disinvolta di quanto in realtà mi sentissi. «Sì,» risposi seccamente, senza aggiungere altro. Non volevo dargli il potere di scavare oltre quella semplice facciata. Non avrebbe mai potuto capire cosa significava davvero mantenere quel segreto, quanto fosse importante che nessuno sapesse la verità tra me e Alexander.

Xavier ridacchiò, alzando un sopracciglio in modo malizioso. «Abbiamo lezione con tuo ‘cugino’, vero?» disse, con quel tono ironico che sembrava voler dire molto di più. Mi morsi il labbro, cercando di non mostrare quanto quelle parole mi avessero colpito. «Molto divertente,» risposi, fingendo disinvoltura mentre un piccolo sorriso si allargava sulle mie labbra. Non potevo fare a meno di ridere anch’io.

Nonostante il nervosismo che mi attanagliava, il pensiero di essere in classe con Alexander mi eccitava. Era un gioco pericoloso, ma una parte di me voleva provocarlo, vedere fino a dove potevo spingermi prima di infrangere le regole che lui stesso aveva stabilito. Mi aveva detto, proprio ieri sera, di non fare sciocchezze. Ma ignorare quella scintilla di tensione che si accendeva ogni volta che eravamo nella stessa stanza era impossibile.

Entrammo in classe, e come previsto, i suoi occhi mi seguirono appena varcai la soglia. Quel contatto visivo durò un secondo di troppo, un istante carico di sottintesi, e mi sentii avvolta dal suo sguardo come se mi avesse toccata fisicamente. Il suo volto era impassibile, professionale, ma io potevo leggere i segni del desiderio nascosto dietro la maschera. Mi sorrise leggermente, poi abbassò lo sguardo, posando un foglio sulla cattedra.

Mi sedetti nel mio posto usuale, cercando di non far trasparire l’agitazione che mi ribolliva dentro. Ogni singolo movimento, ogni respiro sembrava carico di elettricità. Xavier si sedette accanto a me, lanciandomi un’occhiata sospettosa.

Sentivo il peso dello sguardo di Alexander su di me anche mentre si muoveva per preparare la lezione. Ogni volta che si avvicinava alla cattedra, il mio cuore batteva più forte, le mie dita tremavano appena mentre stringevo la penna tra le mani.

La lezione iniziò, ma io ero completamente altrove, persa nella tensione che montava tra noi due. Ogni sua parola era come un messaggio segreto rivolto solo a me, ogni gesto sembrava fatto apposta per catturare la mia attenzione. Cercavo di concentrarmi, di prendere appunti, ma i miei pensieri vagavano verso la notte precedente, quando mi aveva detto di essere prudente, di non attirare troppa attenzione su di noi.

Ma come potevo? Il suo profumo, la sua voce, la sua presenza in quella stanza… tutto mi provocava. Mi sentivo come se fossi sul bordo di un precipizio, e ogni suo sguardo mi spingeva sempre più vicino al baratro.

La lezione era iniziata da qualche minuto, ma la mia mente era già altrove. Alexander stava spiegando qualcosa sulla dinamica economica, ma le sue parole si mescolavano con i battiti del mio cuore che sembravano accelerare ogni volta che lo guardavo. Lui era lì, di fronte a tutti, così composto e sicuro di sé, mentre io lottavo per mantenere una parvenza di autocontrollo.

Ero seduta in prima fila, e sapevo che mi stava osservando. Il suo sguardo si posava su di me ogni tanto, furtivo, come se stesse cercando di nascondere ciò che realmente provava. Era proprio in quei momenti che il mio desiderio di provocarlo si faceva sempre più forte.

Mi spostai leggermente sulla sedia, accavallando le gambe in modo da far scivolare il vestito bianco un po' più su, scoprendo una porzione di coscia. Sentii i suoi occhi su di me per un breve istante, ma continuò a parlare, mantenendo quella facciata impeccabile di professore. Ma io sapevo che dietro quella maschera c’era molto di più.

Alzai la mano, interrompendo la sua spiegazione. «Professore, ho una domanda,» dissi con voce calma ma con un tono volutamente sottile, quasi malizioso.

Lui si fermò, alzando lo sguardo verso di me. Potevo vedere la tensione nei suoi occhi. «Dimmi, Alexa,» rispose, mantenendo il tono formale.

Mi sporsi leggermente in avanti, lasciando che la scollatura del mio vestito mostrasse un po' di più del dovuto. «Stavo pensando… se ci fosse un modo più efficace per spiegare questo concetto?» chiesi, con lo sguardo innocente, ma con un accenno di provocazione che non poteva ignorare.

Alexander rimase in silenzio per un istante, i suoi occhi erano fissi su di me. Sapevo che lo stavo provocando, e il pensiero mi eccitava. C'era un brivido nel sapere che stavo giocando con il fuoco.

Si schiarì la voce e rispose in tono neutro, «Possiamo discuterne più tardi, Alexa, se hai bisogno di ulteriori chiarimenti.» Il suo tono era impeccabile, ma io potevo vedere la lieve tensione nelle sue mani, mentre stringeva il bordo della cattedra.

Sorrisi dolcemente e annuii, fingendo di prendere appunti. Ma la mia attenzione era tutta su di lui. Volevo vedere fino a che punto potevo spingerlo, fino a quando la sua facciata di controllo si sarebbe incrinata.

Mentre continuava la lezione, iniziai a giocherellare con una ciocca dei miei capelli, avvolgendola intorno al dito in modo lento, sensuale. Ogni tanto, alzavo lo sguardo verso di lui, incontrando i suoi occhi e sostenendone lo sguardo più a lungo del necessario. Sentivo l'elettricità nell'aria, come se fossimo solo io e lui in quella stanza, nonostante la presenza degli altri studenti.

Alexander fece un passo verso di me, forse inconsapevolmente, forse perché sentiva che il nostro gioco stava diventando sempre più pericoloso. «Qualcuno ha altre domande?» chiese alla classe, ma i suoi occhi erano ancora su di me. Nessuno rispose.

Mi leccai leggermente le labbra, un gesto innocente per chiunque altro, ma non per lui. Potevo vedere come il suo sguardo si posava brevemente su quella piccola azione, e capii che lo avevo colpito. Sentii il mio corpo rispondere al suo desiderio nascosto, e le mie gambe si strinsero leggermente sotto il banco, cercando di contenere l’eccitazione che montava in me.

La lezione di letteratura si concluse con l’ultimo suono della campanella, che risuonò nell’aula come un richiamo alla libertà. Gli studenti iniziarono a alzarsi dalle sedie, raccolgono i loro libri e borse, ma io rimasi ferma, incerta sul da farsi. Xavier, che si era avvicinato per parlarmi, mi sorrise. «Ci vediamo dopo, Afrodite,» disse con un tono amichevole, mentre si allontanava verso l'uscita.

«Ti raggiungo dopo,» risposi, ma i miei pensieri erano già rivolti a ciò che sarebbe successo dopo la lezione. Non potevo ignorare l'attrazione elettrica che c'era tra me e Alexander. Volevo di più, e sapevo che anche lui lo voleva.

Alexander era ancora seduto sulla sua sedia alla cattedra, le braccia incrociate e un’espressione mista di frustrazione e desiderio sul viso. Le sue mani si stringevano intorno ai braccioli della sedia, e il modo in cui mi guardava con quegli occhi scuri e intensi mi fece tremare. Era evidente che la tensione tra noi stava raggiungendo un livello critico.

«Cazzo, Alexa,» mormorò quando la porta si chiuse dietro gli ultimi studenti. La sua voce era bassa, carica di desiderio, e un brivido percorse la mia schiena. «Non sai quanto me lo hai fatto diventare duro.»

La sua confessione mi fece ridere, un suono che mi sembrava scandaloso eppure liberatorio. Non avevo mai visto Alexander così vulnerabile, così onesto. «E tu, professore, dovresti mantenere il controllo,» risposi, avvicinandomi lentamente alla sua cattedra, facendo attenzione a muovermi con grazia.

Sorrise, il suo sguardo ardente fissato su di me. «Controllo? Dopo quello che hai fatto in classe? Non è possibile,» rispose, scuotendo la testa, ma il suo tono era più di un’ammissione che di un rimprovero.

«E che cosa avrei fatto?»  dissi, cercando di mantenere un’innocenza apparente mentre mi avvicinavo di più. Le sue mani erano ancora ferme sui braccioli della sedia, ma i suoi muscoli si tendevano visibilmente. «Forse ti ho solo fatto pensare a cose che non dovresti pensare in classe?»

«Non dovresti giocare con il fuoco,» mi avvertì, ma le sue parole suonavano più come un invito che come un avvertimento. Non potevo resistere a provocarlo ulteriormente.

«Ma è così divertente,» dissi con un sorrisetto provocante, mentre mi piegavo in avanti, le mani appoggiate sul tavolo accanto alla sua sedia. «E chi può resistere a un po’ di fuoco?»

La tensione tra noi era palpabile, e l’aria si riempì di un’intensa elettricità. Alexander si spostò leggermente, cercando di trovare una posizione più comoda, ma il suo corpo rivelava la verità: non gli dispiaceva affatto.

«Se continui così, non posso garantire di mantenere il mio autocontrollo,»disse, la sua voce ora un po’ più roca.

«E se volessi metterlo alla prova?» chiesi, con un tono seducente, il cuore che batteva forte nel petto.

«Non credo che tu sappia davvero cosa stai chiedendo,» rispose, il suo sguardo fisso nei miei occhi, come se stesse cercando di leggere il mio animo.

«Prova a scoprire,» dissi, avvicinandomi ancora di più. La distanza tra i nostri corpi si ridusse fino a diventare quasi insignificante. Il suo respiro era caldo e affrettato, e un sorriso malizioso si fece strada sulle mie labbra.

«In questo momento, non ho bisogno di scoprirlo. Lo so già,» rispose, ma il suo sguardo era carico di desiderio. Era chiaro che anche lui era preso dal gioco, e non avrei avuto pietà.

Sapevo che stavo rischiando, ma l’idea di sfidare i limiti, di giocare con il nostro desiderio, mi dava un’eccitazione incredibile. «Allora perché non passiamo a un livello successivo?» dissi, inclinandomi ulteriormente in avanti, il cuore che martellava nel petto.

Alexander si sollevò sulla sedia, quasi come se stesse per avvicinarsi a me, ma prima che potesse farlo, la campanella suonò di nuovo, interrompendo il nostro momento. Gli studenti iniziarono a entrare nuovamente in aula, rompendo l’incantesimo che ci legava.

«Cazzo,» sussurrò Alexander, chiaramente frustrato, mentre si sistemava la camicia e cercava di ripristinare la sua facciata di professore serio. «Non possiamo continuare così.»

Mi sedetti sulla sua sedia, il cuore che batteva forte mentre appoggiavo le gambe sulla superficie liscia e fredda. Alexander era lì davanti a me, i suoi occhi scuri che brillavano di sorpresa e desiderio. La tensione nell'aria era palpabile, e il suo sguardo attento mi faceva sentire viva come mai prima d’ora.

Presi la penna con cui scriveva i suoi appunti, un oggetto innocuo che ora si caricava di un significato completamente diverso. Con un sorriso malizioso, la infilai dentro di me, un gesto audace che mi fece ansimare mentre cercavo di mantenere il controllo.

«Alexander,» dissi, la mia voce un sussurro carico di provocazione, mentre mi muovevo leggermente per assaporare la sensazione. «Vedi cosa posso fare?»

La sua espressione cambiò, il suo sguardo si fece più intenso, come se il mondo attorno a noi fosse scomparso. «Alexa,» rispose con un tono profondo, «cosa stai facendo?»

«Solo un gioco,» dissi, cercando di mantenere un’aria di leggerezza. Ma dentro di me, il desiderio si stava trasformando in una fiamma ardente. Continuai a muovermi lentamente, lasciando che la penna scorresse dentro di me. Il miscuglio di piacere e potere era inebriante.

Quando arriveremo a casa,» disse Alexander, avvicinandosi a me con un’espressione seria che nascondeva un desiderio profondo, «ti punirò così forte che non camminerai per giorni.»

Sorrisi, un brivido di anticipazione che mi attraversava. «Voglio essere punita adesso,» dissi, lasciando che il mio tono fosse carico di provocazione. La tensione tra noi era palpabile, e sapevo che stava combattendo contro il suo istinto.

Si avvicinò, afferrando la penna che avevo usato, facendola muovere dentro di me con una grazia che mi fece ansimare. Ogni movimento era un promemoria di quanto fossi vulnerabile, eppure potente in quel momento. «Sei uscita senza mutandine,» mormorò, il suo sguardo che si infuocava. «Sei una donna audace.»

«L’ho fatto per te, professore Blake,» dissi, un sorriso malizioso sulle labbra. Il modo in cui lo chiamavo lo faceva brividi, e il suo respiro si fece più profondo mentre continuavo a muovermi, godendo della sensazione di potere che avevo su di lui.

«Sei incredibile,» rispose, il suo viso che si avvicinava al mio. Le sue labbra sfiorarono la mia gamba, e sentii il calore crescere in me. «Ogni tua parola è un invito a superare ogni limite.»

Sapevo che stava lottando con la sua volontà. «Non fermarti,» lo esortai, toccandogli delicatamente i capelli, sentendo come la mia innocenza si mescolava con un desiderio insaziabile. «Puniscimi, Alexander. Fammi sentire tutto.»

La sua espressione cambiò, e il controllo che aveva iniziò a svanire. Con un movimento deciso, estrasse la penna e mi afferrò per la vita, portandomi più vicino a lui. «Spero tu sia pronta,» disse, la sua voce carica di una promessa minacciosa.

In un attimo, tornò a muoversi con passione, mentre la penna scivolava di nuovo dentro di me. Il dolore si mescolava a un piacere indescrivibile, e io ansimavo ad ogni colpo. «Sei perfetta così,» continuò, la sua voce che tremava leggermente.

Sorrisi mentre Alexander si tolse la cintura, il suono del cuoio che si staccava dalla vita risuonava nell'aria carica di tensione. Sentivo il cuore battere forte nel petto, un misto di eccitazione e paura. Poi, con un gesto deciso, fece uscire la penna da dentro di me, lasciandomi un senso di vuoto che desideravo riempire.

«Preparati,» disse, i suoi occhi fissi nei miei con una determinazione che mi fece tremare. Mi prese in braccio, e in un attimo mi appoggiò sulla scrivania, il suo corpo che si avvicinava al mio. «Sei pronta a sentire ciò che significa essere punita?»

Con un respiro profondo, annuii. «Sì, Alexander. Fammi sentire tutto.»

Con forza, entrò dentro di me, e un urlo soffocato sfuggì dalle mie labbra. La combinazione di potere e desiderio era travolgente. Ogni spinta era come un’ondata che mi travolgeva, facendomi sentire viva come mai prima d'ora. «Sei così stretta,» mormorò, i suoi occhi che scintillavano di soddisfazione mentre continuava a muoversi, la sua forza che mi prendeva completamente.

Il ritmo si fece intenso, e ogni movimento sembrava risvegliare una parte di me che non sapevo nemmeno di avere. «Mi stai punendo bene,» dissi, il mio respiro che si faceva sempre più affannoso, mentre mi lasciavo trasportare dal piacere. «Voglio di più.»

Mi strinse più forte, il suo corpo che si muoveva con una potenza che sembrava inarrestabile. Ogni spinta era un invito a lasciarmi andare completamente, e la pressione crescente mi portava sempre più vicino a un piacere travolgente. «Più forte,» gli ordinai, la mia voce tremante di desiderio.

Obbedì immediatamente, aumentando il ritmo, e le sue mani mi afferrarono con forza, come se volesse possedermi completamente. Lo baciai, le nostre labbra che si univano in un vortice di passione. Sentivo il sapore della sua bocca, e mentre le nostre lingue si intrecciavano, Alexander mi baciò delicatamente il collo, facendo salire un brivido lungo la mia schiena.

«Ti piace?» chiese, il suo respiro caldo che accarezzava la mia pelle. Ogni parola era un sussurro di desiderio, e io annuii, incapace di trovare le parole. Le sue mani si muovevano lungo il mio corpo, e sentii il suo addome muscoloso sotto le mie dita.

Toccai i suoi addominali, i muscoli tesi e pronti, e un’ondata di piacere mi sopraffece. Era così incredibile sapere di avere quell’effetto su di lui, eppure non riuscivo a parlare, la mia bocca si era dischiusa in un muto stupore.

Alexander notò il mio silenzio e sorrise, continuando a muoversi dentro di me con una determinazione feroce. «Sei così bella quando non riesci a parlare,» disse, i suoi occhi che brillavano di eccitazione. «Questo è ciò che desidero vedere.»

Mi baciò con passione, e le sue labbra calde si posavano sulle mie mentre le sue mani si stringevano attorno ai miei fianchi. «Mi piace vederti in queste condizioni,» disse, il suo sguardo affascinato che mi faceva sentire vulnerabile ma incredibilmente desiderata.

Con un movimento deciso, aumentò il ritmo, e io mi abbandonai completamente a quella sensazione, inclinandomi indietro. La mia testa si piegò all'indietro, e ogni spinta sembrava fonderci sempre di più. «Guardami, piccola,» ordinò, la sua voce carica di autorità e passione.

Le sue parole risuonavano nella mia mente, e non potei fare a meno di guardarlo, gli occhi pieni di desiderio e vulnerabilità. «Dimmi che sei mia,» continuò, il suo tono insistente mentre continuava a muoversi dentro di me, rendendo tutto più intenso.

«Sono tua,» riuscii a sussurrare, la mia voce tremante di emozione. «Solo tua.» Sapevo che quelle parole lo eccitavano, e il suo sorriso svelava quanto desiderasse sentirmelo dire.

Alexander si chinò, baciandomi i capezzoli con una dolcezza che mi fece tremare. «Non cammini più adesso, Alexa,» sussurrò, le sue parole cariche di un'intensa determinazione. «Tu giochi con me e io con te.»

Con un movimento deciso, mi appoggiò la schiena contro la scrivania, il contatto freddo del legno contrastava con il calore che sentivo provenire da lui. La tensione nell'aria era palpabile, e il battito del mio cuore accelerava mentre lui si piegava su di me, avvicinandosi in un modo che mi fece sentire vulnerabile e desiderata.

Mi baciò, e ogni tocco delle sue labbra sul mio corpo era come un incendio che si diffondeva, bruciando di passione. «Ti amo,» disse, le sue parole che penetravano nel profondo del mio cuore. Le sue labbra scivolavano lungo la mia pelle, lasciando una scia di brividi, mentre lui continuava a esplorare ogni curva del mio corpo.

Poi, scese ulteriormente, la sua testa che si avvicinava sempre di più. Sentii il suo respiro caldo e la mia bocca si aprì in un gemito quando ingoiò con dolcezza. «Oh sì, cazzo,» esclamai, la mia voce un misto di sorpresa e piacere. La sensazione era travolgente; non avevo mai provato nulla di simile.

Mi tenne per i fianchi, le sue mani forti e sicure mentre si dedicava a me con una concentrazione totale. Ogni movimento della sua bocca sembrava scatenare un’ondata di piacere che si diffondeva in tutto il mio corpo. Non potevo fare a meno di gemere, lasciando che il piacere mi sopraffacesse.

«Sei così dolce,» disse, interrompendo un momento per guardarmi con uno sguardo affamato. «Voglio che tu provi tutto questo.»

«Non voglio che finisca,» riuscii a sussurrare, la mia mente che si perdeva nel piacere. Ogni suo movimento era come una melodia che risuonava nella mia anima, e sapevo che questo momento era speciale, unico.

La connessione tra noi cresceva, e mi resi conto che era molto di più di un semplice gioco. Era un'intesa profonda, un legame che andava oltre il fisico e toccava il mio cuore.

«Lasciati andare, piccola,»disse lui, riprendendo le sue attenzioni su di me.

«Vieni, amore,» disse Alexander, la sua voce profonda e avvolgente che si mescolava con i miei gemiti. «Ti sento. Vieni per me.» Con un gesto deciso, mi prese in braccio, sollevandomi da terra come se fossi leggera come una piuma.

Curvò la schiena, angolando il suo corpo in modo da potermi scoprire meglio, e la sua determinazione mi fece tremare. Ogni sua mossa era calcolata, perfetta. Ansimava, il suo respiro caldo che si mescolava al mio, mentre continuava a muoversi con forza dentro di me. «Sì, sì, Alexa,» mormorò, il suo sguardo fisso nei miei occhi, «vieni per me, vieni amore.»

Senti l’onda del piacere che si avvicinava, come un’onda che si infrangeva sulla spiaggia. La sua intensità cresceva, e mi lasciavo trasportare, il mio corpo che rispondeva ai suoi stimoli, la sua presenza che mi avvolgeva completamente. Ogni spinta sembrava portarmi più vicino a un culmine che desideravo ardentemente raggiungere.

Le sue mani si muovevano lungo i miei fianchi, tenendomi stretta e permettendomi di sentirne ogni muscolo teso. «Non fermarti,» ansimai, la mia voce tremante di emozione. «Voglio sentirti di più.»

«Lo farò, piccola,» rispose, aumentando il ritmo con una forza che mi fece esplodere di piacere. «Sentiti libera di lasciarti andare.»

Il mio respiro si fece affannato, e le sue parole mi incitavano a dare tutto me stessa. Sapevo di essere sull’orlo di qualcosa di magnifico, e ogni fibra del mio essere era concentrata su di lui. «Alexander,» sussurrai, il suo nome una preghiera sulle mie labbra, «sto venendo.»

«Vieni per me, Alexa,» ripeté, la sua voce calda che mi avvolgeva mentre si avvicinava sempre di più all'apice. «Voglio vedere il tuo volto mentre ti perdi.»

E così, seguendo il suo invito, mi lasciai andare, un'ondata di piacere travolgente che mi colpì come un fulmine. La mia mente si svuotò di ogni pensiero, e l’unico suono che riempiva l’aria era il nostro respiro affannato e i gemiti di piacere.

Alexander si rimise dritto, appoggiando la schiena contro la scrivania mentre io ero ancora abbracciata a lui, la mia testa rilassata sulla sua spalla. Era ancora dentro di me, e sapevo bene che non sarebbe uscito. Amava stare dentro di me, quel contatto intimo che sembrava legarci ancor di più.

Mi accarezzò delicatamente i capelli, le sue dita che scivolavano tra le ciocche con un'affettuosa calma. «Stai bene?» chiese, il suo tono dolce e preoccupato mentre si assicurava che fossi a mio agio.

Annuii, un sorriso che si allargava sulle mie labbra mentre lo guardavo. «Sì, sono benissimo,» risposi, la mia voce un sussurro soddisfatto. La sensazione di essere così vicina a lui, di essere completamente sua, mi faceva sentire viva e amata.

«Mi fai sentire così… completo,» continuò, e le sue parole mi colpirono. C’era una sincerità nel suo sguardo che mi emozionava. «Non avrei mai pensato di trovare qualcuno con cui condividere tutto questo.»

La mia mente si riempì di emozioni, e non potei fare a meno di rispondere. «Anche io mi sento così, Alexander. Sei speciale per me.» Sapevo che eravamo in un momento unico, qualcosa di raro e prezioso che non avrei mai voluto perdere.

Ci scambiammo uno sguardo, e la connessione che avevamo sembrava farsi sempre più profonda. Le sue mani continuavano a giocare con i miei capelli, mentre io restavo lì, abbracciata a lui, godendo del calore e della sicurezza che solo lui sapeva offrirmi.

Alexander si avvicinò, le sue labbra che sfiorarono le mie in un bacio profondo e carico di emozione. «Ti amo, cazzo,» sussurrò, il suo tono mescolato a un'incredibile passione. Ogni parola che pronunciava sembrava intensificare il legame tra noi, uniendo i nostri cuori in un modo che non avrei mai immaginato.

«È stata la punizione più bella,» risposi, il mio volto illuminato da un sorriso. La mia mente tornava a quanto era stato intenso tutto quello che avevamo appena vissuto.

Alexander mi accarezzò dolcemente i capelli, le sue dita che scorrevano con delicatezza. «Ti è piaciuta quindi?» chiese, la sua voce un misto di curiosità e arroganza.

Mi avvicinò all'orecchio e sussurrò: «Allora ci saranno altre punizioni.» Il suo tono era carico di una sfida che mi eccitava, e non potei fare a meno di arrossire.

«Perché non farlo in giro per l'università?» proposi, il mio cuore che batteva forte all'idea. Volevo sentire quel brivido dell’ignoto, e sapevo che Alexander sarebbe stato l’unico a guidarmi in quel viaggio.

Lui rise, una risata che trasmetteva sicurezza e controllo. «Sì, nei corridoi, così tutti capiranno che sei mia,» disse, il suo sguardo penetrante che mi faceva sentire vulnerabile. «Quei gigli di puttana che ti guardano… non possono nemmeno avvicinarsi a te.»

Le sue parole erano provocatorie, ma mi facevano sentire desiderata. «Oppure nell’ufficio del preside,» suggerii con un sorriso malizioso, «quella troia è innamorata di te.» L’idea di farlo in un posto così audace mi fece venire un brivido lungo la schiena.

«Mi piace come pensi,» rispose, la sua espressione che si fece più seria. «Ma ricorda, nessuno deve sapere che sei mia. Voglio che si mordano le labbra dalla gelosia.» I suoi occhi brillavano di una luce provocatoria, mentre l'idea di possesso si faceva sempre più forte.

«Lo prometto,» dissi, un sorriso dolce stampato sul volto. «Farò in modo che nessuno si azzardi a mettere gli occhi su di me.» La sua fiducia in me mi riempiva di determinazione.

«Brava, piccola,» disse, inclinando la testa verso di me, il suo sguardo che diceva tutto. «Ma ricordati, ogni volta che sarai mia, sarà una punizione che ti piacerà.»

Il cuore mi balzò nel petto, mentre sentivo che quel gioco di potere ci stava avvicinando sempre di più. Non avevo mai provato nulla di simile prima, e l'idea di essere posseduta da Alexander era così intrigante e affascinante.

«Non vedo l'ora,» dissi, la mia voce un sussurro di eccitazione, mentre mi lasciavo trasportare dall'energia che creavamo insieme.

Si alzò improvvisamente, prendendomi in braccio con una forza sorprendente. Mi appoggiò delicatamente sulla scrivania, il suo sguardo che brillava di una mistura di determinazione e dolcezza. «Non provocarmi mai più,» disse con un tono giocoso ma autoritario. «Mi è venuto il cazzo duro per tutta la lezione.»

Non potei fare a meno di sorridere a quella rivelazione, l’immagine di lui che cercava di mantenere la calma durante la lezione mentre pensava a noi era esilarante. «Scusami, non volevo,» risposi, la mia voce tremante di divertimento. La situazione era così audace e al tempo stesso così eccitante.

Mi baciò, le sue labbra che si posavano sulle mie con passione, e in un momento di gioco, mi morse leggermente il labbro, lasciandomi un brivido di sorpresa e piacere. Era un gesto tanto affettuoso quanto provocatorio, e non potei fare a meno di desiderare che quel momento non finisse mai.

Uscì lentamente da me, lasciandomi con una sensazione di vuoto che desideravo colmare.

Il sole era ancora basso all'orizzonte, i suoi raggi dorati filtravano attraverso le vetrate della caffetteria, creando giochi di luce sul pavimento. Ero appena arrivata per il mio turno pomeridiano, ma tutto sembrava già perfetto. Avevo trovato un equilibrio tra l'università, il lavoro e la mia relazione con Alexander. Lui mi aveva accompagnato come al solito, il motore della sua macchina ronzava dolcemente, fresco di riparazione. Prima di lasciarmi scendere, mi aveva sorriso in quel modo che solo lui sapeva fare, con un misto di malizia e tenerezza.

«Lavora bene, Afrodite,» mi aveva detto, il suo tono basso e seducente, facendomi arrossire leggermente.

Sorrisi al ricordo mentre aprivo la porta della caffetteria. Le campanelle tintinnarono dolcemente sopra la mia testa, annunciando il mio arrivo. All'interno, l'aroma di caffè appena fatto e di dolci appena sfornati mi accolse come una vecchia amica. Era sempre rassicurante entrare qui, in quel piccolo rifugio che ormai conoscevo come le mie tasche. Mi sentivo a casa.

Ero diventata brava a gestire le mie giornate. Il mattino era dedicato alle lezioni all'università, dove le cose stavano andando alla grande. Grazie a Xavier, avevo trovato una routine. Lui era diventato un amico fidato, e il nostro legame si era rafforzato sempre di più. Anche se Alexander si incazzava ogni volta che sentiva parlare di altri ragazzi, sapeva che tra me e Xavier c'era solo una sincera amicizia. O almeno così cercavo di convincerlo ogni volta che la gelosia lo prendeva.

Prima di scendere dalla macchina, gli avevo dato un bacio veloce. «Ciao, amore mio,» gli avevo sussurrato, ma lui si era già leggermente irrigidito, il suo sguardo intenso e possessivo. «Mi raccomando, niente ragazzi,» mi aveva avvertito, una mezza battuta nascosta dietro al suo tono serio.

Adoravo quel lato di lui, anche se sapevo che era solo il riflesso della sua natura dominante e protettiva.

Entrai nella caffetteria, togliendomi il cappotto e appendendolo a uno dei ganci vicino alla porta. Molly era già lì, intenta a servire un cliente con la sua solita efficienza. Mi salutò con un cenno del capo e un sorriso rapido. Sembrava sempre di corsa, ma riusciva comunque a mantenere tutto sotto controllo. Mi legai il grembiule in vita e presi posto dietro il bancone, pronta per un altro pomeriggio di lavoro.

«Molly, ti lascio la macchina del caffè, io vado a prendere le ordinazioni,» dissi, afferrando il mio booknotes e una penna. Lei annuì senza distogliere lo sguardo dal cliente davanti a lei.

Il rumore delle tazze, il chiacchiericcio dei clienti, il profumo di caffè appena fatto: tutto sembrava normale, come un qualsiasi altro giorno alla caffetteria. Con il mio blocknotes in mano, mi avvicinai a un tavolo. «Buongiorno, cosa posso portarvi?» chiesi meccanicamente, il sorriso professionale sulle labbra.

Ma non appena sentii la voce che rispose, il sangue mi si gelò nelle vene.

«Alexa?» disse una voce familiare, bassa e autoritaria.

Alzai lo sguardo, il cuore cominciò a battermi all'impazzata. Era lui. Mio padre. John.

Non lo vedevo da anni, eppure il suo volto, i suoi occhi freddi e giudicanti, erano sempre gli stessi. Mi tremarono le mani, tanto che quasi lasciai cadere il blocknotes. «John...» riuscii a dire con un filo di voce. Non "papà", non potevo chiamarlo così. Non dopo tutto quello che aveva fatto.

Lui si alzò lentamente dalla sedia, i suoi occhi che mi trapassavano come coltelli. «Adesso verrai con me,» disse con quella stessa voce che mi aveva sempre fatto tremare, quella che non accettava repliche.

Provai a fare un passo indietro, ma lui fu più veloce. Prima che potessi reagire, mi aveva già afferrato il polso, stringendolo con una forza che mi fece male. «John, no!» cercai di divincolarmi, il panico che mi serrava la gola. «Non voglio venire con te!»

Lui non mi ascoltava. Mi tolse il grembiule con un movimento deciso, come se volesse spogliarmi della mia vita, del mio presente, riducendomi di nuovo a quella bambina indifesa. «Certo che verrai con me, sono tuo padre,» sibilò, il suo volto vicino al mio, mentre mi trascinava fuori dalla caffetteria.

Le mie parole sembravano non avere effetto. Cercai di resistere, di tirare indietro il braccio, ma la sua presa era implacabile. Mi spinse con forza verso l'uscita, senza nemmeno un'occhiata ai clienti o al personale. Tutto il mondo sembrava essersi fermato, come se fossimo gli unici due esistenti.

Arrivammo fuori, nella luce del sole, e il freddo dell'aria mi colpì come uno schiaffo. Mi sentivo impotente, come se fossi di nuovo intrappolata in una vita che credevo di aver lasciato alle spalle.

«Lasciami andare!» gridai disperatamente, cercando ancora una volta di liberarmi dalla sua presa. Ma lui mi spinse verso una macchina parcheggiata lì vicino, aprendo la portiera con un gesto brusco. Prima che potessi reagire, mi gettò dentro l'auto.

Il rumore della portiera che si chiudeva dietro di me fu come una sentenza. Ero intrappolata.

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