8

Il giorno successivo, Irèné non poté fare a meno di torturarsi in cerca di un significato per le parole di Emil.

Senza arrivare da nessuna parte con le sue elucubrazioni mentali.

Si trovava in una zona periferica della città, aveva da poco incontrato un cliente presso l'abitazione dello stesso, e stava procedendo in auto di ritorno al suo studio, quando percepì il cuore come fare una piccola capriola.

Accostò al marciapiede, spense l'auto e tirò un respiro profondo. Espirò il fiato piano, nel tentativo di comprendere per quale stupido motivo si stesse facendo prendere dal panico.

Non c'era nulla che potesse minacciarlo nell'immediato... a parte Emil. Senza contare Ariel. E l'imbarazzo nei confronti di suo padre. E le battute poco piacevoli di Edith. La severità di sua madre. Gli assistenti sociali... non voleva che gli portassero via Fabien e Bèatrice.

Il suo senso di colpa nei confronti di Roland.

Okay... ma nulla di tutto ciò poteva colpirlo in quel preciso istante; per tale motivo cercò di convincersi di poter rimandare ogni cosa a tempo debito.
Nessun pericolo imminente.

Sentì il cuore rallentare i battiti e fece girare la chiave nel quadro di accensione dell'automobile; il motore emise un rumore morbido, quasi rassicurante proprio nel suo essere così anonimo e ordinario.

Alzò gli occhi sulla strada e si trovò a fissare l'angusto cancello in ferro battuto, che si apriva sull'altro lato della corsia.

E comprese il perché di quella sua inquietudine.

Spense l'auto.

Rimase a fissare il cancello per un tempo indefinito: non metteva piede lì dentro da circa un anno.

L'ultima volta in cui era stato in quel luogo, l'aveva fatto con il cuore saturo di sentimenti soffocanti e devastanti.

Senso di colpa, ovviamente.

Rammarico.

Tristezza.

Un dolore sordo e indecifrabile, lo stesso che nel tempo gli aveva fatto comprendere di aver amato Roland. Seppur non con la stessa intensità con cui nutriva il suo sentimento nei confronti di Emil.

Era stato assurdo venire a conoscenza di tutto quello, proprio quando non aveva più avuto possibilità alcuna di porre rimedio ai suoi errori.

Sospirò e scese dall'auto.

Percorse i pochi passi in direzione del cimitero.

Non appena oltrepassò il cancello, venne colto da un cocente imbarazzo.

Chinò il capo e si bloccò di colpo sul sentiero che stava percorrendo. Fece un passo nella direzione opposta, ma poi tornò a voltarsi e riprese a camminare dirigendosi verso la sua meta.

Vi giunse poco dopo, guidato dall'istinto: si era recato lì solo il giorno del funerale eppure, vi arrivò senza sbagliare strada, al primo colpo.

Roland Morel.

Non riuscì a leggere altro di ciò che era stato scritto sulla lapide, e tornò a fissarsi le scarpe, nel vano tentativo di non trovarsi costretto a rivolgere la propria attenzione alla lastra di marmo.

"Non sarei dovuto entrare" pensò e tentò nuovamente di fuggire da lì, ma il panico tornò ad attanagliargli il petto, mozzandogli il respiro. Le gambe divennero molli, come gelatina, e le braccia presero a tremargli.

Si sedette al fianco della tomba, portandosi le mani alla testa, nel vano tentativo di sostenerla fisicamente, puntando i gomiti contro le ginocchia che aveva avvicinato al petto, cercando di confortarsi e calmarsi.

Il fiato si fece sempre più corto, mentre le immagini del giorno prima tornavano ad affollargli la mente.
Come aveva potuto baciare Ariel e... fare quello che aveva fatto con Emil?

Non riusciva a capacitarsi di quanto fosse in grado di commettere madornali errori, uno dopo l'altro, con la stessa naturalezza con cui al giorno succede la notte e viceversa.

"Sono senza speranze."

Batté le palme contro le tempie più volte, prima di rendersi conto di essere tornato ad avere una respirazione più regolare.

Poggiò una mano sull'erba bassa, alla base della lapide: percepì un brivido percorrergli tutto il braccio, fino alla spalla, concludendosi in una dolorosa fitta alla nuca.

Ma non scostò la mano.

Sollevò gli occhi sulla fotografia di Roland.

Aggrottò la fronte.

Assomigliava molto ad Ariel, lo ricordava bene, eppure, guardando quell'immagine racchiusa all'interno della cornice di forma ovale, si rese conto di aver dimenticato il colore degli occhi del suo ex.

Erano scuri, come quelli di Emil.

Non si assomigliavano per niente, ma in quel momento rammentò per quale motivo avesse ceduto a Roland, per quale motivo si fosse convinto a scommettere su di lui, su di loro, sulla possibilità di costruirsi una vita insieme a quell'uomo.

Perché i suoi occhi gli ricordavano quelli di Emil.

Ritirò la mano con uno movimento fulmineo, come se si fosse scottato.

Sentì le guance scaldarsi, mentre il cuore riprendeva a battere velocemente.

Come poteva definirsi una brava persona dopo tutto quello che aveva fatto?

Si alzò da lì pronto a fuggire, ma dovette fermarsi.

Si trovò a fissare il viso di Ariel, mentre il suo corpo sembrava pietrificarsi.

-Che ci fai qui?- la domanda dell'altro arrivò immediatamente, senza farsi attendere, così come il giovane si era aspettato che accadesse.

Nonostante tutto, non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe dovuto rispondergli.

-Ero di passaggio...- borbottò, optando per la verità.
-E perché sei venuto qui?-

Già... perché?

Irèné si strinse nelle spalle, fuggendo dallo sguardo accusatore dell'altro.

Lo vide scuotere la testa, deluso, mentre si avvicinava alla tomba del fratello, per riporvi il fiore che teneva tra le mani e di cui si accorse solo in quel momento.

Non mancava giorno in cui Ariel si recasse lì, Irèné lo sapeva.
Stupido da parte sua non tenere in considerazione la possibilità di un loro incontro.

Ma nulla di ciò che aveva fatto nell'ultima mezz'ora aveva del sensato: era stato guidato dall'inconscio, dal panico, dal senso di colpa verso qualcosa che lo aveva come calamitato a sé, solo per aumentare la sua angoscia.
Non aveva modo di trovare sollievo in quel luogo, ne era consapevole.

-Non credo che a Roland avrebbe fatto piacere. Dovresti evitare di venire qui- sussurrò Ariel, senza distogliere gli occhi dalla foto del fratello.
Irèné percepì il suo cuore fare quell'ennesima capriola, perse un battito, sentendo la gola serrarsi.

-Non era programmato-
-Non ha importanza. Vorrei che rimanessi il più lontano possibile da questo posto. Che lo lasciassi stare in pace, almeno qui-
-Mi dispiace... Ariel, davvero-

Ariel si irrigidì e volse lo sguardo nella sua direzione.
-Non è abbastanza- disse, con un tono di voce così rovente di rabbia, tanto che a Irèné venne la pelle d'oca.

Il giovane serrò le labbra, cercando di costruire nella propria mente una frase che fosse il più possibile mirata ad esplicare la propria irritazione nei confronti di quella situazione, senza, tuttavia, attaccare l'altro, poiché sapeva di essere nel torto e di non potersi concedere certe libertà.

Se Roland si era convinto a compiere un gesto tanto sconsiderato da condurlo sotto terra, l'unico colpevole rimaneva proprio lui, Irèné: il giovane ne era pienamente consapevole e mai si sarebbe potuto perdonare per quello che era accaduto.

La consapevolezza di quel pensiero, smorzò anche il principio di rabbia che gli aveva suscitato le parole di Ariel.

-Mi dispiace- ripeté come se fosse un automa, estranindosi da tutto, da quel momento, da ciò che provava, trovandosi apatico e distante, rassegnato.

Ariel sussultò, come se avesse percepito la totale assenza di empatia che caratterizzò le parole dell'altro.

Si sentì profondamente deluso da quel comportamento: ancora una volta gli stava dimostrando di essere una persona crudele, indegna di ogni buon sentimento.

Come poteva continuare ad esserne innamorato?

Tornò a fissare la foto del fratello.

Chiuse gli occhi.

"È tutto un gran casino."

Riportò gli occhi sull'altro.

-Tu eri lì...- si sentì mormorare e sgranò gli occhi, sorpreso dalle sue stesse parole.
Non aveva mai creduto che suo fratello si fosse suicidato, ma non aveva mai avuto modo di dimostrare il contrario.

Irèné si strinse nelle spalle, mentre lo stupore lasciava il posto alla rabbia nel petto di Ariel.

-Avresti potuto...-
-No- lo interruppe l'altro: -Non avrei potuto fare nulla. Quando sono arrivato io, non c'era più nulla che potessi fare-
-Questo è quello che sostieni tu-

Lo sguardo del giovane si fece cupo.
-È la verità, Ariel. Mi dispiace che Roland abbia finito per compiere un tale gesto. Resta di fatto che io non c'entro nulla con la sua morte...-
-Oh, ma davvero?!- lo interruppe Ariel: -Se davvero tu non hai colpe per quanto accaduto, perché ti senti in dovere di risarcire me?-

-Non ti sto risarcendo di nulla. Non esiste cifra adeguata per compensare la perdita di un essere umano, di una persona cara. Io sto cercando di aiutarti. Sto tentando disperatamente di farti andare avanti.-

Ariel percepì gli occhi riempirsi di lacrime. Distolse lo sguardo dall'altro, fissando un punto imprecisato nei pressi dei piedi di Irèné.

-Sono rimasto solo- mormorò, sentendo come un nodo stringergli la gola.

Era quello che gli impediva di porre fine a quella storia: gli faceva comodo avere qualcuno che provvedesse economicamente ad ogni suo bisogno, era innegabile, però... era certo di quanto fosse diventato dipendente dalle attenzioni dell'altro.

Irèné era andato ben oltre il mettere mano al portafogli per lui: nell'ultimo anno non aveva mai mancato di telefonargli nei giorni "importanti". Anche se con la morte di Roland era rimasto privo di legami familiari, Irèné continuava a farlo sentire umano, meno solo.
Lo riempiva di attenzioni e gentilezze.
Era presente quando stava male. Lo sosteneva moralmente nelle sue decisioni. Lo incoraggiava a rischiare, ad andare incontro ai propri obiettivi con forza e determinazione.

Qualsiasi tipo di problema si presentasse sul suo cammino, sapeva di poter contare sull'altro, sapeva che non si sarebbe mai tirato indietro davanti una richiesta di aiuto.

Eppure... continuava a vederlo colpevole di quanto accaduto.

Ma sapeva che anche Roland, in quella storia, non era del tutto esente da ogni responsabilità.

Aveva avuto l'opportunità di osservare la loro relazione da vicino, di viverla da esterno, secondo un punto di vista obiettivo.

Era certo che il giovane notaio non era mai stato del tutto innamorato di suo fratello, così come Roland aveva finito per crearsi un'idea di Irèné totalmente estranea da quella che corrispondeva al vero.

E questo aveva creato incomprensioni, liti.

Si erano amati, a modo loro.

Ma anche tanto odiati.

Roland aveva scelto la strada più semplice per porre fine ai suoi tormenti.
Almeno, così la vedeva Ariel: mai avrebbe potuto perdonarlo per quel suo gesto tanto egoistico.

Così come sapeva che avrebbe continuato ad alimentare il senso di colpa di Irèné: pensava di averlo imparato a conoscere, sicuramente molto meglio di come era riuscito a fare suo fratello. Sapeva quale punti toccare per ottenere dall'altro ciò che desiderava.

Nonostante tutto di lui si era innamorato... non poteva e non voleva correre il rischio di perderlo.

-Che ne diresti se... venissi a cena da me, stasera?- gli chiese.
Ariel sussultò.
Tornò a fissare la propria attenzione sull'altro.
Era così stupito da non riuscire a trovare abbastanza forza per poter articolare parola, così... finì per annuire.

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