3
Si trovavano entrambi raggomitolati sul letto di Irèné, durante un tiepido pomeriggio di una domenica di inizio settembre.
Erano soli in casa: Edith si era recata a far visita al suo ragazzo; Valentine si trovava in giro con alcune amiche, a passare quella domenica in veste di turista, visitando le sale del castello di Provins. Martin era in compagnia del padre di Emil, Vincent, alla falconeria.
I due ragazzi erano abituati a passare insieme anche il loro tempo libero. Si conoscevano da sempre: andavano a scuola insieme; le loro famiglie erano legate da una profonda amicizia.
Sarebbe stato tutto come sempre se, il giovane, da qualche mese, non avesse incominciato a nutrire dei sentimenti nuovi nei confronti dell'altro. Sentimenti che lo facevano sentire in imbarazzo, anche se, teoricamente, era pure abituato a stare a contatto con il corpo dell'amico in modo tanto intimo, come in quel momento, sin da quando erano due bambini.
Ma era tutto diverso, ormai: già da un po', la t-shirt che indossava, durante un precedente movimento, si era sollevata, così come quella di Emil, rimuovendo, in parte, quell'ostacolo tra i loro corpi. L'amico era rimasto impassibile mentre Irèné aveva sentito il cuore come balzargli in gola.
Sapeva di essere arrossito, ma cercò di nasconderglielo, così come tentò di rallentare i battiti del cuore: la sua pelle sembrò farsi ancora più calda, a contatto con quella del moro, facendogli temere di poter essere scoperto dall'altro.
Vide le palpebre di Emil, abbassate sugli occhi scurissimi, tremare appena. Dormiva profondamente, forse stava sognando. Il suo respiro era regolare, il petto si alzava piano, per poi riabbassarsi, seguendo il cadenzato movimento dei polmoni, accompagnandolo in un gesto tanto istintivo ma che, in quel momento, a Irèné parve quasi seducente: si sentì come stregato dal flebile suono del suo respiro, dai lineamenti del viso distesi in un'espressione tranquilla; le ciglia scure e folte ombreggiavano appena le palpebre inferiori. Con gli occhi seguì la curva delle sue sopracciglia, così perfettamente disegnate da Madre Natura.
Non voleva svegliarlo, però, pensò che l'altro non si sarebbe mai accorto della sua effimera carezza: se fosse stato delicato e attento, Emil avrebbe continuato a dormire, mentre lui sarebbe rimasto lì a divorarlo con gli occhi, con il desiderio quasi incontenibile di toccarlo.
Le dita presero a tremare e i battiti del suo cuore accellerarono a dismisura. Tentò una prima carezza, ma dovette fermarsi subito, terrorizzato dall'idea di sollecitargli un qualsiasi fastidio, tale da spingerlo a destarsi. Deglutì un paio di volte, percependo il proprio corpo fremere dal bisogno primordiale di toccare il suo migliore amico.
Si morse le labbra: aveva iniziato a trattenere il respiro, senza neanche accorgersene; i polmoni bruciavano, il fiato si era mozzato. Aveva ripreso a respirare poco alla volta, cercando di non soffocarsi da solo, ma affannosamente e temeva che, quei piccoli rantoli che aveva preso a produrre, finissero per svegliare l'altro.
Finalmente, riuscì a sfiorargli la linea dritta del naso con un polpastrello: la mano tremava per la tensione, scendendo ad accarezzare la morbidezza delle labbra. Lì si soffermò a lungo, sul disegno armonioso, sulla pelle morbida del labbro superiore, su quella appena screpolata di quello inferiore, mentre gli occhi si facevano lucidi a causa di quella che percepiva come un'esigenza quasi selvaggia: baciarlo.
Senza poterlo fare.
Era così preso da quelle sue carezze, da non notare quanto gli si fosse fatto vicino, totalmente catturato da lui.
Le labbra di Emil si schiusero e Irèné sussultò spaventato. Fece per allontanarsi, ma una mano dell'altro gli afferrò il polso.
Si trovò a specchiarsi nei suoi occhi neri, mentre stava lì a fissarlo con un'espressione indecifrabile.
Il giovane non aveva idea di cosa avrebbe potuto fare, oppure dire, per giustificarsi e preferì rimanere immobile, in silenzio, in attesa che l'altro reagisse a quella ambigua situazione.
Ed Emil lo fece: con un colpo di reni ribaltò le loro posizioni, portando Irèné sotto di sé. Il ragazzo sgranò gli occhi sorpreso e il suo amico gli sorrise, chinandosi su di lui.
Come se si trovassero all'interno di un sogno, Emil lo baciò: affondò le mani nei suoi capelli color miele, mentre la sua lingua prendeva a esplorare la bocca dell'altro, un po' esitante, certo, eppure sicuro di non volersi tirare indietro.
Il moro si fece presto più intraprendente: sfilò la t-shirt che Irèné indossava, scese con le dita a sfiorargli la pelle tesa dell'addome. Abbandonò, riluttante, le sue labbra, per andare a mordicchiare la pelle vicino l'ombelico.
Irèné sentì quelle stimolazioni accendere i suoi sensi in modi inaspettati: percepiva tutto con una vividezza nuova e, allo stesso tempo, si sentiva completamente cieco rispetto ciò che lo circondava. Tutto sembrava iniziare e finire con la pelle di Emil contro la sua; come se, senza quel contatto, non esistesse neanche più lui.
Il nulla assoluto.
Fu doloroso.
Erano entrambi due ragazzini inesperti, alla loro prima esperienza con il sesso. Eppure, Irèné era convinto che non avrebbe mai ricordato il dolore di quell'intrusione nel suo corpo, perché sempre, nella sua mente, sarebbe corsa in aiuto l'emozione stravolgente, il ritmo lento di quei movimenti, nella speranza di non fargli, ulteriormente, male; le dita delle mani che si cercavano e si intrecciavano tra di loro. I baci fino a togliere il fiato, la pelle che sembrava fondersi con e dentro quella dell'altro.
Gli occhi di Emil.
La luce all'interno di quelle iridi così scure da non lasciare comprendere dove iniziasse la forma della pupilla, prima che annegasse nell'iride altrettanto nera: come due tizzoni ardenti, colmi di un fuoco che il giovane sapeva avrebbe continuato a bruciargli nel cuore per il resto della sua vita.
Emil si era lasciato andare contro di lui, senza fare movimenti troppo bruschi: aveva abbandonato il suo corpo lentamente, mentre Irèné, con gli occhi lucidi, pregava che tutto quello non finisse, non in quel momento; non si sentiva ancora pronto per lasciarlo andare. Aveva paura: non voleva che fuori da quella stanza le cose tornassero a essere quelle di sempre.
Era innamorato del suo migliore amico.
Ma lui... lo ricambiava?
Stava ancora lì, a cercare di raccogliere il coraggio necessario per porgli quella domanda. Emil prese ad accarezzargli i capelli, dolcemente, alternando sorrisi, contro la pelle della fronte del suo amante, a piccoli baci.
Quanto tempo era trascorso?
Non ne avevano idea e non gli importava.
Stavano vivendo un momento unico, perfetto.
Finché Irèné non sentì Emil irrigidirsi tra le sue braccia: l'aria, all'interno della stanza, mutò di colpo, mentre la porta si apriva e il giovane captava la voce di suo padre. Non ebbe il coraggio di voltarsi nella sua direzione: rimase immobile, nudo, tra le braccia di Emil, con gli occhi fissi sul suo viso. Vide l'espressione dell'altro mutare velocemente, diventando quasi dura, affilata: i suoi occhi tornavano impenetrabili, due abissi troppo profondi per riuscire a leggervi qualcosa.
Lo vide impallidire, mentre percepiva il suo cuore andare in tanti, piccoli pezzi.
•
Irèné si svegliò di colpo: la pelle imperleata di sudore, il fiato corto, il petto saturo di un dolore sordo: lì, in quel punto preciso, quello in cui era, ormai, divenuto certo, di non essere più in grado di ospitare sentimenti per nessun altro uomo all'infuori di Emil Girard.
Si strinse la t-shirt del pigiama con una mano, cercando di calmarsi. "Era tanto che non accadeva" pensò ed era vero: aveva, persino, creduto di essersi lasciato alle spalle quegli incubi, dove tutto iniziava sempre con il ricordo di uno dei giorni più belli della sua vita e terminava con quello più devastante.
Emil non era più stato lo stesso dopo quell'episodio: l'imbarazzo l'aveva tenuto lontano dalla casa dei Laurant, sino a convincerlo di tagliare del tutto i ponti con loro, non solo con Martin, ma anche con il suo migliore amico.
Si incontravano per le stradine del paese e, dopo anni di amicizia, il ragazzo si voltava dall'altra parte, facendo finta di non aver incontrato il suo sguardo.
Era stato difficile non soccombere davanti quella glaciale indifferenza. Sopportare le occhiatacce di suo padre, ogni giorno, a ogni ora del giorno. Le domande insistenti di Edith. Le assurde teorie di Valentine.
Poi, di colpo, anche tutto quello era finito e loro avevano ripreso con la propria vita, come se niente fosse mai accaduto e, Irèné, fu allora che si convinse del fatto che, suo padre, avesse informato il resto della famiglia riguardo quello che era successo quel giorno.
Emil era sparito dalle loro vite senza più domande: i giorni si erano susseguiti uno dopo l'altro, mentre il ragazzo perdeva ogni complicità con suo padre; il senso di colpa continuava a tormentarlo; il cuore si chiudeva saldamente davanti a ogni nuovo, possibile amore.
Scosse il capo, allontando i capelli, umidi di sudore, dalla fronte, con un breve gesto della mano.
Era quello il vero motivo per cui aveva deciso di adottare Fabien e Bèatrice?
Irèné sorrise nell'oscurità della sua cameretta di ragazzo, la stessa dove aveva fatto l'amore per la prima volta, a quindici anni, con Emil.
Allontanò la mano dalla maglietta, sentendo le dita intorpidite per averle costrette tanto a lungo in quella, rigida, posizione. Aprì e chiuse il palmo un paio di volte, prima di lasciare ricadere la mano sul lenzuolo.
"Forse, è colpa di tutto quello ch'è accaduto ieri" pensò, cercando di dare una spiegazione al ritorno di quei, tormentati, ricordi.
Scosse la testa.
Quegli incubi lo avevano tormentato per anni, anche dopo il suo trasferimento a Parigi. Si erano smorzati un po' durante la sua ultima relazione, prima che adottasse i bambini, ma aveva notato già da un po' che stavano, lentamente, tornando a farsi sempre più presenti e invasivi.
Ricordava ancora il sapore delle sue labbra.
Il calore della sua pelle.
Lo strazio di non essere mai stato in grado di porgli quella domanda, vedendosi strappare via il suo primo amore senza neanche avere avuto la possibilità di sentirsi rispondere... anch'io.
Ma sarebbe stata, davvero, quella la risposta di Emil?
Irèné non poteva saperlo e, quell'incertezza, sembrava tenerlo inchiodato lì, a quindici anni prima, senza alcuna possibilità di andare avanti.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top