5
La piccola e pittoresca stazione di Provins era, quasi, del tutto priva di vita. Non c'erano molti designati viaggiatori in quel pomeriggio di domenica, persino i dipendenti erano assenti e Irèné dovette acquistare e oblitare i loro biglietti direttamente presso una delle macchinette che si trovavano sparse per la banchina della stazione.
Edith si era offerta di accompagnarli e il fratello aveva cercato in ogni modo di mostrarle la sua gratitudine per quel suo gesto.
Dopo quella discussione con Valentine e lo scambio di battute ambigue con Martin, il giovane non aveva potuto fare a meno di contare i minuti che lo avevano tenuto separato dalla partenza, nella speranza di chiudere il prima possibile quel disastroso weekend.
Non sempre finiva per scappare via da casa dei genitori, non ogni volta che li andava a trovare; ma quei due giorni in particolare si erano rivelati più pesanti del previsto.
-Verrai alla Rievocazione?- gli chiese Edith, mentre si accedeva una sigaretta, guardandosi intorno nella speranza di non scorgere qualcuno sbucare fuori all'improvviso, beccandola in quella sua attività clandestina.
Nessuno, a parte Irèné, era a conoscenza di quel suo vizio.
-Hai già preparato un costume anche per me?-
-C'è quello da principe, lo stesso che indossavi ai tempi del liceo-
-Non credo che mi vada più bene- rispose il giovane, scuotendo la testa, felice di avere una valida scusa da propinarle.
-Papi, cos'è la rivocasone?- domandò Bèatrice, arrampicandosi sulle sue gambe, per poi sedersi in grembo al padre.
-La Rievocazione...- disse il giovane, scandendo per bene la parola. -... è un evento importante. Una grande festa, dove tutto il paese si aiuta a ricordare il passato, vestendo gli abiti e facendo le cose che facevano i vecchi abitanti di Provins-
-In che senso?- chiese Fabien.
-Tipo... ci saranno i cavalli, principi e principesse, nobili e i giochi con i falchi-
-Eh, ma i giochi con i falchi li facciamo sempre- protestò il bambino.
-Davvero ci sono le principesse?- domandò Bèatrice entusiasta, battendo le mani davanti al viso, mentre un sorriso le incurvava le labbra.
-Tu potresti essere una principessa!- esclamò Edith e il fratello le rivolse un'occhiataccia. -Il fatto che tu non voglia partecipare, non significa che puoi tenere fuori i bambini dall'evento. Tu appartieni al nostro paesino e, adesso, anche loro. Perciò è giusto che partecipino, che aiutino a portare avanti le nostre tradizioni-
Il fischio del treno, in arrivo nella stazione, interruppe la loro conversazione.
Edith sollevò entrambi i pollici con fare trionfale. Gettò la cicca di sigaretta sui binari mentre il treno si fermava.
La banchina iniziò a popolarsi di qualche sporadica persona che scendeva dal mezzo, giungendo alla propria destinazione.
Edith salutò con trasporto i nipoti, baciò velocemente una guancia di Irèné per poi rivolgersi verso due anziane signore, aiutandole a scendere dal treno, scambiando con loro saluti e chiacchiere: afferrò i bagagli delle due, caricandoseli entrambi, per poi tallonarle fuori dalla stazione.
Irèné salì a bordo del treno e trovò presto una cabina per sé e i figli.
L'inizio del viaggio fu abbastanza tranquillo e silenzioso: Fabien e Bèatrice si addormentarono nel giro di pochi minuti, lasciando il padre da solo con i propri pensieri.
Il giovane prese a giocare con il cellulare, mentre il figlio utilizzava una sua spalla come cuscino e l'altra gli si acciambellava accanto, stringendogli un lembo della giacca, tanto forte da farsi sbiancare le nocche della piccola mano.
Il gioco che aveva preso a fare si rivelò troppo facile, tanto che si rese conto di aver permesso alla mente di estraniarsi dalla sue azioni, dandole la possibilità di vagare lontana da lì e dalla concretezza di quel momento.
Gli si palesò tra i pensieri un viso di uomo, pallido, dagli occhi chiarissimi e vuoti, privi di ogni emozione. Le labbra tese ed esangui...
Sussultò mentre quel ricordo svaniva di colpo e la porta della cabina veniva aperta, producendo un rumore secco.
-Salve. Mi scusi, è libero?- chiese il nuovo arrivato.
Irèné sgranò gli occhi, sentendo il sangue defluire dal viso.
Annuì piano, senza riuscire a proferire parola.
Seguì i movimenti dell'uomo mentre lo ringraziava, entrava nella cabina, chiudendosi la porta alle spalle.
Poggiò il suo bagaglio in un angolo del sedile, si tolse il lungo cappotto di panno, piegandolo alla meno peggio, per poi abbandonarlo accanto al bagaglio. Prese posto di fronte al giovane, incrociando le gambe, sorridendo nell'accorgersi dei due bambini addormentati.
Irèné non riuscì a mostrarsi discreto né indifferente: percorse con sguardo avido i lineamenti del volto dell'uomo, come se stesse riscoprendo sotto le mani la linea della mandibola, la pelle resa ruvida sulle guance da quell'onnipresente barbetta ispida; i capelli folti e neri, le mani grandi dalle dita lunghe e affusolate. Le labbra sottili. Gli occhi... gli occhi di Emil.
Gli stessi dentro i quali aveva creduto di annegare quindici anni prima, gli stessi dentro i quali avrebbe voluto potersi specchiare per il resto della sua vita.
Cosa ci faceva lì?
Com'era possibile che non l'avesse riconosciuto?
-Complimenti. Ha davvero due bei bambini- esordì Emil e Irèné sussultò ancora una volta.
Assottigliò lo sguardo, cercando di richiamare a sé la rabbia, di modo da scacciare l'imbarazzo e la paura.
Ma più cercava di arrabbiarsi riportando alla mente la freddezza del rifiuto di Emil, più il suo cuore tornava a dolere al ricordo di quell'amore, riempiendoli gli occhi di lacrime.
Distolse lo sguardo dall'altro, concentrando la propria attenzione sulle ciocche intrecciate dei capelli castani di Bèatrice, seguendone le linee nette e precise delle trecce con cui le aveva acconciato i capelli Valentine, prima che partissero.
-La ringrazio- sussurrò, cercando di non lasciare trasparire dalla voce lo sgomento che gli si stava allargando nel petto ogni secondo di più.
Stava fingendo oppure, davvero, non aveva idea di chi fosse il suo compagno di viaggio?
Lo aveva dimenticato? Come aveva potuto, dopo tutto quello che era successo?
Era quella la risposta alla domanda rimasta sospesa tra di loro per ben quindici anni?
Irèné si morse un labbro, gioiendo nel percepire la rabbia arrivare, finalmente, in suo aiuto.
-Senti...- disse di getto, voltandosi nella direzione dell'altro con l'intento di chiarire quella strana situazione.
Ma le parole gli morirono in gola.
Serrò le labbra davanti gli occhi di Emil, così scuri e profondi da lasciarlo sgomento.
I suoi lineamenti si erano fatti rigidi; teneva le braccia incrociate sul petto, fissandolo intensamente.
Irèné sentì un brivido gelido corrergli lungo la schiena. Il cuore perse un paio di battiti e la rabbia svanì di colpo, lasciandolo spaventato e tremante.
-Sono contento che i tuoi figli stiano dormendo- esordì il moro, mentre l'altro scuoteva piano la testa, cercando di sgomberare la mente dal panico.
-Cosa vuoi...?-
-È molto semplice- sussurrò Emil, tornando a indossare il cappotto con gesti rabbiosi.
Il treno si fermò a una nuova stazione.
L'uomo si alzò, lasciando il suo posto.
-Desidero che tu stia lontano da mia figlia. Camille è una ragazza fragile e complicata. So di averla destabilizzata costringendola a trasferirsi in paese, ma preferisco vivere con lei in un posto dove posso avere la situazione sotto controllo. Dove mi sia più facile proteggerla-
-Perché mi stai dicendo tutto questo? Che c'entro io? Sei tu che l'hai portata da mia madre-
-Da tua madre, appunto. Non ho nulla contro Valentine: è la miglior pasticcera che conosco, per questo voglio che insegni a mia figlia il lavoro dei suoi sogni-
Emil si chinò verso di lui, il treno ripartì, mentre il giovane poggiava le mani sulla parete di legno, ai lati della testa di Irèné.
-Ma non ho intenzione di permetterle di frequentare te-
-Quella è anche casa mia. Stai parlando della mia famiglia- protestò l'altro, sentendo il cuore come balzargli in gola.
-E mi stupisce che non ti abbiano ancora cancellato dalle loro vite-
-Come osi?-
-Te lo ripeto per l'ultima volta, Irèné. Stai lontano da mia figlia-
Il giovane si morse un labbro, si mosse verso l'altro, ma non riuscì a completare il suo movimento poiché sentì la piccola Bèatrice mugugnare nel sonno. Temeva di svegliarla, per tale motivo preferì rimanere immobile, nella speranza che l'altro, così com'era arrivato, sparisse dalla circolazione, lasciandolo in pace.
Emil tornò in posizione eretta e divaricò appena le gambe per restare in equilibrio, mentre il mezzo proseguiva il suo viaggio.
-Sei salito sul treno solo per questo motivo?- mormorò Irèné, senza riuscire a trattenersi.
-Camille mi ha detto che i nipoti di Valentine sarebbero partiti questo pomeriggio dalla stazione di Provins. Quando vi ho raggiunti ho visto Edith con voi, per questo ho preferito recarmi alla stazione successiva, mentre voi aspettavate lì. Ho pure dovuto comprare un biglietto per parlare con te-
-Tutto questo casino solo per dirmi di starvi lontano? Potevi anche risparmiartelo, sai? Neanche io vi voglio nelle nostre vite- ribatté il giovane, stringendo a sé i bambini.
L'altro scosse la testa e in viso gli si dipinse un'espressione stupita.
All'improvviso tornò a chinarsi sul giovane: Irèné sussultò, sbattendo la nuca contro la parete. Si impedì di proferire anche il più piccolo suono, mentre la testa iniziava a pulsargli di dolore.
-Non voglio che uno come te si avvicini alla mia bambina- sibilò, soffiando quelle parole cariche di astio contro la pelle del suo viso.
Il giovane ne percepì il profumo della pelle, lo stesso che sempre era stato in grado, in passato, di annebbiargli la ragione: ma non erano più due ragazzini, Emil non era più il suo migliore amico, il ragazzo ribelle dal cuore d'oro.
Non sembrava neanche più la stessa persona di cui si era innamorato.
Deglutì un paio di volte, prima di riuscire a dire:
-Quel giorno... l'anno scorso, tu eri con me-
Emil batté entrambe le palme della mani contro la parete, producendo un rumore sordo, cercando di coprire le parole dell'altro con quel suo gesto violento.
Fabien sobbalzò, svegliandosi, mentre la sorella apriva piano gli occhi, strofinandoli malamente con una mano.
L'uomo, con i bambini svegli, preferì chiudere lì la loro discussione. Tornò a fissare il giovane con quel suo sguardo carico d'odio, in silenzio, serrando le labbra.
Non aggiunse altro, afferrò la sua borsa e uscì dalla cabina.
Irèné percepì il panico abbandonare lentamente il suo corpo, sciogliendo i muscoli che erano rimasti violentemente contratti sino a quel momento.
Si lasciò scappare un sospiro tremulo: baciò la fronte del figlio e strinse l'altra a sé, cercando un po' di conforto in quei piccoli gesti.
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