𝓐𝓵𝓮𝔁𝓪

La camera sopra allo strip club era un mondo a parte, lontano dal frastuono e dalle luci soffuse del piano inferiore. Le pareti erano dipinte di un rosa vivace, adornate da poster colorati e decorazioni kitsch. Una scala a chiocciola bianca collegava i due livelli, conferendo un tocco di eleganza in un ambiente altrimenti caotico.

Ero in piedi davanti allo specchio, indossando un baby doll leopardato che contrastava con la morbidezza del mio sguardo. Accanto a me, Nikki stava finendo di sistemarsi il baby doll rosa, un sorriso compiaciuto sul volto. "Bella serata," disse Nikki, con una certa nonchalance.

Mi guardai un'ultima volta nello specchio, cercando di scacciare dalla mente i pensieri su Alexander. La notte era stata lunga e piena di emozioni contrastanti. Non ero pronta per fare sesso, specialmente con uno sconosciuto, e l'idea che tutti sembrassero aspettarselo da me mi dava fastidio. Mio padre, in particolare, insisteva perché acconsentissi, convinto che ciò avrebbe aumentato i guadagni. Lo odiavo per questo.

Erano le quattro di notte, e le altre ragazze dormivano già, esauste dopo la lunga serata di lavoro. Mi voltai verso Nikki e sorrisi, cercando di nascondere il turbamento interiore. "Sì, è stata una bella serata," risposi, forzando un sorriso.

Nikki non sembrava notare la mia inquietudine. Si avvicinò al letto, sistemando le coperte con un gesto rapido e pratico. «Dovresti andare a dormire anche tu, Alexa. Domani sarà un'altra giornata lunga.»

Annuì, ma sapevo che il sonno non sarebbe arrivato facilmente. I pensieri su Alexander, sulla mia vita e su ciò che avrei voluto per me stessa continuavano a tormentarmi. Mentre mi infilavo sotto le coperte, guardai il soffitto, sperando che il futuro mi riservasse qualcosa di meglio rispetto alla realtà che stavo vivendo.

La mattina dopo mi svegliai presto, consapevole dei miei doveri. Ero sempre io a fare la spesa per tutti noi, un gruppo composto da cinque stripper e un uomo, mio padre. Ognuno di noi aveva un compito preciso, e il mio era quello di assicurarmi che non mancasse nulla in casa.

Feci una doccia veloce, godendomi il profumo rilassante della lavanda che si diffondeva nell'aria. Una volta uscita dalla doccia, mi asciugai e mi diressi verso il letto, dove avevo già preparato i vestiti per la giornata.

Indossai un completo in jeans che avevo scelto con cura la sera prima: un top con lacci e borchie, abbinato a una minigonna dello stesso tessuto, adornata con anelli metallici e dettagli in pelle. Completai il look con un paio di stivali bianchi, pronti ad affrontare la giornata. Presi anche il mio choker in jeans, con piccole borchie, per aggiungere un tocco finale al mio outfit.

Mentre mi preparavo, pensai a come la nostra vita fosse organizzata attorno alle necessità del club e di chi ci lavorava. Era una routine che avevamo imparato ad accettare, anche se sapevo che ognuna di noi sperava in qualcosa di meglio.

Con uno sguardo veloce allo specchio per assicurarmi che tutto fosse a posto, presi la mia borsa e mi avviai verso la cucina, dove mio padre stava già sorseggiando il suo caffè. «Vado a fare la spesa,» dissi, e lui annuì distrattamente, come faceva sempre.

Uscendo di casa, sentii l'aria fresca del mattino e mi chiesi cosa avrebbe portato quella giornata. Forse nulla di diverso dal solito, ma speravo sempre in qualche sorpresa positiva lungo il cammino.

Facevo sempre la spesa al supermercato vicino casa. Entrai nel supermercato, presi un carrello e cominciai a raccogliere tutto ciò che ci serviva. Riempivo il carrello con piatti e bicchieri di plastica, insalata, hamburger di pollo, e carne di maiale. Alcune cose le avevamo già a casa, quindi non serviva prenderle.

Poi mi diressi verso il reparto dei preservativi. Ne presi tre pacchetti per le ragazze. Sapevo che era più semplice prenderli qui piuttosto che in farmacia, dove avrebbero chiesto la carta d'identità, un problema che mio padre non si era mai preoccupato di risolvere.

Pagai alla cassa e uscii dal supermercato. Mentre attraversavo il parcheggio, un uomo in macchina mi suonò il clacson. Odiavo quando facevano così. Poi, la macchina si fermò proprio davanti a me e abbassò il finestrino. Era Alexander. Si tolse gli occhiali da sole e mi disse:

«Alexa, sali in macchina.»

«Alexander, devo andare,» risposi, notando che era vestito quasi elegantemente come la notte precedente.

«Non preoccuparti, non stupro le ragazzine dello strip club. Entra, dai.»

Esitai, ma alla fine entrai nella sua Tesla, ammirando quanto fosse bellissima. Stavo per sedermi dietro, ma lui mi fermò:

«Alexa, non preoccuparti. Siediti davanti con me.»

Mi spostai sul sedile anteriore, ancora un po' nervosa, e chiusi la portiera. Mi girai verso di lui, cercando di capire cosa volesse da me.

Lui rise, notando i preservativi nella mia borsa.

«Preservativi? Non eri vergine?» disse con un sorriso malizioso.

«Sono per le ragazze,» risposi, cercando di mantenere la calma.

«Mh,» mormorò, guardandomi con uno sguardo indagatore. «Dovevo immaginarmelo. Comunque, volevo solo parlare un po'. Sei stata la sorpresa più interessante della mia serata ieri.»

Cercai di non arrossire e guardai fuori dal finestrino, cercando di evitare il suo sguardo penetrante.

Pensai a ieri sera, quando gli avevo detto che ero vergine. La sua reazione era stata così brusca. Non potevo fare a meno di chiedergli:

«Pensavo che non ti interessassero le vergini,» dissi, cercando di mantenere la voce ferma.

Alexander sorrise, uno di quei sorrisi che sembravano nascondere un segreto. «Non è che non mi interessino,» disse lentamente. «È solo che... è complicato.»

Lo guardai, cercando di capire cosa intendesse. «Complicato come?»

«Complicato come,» ripeté, poi sospirò. «Non voglio essere il primo di nessuno, Alexa. Non voglio quella responsabilità.»

Annuii, anche se non ero sicura di capire completamente. Non voleva essere il primo di nessuno? Che stronzo. Non che io volessi scopare con lui o con qualcun altro. Non avrei scopato con nessuno, né ora né in futuro. Stavamo arrivando a casa e dissi: «Puoi fermarti qui.»

Lui mi guardò con quel sorriso arrogante e disse: «Mi fermo dove voglio, Alexa. Guido io.»

Lo guardai, sentendo l'odio crescere. Ieri sera era così tranquillo, quasi affascinante. Ora era solo irritante. Quando finalmente si fermò, spense la macchina e prese una busta della spesa.

Dissi: «Alexander, non c'è bisogno che tu...»

Lui mi interruppe bruscamente: «Sbrigati, esci.»

Uscii dalla macchina, stringendo i denti per non rispondere male. Lui prese un'altra busta e mi seguì verso la porta. Sentii la tensione aumentare con ogni passo.

Posai le buste della spesa a terra e Alexander disse: «Se vuoi, qualche giorno andiamo a prendere qualcosa.» Sorrisi, cercando di mantenere un tono gentile. «No, grazie.»

All'improvviso sentii delle voci provenire dal club. Sembrava un litigio. «Cosa sta succedendo?» chiesi, più a me stessa che a lui. Corsi verso il club, certa che le ragazze stessero litigando. Succedeva spesso quando pulivano.

Alexander era dietro di me. Entrai e vidi una scena caotica: una donna che non avevo mai visto stava tirando i capelli a Addison. La sconosciuta era vestita in bianco e nero, mentre Addison indossava un vestitino corto e trasparente. Si stavano tirando i capelli e urlando.

Alexander urlò: «Marie!» e cercò di prenderla. Io presi Addison, cercando di separarle. Alexander gridò ancora, stavolta con una rabbia evidente: «Che cazzo ci fai qui?»

Marie lo guardò con occhi pieni di furia. «Lei deve smetterla di fare la puttana con te!»

Addison, tra le lacrime e i capelli arruffati, gridò: «Non sto facendo nulla! Sei pazza!»

Riuscii finalmente a separarle, trattenendo Addison mentre Alexander teneva Marie. «Calmatevi, entrambe!» urlai, cercando di riportare un po' di ordine.

Addison, ancora furiosa, disse: «Questa troia è entrata al club chiedendo chi avesse scopato Alexander.» Poi si voltò verso di me, cercando di liberarsi dalla mia presa per tirare di nuovo i capelli a Marie. «Ha detto che te lo sei scopata tu, prostituta!»

Cercai di trattenere Addison, ma lei continuava a dimenarsi. «Ho detto che l'ho quasi scopato, non del tutto. Gli ho strusciato un po' la mia figa sul suo cazzo e non sai quanto è duro, Marie!» rise Addison con un tono provocatorio.

Marie, visibilmente scossa, rispose: «Puttana!»

Addison rise ancora più forte. Come Addison ha quasi scopato Alexander ma non l'ha fatto con me perché sono vergine. Però con le puttane qualsiasi ci scopa, è un vero stronzo.

Quelle parole mi colpirono come un pugno. Il pensiero che Alexander fosse disposto a fare sesso con chiunque tranne che con me, solo perché ero vergine, mi ferì profondamente.

Dissi ad Alexander: «Porta fuori di qui Marie e non farti più vedere. Vattene!»

Alexander uscì dal club con un'espressione mista di frustrazione e rassegnazione. Le urla di Marie si fecero sempre più forti mentre la trascinava fuori. Potevo sentire Alexander urlare qualcosa, ma non capivo cosa stesse dicendo. L'atmosfera era tesa, piena di emozioni esplosive.

Lasciai andare Addison e lei, ancora arrabbiata, disse: «Quella puttana...» mentre si sistemava i capelli biondi. «Va tutto bene?» chiesi, cercando di mantenere la calma.

Mi sentivo disorientata, ma anche sollevata dal fatto che la situazione si fosse finalmente calmata. Annuii e iniziai a dirigermi verso la porta. L'idea di tornare a casa, lontana da tutto quel caos, era rassicurante.

Mentre camminavo verso l'uscita, non potevo fare a meno di riflettere su quanto fosse complicata la mia vita. Tra il lavoro allo strip club, mio padre e Alexander, tutto sembrava sempre così caotico e difficile da gestire. E ora, con Marie che era tornata a creare problemi, mi sentivo ancora più confusa e sopraffatta.

Uscendo dal club, vidi Alexander e Marie ancora intenti a discutere animatamente. Decisi di ignorarli e continuare per la mia strada. Avevo bisogno di un po' di pace, anche solo per qualche ora.

Sentii Marie gridare: «Tu sei mio, Alexander!» doveva essere la sua ex moglie. Non mi girai per guardarli, ma sentii Alexander rispondere: «Siamo divorziati, Marie» Lei replicò furiosamente: «No, non lo siamo, siamo separati. Tu sei ancora mio! Non porti la fede, ma entri in un club per delle puttane che ballano su un palo.» Alexander, con tono beffardo, rispose: «In realtà, ieri ballava sopra al mio cazzo.» Sorrisi a quelle parole, ma ancora mi frullavano in testa le parole di Addison.

Aprii la porta di casa, lasciando alle spalle le parole di Alexander, e posai le ceste sopra il tavolo della cucina. La casa era molto piccola, c'era solo un bagno, ma avevamo anche quello privato al club che usavamo spesso. La nostra camera era la più grande. Sistemai le cose nel frigo e poco dopo arrivò Nikki. Accese il suo telefonino e disse: «Mi sono alzata adesso,» indossava ancora il suo baby doll.

«John sai dov'è?» chiesi. Lei rispose: «No, mi sono alzata adesso». Lui in casa non fa mai niente, fa sempre fare le cose a noi: lavare la casa, i vestiti, cucinare. Lui lavora solo la sera al bar.

Annuii, un po' irritata ma non sorpresa. John era sempre stato così, approfittando del fatto che fossimo tutte impegnate con il lavoro al club. «Va bene, dobbiamo sbrigarci a finire qui prima che arrivi qualcuno,» dissi, cercando di prendere il controllo della situazione.

Mentre Nikki si preparava a darmi una mano, non potevo fare a meno di ripensare a tutto ciò che era successo quella mattina. Le parole di Addison mi tormentavano ancora, ma dovevo concentrarmi sulle cose più immediate. Sistemammo rapidamente la cucina e preparai qualcosa di veloce da mangiare. La giornata sarebbe stata lunga, ma almeno avevo la compagnia delle ragazze per affrontarla.

Oggi era sabato e sapevo che ci sarebbe stato molto più lavoro rispetto agli altri giorni. Speravo che persone come Simon, Will e Alexander non tornassero. Finimmo di sistemare le cose e presi i preservativi, chiedendo a Nikki dove metterli. Lei rise e disse: «Quanto sei innocente, Alexa.» Risposi con un sorriso e un «vaffanculo,» e ridemmo insieme.

Sentimmo la porta chiudersi e sapevamo che era mio padre. John entrò nella stanza vestito con una camicia a quadretti rossi e un paio di jeans. «Ho fatto la spesa,» dissi. Lui rispose bruscamente, «Anch'io,» gettando le buste per terra e aggiungendo: «Vestitevi, puttane.» Le buste contenevano vestiti intimi destinati allo strip club. Prese una birra dal frigo e andò nella sua camera da letto.

Presi le buste che aveva fatto cadere e vidi che erano pieni di lingerie. Urlò dalla sua camera: «Dovete metterli questa sera!» Il sabato ci vestivamo sempre con un reggiseno e un perizoma. Odiavo vestirmi così, ma lui ci comprava solo vestiti trasparenti, reggiseni e tanga o perizoma. I preservativi, questa volta, erano toccati a me comprarli.

«Nikki, guarda questi,» dissi, mostrando la lingerie. «Sempre la stessa storia» sospirò lei, scuotendo la testa. «John non cambierà mai.» Annuii, sentendomi frustrata ma senza altre opzioni. Dovevamo fare ciò che ci diceva, anche se significava sacrificare la nostra dignità.

Mentre preparavamo le nostre cose per la serata, pensai a come sarebbe stata la notte. Il club si sarebbe riempito di uomini assetati di divertimento, e noi dovevamo essere lì, pronte a soddisfarli con i nostri balli. Ma in fondo, speravo che qualcuno notasse che dietro quei sorrisi e quelle movenze sensuali c'era molto di più: c'erano sogni, desideri e, soprattutto, una voglia disperata di libertà.

La giornata passò veloce e arrivò l'ora di aprire il club. Avevo indossato l'intimo rosa che ci aveva regalato John, mentre Nikki indossava qualcosa di simile, ma blu. Stavamo facendo le prove per la serata, il locale apriva sempre alle undici. Mi misi i tacchi, ormai ero abituata a portare quei orrendi tacchi alti. Nikki fece lo stesso.

Addison arrivò vestita con il suo intimo trasparente. Poteva anche toglierselo, ma mio padre era un pedofilo peggio di quelli che entravano qui. Alcune volte se la scopava e la notte sentivamo le sue urla fino in camera nostra. Era la sua preferita.

Disse: «Ragazze, non rovinatemi anche questa serata. Ho avuto una giornata pesante oggi.» Io risposi, cercando di sdrammatizzare: «Non ti preoccupi che altre donne vengano a strapparti i capelli?» Lei rise: «No, voglio che l'uomo me li tiri questa sera.»

Mi avvicinai a Nikki e le chiesi sottovoce: «Hai visto John oggi?» Lei rispose: «Sì, era in giro per il club a sistemare le cose, come al solito.»

Gli ospiti iniziarono ad arrivare, il locale si riempiva velocemente. Io e le altre ragazze ci preparammo a salire sul palco. Mi sentivo un nodo allo stomaco, ma cercai di nasconderlo dietro un sorriso professionale. Mentre ballavamo, notai Alexander seduto a un tavolo in fondo alla sala. Il suo sguardo si incrociò con il mio, e per un momento mi sentii vulnerabile. Ma dovevo continuare, non potevo permettermi distrazioni.

Mio padre prese un microfono e disse: «Signori, questa sera abbiamo delle novità per il club.» Tutti gli occhi erano puntati su di lui. «Le gabbie per il sesso,» annunciò con un sorriso soddisfatto. Gli uomini risero e applaudirono, mentre io sentii un nodo allo stomaco.

Non riuscivo a credere a quello che stavo vedendo: stavano davvero montando delle gabbie nel club. «Cazzo,» mormorai. John, con un'aria compiaciuta, chiese: «Chi è il primo uomo che vuole divertirsi questa sera?» Tutti gli uomini alzarono le mani, ridendo e facendo commenti volgari.

John si avvicinò a noi ragazze con delle bende colorate, in tinta con i nostri costumi. «Questa sera dovrete dare il massimo,» disse, distribuendo le bende. Quando arrivò a me, mi guardò con severità: «Cerca di fare soldi questa sera, Alexa. Ho bisogno di più da te.» Le sue parole mi fecero rabbrividire.

Alcune ragazze andarono subito nelle gabbie, pronte per lo spettacolo degradante che stava per iniziare. Altre due si misero a ballare sul palco, cercando di attirare l'attenzione dei clienti. Io presi la mia benda, cercando di nascondere il disgusto che provavo.

John andò al bar a preparare alcune cose mentre io mi misi a piangere silenziosamente. Guardai la benda che tenevo in mano quando un uomo urlò: «Ballate, ragazze!» Sentii un'ombra passarmi accanto, poi una mano prese le mie e le legò con la benda. Alzai lo sguardo e vidi Alexander, che puzzava di alcol e tabacco. Sembrava ubriaco.

«Vieni,» disse, prendendomi per mano e trascinandomi via dal palco. Ci avvicinammo alle gabbie, dove gli uomini stavano assistendo al sesso delle altre ragazze. La situazione mi faceva ribrezzo. Alexander aprì la gabbia e mi ordinò di entrare. Senza esitare, entrai e ci sedemmo sul letto dalle lenzuola rosse.

«Cosa vuoi farmi, Alexander?» chiesi, temendo la risposta.

«Niente,» rispose lui, gettando dei soldi sul letto. «Facciamo finta di averlo fatto.» Guardai i soldi, confusa e sollevata allo stesso tempo.

«Se non fossi stata vergine, mi avresti già scopata, vero?» chiesi.

Lui prese una ciocca dei miei capelli e la mise dietro al mio orecchio. «No. Tu non vuoi scopare, Alexa. Questo non è il tuo posto. Non ti vedo felice.»

«Tu non sai cos'è la felicità per me, Alexander,» risposi, le lacrime che iniziavano a scendere di nuovo. «Non sai niente.»

Alcuni uomini urlarono: «Avanti, scopate!» Alexander si voltò verso di loro, infuriato. «Stronzi, non urlate!» urlò, facendo zittire la folla per un momento.

Lo guardai con gli occhi gonfi di lacrime e dissi: «Sei ubriaco, Alexander.»

«Sì,»rispose lui. «Mia moglie mi fa infuriare.»

«Alexander, sei ubriaco. Non voglio fare niente,» dissi, sentendo il panico montare dentro di me.

«Vieni sopra di me,» disse lui. «Come ieri, senza muoverti. Così ti pagano.»

Mi alzai e mi sedetti sulle sue gambe. «Anch'io voglio bere,»dissi. Alexander urlò e un uomo si avvicinò, passandomi una bottiglia. Presi un sorso, il primo della mia vita, e la testa iniziò a girarmi.

«Perché lo stai facendo?» chiese Alexander.

«Così possiamo scopare e non ci ricorderemo niente di tutto quello che sta succedendo qui,» risposi.

«Alexa, non scopo con gli sconosciuti,» disse lui.

«Allora perché sei venuto qui?» chiesi, bevendo ancora un po' e ansimando sulle sue labbra.

«Sono venuto per vedere te,» rispose, prendendomi per i fianchi. Alcuni uomini risero e Alexander disse: «Non ti tolgo la verginità in una gabbia.»

Risi amaramente. «Non lo farà mai nessuno,» dissi, continuando a muovermi sopra di lui.

L'atmosfera intorno a noi era carica di tensione e aspettative. Gli uomini osservavano avidamente, alcuni commentando ad alta voce, altri limitandosi a guardare. Alexander sembrava combattuto tra la rabbia e la frustrazione.

«Non ti meriti questo,» sussurrò Alexander, stringendomi i fianchi.

«Non importa,» risposi. «Non ho scelta.»

Sentii una strana sensazione sotto di me. Alexander versò un po' di vodka sul mio petto e iniziò a succhiare la mia pelle. «La vodka più buona che abbia mai assaggiato,» disse, fissandomi intensamente. «Stai venendo, Alexa.»

«Cosa?» dissi, confusa. Non capivo cosa mi stesse succedendo, sentivo un'eccitazione troppo forte dentro di me. Mi appoggiai fronte contro fronte con lui, ansimando. «Vieni con me, Alexa,» ripeté.

Il suo respiro caldo contro il mio viso, la sua mano salda sui miei fianchi, tutto mi faceva sentire in bilico tra paura e desiderio.

Alexander mi guardò negli occhi, sussurrando: «Stai venendo, stai raggiungendo il culmine.» Mi sentii esplodere dall'eccitazione, il calore attraversò tutto il mio corpo e sentii le mie mutandine bagnarsi. L'imbarazzo mi travolse e lo abbracciai stretta, cercando conforto nel suo calore.

Alexander ansimò piano, appoggiandosi al letto mentre alcuni uomini lasciavano dei soldi e altri applaudivano prima di spostarsi verso Addison. In sottofondo, la musica continuava a suonare, ma io avevo un mal di testa crescente. Mi spostai da sopra Alexander, che era ubriaco e sudato, con gli occhi chiusi. Mi appoggiai al suo petto, sentendo il suo respiro regolare sotto di me.

Non avevo mai provato un'eccitazione così forte, nemmeno quando mi strusciavo con qualche ragazzo. La stanchezza mi travolse e chiusi gli occhi anche io, cercando un po' di sollievo in quel momento caotico.

Il tempo sembrava fermarsi mentre restavo lì, il petto di Alexander che si alzava e abbassava sotto la mia guancia. Sentii una strana sensazione di sicurezza, qualcosa che non avevo mai provato prima. Forse era l'alcol, forse era solo l'esaurimento, ma in quel momento mi sentii al sicuro.

_________

Mi svegliai ancora lì, con Alexander accanto a me. Non c'era più la musica e le luci erano ancora accese. I soldi erano ancora sparsi, ma era mattina. Presi il telefonino di Alexander: erano le otto.

«Alexander, svegliati, sono le otto di mattina,» dissi scuotendolo leggermente.

Lui aprì gli occhi confuso, «Che cazzo ci faccio qui?» chiese.

«Ci siamo addormentati qui,» risposi.

«Che ora sono?» chiese ancora insonnato.

«Le otto,» ripetei.

Alexander si alzò di scatto, «Cazzo, l'università!» esclamò.

«Vai all'università?» chiesi sorpresa.

«Sono un professore all'università,» rispose.

«Ci vai così a lezione?» ridacchiai, guardandolo ancora in mutande.

Lui imitò la mia risata e disse, «Devo andare.»

"
«Abbiamo fatto sesso? Se lo abbiamo fatto ti assicuro che...» cominciò, ma lo interruppi subito.

«No, non abbiamo fatto niente,» dissi raccogliendo i soldi mentre scendevamo dalla gabbia.

Lui mi osservò e disse, «Hai un bel culo, Alexa.»

«Non guardarlo,» risposi, sentendomi imbarazzata.

«Come si fa a non guardarlo?» rispose con un sorriso malizioso.

«Sbrigati, devi andare all'università,» dissi.

Lui si piazzò davanti a me, molto più alto di me, costringendomi ad alzare la testa per guardarlo negli occhi. «Cosa c'è?» chiesi.

«Niente,» disse, osservandomi attentamente. Poi mi coprì con la sua giacca, prese la giacca che aveva lasciato la sera sulle poltrone e andò via.

Rimasi lì per un momento, ancora scossa da tutto quello che era successo. Ma non potevo rimanere lì a lungo. Dovevo riprendere il controllo della mia vita, trovare un modo per uscire da quella situazione. La giacca di Alexander sulle mie spalle mi dava un leggero conforto.

Dissi, «La giacca!»

Alexander urlò dalla porta, «Tienila! La prendo quando mi dirai che uscirai con me!»

Chiuse la porta dello strip club. Non avevo nessuna intenzione di uscire con lui né con nessun altro, però lui era un professore. Credevo che con lui avrei potuto tornare di nuovo a scuola.

Guardai la giacca tra le mie mani, pensando a tutte le opportunità che potevano aprirsi. Era un professore all'università, qualcuno che potrebbe aiutarmi a uscire da questo mondo. Forse poteva davvero fare la differenza nella mia vita.

Rientrai nella stanza e vidi Nikki che stava pulendo. «Sei sveglia presto,» disse con un sorriso stanco.

«Non abbiamo molta scelta,» risposi, poggiando la giacca di Alexander su una sedia. ,
«Com'è andata la serata?»

«Come sempre,» rispose Nikki, «clienti che cercano di toccare più del dovuto e John che urla ordini.»

Sospirai, guardando il disordine nella stanza. «Nikki, mi devi il latte,» dissi, cercando di riportare la normalità nella conversazione.

Lei sorrise e rispose, «Ieri notte con Alexander...»

Pensai a ieri notte, indossavo ancora il costume addosso.
«Non è successo niente,» dissi. «Mi sono solo strusciata addosso a lui come faccio con tutti gli altri.»

Nikki rise. «Non è vero.»

«Sì, Nikki, è vero!» urlai, più per convincere me stessa che lei.

Addison entrò nella stanza, indossando solo il suo perizoma, uscita dalla camera di mio padre. La stanza era un disastro. «Sei stata di nuovo con lui?» le chiesi, incredula.

«Sì,» rispose lei, noncurante. «Potrei anche essere incinta di lui.»

Ero scioccata. «Sei impazzita? Sei minorenne, Addison!»

Lei alzò le spalle, come se non fosse importante. «Non importa,»disse. «Questo è il nostro destino, no?»

«No,» risposi, decisa. «Non deve essere così.»

Addison rise amaramente. «E cosa faremo, Alexa? Scapperemo tutte insieme e vivremo felici e contente?»

«No, non scapperemo di qui, Addison,» dissi fermamente. «Ma non puoi rimanere incinta di lui. Vuole solo scoparti. Meriti di meglio, Addison. Sei tu che vuoi rovinarti la vita.»

Addison rise, una risata distante che odiavo. Prese la mia tazza di latte, la portò alla bocca e disse con sarcasmo, «Non vuoi un fratellino?» Poi si allontanò verso la nostra camera, continuando a bere il latte.

Ero furiosa. Mi alzai di scatto dal tavolo e andai nella camera di mio padre. Lui era nudo nel letto, dormendo profondamente. Presi un cuscino e glielo tirai addosso con tutta la mia forza.

Si svegliò di soprassalto, confuso e arrabbiato. «Che cazzo fai?» urlò.

«Che cazzo fai tu, John?» urlai ancora più forte. «Metti incinta Addison e poi ti chiedi cosa faccio io?»

Lui si fermò, sorpreso dalle mie parole. «Che cazzo hai detto?»

«Hai sentito bene,» continuai, il cuore che batteva forte nel petto. «Addison mi ha appena detto che potrebbe essere incinta. Sei un mostro, John. Un pedofilo. E non permetterò che continui così.»

John si alzò dal letto, la faccia contorta dalla rabbia. «Non mi parli così, piccola stronza! Sei solo una puttana come tutte le altre qui dentro.»

Mi avvicinai, sfidando il suo sguardo. «Non sono più una tua vittima, John. E non permetterò che tu rovini la vita di Addison o di chiunque altro.»

«Sei mia,» sputò lui, afferrandomi per il polso. «Farai quello che dico io.»

Mi divincolai dalla sua presa e gli tirai un altro cuscino in faccia. «Non più, John. Non più.»

«Vedremo chi comanda,» minacciò lui, alzandosi in tutta la sua imponenza.

«Non ti permetterò di farci del male ancora,» dissi, indietreggiando verso la porta. «Addison merita di meglio. Io merito di meglio. E un giorno, riusciremo a scappare da te.»

John si avvicinò con passo minaccioso, ma mi girai di scatto e uscii dalla stanza, chiudendo la porta con un colpo secco. Dovevo trovare un modo per proteggere Addison e tutte le altre. Non potevamo più vivere sotto il gioco di John. Era arrivato il momento di lottare per la nostra libertà.

Entrai nella nostra camera, salii le scale a chiocciola e mi avvicinai al letto di Addison. Lei stava sdraiata, guardando il soffitto con occhi spenti.

«Adi,» dissi piano.

Lei mi guardò e disse con voce monotona, «Sono incinta di quattro mesi, Alexa.»

Rimasi senza parole, cercando di processare l'informazione. «Il bambino...» iniziai a dire, ma lei mi interruppe.

«Non si può fare più niente,» disse con tono definitivo. «Vattene.»

Mi alzai dal letto, il cuore pesante, scesi di nuovo le scale. Il letto nella gabbia era stato scomodo, ma il mio letto mi sembrava ora un rifugio. Mi ci rannicchiai, portando le ginocchia al petto, e piansi.

Pensai a Alexander. Lui voleva uscire con me, e forse avrei potuto parlarne con lui. Avevo bisogno di qualcuno con cui confidarmi, qualcuno che non facesse parte di questo incubo.

La testa mi girava ancora un po', ma cercai di concentrarmi. Forse uscire con Alexander poteva essere un primo passo per uscire da questa situazione.

Chiusi gli occhi, cercando un po' di pace nel caos dei miei pensieri. La decisione era presa: avrei accettato l'invito di Alexander e avrei trovato il modo di parlare con lui. Era l'unica speranza che mi rimaneva.

Per il bambino, non avevo nessuna scelta. Addison era incinta di quattro mesi, ma lei si scopava molti uomini, quindi poteva essere di uno di loro. Mi girai dall'altra parte, cercando di non pensare alla situazione disperata.

Scese dalle scale Lucy, la Rossa, con il suo baby doll a farfalla verde. «Ti sei divertita ieri sera con il tuo amichetto?» chiese con un sorriso malizioso.

«Smettila, Rossa,» dissi irritata, senza voltarmi.

Lei rise e uscì dalla stanza, lasciandomi sola con i miei pensieri. Pensai ancora ad Alexander e al nostro strano incontro nella gabbia. Non sapevo cosa aspettarmi da lui, ma sapevo che dovevo prendere una decisione per me stessa, lontano da tutto questo caos.

Guardai l'orologio: le dieci del mattino. Dovevo farmi una doccia e mettere insieme i pezzi della mia giornata. Decisi che avrei contattato Alexander.

Mi alzai dal mio letto e andai al bagno del locale. Feci una doccia veloce e indossai i vestiti: un top bianco aderente e una gonna plissettata beige. Completai il look con un paio di calzettoni bianchi arricciati e delle scarpe nere con la suola alta. Presi la giacca che si trovava sulla sedia e scesi in cucina.

«Nikki, dov'è John?» chiesi.

«È uscito,» rispose lei.

La bionda Hanna stava preparando il pranzo. Decisi di andare di nuovo in camera a vedere Addison. Salii le scale e mi posizionai davanti allo specchio.

«Sei sicura di volerlo?» chiesi.

«No, ma che posso fare? Me ne sono accorta molto tardi,» sospirò Addison. «Tra due mesi è il mio compleanno. Vuole che lo sposi.»

Mi girai verso di lei. «E lo sposerai?»

Alzò le spalle. «Non posso fare più niente,» disse, con rassegnazione.

Se si sposava, voleva dire che Addison sarebbe diventata la sua nuova schiava. Ero più sicura che mai di questa cosa. Ricordavo da bambina, quando mia madre era ancora viva, come lui la trattava. La trattava come una schiava. Mi odiava perché ero nata. Lei era una prostituta, ma lui si era innamorato di lei. La violentava ogni sera. Era un vero mostro.

Guardai Adi nel letto, con gli occhi pieni di lacrime. Volevo abbracciarla, per il male che aveva subito e per quello che le avrebbe fatto ancora. Le sue parole risuonavano nella mia mente: "Non posso fare più niente." Ma io dovevo fare qualcosa, dovevo trovare un modo per salvarla, per salvarci tutte.

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